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Taranto dà il via al rilancio della città

TARANTO
Partono i primi incontri per dare seguito operativo alle misure di rilancio di Taranto previste nel decreto legge dell’antivigilia di Natale, in vigore dal 5 gennaio. Oggi in Comune, su iniziativa del sindaco, Ezio Stefàno, si riunisce la commissione Urbanistica per individuare le priorità da sottoporre al ministero dei Beni culturali per il piano di recupero della Città vecchia. Dopo che il Comune avrà redatto il piano, toccherà infatti al ministero valutarlo entro 60 giorni dalla ricezione. Trenta, invece, sono i giorni concessi agli altri ministeri ed enti perché si esprimano sulle richieste di assenso che avanzerà il Comune sempre in merito al progetto Città vecchia. «Se adesso ci concentrassimo solo sulle critiche al decreto, faremmo una cosa sbagliata – commenta il sindaco di Taranto –. Pensiamo piuttosto a fare tutto quello che compete a noi, a farlo bene e nei tempi previsti, perchè questo ci legittimerà ulteriormente nel chiedere al Parlamento e al Governo di cambiare gli aspetti del decreto che non condividiamo». Il Comune fa intanto presente che per la Città vecchia azioni di recupero sono già in corso e che prossimamente sarà scelta la società di progettazione, fra le quattro candidatesi, che dovrà «mappare» la parte antica. Gli interventi urgenti cui il Comune pensa riguardano la ristrutturazione degli edifici, la valorizzazione degli ipogei (costruzioni sotterranee di interesse storico e antropologico) e il miglioramento delle reti impiantistiche e infrastrutturali. Da verificare se si potrà intervenire sul patrimonio privato. C’è da chiarire l’aspetto risorse, visto che il decreto rimanda alle decisioni del Cipe che potrà attingere al Fondo di sviluppo e coesione.
Sul porto, dove il decreto estende i poteri del commissario-presidente dell’Autorità portuale a tutte le opere, si attende che entro due settimane il Tar di Lecce fissi l’udienza per discutere dei due ricorsi, presentati da altrettante imprese (Grandi Lavori Fincosit e Piacentini), contro l’affidamento dei dragaggi ad Astaldi. I lavori, per 51,867 milioni di euro, dovevano essere consegnati il 5 gennaio. «Ci siamo fermati – spiega il presidente dell’Authority, Sergio Prete – perché i progetti concorrenti sono diversi tra loro e l’affidamento riguarda un lavoro preliminare che ovviamente cambia se si sceglie l’una o l’altra soluzione. Ma se il Tar non darà, come auspichiamo, la sospensiva, siamo pronti a ripartire in modo da non far saltare il cronoprogramma».

Per la tutela ambientale, infine, la Regione Puglia sta lavorando all’attuazione delle misure previste già nella legge Ilva-Terra dei Fuochi del 2014 a partire dal Centro ambiente e salute. In tal senso, dice l’assessore alla Sanità, Donato Pentassuglia, ci sono 8 milioni da utilizzare. L’Arpa Puglia, però, col direttore generale Giorgio Assennato, è critica sul decreto in quanto non vi è traccia del previsto potenziamento degli organici di Taranto dell’Agenzia ambientale in modo da rafforzare i controlli. Il 24 dicembre Palazzo Chigi parlava di «assunzioni a tempo indeterminato».

