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Imparare la lingua dei segni diventa un gioco con le mani stampate in 3D

Uno strumento per favorire l’integrazione tra bimbi sordi, sordociechi e udenti. L’idea è della giovane friulana Elena Dall’Antonia, che ha realizzato il kit come tesi di laurea. “Gli educatori ne sono felici, ma questo non è che un primo passo” .
Uno strumento per favorire l’integrazione tra bimbi sordi, sordociechi e udenti; un gioco per apprendere la dattilologia Lis; un progetto per insegnare la lingua italiana dei segni anche agli adulti. L’idea è di Elena Dall’Antonia, 25 enne friulana che come tesi magistrale in Comunicazione multimediale all’università di Udine ha presentato il progetto ‘MANIpolare per comunicare’: si tratta di un kit prototipo ludico-educativo a basso costo abbinato a una mano robotica controllata con Arduino, hardware economico utile per creare rapidamente prototipi e per scopi hobbistici e didattici. “Queste tecnologie si dimostrano davvero adatte a fini educativi, poiché permettono di trasformare delle idee in un qualcosa di concreto in maniera semplice, rapida ed economica. Target di riferimento, i bambini delle scuole elementari e i loro educatori, ma tutti possono usufruirne”, spiega Elena.

Il kit si compone di 26 manine modellate e stampate in 3D: ognuna di esse rappresenta una lettera dell’alfabeto Lis. Sono utili per gli udenti per capire esattamente come posizionare le mani, per i bambini sordociechi per sviluppare il tatto, per i bimbi sordi per potenziare, invece, la memoria visiva. Manine e mano robotica, poi, possono comunicare: alla mano robotica è collegata una base in cui inserire le varie manine. Tutte le manine sono abbinate a un codice binario ben preciso, che la mano robotica riconosce attraverso delle calamite, riuscendo così a capire di che lettera si tratta.

Elena ha sviluppato tre programmi interattivi. Grazie al primo, la mano robotica può segnare le varie lettere in Lis e i bimbi possono riconoscere la manina corrispondente (un programma di base, per studiare la dattilologia giocando). Il secondo è il Simon visual game, una sorta di Simon visivo e tattile per allenare la memoria: la mano robotica mostra una sequenza di lettere casuali; il bambino deve riprodurre correttamente la sequenza inserendo le manine giuste nella base; la mano robotica riconoscerà le mani inserite e potrà verificare che la sequenza riprodotta sia corretta. Se è corretta, la sequenza sarà incrementata di una lettera, se no il gioco ripartirà dall’inizio. Il terzo è ‘Impara la dattilologia’: la mano robotica riproduce in sequenza dei nomi propri, geografici o di persone, e nomi non conosciuti e di parole straniere che non possono essere segnati tramite Lis per mostrare come si usa la dattilologia. Il bambino dovrà riprodurre la parola mostrata dalla mano inserendo le corrispettive manine nella base: se sbaglia, la mano si affloscia e bisogna ripartire da zero, se le manine inserite sono quelle corrette la mano segna l’I love you’ della lingua dei segni americana, con pollice, indice e mignolo alzati.

Il progetto, realizzato in collaborazione con Scientific FabLab Trieste (ICTP – International Centre for Theoretical Physics) ha prezzi accessibili: il kit di manine (solo il materiale, non è inclusa la manodopera) costa circa 60 euro; la manodopera 260, per un totale di 320 euro. Non un prezzo esagerato, se si pensa che in ambito universitario una mano robotica di solito non costa meno di mille dollari. Il kit, poi, è open source, disponibile pubblicamente ricreabile da chiunque; personalizzabile, perché la mano robotica può essere programmata a piacimento per creare tanti giochi differenti e le manine possono essere stampate con diversi colori, materiali, dimensioni, ecc.; portatile, perché è abbastanza leggero e poco ingombrante.

“Dai riscontri ottenuti tramite questionario, dalle interviste e dai pareri forniti dagli utenti, il progetto è stato giudicato benissimo e considerato molto utile, soprattutto dal punto di vista educativo. Mi hanno spiegato che può aiutare realmente le persone a cui è rivolto, bambini ed educatori. E poi, dai riscontri e dai pareri forniti da esperti di tecnologia e da educatori, il progetto è stato giudicato innovativo poiché ha delle enormi potenzialità e al momento non esiste niente di simile”, spiega Elena.

“Abbiamo sperimentato il kit in classi con bimbi sordi, e sono state bellissime esperienze: i bimbi sordi si sono sentiti protagonisti, perché avevano il compito di insegnare ai compagni – continua –. Abbiamo capito cosa significa inclusione”.

