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Considerazioni di INU Lazio sulla proposta di nuovo insediamento a Tor di Valle

La proposta del nuovo insediamento a Tor di Valle è un caso evidentissimo di “urbanistica contrattata”. Che esso venga proposto da chi in passato ha attaccato, anche su questo tema, il Piano Regolatore Generale non è un paradosso……. continua a leggere
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Roma Capitale: dalla Giunta un Bilancio di legalità contabile che rilancia la città

Il 30 Dicembre la Giunta capitolina ha approvato il Bilancio di Previsione 2015 riportando finalmente nella legalità contabile l’Amministrazione che può così programmare con risorse certe tutte le spese e gli investimenti per il 2015: ci svincoliamo definitivamente dalla malagestione amministrativa della Giunta Alemanno dove si arrivò ad approvare il Bilancio di Previsione del 2013 nel Dicembre dello stesso anno. – Lo dichiara Emanuela Mino, Presidente del Consiglio del Municipio Roma XI.

E’ di 3,8 miliardi di euro il valore della manovra, che vede le entrate corrente diminuire di 450 milioni di euro e risparmi per 200 milioni di euro che verranno dal taglio degli sprechi e delle inefficienti e dalla chiusura, prima del previsto, del Piano di Rientro. Ci sarà poi una riduzione spese per i fitti passivi (meno 40 milioni di euro), risparmi sui sistemi informatici dell’amministrazione, interventi per il risparmio energetico e, con il passaggio al Bonus Casa, si chiuderà l’esperienza dei residence per l’emergenza abitativa e si passerà ai voucher che da un lato permetteranno una diminuzione della spesa da 43 milioni a 27 milioni di euro e dall’altro garantiranno migliori condizioni di vita per gli indigenti. Roma Capitale uscirà poi, cedendo le proprie quote azionarie, da una serie di aziende partecipate ma non strategiche per le finalità proprie dell’Ente locale come Assicurazioni di Roma, Acea Ato2 (3,53%), Aeroporti di Roma (1,33%), Banca di credito cooperativo, Eur Spa(10%), Centro Agroalimentare (28,3%), Centro ingrosso Fiori(8,8%), Investimenti Spa (21,76%) e Farmacap: un totale di 20 società alienate o dismesse che libereranno risorse per l’Amministrazione, in linea con il Piano di Rientro approvato dal Governo.

Si investe in settori importanti come quello del decoro e dei rifiuti (100 nuove spazzatrici che sostituiranno il lavoro di 500 uomini che potranno essere ricollocati sulla raccolta differenziata con l’obiettivo di portarla al 60% entro fine anno e l’inizio dei lavori di realizzazione dell’ecodistretto) e della mobilità e trasporti (un incremento di risorse pari 45 milioni di euro sul trasporto pubblico locale, l’avvio dei tram Lodi-Santa Croce in Gerusalemme, 5,5 milioni di euro, e la realizzazione, 20 milioni di euro, di quello che collegherà i Fori con Piazza Vittorio passando da Via Cavour e dall’accordo con FS, la realizzazione della ferrovia urbana che collegherà Ostiense con Vigna Clara, 2,5 milioni di contributo), si mettono al centro i Municipi (10 milioni in più sulla spesa corrente di cui 5 milioni di euro per le manutenzioni e lo stanziamento di 15 milioni di euro per realizzare 15 opere concordate con i cittadini in ogni territorio) e si rafforza l’attenzione per le periferie (piano di illuminazione pubblica a led che partirà da Tor Sapienza ed interesserà 200mila punti luce e realizzazione di aree pedonali realizzate con una parte dei sanpietrini tolti dalle strade ad alta percorrenza del Centro Storico).

Ora l’iter prevede che il Bilancio sia approvato dall’Assemblea capitolina dopo aver acquisito il parere dei Municipi, questione di qualche settimana ma possiamo già dire che Roma viaggia ormai sui binari del risanamento finanziario, con i conti in sicurezza la città può guardare con ottimismo alle importanti sfide che l’attendono come la candidatura a città organizzatrice delle Olimpiadi 2024 e combattere con maggior vigore la quotidiana lotta per la legalità e la trasparenza delle Istituzioni.