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Musei, parte il riordino

ROMA
Parte il reclutamento dei direttori dei 20 musei che la riorganizzazione del ministero dei Beni culturali ha dotato di autonomia speciale.
 Il bando (pubblicato sul sito del ministero www.beniculturali.it/museiitaliani) si rivolge per la prima volta anche a professionalità esterne alla pubblica amministrazione e varca i confini dell’Italia per promuovere una selezione internazionale (da subito è stato pubblicato anche online sul sito dell’Economist).
Oltre al prestigio di poter guidare musei come gli Uffizi di Firenze, la Galleria Borghese di Roma, la Reggia di Caserta o la Pinacoteca di Brera, facendo leva sui nuovi poteri riconosciuti ai venti direttori – potranno, tra l’altro, decidere il progetto culturale e scientifico, gli orari di apertura e il prezzo del biglietto, organizzare mostre, autorizzare il prestito di opere, seppure concordandolo con gli uffici centrali – la corsa si fa ancora più appetibile alla luce delle recenti performance dei luoghi d’arte statali, che nel 2014 hanno fatto registrare l’aumento di visitatori (+6,2%) e introiti (+7%). Un buon viatico per l’obiettivo perseguito dal ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, che ha riorganizzato il dicastero anche in funzione di una maggiore attenzione alla valorizzazione. Ed ecco perché nel reclutamento dei venti direttori si punta a trovare figure che coniughino la preparazione scientifica con doti manageriali.
La selezione
Le candidature dovranno essere spedite online entro il 15 febbraio e saranno valutate da una commissione di cinque esperti che Franceschini insedierà entro il 28 febbraio e che dovrà concludere i lavori entro il 15 maggio. A inizio giugno, dunque, si potranno avere i nuovi direttori, che resteranno in carica quattro anni. La commissione selezionerà un massimo di dieci candidati per museo, i quali saranno convocati al ministero per un colloquio, che servirà a restringere la rosa a tre nomi per ognuno dei venti siti. La decisione finale spetterà al ministro e al direttore generale dei musei, Ugo Soragni. Franceschini indicherà i sette direttori a cui spetta una qualifica di dirigente di prima fascia (stipendio anno lordo di 145mila euro, a cui aggiungere un premio di risultato fino a 40mila euro). Soragni deciderà sugli altri tredici, che avranno la qualifica di dirigenti di seconda fascia (retribuzione di 78mila euro più premio di risultato di massimo 15mila euro).
La crescita
La riforma tariffaria introdotta da Franceschini a luglio inizia a produrre effetti. Come ha illustrato ieri il ministro, la scelta di mantenere l’ingresso gratuito per i giovani della Ue fino a 18 anni (prezzo ridotto del 50% fino a 25 anni) e di far pagare tutti gli altri (compresi gli ultra65enni, che prima entravano gratis), ha dato risultati positivi. Nei luoghi statali della cultura (musei, siti archeologici e monumenti) i visitatori sono cresciuti del 6,4% (da 19,2 a 20, 4 milioni), facendo lievitare anche gli incassi delle biglietterie da 68 a 74 milioni (+9,1).
Non ne hanno, tuttavia, sofferto gli ingressi gratuiti: il fatto di aver aperto senza pagare le porte dei luoghi d’arte statali ogni prima domenica del mese ha fatto registrare 1,5 milioni di visitatori, che sono andati crescendo dai 190mila di luglio (quando la novità è partita) ai 311mila di dicembre. «Al di là dei numeri – ha affermato Franceschini – si tratta di un risultato di grande valore sociale, perchè permette soprattutto alle famiglie di andare al museo».
Numeri che si riverberano su tutto il 2014 che, rispetto al 2013, ha visto i visitatori aumentare da 38 a 40 milioni, con una crescita degli incassi da 126 a 134 milioni.
Risultati incoraggianti, ma ancora lontani dalle potenzialità di un’accorta valorizzazione del patrimonio. Per questo, secondo Franceschini, occorre migliorare le capacità di promozione e “vendita” delle opere esposte nei musei: «Il che non significa non fare mostre estemporanee. Occorre, però, puntare soprattutto su quanto i nostri luoghi d’arte già espongono».