Il progetto è ulteriormente innovabile e perfettibile: la mano robotica può sì riprodurre tutte le lettere dell’alfabeto Lis, ma non tutte sono chiare come dovrebbero: posizioni simili, sfumature lievi, difficilissimi da riprodurre: l’obiettivo è riuscire a rendere la mano robotica ancora più utile e perfetta, grazie all’aiuto degli ingegneri e grazie ai feedback degli ‘utilizzatori’. Per il momento infatti, nell’interazione tra mano e manine Elena ha deciso di utilizzare solamente le lettere più comprensibili: 15 lettere su 26. “Non tutte le falangi della mano robotica si piegano come quelle umane. Poi ci sono lettere che per essere segnate sfruttano tutto il braccio, non solo il polso. Insomma, si può ancora fare molto: è per questo che cerco investitori che abbiamo voglia di collaborare per lo sviluppo di questo strumento di inclusione”.

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L’innovazione sociale e le nuove forme dell’abitare

Oggi leggendo i giornali sembra che tutti abbiano finalmente capito che si riparte solo se si ricomincia a pensare, a studiare, a progettare.
Superate ormai – di fatto – le secche della riforma costituzionale, acquisita la possibilità finanziaria (col PIL tendenziale intorno al +1%) dell’abolizione della Tasi per la prima casa, gli editorialisti più lungimiranti pongono la vera questione in essere: come ricostruire su basi solide non solo la fiducia dei consumatori, ma anche e soprattutto un modello complessivo di rilancio.
Comincia Francesco Grillo in “Dai populismi la sorpresa di un nuovo ciclo politico” sul Messaggero che lancia il grande tema delle “tecnologie che…trasformano buona parte della crescita economica in incrementi di produttività e rischiano di cancellare milioni di posti di lavoro nei servizi”.
Maurizio Ferrera in “Il pensatoio che manca per costruire la terza via all’italiana” sul Corriere punta sul “paradigma dell’investimento sociale…strategia che vede nelle politiche sociali e nell’istruzione la leva del cambiamento”.
Istruzione su cui punta anche Marta Rapallini in “Una formazione politica per una nuova identità” sull’Unità “Bisogna restituire valore alla conoscenza…ripartire dalla formazione per tutti e non solo per le giovani generazioni”.
Letta in questa sequenza la sostituzione di posti di lavoro tradizionali con nuove professionalità legate alle competenze ed ai servizi ad alto valore aggiunto è strettamente legata ad una politica della conoscenza che non può essere calata dall’alto, ma va legata alle vocazioni territoriali e deve partire dalle esigenze locali.
Finora l’innovazione tecnologica si è fermata al consumer senza entrare nella vita quotidiana reale.
Si sono sovvertiti soprattutto il telefono e il computer, ora la rivoluzione riguarda la tv e la mobilità (vedi), il prossimo settore da sovvertire sarà quello dell’abitare.
Una rivoluzione che coinvolgerà l’internet delle cose e le stampanti 3D.
Ma il ribaltamento di paradigma necessario perchè questa prossima rivoluzione non abbia solo un profilo consumer con relativa perdita di posti di lavoro (dall’edilizia all’industria del mobile) risiede nella capacità di coinvolgere gli attori (sia inquilini che proprietari) nella trasformazione degli immobili da fonti di spesa (e d’impoverimento) a produttori di reddito.
Gli edifici possono diventare centri di produzione di energia, di alimenti, di acque, di compost, di materiali da riciclo nonchè centrali di recupero delle polveri sottili.
Una tale trasformazione, con gli ampi spazi occupazionali conseguenti, può davvero dare vita a quell’innovazione sociale necessaria alla fuoriuscita dalla crisi.




È italiana la super stampante 3D

Sfornerà case a basso costo.
Viaggio nella fabbrica di Ravenna dove c’è la macchina più grande del pianeta: dodici metri per sette. Gli esemplari di questo tipo costano sempre meno, sono alla portata di tutti e facili da usare. “Ora stiamo provando a mescolare terra e paglia per vedere se ne esce qualcosa di abitabile”.
Se le stampanti 3D avessero un cuore, quel cuore batterebbe dalle parti di Ravenna, a Massalombarda. Qui c’è un capannone, o meglio una fabbrica di strani oggetti, dove il motto di chi ci lavora è questo: “Siamo sognatori, siamo realizzatori, siamo makers: partiamo dalla stampa 3D per salvare il mondo”. Qui hanno realizzato la stampante 3D più grande del pianeta: è alta dodici metri, base sette, e dicono che servirà per costruire case. Stamparle per l’esattezza. Soprattutto nei paesi poveri.

