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Una delle cause principali del degrado in cui viviamo a Roma è l’intreccio tra economie criminali e fenomeni di corruzione che, negli ultimi tempi, ha trasformato la nostra città in un vero e proprio laboratorio di una nuova tipologia di mafia con forti risvolti xenofobi e populistici. Traffico di cocaina e di diamanti, riciclaggio di denaro sporco in attività finanziarie e immobiliari, usura, apertura di sale scommesse in ogni angolo di strada sono i puzzle di un’organizzazione reticolare e ramificata nei nostri quartieri. Ne ha parlato in modo persuasivo Lirio Abbate in un recente articolo apparso su “L’Espresso”.
Torpignattara è uno dei territori prescelti da questa nuova cupola per gestire le attività criminali. È, infatti, un quartiere multietnico dove si vive un disagio profondo, ulteriormente accresciuto dalle pesanti ripercussioni causate dalla crisi economica e dalla mancanza di politiche adeguate per integrare le comunità di immigrati nel tessuto sociale. Il modo burocratico e superficiale con cui, in questi giorni, l’Amministrazione comunale ha risposto alla mobilitazione dei cittadini è segno inequivocabile di sciatteria e sottovalutazione dei pubblici poteri.
I registi del nuovo intreccio di business e crimine hanno deciso di strumentalizzare il diffuso e snervante malessere dei cittadini mediante una presenza politica che serve ad alimentare ideologie xenofobe capaci di amalgamare i diversi interessi. Lo smarrimento di riferimenti etici e valoriali e la mancanza di anticorpi civili e culturali fanno sì che soprattutto i giovani si lascino conquistare dal fascino perverso del modello apparentemente vincente del crimine e dell’illegalità e cerchino di idealizzarlo, coltivando pulsioni razziste e una malintesa tutela delle proprie radici. I segnali sono evidenti dando uno sguardo ai social network e ai giornali periodici di quartiere.
È questo il salto di qualità che si è compiuto, la nuova modalità non più oppressiva ma populistica che sostituisce la pratica odiosa del pizzo precedentemente imposta a imprenditori e commercianti. Una modalità che si presenta in nuove forme protettive volte a creare consenso diffuso intorno alle attività economiche criminali.
Per fronteggiare questa nuova situazione la risposta più adeguata è quella innanzitutto di chiamare il fenomeno con il suo vero nome: sistema criminale di stampo mafioso. Non dobbiamo avere paura a farlo perché gli indizi ci sono tutti. Avremmo bisogno di svolgere una ricerca-azione socio-psico-antropologica – nelle stesse dimensioni di quella che fece Franco Ferrarotti negli anni Sessanta proprio nelle periferie romane – per venire a conoscenza di tutte le tipologie del fenomeno e delle connessioni nazionali e internazionali.
L’altra risposta indispensabile è quella di promuovere la ricostituzione di legami comunitari con la consapevolezza, però, che la nuova cupola sta operando sullo stesso terreno. Ma è proprio lì che bisogna vincere la partita, affermando la cultura della democrazia e prendendo coscienza del ruolo fondamentale che giocano parole come “libertà”, “dignità”, ”legalità”, “fraternità”, “solidarietà”, “trasparenza”, “sviluppo”.
Non siamo più abituati ad agire su questo terreno perché ci vogliono doti che abbiamo smarrito: rispetto reciproco, capacità d’ascolto, disponibilità alla mediazione. I modelli del confronto e del dibattito pubblico sono quelli della comunicazione politica, dei social network e dei talk-show televisivi. Ma con quei modelli non si ricostituiscono comunità reali capaci di appropriarsi degli spazi vitali. Vi è dunque bisogno di rieducarci alla democrazia diretta mediante percorsi di autoapprendimento collettivo, sbagliando e riprovando continuamente. Perché non ci sarà mai un traguardo definitivo.
Nei prossimi giorni a Torpignattara sono convocate più assemblee in luoghi diversi per affrontare i problemi del quartiere. Bisogna partecipare ma anche pretendere che ci siano regole democraticamente condivise che permettano a tutti di esprimere la propria opinione e di pesare effettivamente nelle decisioni. È un esercizio a cui non dovremmo sottrarci per non lasciare il campo libero a chi vuole ridurre i nostri spazi non solo di democrazia ma di vita.