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Sprint dei fondi Ue, spesa al 70,7%

ROMA
C’è stata un’accelerazione della certificazione della spesa di fondi strutturali Ue 2007-2013 nell’ultima parte del 2014: la spesa annuale è cresciuta a 7,9 miliardi, quella complessiva da inizio programmazione è salita a 33 miliardi, pari al 70,7% del totale, ponendosi di 1,9 miliardi al di sopra del target europeo di fine anno.
Restano ora 13,6 miliardi da spendere entro la fine del 2015 per completare il ciclo della vecchia programmazione ed evitare la perdita di fondi. L’obiettivo di uscire indenne dai tagli di Bruxelles è praticamente riuscito nel 2014: solo tre programmi su 52 hanno registrato performance inferiori al target Ue, il disimpegno è stato pari a 51,4 milioni, pari allo 0,11% del totale delle risorse programmate. Palazzo Chigi canta vittoria, anche se il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ringrazia «il lavoro di tutti».
Renzi e Delrio rivendicano soprattutto il merito di avere introdotto novità nel metodo di lavoro. «L’obiettivo – afferma la nota di Palazzo Chigi – è stato raggiunto grazie alle misure specifiche messe in atto e ad un’azione congiunta che ha visto le regioni con maggiori criticità, Calabria, Campania e Sicilia, molto impegnate e supportate dalle tre task force specificamente dedicate all’attuazione dei programmi operativi».
Nelle cinque regioni convergenza (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia) la spesa ha raggiunto il 67,3% mentre nelle regioni competitività, quindi il centro-nord, il tasso di spesa ha raggiunto il 77,9%».
Fra i tre programmi che non hanno raggiunto il target e dovrebbero quindi subire il disimpegno di fondi, c’è anzitutto il Pon Reti che finanzia le grandi infrastrutture. Il danno è limitato a 23,7 milioni e certamente il programma ha beneficiato del trasferimento al Piano azione coesione (Pac), negli ultimi tre anni, dei grandi lavori infrastrutturali come la Napoli-Bari.
Anche il Pon Attrattori culturali subirà una penalizzazione molto centenuta pari a 4,3 milioni di euro: si tratta di un programma, gestito dal ministero dei Beni culturali in stretta collaborazione con le Regioni, che è stato fortemente in ritardo, con percentuali ben più elevate, nel corso dell’intera programmazione. Il finanziamento del «progetto Pompei» con questi fondi ha consentito una forte accelerazione soprattutto grazie al monitoraggio costante effettuato sulla spesa e sul piano delle gare e degli appalti. C’è infine il programma del Fondo sociale della provincia autonoma di Bolzano che dovrebbe subire una decurtazione di 23,4 milioni per un ritardo nella procedura di certificazione della spesa.
Gli altri 49 programmi superano tutti i target fissati da Bruxelles.
Il 2015 non sarà comunque un anno facile, soprattutto per le grandi regioni del Sud. Hanno superato l’obiettivo di fine 2014 anche perché l’asticella per quest’anno non era altissima (grazie alla possibilità data dalla Ue di rinviare all’ultimo anno la contabilizzazione della spesa per i grandi progetti infrastrutturali). Ma a fine 2015 bisogna completare il fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) che presenta percentuali di spesa che fanno tremare: la Campania deve ancora spendere 2.025,7 milioni pari al 44,3% dell’intero programma, la Sicilia 1.895,1 milioni pari al 43,5%, la Calabria 806,3 milioni pari al 40,3% del totale programmato. Se si sommano anche le risorse del Fondo sociale, le tre regioni dovranno in tutto spendere 5,5 miliardi.
Anche per il programma nazionale Reti resta da recuperare molto terreno con una somma da spendere di 896,7 milioni (pari al 49,6%). Target alti anche per il programma nazionale Ricerca con 976 milioni da spendere.
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Gabellini: “Così nascerà il nostro monumento alla Shoah”

