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The Beatles – Eight Days a Week

L’unica rivoluzione accettabile del ‘900: Revolution dei Beatles

di Ron Howard. Con Paul McCartney, Ringo Starr, John Lennon, George Harrison USA 2016

Ai tempi di Happy Days, i Beatles, in tour in America, erano andati sul set ma – ricorda Ron Howard protagonista della serie nel ruolo di Richie – non per lui: volevano conoscere Fonzie (Henry Winkler). L’incontro l’ha però segnato se 50 anni dopo decide di girare su di loro il suo primo documentario. Altre volte la televisione ha commissionato documenti su i Fab Four (What’s happening! The Beatles in the USA di fratelli Maysles è un precedente del quale Howard ha certamente tenuto conto) ma, per la prima volta, ci viene raccontata l’evoluzione del gruppo pop più importante della storia dall’interno ed i Beatles ci arrivano con la loro genialità ma anche con le loro fragilità; anche fisicamente, li vediamo ragazzi nei primi due anni dei loro successi e precocemente adulti negli anni immediatamente successivi, logorati da un circo (sono loro stessi a definirli così) che tendeva a mostrificarli (“freaks” è il termina con il quali George definisce se stesso e i suoi compagni). Ci sono interviste a Paul e Ringo, che – dopo anni di presa di distanza – rivendicano la forza del loro team, dichiarazioni di John e George che riportano alla musica il valore di fondo del gruppo e varie testimonianze di personaggi che avevano, come testimoni o semplici fan, partecipato a quel fenomeno e inserti nei quali appare il geniale Richard Lester, con sequenze di A hard day’s night e Help!, i due deliziosi film nei quali li ha diretti. Seguiamo i Beatles dalle prime esibizioni nelle cantine di Liverpool, alla dura gavetta di Amburgo, ai primi successi, ai massacranti – e alienanti (nel frastuono non sentivano le proprie voci e Ringo racconta di aver suonato basandosi sui movimenti del sedere degli altri tre e sul battito del piede di Paul) – tour americani, alla decisione di non esibirsi più in pubblico e di concentrarsi sulle registrazioni- da qui nacquero lp-capolavoro, quali Revolver, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (il miglior album pop di sempre per moltissimi critici) e The Beatles/White Album – fino al concerto di addio sul terrazzo della Apple il 30 gennaio del ’69, ripreso dal film Let it be. La storia è puntellata da testimonianze di addetti ai lavori, quali il giornalista Larry Kane che, ventenne, li seguì nel loro primo tour americano, il critico Jon Savage, che non poté andare da ragazzino a sentirli perché i genitori glielo proibirono, Lou Costello, loro fan da bambino, frastornato dalla rivoluzione del loro album Rubber Soul. Ci sono poi fan speciali: Whoopi Goldberg che, bambina, capisce che la loro musica è unificante; la storica Kitty Oliver che, partecipò al loro concerto di Jacksonville – allora attraversata da manifestazione contro la segregazione – insieme a tanti ragazzini bianchi, perché loro avevano imposto – minacciando di far saltare la data – che non ci fosse apartheid durante la loro esibizione; la produttrice tv Debbie Supnik, che tredicenne – col suo nome Debbie Gendler – fu intervistata durante la loro apparizione all’Ed Sullivan Show; Sigourney Weaver, adolescente innamorata di John che si schiarì i capelli con la birra, sicura di essere notata dal suo amato in mezzo ad altre 15.000 ragazzine urlanti e il compositore Howard Goodall, che afferma che, nella storia della musica, solo Mozart può – per quantità di brani riusciti – essere paragonato a loro.

Quest’ultima testimonianza è la chiave del film: Ron Howard ha gli strumenti giusti per raccontare il successo e l’amicizia (Cocoon, Apollo 13, Rush) e qui viene fuori la profondità del rapporto tra i quattro ma anche con il manager Brian Epstein e con i produttori George Martin e Neil Aspinall ma, soprattutto, riesce – senza forzare il racconto – a far capire quale rivoluzione musicale (per primi inserirono stilemi d’avanguardia nella musica pop), industriale (il LP, fino a quel momento pura raccolta di 45 giri di successo, con loro diventò la vera hit) e sociale (i giovani in quegli anni divennero una forza commerciale e di costume, come mai erano stati in passato) siano stati i Beatles. Il ‘900 è stato teatro di rivoluzioni orrende e cruentissime: il fascismo, il nazismo e il comunismo, ben venga chi ci ricorda l’unica rivoluzione, che ha coinvolto enormi masse migliorandole: la beatlesmania (come ci dice John in Revolution :”Tu parli di rivoluzione, bene, tutti vogliamo cambiare il mondo ma quando mi parli di distruzione.. non contare su di me”)

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