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di Olivier Dahan. Con Nicole Kidman, Tim Roth, Frank Langella, Paz Vega, Parker Posey. USA, Francia, Belgio, Italia 2014
Grace Kelly (Kidman), sei anni dopo il matrimonio con Ranieri di Monaco (Roth), è in piena crisi : la vita di corte, scandita dalla presenza della sua scostante segretaria-mastino Madge (Posey), le pesa particolarmente anche perché il principe è assente, concentrato com’è nella difficile trattativa con De Gaulle (Andrè Penvern), che minaccia l’embargo se il Principato non accetterà i condizionamenti economici della Francia. Quando Hitchcock (Roger Ashton-Phillips) la va a trovare per proporle il ruolo di protagonista nel suo prossimo film Marnie, lei, dopo varie titubanze, accetta anche spinta dalla sua amica Maria Callas (Vega). Ranieri si era dichiarato d’accordo purché la notizia non trapelasse durante i suoi difficili negoziati ma qualcuno fa uscire lo scoop e Grace è costretta a rinunciare. Suo unico sostegno è Padre Tucker, il confessore di corte, che la invita ad entrare appieno nel ruolo di principessa; le affianca perciò il conte D’Ailleres (Derek Jacobi), che la istruisce sull’etichetta, le convenzioni e le ipocrisie di corte. Ranieri, affiancato nei suoi sforzi da Onassis (Robert Lindsay), continua a resistere a De Gaulle ma la situazione sta precipitando. Grace ha intanto scoperto, grazie all’aiuto della dura ma fedele Madge, che nel Palazzo qualcuno sta complottando in combutta con il governo francese: sono sua cognata Antoinette (Geraldine Somerville) ed il di lei marito (Nicholas Farrell). Lei si mette a capo del comitato per la Croce Rossa del Principato e organizza un grande ballo di beneficienza, nel quale, alla presenza di De Gaulle tiene un discorso con il quale convince gli altri capi di stato presenti – in particolare il Ministro della Difesa americano, McNamara (Philip Delancy) – ad aiutare Monaco.
Dahan aveva già lavorato ad un biopic , La vie en rose sulla Piaf, e Grace di Monaco ne ha gli stessi pregi e gli stessi difetti: buon cast (qui ottimo), belle scenografie, costumi perfetti ma poca anima; alla Grace consegnataci dai rotocalchi il film non aggiunge nulla, anzi si direbbe che il racconto sia frenato da una, in fondo eccessiva (siamo pur sempre in reame un po’ da favola), di scadere nel melò. Fa, comunque, piacere ritrovare Parker Posey, musa del cinema indipendente americano, che qui guarda con disprezzo – forse non solo per ragioni di ruolo – l’hollywoodiana Kelly/Kidman.