Una città nel deserto ancestrale e sostenibile

Luoghi-identità che recuperano il senso di comunità e di rispetto del territorio. ‘Desert City’, un nuovo modello concettuale di vita sostenibile nel deserto presentato dallo studio di architettura Luca Curci

Luoghi-identità interconnessi

Ripensare il concetto di confine, che può essere visto non solo come linea che divide ma anche come elemento di connessione fra due luoghi, come punto di incontro fra spazio pubblico e privato. Nasce da queste riflessioni ‘Desert City’ , una proposta progettuale per un modello di vita, alternativo e sostenibile, nel deserto presentata dallo studio di architettura Luca Curci. Un progetto che si pone in antitesi con gli attuali ‘labirinti urbani’ che stanno spopolando nelle regioni degli Emirati Arabi e che recupera il senso di comunità, come modello  socio-economico teso all’inclusione, appartenenza, cooperazione e alla capacità di coinvolgimento.
Luoghi-identità interconnessi
Il project plan si compone di una serie di luoghi-identità simbioticamente interconnessi tra loro, a configurare un unico sistema organico e articolato. Tre le macro tipologie architettoniche immaginate, differenti per dimensione, funzioni e numero di abitanti: gli hub più piccoli possono ospitare residenze mono o plurifamiliari, piccole comunità  composte da 1 a 5 nuclei familiari; gli edifici di dimensioni intermedie ospitano strutture specialistiche al servizio delle comunità come centri di ricerca, centri culturali, amministrativi o terziari; gli edifici più grandi ospitano comunità più articolate, con popolazioni da 2.000 a 5.000 abitanti e le loro attività lavorative, culturali e sociali.
L’obiettivo è di creare un modello di vita basato sulla valorizzazione dei rapporti umani e sul rispetto del territorio, sfruttandone condizioni climatiche e risorse.
Materiali locali, energia rinnovabile, riutilizzo di acqua e rifiuti
Le abitazioni saranno realizzate utilizzando materiali a basso impatto ambientale di provenienza locale e per l’approvvigionamento energetico verranno utilizzati sole e vento. L’acque verrà utilizzata con consapevolezza, attraverso il recupero e il riutilizzo delle acque di scarto, la raccolta delle rare ma abbondanti precipitazioni, e la produzione di acqua potabile attraverso la desalinizzazione ottenuta attraverso l’energia solare. Anche i rifiuti saranno recuperati attraverso il riciclaggio ed il compostaggio.
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fonte: casaeclima.com

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Edilizia scolastica, esclusi dal Patto di stabilità 404 interventi – Lo prevede un Dpcm approvato dall’Anci in sede di Conferenza Stato-Città

Associazione dei Comuni italiani ha dato ieri parere positivo, in sede di Conferenza Stato-Città, sul decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) che prevede l’esclusione dal computo del Patto di stabilità 2014 e 2015 per 404 interventi di edilizia scolastica, nell’ambito del progetto “Scuole nuove”, in base a quanto previsto dal Dl 66/2014.
SPENDIBILI 122 MLN PER CIASCUNA ANNUALITÀ . “La cifra che i Comuni potranno spendere equivale a 122 milioni di euro per ciascuna annualità. Gli interventi sono stati scelti tra le richieste che i Sindaci hanno inviato direttamente al premier Matteo Renzi. Tra le 4004 richieste pervenute è stata data priorità ai Comuni che hanno segnalato di poter effettuare lavori esclusivamente con risorse proprie”, ha spiegato il delegato Anci al Personale Umberto Di Primio, che ieri ha rappresentato l’Anci in Conferenza Stato-Città.
“Per il 2014 – ha spiegato ancora l’esponente dell’Associazione dei Comuni – è stato dato seguito a tutte le richieste pervenute, per un totale di 112 milioni a fronte dei 122 milioni previsti; per il 2015, essendo le richieste superiori al tetto dei 122 milioni di euro, si è proceduto con un taglio uguale per tutti del 3,1%, così da soddisfare tutte le richieste”.
AUSPICABILE L’ESCLUSIONE DI ULTERIORI 70 MILIONI PER IL 2015 E DI 120 MILIONI PER IL 2016 . “E’ auspicabile ora – ha aggiunto Di Primio – prevedere ulteriori esclusioni dal Patto a favore degli interventi non rientrati in questa tornata, seppur richiesti e già pervenuti alla presidenza del Consiglio: chi ha chiesto l’esclusione degli interventi dal computo del Patto a partire dal 2015 o dal 2016, infatti, per il momento non è rientrato nelle previsioni stabilite dal Dpcm. Sarebbe a questo fine auspicabile l’esclusione di ulteriori 70 milioni per il 2015 e di 120 milioni per il 2016: a tanto ammontano le risorse complessive per soddisfare tutte le richieste pervenute. L’ANCI confida inoltre che vada a buon fine l’annunciato stanziamento delle ulteriori risorse per l’edilizia scolastica già programmate dal Governo”.
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fonte: casaeclima.com