Sono stata io a suggerire la nuova piazza come sede del memoriale della Shoah. Quel luogo diventerà una snodo importante tra la Bolognina e il centro storico». Appena tornata dalle ferie, l’assessore all’Urbanistica Patrizia Gabellini si è subito rimessa al lavoro sul progetto del monumento da costruire in memoria delle vittime dell’Olocausto. La sede del memoriale, come anticipato da Repubbli-ca, sarà la “piazza bianca” da poco completata tra via Carracci e il ponte Matteotti, a due passi dalla stazione dell’Alta Velocità. «È una piazza bella, nuova e inedita, da far conoscere ai bolognesi. E grazie al memoriale avrà un battesimo importante ». Le tappe sono già fissate: prima il concorso internazionale, poi i cantieri-lampo e infine l’inaugurazione, prevista a gennaio 2016. L’idea, spiega la Gabellini, nasce dall’architetto Daniele De Paz, presidente della Comunità ebraica di Bologna. «Il progetto ha preso piede un po’ alla volta e ha subito raccolto un ampio consenso». L’obiettivo è far sorgere sotto le Due Torri «un memoriale aperto a tutti e dedicato a coloro che sono stati vittime della Shoah». Con queste premesse, nei mesi scorsi è iniziata la ricerca del luogo dove collocare la futura opera all’aperto («abbiamo valutato diverse ipotesi»). Alla fine la scelta è ricaduta sul ponte Matteotti, dove c’è da poco stato un profondo restyling a seguito dei cantieri della stazione ferroviaria (la nuova piazza, ormai pronta, verrà aperta a breve ai cittadini).
Ora l’attenzione è concentrata sul concorso, che servirà a selezionare il progetto migliore su una rosa di tre. «Lo presenteremo questo mese». Più che i nomi di grido dell’architettura internazionale, la speranza è che il bando attiri l’attenzione dei giovani architetti: «Sono convinta che queste installazioni, opere tra l’arte e l’architettura su temi complessi e molto simbolici, siano più adatte per i giovani. Insomma, spazio alle idee più che alla celebrità dei progettisti.
«Non siamo alla ricerca dell’archistar ma vogliamo una proposta che sappia considerare la particolarità del luogo: questo è un punto molto rilevante ». L’operazione è delicata, visto che il progetto vincitore «dovrà coniugare arte pubblica e spazio urbano, non è una cosa così semplice». In realtà, l’idea-guida per la futura opera c’è già e ricalca, anche se in scala molto più piccola, il celebre Memoriale dell’Olocausto costruito a Berlino da Peter Eisenman (composto da oltre duemila blocchi di cemento che formano un labirinto percorribile dai visitatori). «Il riferimento è quello – continua la Gabellini -, qui siamo su dimensioni molto più ridotte, però si tratta comunque di uno spazio legato alla trasformazione della città».
L’amministrazione per questo progetto non dovrà stanziare un solo euro. I fondi necessari, infatti, arriveranno dalla Comunità ebraica. Soldi che si sommano a un piccolo contributo già stanziato della Fondazione del Monte. In pratica, «il memoriale verrà finanziato autonomamente ». In una zona, quella di via Carracci, dove le opere legate all’Alta Velocità sono slittate di anno in anno, stavolta si punta a rispettare i tempi. Chiuso il concorso prima dell’estate, il taglio del nastro dell’opera dovrebbe coincidere, nel 2016, con il Giorno della Memoria (il 27 gennaio). «In un anno ci si riesce», assicura la Gabellini. «Noi siamo pronti».
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Omaggio a Francesco Rosi : da Colombo a Gregoretti: «Un uomo sempre coraggioso

 

Con la morte di Fran­ce­sco Rosi per­diamo qual­cosa di grande ma acqui­stiamo anche qual­cosa — sostiene Furio Colombo, amico di lunga data del regi­sta per cui recitò anche in Il caso Mat­tei — per­diamo un uomo ed un regi­sta corag­gioso in un’Italia pavida, soprat­tutto tra i suoi per­so­naggi pub­blici. Ma acqui­stiamo anche l’eredità straor­di­na­ria del suo lavoro: l’appello appas­sio­nato ad una Repub­blica che non è nata ma poteva nascere, nella quale si poteva lot­tare con­tro la cor­ru­zione, per i diritti civili e del lavoro; in cui la poli­tica invece che inter­fe­rire nella cosa pub­blica per i pro­pri affari ed il reci­proco arric­chi­mento poteva inter­ve­nire in favore dei cittadini».

