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Un Mandarino per Dio
di Paolo Genovese. Con Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Alessandro Borghi, Silvio Muccino, Alba Rohrwacher Italia 2017
Dopo il successo di Perfetti sconosciuti Genovese (che pure veniva dagli ottimi incassi dei due Immaturi e de La banda dei Babbi Natale) ha scelto di percorrere di nuovo la strada del racconto drammatico, corale ed emblematico. Per farlo ha preso le mosse dalla serie americana The booth at the end, riproponendone il format – l’uomo con l’agenda (nella serie è Xander Berkeley) seduto in fondo al caffè che propone scambi, spesso inumani, par realizzare i desideri – ma anche molte delle storie. Il tema, dal Faust in poi, non è nuovissimo: al cinema da Il milione di Renè Clair, a Se avessi un milione (film ad episodi, diretto da Ernst Lubitsch ed altri 7 registi), a Il carnevale della vita di Julien Duvivier più volte sono state sviluppate storie che scaturivano dalla possibilità magica di esaudire i propri desideri. Anche la commedia musicale, con il delizioso Un Mandarino per Teo (Soldi, soldi, soldi: ricordate la canzone?) aveva immaginato un tentatore che promette la felicità in cambio, in quel caso, della morte di uno sconosciuto (nel 2009 Richard Kelly aveva proposto un tema molto simile, traendo il suo The box da un racconto di Richard Matheson). Nella serie e nel film l’Uomo non è chiaramente (come nei titoli che abbiamo citato) un angelo o un demone ma piuttosto la rappresentazione dell’es (il termine psicanalistico dell’istintualità contrapposta all’Io) dei personaggi. Il cast è uno dei pregi ma anche uno dei difetti del film: sono tutti buoni attori ma si portano appresso un inevitabile alone di già visto e l’eccessiva teatralità del congegno narrativo (che era già nella serie televisiva ma i 23 minuti di durata di ogni episodio aiutavano ad asciugare il racconto) li porta ad una recitazione un po’ troppo d’accademia (la Lazzarini ce l’ha di suo e già in Mia madre di Moretti appariva in parte fuori contesto). Non a caso sono più credibili Mastandrea e la Ferilli che al teatro sono arrivati dopo il cinema, mentre la migliore, la meno scontata appare Silvia D’Amico. E’ comunque una buona prova, della quale la regia, le musiche di Maurizio Filardo – con l’irrompere di A chi di Fausto Leali e di Sunny di Bobby Hebb – e la fotografia di Fabrizio Lucci sono di veri punti di forza; disturba (ma forse solo me) il depistante moralismo delle varie conclusioni e qualche concessione al conformismo impegnato (l’allusione a Cucchi, il femminicidio). Rimane la voglia di una qualche ribalda libertà di ispirazione ma The place ha un suo coraggio e una lodevole voglia di novità.
Nel tavolino di un bar anonimo chiamato The Place un Uomo (Mastandrea) riceve persone che gli confidano i loro desideri; lui promette di realizzarli, in cambio di missioni – spesso ignobili – che affida loro, traendole da un’agenda piena di scritte. La signora Marcella (Giulia Lazzarini) – -che vorrebbe far uscire dall’Alzheimer che lo affligge il marito – ha il compito di costruire una bomba per metterla in un luogo affollato; il professionista Gigi (Vinicio Marchioni), padre di un bambino leucemico, in cambio della sua guarigione deve uccidere una bambina; il poliziotto Ettore (Giallini) per ritrovare una refurtiva, che si è lasciato scappare, dovrà picchiare a sangue uno sconosciuto; ad Azzurra (Vittoria Puccini) per risvegliare l’antica passione nel marito l’Uomo chiede di mettere in crisi una coppia; il cieco Fulvio (Borghi) riavrà la vista se violenterà una donna; il garagista Odoacre (Rocco Papaleo) sogna una notte di sesso con la pin-up appesa nella sua officina: potrà averla se salverà una bambina in pericolo (quella del compito di Gigi); suor Chiara (Rohrwacher) ha perso Dio e per ritrovarlo dovrà rimanere incinta; Martina (Silvia D’Amico), ragazzotta coatta, vuole diventare più bella e le viene chiesto di metter in atto una rapina che frutti 100.000 euro e spicci; di lì a poco lei porterà con se il teppistello Alex (Muccino), che l’aiuterà nella rapina se l’Uomo farà sparire dalla sua vita l’odiato padre. L’Uomo è sempre schivo e stanchissimo ma la cameriera Angela, la sera quando sono soli, riesce a strappargli qualche rarefatta confidenza. Le storie dei personaggi si dipanano e spesso si intrecciano: Marcella, terminata la bomba, ha mille scrupoli; Gigi si accorge di Odoacre e, questi, dopo un maldestro tentativo dell’altro di travolgere la bimba con la macchina, decide di rapirla per tenerla al sicuro (intanto la modella della foto va nella sua officina e fa la carina con lui); Ettore ha picchiato brutalmente un fermato e trova la refurtiva ma il ladro – si tratta di Alex ed è suo figlio- gli sfugge e lui cambia il desiderio: per rivederlo e cercare di recuperarlo (lui è stato un pessimo padre) accetta di nascondere una denuncia di stupro; Azzurra seduce un vicino di casa e fa in modo che la moglie lo sappia e, quando lui se ne va di casa e lei lo confessa al marito, questi ha una reazione, dapprima, solo passionale ma, via via, si fa sempre più violento e ossessivamente geloso; Fulvio incontra proprio suor Chiara e, dopo una serie di appuntamenti, arriva la sera in cui dovrebbe stuprarla.