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Grenoble, alberi al posto dei cartelloni pubblicitari

Bandita la pubblicità nelle strade. Al posto delle 326 insegne pubblicitarie verranno piantati, dove possibile, alberi
M entre Londra discute sulla bellezza (o bruttezza) della ‘scultura pubblicitaria’ firmata Zaha Hadid , Grenoble risolve il problema alla radice: la città non avrà  più alcun cartellone pubblicitario. E, dove possibile, le vecchie insegne verranno sostituite da alberi. L’operazione inizierà con l’anno nuovo: a gennaio 2015 verranno rimossi circa 50 cartelloni, al posto dei quali sorgeranno alberi ed entro aprile la città verrà ‘liberata’ da tutte le 326 insegne pubblicitarie che attualmente occupano gli spazi urbani. Con un triplice obiettivo: ridurre l’inquinamento ambientale e visivo e dare alla città una veste meno degradata.
Il sindaco ecologista rispetta le promesse della campagna elettorale
Un’iniziativa coraggiosa, ma attesa, almeno dai cittadini che lo scorso gennaio avevano eletto a sindaco Eric Piolle , a capo del partito ecologista francese EELV (Europe Écologie les Verts), proprio per le sue promesse ambientali e di decoro urbano. Dalle parole ai fatti, Piolle rispetta entrambe gli impegni: la réclame non verrà sostituita soltanto da alberi ma anche da nuove  strutture di dimensioni minori, che verranno destinate all’affissione libera, culturale e municipale
“Il comune – aggiunge Piolle – fa la scelta di liberare lo spazio pubblico di Grenoble dalla pubblicità sviluppando spazi di espressione pubblica e non lancia nuovi appalti per la cartellonistica pubblicitaria.” Le uniche insegne che rimarranno infatti quelle alle fermate dei mezzi pubblici, ma solo fino al 2019 quando scadrà il contratto tra la JCDecaux e il sindacato misto dei trasporti pubblici (SMTC), che il sindaco non intende rinnovare.
A Roma, i cartelloni non si eliminano ma si riducono
La realtà di Grenoble è sicuramente lontana anni luce rispetto a quella italiana, ma qualche segnale arriva dalla capitale. Il Tar del Lazio ha infatti rigettato la richiesta di sospensiva del nuovo Piano Regolatore degli Impianti Pubblicitari (Prip) varato a giugno dall’Assemblea Capitolina.
L’intervento dell’amministrazione – fanno sapere in una nota il sindaco della Capitale Ignazio Marino e lo stesso assessore alla ‘Roma Produttiva’ Marta Leonori – e’ stato fatto “per rimodulare nel segno della legalita’ e del decoro l’offerta di spazi pubblicitari presente in citta’”. Anche perché “il 60% delle imprese del settore di Roma tra l’altro ha gia’ aderito spontaneamente alle nuove direttive, confermate oggi dal Tar del Lazio, che impongono di ridurre gli impianti dalla misura di 4 x 3 metri a quella di 3 x 2 metri. Per tutte le aziende che ancora non si sono adeguate alle nuove normative, il termine per modificare la cartellonistica e’ stato posticipato dal 31 gennaio al 20 maggio 2015, come segno della volonta’ di apertura al dialogo con le realta’ economiche cittadine”. Marino e la Leonori ricordano che “rimangono per il resto confermate tutte le norme compresa la scadenza delle concessioni e autorizzazioni al 31 dicembre o comunque all’esito delle gare che saranno pubblicate nel 2015”.
Basta dare uno sguardo alle città di tutto il mondo dove le insegne cartellonistiche invadono gli spazi urbani per apprezzare l’iniziativa del primo cittadino francese.
 