Sono in tanti a ricor­dare il regi­sta di Napoli, uno dei più impor­tanti autori del nostro paese. Con le parole di Daniele Vicari «uno dei pila­stri del grande cinema ita­liano». Per il regi­sta di Diaz, « il ricordo più vivido risale ad un paio di mesi fa quando venne al Cinema Ame­rica di Roma. Ai ragazzi disse parole straor­di­na­rie. In par­ti­co­lare, rin­gra­zian­doli, disse che vedere un film insieme signi­fica con­di­vi­dere tante cose, signi­fica con­di­vi­dere la vita».
All’amico e col­lega Ugo Gre­go­retti non va di usare «le solite frasi di cir­co­stanza un po’ lagnose». «Dico solo che mi dispiace — osserva il regi­sta — per­ché era­vamo amici e per­ché l’ho sem­pre ammi­rato».
A ricor­darlo è anche il com­po­si­tore Ennio Mor­ri­cone, che lavorò con lui in Dimen­ti­care Palermo: «in quell’occasione Rosi fu gen­tile e pieno di calore; la sua morte per me è un grande dolore. I suoi film sono di livello altis­simo, li ho visti tutti».E molti, come già Furio Colombo, ten­gono a sot­to­li­neare l’enormità del suo lascito. Per Roberto Saviano «nes­suno come Fran­ce­sco Rosi ha saputo rac­con­tare il potere. E’ stato coe­rente fino alla fine».

E l’attore e com­pa­gno di scuola Luigi De Filippo aggiunge: «è un grande dispia­cere, non solo per­ché se ne è andato un essere umano di quella por­tata, intel­li­gente, sen­si­bile, ma anche per­ché se ne è andato un grande regi­sta. Con alcuni suoi film è stato un por­ta­ban­diera nel denun­ciare cose che anda­vano molto male, penso a Le mani sulla città, Sal­va­tore Giu­liano, I magliari … Quando manca una grande intel­li­genza così, ne subi­sce la per­dita tutta l’umanità, non solo l’Italia».

Franco Zef­fi­relli lavorò con Rosi come aiuto regi­sta del mae­stro Luchino Visconti: «Subito Visconti aveva diviso i nostri com­piti — rac­conta il regi­sta — per­chè aveva capito benis­simo i nostri carat­teri. Noi era­vamo una cosa sola, ma io met­tevo i fio­rel­lini del campo, lui i car­ciofi con il suo senso della realtà». E, con­ti­nua «Ho perso molti amici e sono abi­tuato a que­sti momenti tri­sti, per­ché il più vec­chio sono io, ma que­sta volta non si può imma­gi­nare con che stato d’animo accolgo que­sta noti­zia, per­ché Fran­ce­sco Rosi non era un amico, era mio fra­tello». In defi­ni­tiva però, come ci ricorda Furio Colombo, «oggi l’Italia subi­sce una grande per­dita ma riceve anche in ere­dità lo straor­di­na­rio lavoro di Fran­ce­sco Rosi»
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l Tar riapre Venezia alle grandi navi

I giudici: «Illegittimo lo stop della Capitaneria in mancanza di vie di navigazione alternative» Senza un nuovo percorso dal 2016 si rischia il caos. Il ministero delle Infrastrutture annuncia ricorso