La stampante, una strana torre metallica che ricorda i ponteggi dei palazzi, si chiama Delta e verrà presentata al mondo alla prossima Maker Faire di Roma a metà ottobre. È stata realizzata da un team di giovani guidati da un meraviglioso artigiano di 55 anni: si chiama Massimo Moretti, ha passato una vita a fare prodotti, dice, “le aziende venivano da me, mi dicevano cosa volevano realizzare e io facevo tutto, dal disegno al prodotto, spesso costruendo pure le macchine”.
“Ecco la stampande 3D più grande del mondo: farà case low cost”

Il Centro Sviluppo Progetti di Moretti ancora esiste, ma la storia è cambiata quando ha scoperto le stampanti 3D, la manifattura additiva, ovvero la possibilità di realizzare un oggetto non tagliando o segando qualcosa, ma invece aggiungendo materiale. E se ne è innamorato. Le stampanti 3D non sono un fatto recente: è recente il loro boom, dovuto al fatto che costano sempre meno, a volte meno di mille euro, e che sono alla portata di tutti perché sono facili da usare. La prima stampante 3D di Massimo Moretti infatti, attorno al 2000, gli costò più di 40 mila euro: “Erano tutti i miei risparmi, ma ne valeva la pena. Era una Zeta Corp ed era grande come un congelatore orizzontale. La volevo non solo per stamparci oggetti ma per smontarla, capire come era stata costruita e farmene una tutta mia”. I risparmi però finirono prima che Moretti potesse sviluppare un software che la facesse funzionare.

Finché, verso il 2005, accade un piccolo miracolo: un professore universitario britannico, Adrian Bowyer, realizza una stampante 3D che tutti possono rifarsi a casa (e in grado di stamparsi i pezzi necessari per montarne una nuova). Si chiama RepRap e tutte le informazioni per farla funzionare sono in rete, disponibili per tutti, gratis. Open Source, che bella parola. Quando la notizia della RepRap arriva in Romagna, Moretti festeggia: “Hanno cambiato il mondo, loro sì, sono stati dei santi”. Moretti si convince che presto la stampa 3D sarà lo standard della manifattura, servirà agli artigiani ma anche agli ingegneri. Stampare case, il suo pallino. A km zero.

Moretti non è il primo ad aver immaginato che una casa possa essere stampata in 3D: curiosamente ma non troppo, visto la nostra tradizione artigiana e meccanica, già Enrico Dini, a Pisa, nel 2011 si era costruito una macchina – la D-Shape – che ha fatto il giro del mondo. Dini era partito per stampare case sulla luna, usando la polvere del nostro satellite, e si è poi specializzato nello stampare bellissime barriere coralline artificiali.

Ma torniamo a Moretti che tre anni fa mette su un team di “laureati disoccupati” con il compito di inventare una stampante 3D adatta al sogno di edilizia popolare. “C’era il problema dell’estrusore, cioé di come far funzionare il meccanismo dal quale esce il materiale da stampare”. Moretti si accorge che quello che ha in mente lui in natura già c’è: lo fanno le vespe vasaie. Chiama la società Wasp, e con un inglese maccheronico decide che quelle quattro lettere non sono solo la traduzione di “vespa” ma stanno per “World Advanced Saving Project”, che è come dire “siamo in missione per salvare il mondo”. Non sarà troppo? “In un certo senso sì, e infatti ci prendiamo in giro da soli, ma in realtà ci crediamo davvero”.

In cosa credono? Nel fatto che farsi una vera casa debba poter essere un diritto per tutti. E quindi tutta la ricerca del suo team la indirizza verso la possibilità di stampare uno strano miscuglio di argilla e paglia. “È più difficile che con il cemento, ma funziona”. Lo vedremo presto, in Sardegna, nel Sulcis, dove è appena arrivata una stampante che presto inizierà a miscelare terra e paglia per vedere se ne esce una casa abitabile.

Per arrivare al risultato di oggi Moretti ha investito un sacco di soldi, tutto quello che ha guadagnato con la vendita di stampanti più piccole. Tecnologicamente sono dei gioiellini, le Wasp. E sono state usate per fare di tutto, non solo i giocattolini di plastica che vedete di solito uscire dalle stampanti 3D. “Qualche mese fa abbiamo consegnato a Pompei delle copie dei loro famosi calchi. Ce le avevano chieste per poterle mandare nel mondo, lasciando gli originali al sicuro”. È il nuovo Made in Italy.