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fonte: casaeclima.com
 

 

 

 

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Dove sono finiti i 24 milioni di euro spesi in un anno per i campi rom a Roma?

Dove sono finiti i 24 milioni di euro spesi in un anno per i campi rom a Roma?

Quanti sono i rom a Roma? I rom che vivono in una situazione di emergenza abitativa a Roma sono lo 0,23 per cento della popolazione della città, pari a circa ottomila persone.

Quanti campi rom ci sono a Roma? Ci sono quattro tipologie abitative per i rom a Roma.
1. I campi regolari, che sono sette, costruiti e autorizzati dal comune;
2. I campi tollerati, semiistituzionali, che sono 8;
3. Gli insediamenti abusivi, che sono 186;
4. I centri di raccolta rom, che sono tre: ex fabbriche dismesse in cui il comune ha mandato i rom in emergenza abitativa.

Chi gestisce i campi rom a Roma? Trentacinque associazioni in cui lavorano circa quattrocento persone.

I campi rom autorizzati a Roma

Quanto costano i campi autorizzati? Nel 2013 sono costati 24 milioni di euro. Se si divide questa cifra per ogni persona che vive nei campi, la spesa sostenuta dal comune è di circa 450 euro a persona al mese. Nei centri di raccolta la spesa media è di 700 euro a persona al mese. Se si calcola che una famiglia rom si compone di cinque o sei persone, le cifre partono dai tremila e arrivano agli ottomila euro al mese per famiglia. Secondo alcune stime, negli ultimi dieci anni sono stati spesi circa 260 milioni di euro. L’80 per cento dei fondi è assegnato alle associazioni in modo diretto, senza bando di gara.

Quanto costa uno sgombero? Secondo alcune stime, ogni sgombero costa 1.000 euro per persona sgomberata.

Che cos’è il piano nomadi di Gianni Alemanno? Con un decreto approvato dal governo Berlusconi il 21 maggio del 2008 , la giunta guidata da Gianni Alemanno ha speso 32 milioni di euro in più di fondi pubblici per la gestione dei campi rom rispetto alla gestione ordinaria, per un totale di quasi 60 milioni di euro. Gli sgomberi sono stati 536.

Il modello spagnolo. In Spagna vivono 800mila rom e non ci sono campi, i rom vivono in casa. Secondo le stime dell’associazione 21 luglio, in tre anni con una spesa di 24 milioni di euro all’anno è possibile risolvere l’emergenza abitativa dei rom a Roma. Nella capitale ci sono 1.200 ettari di edifici abbandonati che fanno parte del patrimonio pubblico e che possono essere recuperati. In questo modo in tre anni si potrebbero chiudere tutti i campi.

La condanna dell’Europa. La Com­mis­sione europea ha minac­ciato di aprire una pro­ce­dura d’infra­zione a causa delle poli­ti­che abi­ta­tive di segregazione che le auto­rità ita­liane adottano nei con­fronti dei rom. “Le violazioni dei diritti umani nei confronti dei rom da parte delle autorità italiane, incluse quelle di Roma, continuano: sgomberi forzati, segregazione in campi in condizioni abitative gravemente inadeguate ed esclusione dall’edilizia residenziale pubblica stanno proseguendo sotto l’amministrazione del sindaco Ignazio Marino”, ha detto John Dalhuisen , direttore del Programma Europa e Asia Centrale di Amnesty international in occasione della giornata dei rom ad aprile.