In teoria se oggi la nave passeggeri più grande del mondo arrivasse nel canale della Giudecca o nel canale di San Marco, avrebbe tutte le carte in regola per passare. Perché con la sentenza depositata ieri, il Tar del Veneto sancisce ciò che aveva stabilito nell?ordinanza sospensiva del marzo 2014, e cioè che è illegittimo imporre alle grandi navi i limiti voluti a dicembre del 2013 dalla capitaneria di porto di Venezia. Si trattava di un taglio del 12,5 % (per il 2014) alle navi sopra le 40 mila tonnellate di stazza e lo stop a quelle oltre le 96 mila tonnellate nel 2015. Ma tutto questo in teoria, appunto. Poiché nella pratica le compagnie di crociera che dispongono dei cosiddetti grattacieli galleggianti hanno già scelto altri scali (la Grecia, Genova o Trieste, per esempio) per la programmazione del 2015. Le polemiche infuocate per il passaggio di quei palazzi enormi nel bacino di San Marco, avevano prodotto un anno fa un accordo governo-compagnie che stabiliva comunque il rispetto dell?ordinanza della capitaneria, indipendentemente dalle questioni giudiziarie. Quindi la sentenza del Tar, di fatto, non sposta gli equilibri già raggiunti fra le parti fino alla fine di quest?anno. Le compagnie però potranno riportare davanti a piazza San Marco le navi gigantesche a partire dal 2016 e, proprio forti del provvedimento del Tar, possono ricominciare fin da ora a inserire nei loro programmi il passaggio dai canali di San Marco e della Giudecca. Unico modo per risolvere la questione ed evitare la deregulation è realizzare in tempo un percorso alternativo. Si parla del canale Contorta ma per renderlo praticabile sono necessari lavori che richiedono tempi lunghi. Il Tar ha annullato lo stop alle grandi navi sulla base di tre principi chiave. Il primo riguarda «i rischi ambientali che i divieti di transito avrebbero dovuto contenere». Non sono stati individuati né valutati, scrivono i giudici. Non sono «neppure qualificabili» perché «unicamente presunti». Il secondo ha a che fare proprio con le «vie di navigazione alternative», senza le quali «i divieti di transito non avrebbero dovuto applicarsi». L?ultimo è «il difetto assoluto di istruttoria» poiché «non è stata svolta alcuna valutazione e ponderazione degli interessi, pubblici e privati, interessati dai divieti». Molte le reazioni critiche al provvedimento. Il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti annuncia appello al Consiglio di Stato; il ministro dell?Ambiente Gian Luca Galletti fa sapere con un tweet che il governo «conferma il suo no ai condomini galleggianti»; Legambiente parla di «notizia beffarda» ed evoca «lo spettro di incidenti» che «sarebbero di dimensioni inimmaginabili»; il presidente della Commissione nazionale per l?Unesco, Giovanni Puglisi si dice «allibito» e si augura «che il Consiglio di Stato faccia giustizia». Di tutt?altro avviso Matteo Zoppas, presidente di Confindustria di Venezia: «Spero che questa sentenza serva a prendere al più presto una decisone sulla scelta della via per arrivare alla stazione Marittima». Invoca decisioni veloci anche il presidente dell?Autorità portuale, Paolo Costa, mentre Sandro Trevisanato, presidente di Venezia Terminal Passeggeri (la società che aveva fatto ricorso contro i divieti della capitaneria) si augura «che il governo vari i provvedimenti che potranno servire dal 2016 alle compagnie di crociera per fare ritorno a Venezia».Una cosa è certa, la discussione sul passaggio delle grandi navi è destinata a tenere banco ancora a lungo.
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Cura dimagrante Tesco: 43 supermercati da chiudere e asset in vendita