“Insieme ad Amnesty international, anche il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muižnieks ha evidenziato il carattere discriminatorio di una delibera che impedisce ai rom residenti nei campi autorizzati di veder riconosciuto il proprio stato abitativo gravemente disagiato e dunque riduce enormemente le loro probabilità di vedersi assegnata una casa popolare”, ha ricordato Dalhuisen.

 

 

Fonte internazionale.it         vai all’articolo originale


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Meno tasse a chi paga i restauri. Succede all’Arena di Verona

Sul tavolo di sono 14 milioni euro, metà a carico dal gruppo UniCredit , metà della Fondazione Cariverona (sempre gruppo UniCredit), che andranno per lavori di restauro e adeguamento funzionale e impiantistico, di cui l’ Arena di Verona  ha urgente bisogno. Questa mattina a Milano, nel quartier generale della banca a Porta Nuova, la firma che formalizza l’accordo – uno dei primi di questo genere – tra il sindaco di Verona , Flavio Tosi , Fedrerico Ghizzon i, amministratore delegato di Unicredit (gruppo che a Verona è saldamente inserito nel territorio e gestisce il 25% del mercato bancario locale) e Paolo Biasi, presidente della Fondazione Cariverona .
Ora è tempo di pensare ai bandi di gara per selezionare le aziende adatte ai lavori e poi via con cantieri che – secondo una stima fatta dal sindaco Tosi – dureranno tre anni, al massimo quattro e saranno via via porzionati, in modo da intralciare il meno possibile con il calendario degli eventi musicali ospitati dall’anfiteatro. Intanto l’amministrazione comunale pensa già al passo successivo, ovvero la copertura dell’arena con una struttura rimovibile studiata ad hoc.

Sarebbe un altro bel colpo per uno dei monumenti italiani più conosciuti dai musicolfili e più in generale dai turisti di tutto il mondo (soprattutto tedeschi, dice l’ad Ghizzoni nel corso della conferenza stampa, specificando che i giornali in Germania hanno dato ampio spazio alla notizia del restauro imminente, su cui quest’estate hanno iniziato a girare le prime voci). I contatti con gli sponsor ci sono già: si tratta ora di concretizzare un’altro accordo come quello firmato stamattina, che ha aperto una via nuova al recupero del patrimonio storico-artistico italiano.

Le regole sono contenute nel decreto legge Art Bonus, in vigore dal luglio scorso,  che introducono anche in Italia – all’estero lo si fa da anni – un beneficio fiscale alle aziende che finanziano gli interventi. Un mecenatismo culturale – si legge nel decreto – che viene premiato con un credito di imposta al 65% per gli anni 2014 e 2015 e al 50% per il 2016. “Non abbiamo ancora deciso in quanti anni suddividere il beneficio fiscale – dice l’ad Ghizzoni, intervistato da Monitorimmobiliare a margine della firma dell’accordo con il Comune di Verona –. Siamo disponibili a replicare l’intervento su altri progetti, anche se ora siamo concentrati sull’Arena e non abbiamo altre iniziative simile allo studio”.

Via, dunque – o almeno si spera – dalle operazioni farraginose ( vedi polemiche e lo stop and go del Tar del Lazio ) come quella del restauro del Colosseo, finanziata dal patron del gruppo Tod’s, Diego Della Valle.

Guarda le videointerviste   a Fedrerico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit; Paolo Gencarelli, head of group Real estate and procurement Unicredit (che ha fatto il punto sugli immobili del gruppo, a partire dalla ex sede di piazza Cordusio); Flavio Tosi, sindaco di Verona.
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fonte: www.monitorimmobiliare.it  

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Sogin consegna la lista dei siti per lo stoccaggio delle scorie nucleari.

 

 

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È partito oggi il conto alla rovescia per la messa in sicurezza delle scorie radioattive prodotte dalla breve stagione del nucleare italiano. La Sogin, la società pubblica incaricata del decommissioning, ha consegnato all’Ispra l’elenco dei siti potenzialmente idonei per la realizzazione del deposito nazionale. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale avrà due mesi di tempo per verificare la correttezza dell’analisi, poi passerà i nomi al governo che si prenderà un altro mese per i controlli. Ad aprile la carta sarà resa pubblica.

Ma cosa c’è in quella mappa? Dalla cartina dell’Italia sono state tolte lagune, zone protette, miniere, dighe, poligoni di tiro e tutte le aree con una delle seguenti caratteristiche: sismiche; soggette a frane o ad alluvioni; sopra i 700 metri di quota, sotto i 20 metri di quota; a meno di 5 chilometri dal mare; a meno di un chilometro da ferrovie o strade di grande importanza; vicino alle aree urbane; accanto ai fiumi.

Eliminate le aree da escludere, nella mappa restano evidenziati un centinaio di siti potenzialmente idonei sparsi in una dozzina di regioni. In uno di questi luoghi si dovrà lasciare un chilometro quadrato libero per realizzare il progetto che si compone di due parti. La prima è il deposito nazionale di superficie in cui i barili con le sostanze contaminate verranno avvolti da tre diverse protezioni in calcestruzzo e cemento e poi messi in celle sigillate e ricoperte con più strati di materiale impermeabile. La seconda è il parco tecnologico: un centro di ricerca specializzato nel campo del decommissioning.

Parliamo di un investimento da un miliardo e mezzo di euro che, con quattro anni di lavoro, dovrà servire a mettere in sicurezza 90 mila metri cubi di materiali radioattivi: il 60% verrà dallo smantellamento delle centrali nucleari, il 40% da attività diagnostiche e terapeutiche di medicina nucleare, da laboratori di ricerca e da alcuni settori industriali (questi rifiuti crescono di 500 metri cubi all’anno).

Sulla necessità di dare protezione a materiali pericolosi sotto vari profili (da quello sanitario a quello della security) concordano tutti. E, nell’audizione alla Camera del 30 ottobre 2013 i dirigenti Ispra sono stati molto chiari parlando di rifiuti radioattivi che “continuano ad essere immagazzinati senza un adeguato processo di condizionamento presso strutture non idonee, in particolare dal punto di vista della localizzazione, a una gestione di lungo termine. Va evidenziato che in tale contesto sono emerse negli anni alcune situazioni di particolare criticità”.

Inoltre, avendo una quantità di rifiuti nucleari abbastanza ridotta, possiamo evitare l’incognita del cimitero per le scorie ad alta radioattività: un problema a tutt’oggi irrisolto (si tratta di garantire la sicurezza per un tempo molto maggiore di quello che ci separa dall’avvento dell’agricoltura). In Italia il deposito sarà limitato alle scorie a media e bassa attività: il luogo potrà essere recuperato nell’arco di 300 anni.

Tuttavia la vera incognita resta l’affidabilità della gestione. E il governo non è partito con il piede giusto. Il senatore a 5 stelle Gianni Girotto, ha definito la decisione di nominare Antonio Agostini a capo dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, “un atto da vecchia politica: si è scelto un personaggio che non ha le competenze richieste dalla legge”.

Tra quattro mesi si entrerà nel vivo della questione. Senza garanzia di trasparenza nei criteri di scelta del sito e un dialogo reale con le popolazioni coinvolte si rischia di bloccare il processo. Lasciando irrisolto un problema di sicurezza che richiede una soluzione rapida.
TagsArgomenti:nuclearescorie nuclearimateriali radioattividecommissioningSo

http://www.repubblica.it/ambiente/2015/01/02/news/scatta_il_conto_alla_rovescia_per_il_deposito_nucleare-104186959/?ref=HREC1-21

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Dissesto, piano da 1,7 miliardi

ROMA
Una miriade di interventi, per l’esattezza 1.155, in grado di mobilitare nel 2015 risorse per poco meno di 1,7 miliardi . Il piano per il contrasto al dissesto idrogeologico coordinato dall’Unità di missione di Palazzo Chigi si prepara a passare dalle dichiarazioni ai cantieri. Scorrendo gli elenchi messi a disposizione dal gruppo coordinato da Erasmo D’Angelis, è possibile per la prima volta misurare in maniera esatta la distribuzione di questi interventi nel nostro paese. Gli investimenti saranno rivolti principalmente al Sud ma avranno picchi anche in Toscana e Lombardia.