Svelato il piano di salvataggio per il colosso della grande distribuzione organizzata britannica Tesco.
Al centro delle misure presentate oggi da Dave Lewis , top manager subentrato di recente al dimissionario Philip Clark, c’è la chiusura di 43 store, giudicati poco profittevoli; la dismissione di altri asset non strategici; la vendita a Talk Talk del servizio di film in streaming Blinkbox e il lancio di un programma di risparmio dei costi.
La società taglierà anche i prezzi su diversi prodotti in scaffale, in modo da rendere più competitiva l’offerta.
Il gruppo ha già annunciato che non pagherà dividendi per l’attuale anno fiscale, confermando però le attese per un utile operativo di circa 1,4 miliardi di sterline.
“Abbiamo alcuni cambiamenti difficili all’orizzonte – ha detto Lewis – che permetteranno a Tesco, reduce da anni di contrazione della profittabilità anche a causa dell’agguerrita concorrenza, di tornare al top”.
Intanto nelle settimane che precedono e includono Natale e Capodanno, la società ha riportato un calo del 2,9% delle vendite same-store (ossia nei negozi aperti da almeno un anno, al netto dei consumi di carburante vednuto nelle stazioni Tesco).
Il dato ha superato comunque le attese degli analisti e si è rivelato in miglioramento rispetto al -4,4% riportato nel secondo trimestre.
Solo nella stagione dello shopping natalizio la discesa è stata invece dello 0,3%.
Positiva la prima reazione sulla Borsa di Londra, dove il titolo a fine mattinata ha guadagnato il 10,17%.
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2015: tocca alle periferie

Forse è fin troppo facile pronosticare un 2015 dove saranno le periferie a “dettare l’agenda” delle politiche e degli interventi in campo economico, sociale e culturale. Si possono scomodare importanti archistar come Renzo Piano – che ha dato seguito al suo fortunato articolo di qualche tempo fa dando vita a un progetto dedicato al “rammendo delle periferie” – e come Carlo Ratti che in un recente intervento sul Corriere della Sera preconizza una “primavera urbana” dove i contesti periferici ribolliranno non solo di proteste ma di progettualità crowdsourced . Se poi scomodiamo addirittura Papa Francesco che indica la periferia come metafora esistenziale e come concreto ambito di missione, il gioco è (o sembra) fatto.
Si sta creando un nuovo paradigma per una miriade di progettualità che fanno leva sul lavoro comunitario (sottovalutato) e sulle nuove tecnologie relazionali (sopravvalutate). La disponibilità di una cornice comune è cruciale per alimentare le politiche e per accelerare i processi, come dimostra anche il libro di Giovanni Campagnoli dedicato ai modelli di business per startup sociali e culturali che rigenerano edifici e spazi situati spesso in contesti periferici grazie a iniziative di interesse collettivo. E’ forse questo il più potente antidoto alla rappresentazione della periferia come luogo semplicemente degradato riconoscendolo invece come motore di cambiamento.
Se il processo è chiaro nella sua direzione, sono ben più complesse le implicazioni che derivano da quello che con un ossimoro si potrebbe definire “centralismo periferico”. Non è solo una questione urbanistica e di asset materiali. Il lavoro sulle periferie riguarda anche le organizzazioni e le persone . Per le prime la sfida è sostenere processi di mutamento interno a partire da progettualità marginali (periferiche appunto) in grado di generare cambiamento per infusione di pratiche piuttosto che impegnarsi in “duelli epici” con core business che il cambiamento tendono, nel peggiore dei casi, a rincularlo. Per le persone serve invece una specie di “brain training” per il pensiero laterale, quello che alimenta la creatività e l’innovazione, sia a livello individuale che, soprattutto di gruppo. Sono infatti i gruppi di lavoro che possono riconoscere e alimentare ciò che sta ai margini, tra le “varie ed eventuali”, trasformandoli in innovazioni di sistema.
Tutte cose complicate. Ma almeno per qualche ora possiamo ancora dedicarci ai buoni propositi…
Autore :Flaviano Zandonai (da blog.vita.it)

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La riscossa di Medellin, le reti solidali di Boston. Mappa a sorpresa delle città del futuro

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Periferie, una rinascita senza ghetti

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