 Il piano è stato composto andando a “raschiare” il barile delle iniziative mai partite negli ultimi 15 anni, revocando fondi e rifinanziando le opere previste dai vecchi Piani operativi regionali (restano da assegnare 147,5 milioni per 92 interventi), dai piani del ministero dell’Ambiente precedenti al 2009 e dagli accordi di programma 2009-2010 (in tutto 1.063 interventi per 1.525 milioni).

Il blocco più importante di lavori riguarderà quattro Regioni: Calabria, Campania, Sicilia e Sardegna. Solo in queste zone saranno impiegati 814,3 milioni, la metà del totale. Spostandosi più a Nord, la massima concentrazione di lavori si registra in Lombardia e Toscana. Nel primo caso sono programmati 137 milioni di interventi, con una caratteristica: hanno importi particolarmente alti, in media di circa 5 milioni. Mentre in Toscana potrebbero arrivare 116,9 milioni di investimenti, distribuiti su 59 differenti cantieri. A Nord si trova un’altra Regione chiave di questo piano: il Piemonte. Da queste parti sarà prodotto il massimo sforzo di distribuzione sul territorio. Qui sono in programma 136 interventi: solo in Calabria sono di più. E, proprio per questo, hanno importi bassissimi. Appena 500mila euro, in media, a lotto. In coda troviamo la Basilicata, che è la Regione con meno risorse a disposizione: appena 6,7 milioni. Poco più in alto ci sono Valle d’Aosta (12,1 milioni) e Liguria (22,3 milioni). Genova, La Spezia, Imperia e Savona scontano, in questa classifica, il fatto che molti interventi di messa in sicurezza sono stati già sbloccati all’indomani della tragica alluvione di ottobre.

Il piano comprende soprattutto cantieri piccoli e medi. Una vera manna per le Pmi del settore, in epoca di freno agli investimenti pubblici. Sotto il milione ci sono 741 interventi, il pezzo più importante. Sopra la soglia dei dieci milioni, invece, ci sono appena una ventina di cantieri. Il più grande in assoluto (50,3 milioni) riguarda la regimazione idraulica del lago d’Idro, in provincia di Brescia. Al secondo posto troviamo le opere di consolidamento della località Giampilieri a Messina. Circa 22,6 milioni saranno, invece, spesi a Borca di Cadore, in provincia di Belluno, per la sistemazione della frana di Cancia.
Questa estrema polverizzazione porta una conseguenza sui bandi di gara. Con il decreto Sblocca Italia, infatti, è stata elevata da uno a 5,18 milioni la soglia sotto la quale si può utilizzare la trattativa privata. In altre parole, non serve una gara ma è sufficiente mettere attorno a un tavolo almeno dieci imprese. Potranno utilizzare questa procedura semplificata 1.080 lavori, per un controvalore di 1.072,6 milioni. In percentuale si tratta del 93,5% degli interventi da assegnare, pari al 64% degli importi dei progetti. Per alcune amministrazioni questa possibilità si tradurrà in una sorta di indulgenza plenaria. La Calabria, ad esempio, avrà mano completamente libera su tutti i suoi 185 appalti. Allo stesso modo, in altre cinque regioni ci sarà la possibilità di evitare sempre il bando: Marche, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Basilicata.
Anche se, a limitare le eccezioni alle regole di mercato, sarà proprio l’Unità di missione: «Invitiamo i commissari a usare una piattaforma elettronica – spiega il direttore, Mauro Grassi – che permetterà di garantire una maggiore trasparenza. Le Regioni potranno usarla e chiedere alle imprese che vorranno partecipare alle gare di iscriversi. In Sicilia è stata già usato una piattaforma di Invitalia e ha funzionato molto bene». Detto questo, però, «è chiaro che i governatori saranno padroni di decidere come procedere».
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Mulini e manifatture in rovina “Unalegge per farli rivivere”

Dall’ex Gaslini ai silos del porto di Bari fino al magazzino del sale di Margherita e ai capolavori del Salento È lungo l’elenco dei beni da salvare. Ma ora c’è un ddl della Regione per catalogarli e riqualificarli
ANTONIO DI GIACOMO
ADDIO all’abbandono. Adesso, in Puglia, i luoghi dell’industria di ieri saranno considerati a pieno titolo come beni culturali da salvare. Succederà grazie al disegno di legge regionale per la “Valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale”, approvato in giunta pochi giorni fa e voluto dall’assessore alla Qualità del territorio, Angela Barbanente, che premette: «L’archeologia industriale in Puglia merita una particolare attenzione. Dagli insediamenti rupestri, penso ai frantoi ipogei, alle ex manifatture dei tabacchi passando per i mulini e le distillerie, come per l’industria estrattiva, abbiamo testimonianze di grande valore culturale e storico che spesso sono assolutamente disconosciute. È per questa ragione che abbiamo immaginato una legge regionale che si propone di valorizzare tale patrimonio innanzitutto mediante lo studio e la catalogazione scientifica nell’ambito della carta dei beni culturali della Puglia e, soprattutto, prevederne la salvaguardia e la riqualificazione».
Se la via del recupero in pochi ma significativi casi si è già compiuta – fra tutti l’ex macello comunale che a Bari ospita la Cittadella della cultura, al cui interno hanno trovato casa la biblioteca nazionale e l’archivio di Stato, o, in Salento, le manifatture Knos, a Lecce, l’ex Fadda a San Vito dei Normanni e l’ottocentesca conceria Lamarque a Lecce – l’elenco dei luoghi da salvare rischia di essere lungo. A Bari, per esempio, è da compiersi ancora il definitivo recupero dell’ex manifattura Tabacchi, così come attendono di conoscere un destino l’ex Gaslini a pochi passi dalla Fiera o, piuttosto, i silos granari all’interno dell’area portuale. Altrove, invece, suggerisce l’architetto Antonio Monte del Cnr – deus ex machina del primo forum sul patrimonio industriale pugliese che si è te- nuto ieri a San Cesario di Lecce «non si possono non ricordare i casi del molino Scoppetta di Pulsano che, già riconosciuto come monumento nazionale nel 2001, è l’unico nel Sud ad aver conservato i macchinari, così come il magazzino sofisticazione sali progettato a Margherita di Savoia da Pier Luigi Nervi».
Ma, in realtà, a sentire Monte, che è peraltro coordinatore regionale dell’Aipai (Associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale), «in Puglia non si contano i luoghi dell’industria da salvare. In questo senso la legge predisposta dall’assessore Barbanente pone la nostra regione all’avanguardia in Italia, visto che si registra solo un precedente in Umbria». E che non si tratti di un enunciato legislativo vuoto è la stessa Barbanente a sottolinearlo: «La salvaguardia e la riqualificazione potranno avvenire grazie a due strumenti legislativi regionali già esistenti, ovvero le misure a sostegno delle qualità delle opere di architettura e la legge sulla rigenerazione urbana. Perché è importante che la rifunzionalizzazione di questi beni preveda destinazioni compatibili con la loro tutela. E le due leggi che ho citato forniscono gli indirizzi e i criteri perché ciò avvenga». Che fare, allora, delle industrie del passato? «Dipende dalla tipologia dei beni, in primo luogo, ma – ipotizza l’assessore – si possono immaginare destinazioni di uso pubblico (centri culturali, musei, laboratori urbani) come è già peraltro accaduto proprio qui in Puglia, ma anche spazi destinati a scopi ricreativi (teatri, cinema o sale ad hoc per ospitare spettacoli e performance artistiche contemporanee».
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