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Strutture in cemento armato stampato 3D ‘made in Italy’

L’Università Federico II di Napoli lancia il progetto di una mega-stampante. Realizzata la prima trave da 3,5 metri.
Calcestruzzo stampato in 3D per costruire case, coperture e anche strutture complesse come i ponti. Dopo le prime esperienze fatte in Cina, l’Italia ha messo a punto una nuova tecnologia che permette di progettare e stampare tridimensionalmente elementi complessi e a un costo inferiore.
Le prime sperimentazioni sono frutto dell’attività di ricerca condotta presso il centro di servizi CeSMA dell’università di Napoli Federico II. Il gruppo è coordinato da Domenico Asprone, della Federico II, da Marco Iuorio, del Distretto Tecnologico Stress e da Ferdinando Auricchio, dell’università di Pavia.
La nuova tecnologia – rileva Asprone – promette di ottimizzare le forme e risparmiare materiale, alleggerendo quindi gli elementi in cemento armato e riducendo i costi e gli impatti ambientali. La possibilità di ottenere forme complesse, poi, apre la strada a nuovi utilizzi del cemento armato, diversi da quelli convenzionali, con proprietà estetiche e di design.
Una mega stampante
La tecnologia della stampa in 3D, spiega Iuorio, consente di realizzare elementi curvi, cavi o con caratteristiche particolari che normalmente richiederebbero complicati sistemi di forme in legno (casseri) per il getto di calcestruzzo fresco, con notevole incremento dei costi di realizzazione. Utilizzando una mega-stampante 3D, prototipo dell’azienda italiana Wasp, i ricercatori hanno sviluppato un sistema per stampare elementi di calcestruzzo che possono essere assemblati con barre d’acciaio e comporre travi o pilastri in cemento armato.
Realizzata la prima trave di 3,5 metri
La prima trave ottenuta ha la lunghezza di circa 3,5 metri, e sarà testata a breve nei laboratori del Dipartimento di Strutture per l’Ingegneria e l’Architettura della Federico II.
In Italia e all’estero, osserva Iuorio, ”sono in atto molti processi di innovazione alimentati dal proliferare di start-up e altre iniziative, intercettando quest’energia e mutuandone alcuni aspetti si può puntare ad innovare anche un processo tradizionale come quello del costruire in calcestruzzo grazie alle tecnologie della stampa 3D”.

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Il più grande edificio in stampa 3D

Il più grande edificio in polvere di cemento mai realizzato.

L’edificio è stato realizzato da Ronald Rael in collaborazione con l’Università della Californi.

La tecnologia di stampa 3D negli ultimi dieci anni ha fatto davvero passi da gigante. Considerando che le prime stampanti 3D producevano solamente piccoli ninnoli e figurine, è impressionante pensare oggi di essere in grado di produrre strumenti funzionali, mobili di dimensioni standard, automobili e persino interi edifici.

Di questa lista ora è entrata per la prima volta a far parte anche la più grande costruzione in 3D stampata con polvere di cemento. Realizzato da Ronald Rael, professore associato del Berkeley’s College of Environmental Design e co-fondatore di Emerging Objects, insieme alla UC Berkeley’s College of Environmental Design, l’edificio è alto circa 3 metri, profondo e largo poco più di 3,6 metri.

Il “Bloom pavilion”, questo il nome assegnato all’edificio, è composto da 840 blocchi personalizzati, realizzati da cemento Portland. I mattoni sono stampati con motivi floreali delicati che permettono alla luce naturale di brillare all’interno; quando invece l’edificio è illuminato dall’interno sembra quasi una lanterna.

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Stampante 3D per il calcestruzzo

3dIl processo di stampa 3D sviluppato presso la Loughborough University per produrre componenti per l’edilizia sfiora un grado di personalizzazione mai visto finora

Il colosso svedese del settore edile Skanska e la Loughborough University (Regno Unito) hanno firmato un accordo di collaborazione per sviluppare l’uso della stampa 3D nel settore costruzioni. Obiettivo dell’accordo è quello di consentire a Skanska di utilizzare la tecnologia di stampa 3D, sviluppata nei laboratori dell’Università già dal 2007, nel mondo delle costruzioni per poter realizzare la prima stampante 3D capace di produrre cemento.

“Il settore delle costruzioni – ha dichiarato Richard Buswell della Loughborough University – sta diventando sempre più esigente in termini di progettazione e costruzione. Abbiamo raggiunto un punto in cui sono necessari nuovi sviluppi per affrontare le nuove sfide. La nostra ricerca ha cercato di rispondere proprio a questa sfida. Siamo lieti dalla possibilità di sviluppare la prima stampante 3D capace di produrre cemento, ma prima di arrivare a questo è necessario che la tecnologia si adatti il prima possibile alle applicazioni reali in edilizia e architettura.”




INTRODUZIONE ALLA STAMPA 3D: COME USARLA

stampantiArticolo di proprietà del portale www.stampa3d-forum.it

Se state leggendo questa pagina probabilmente siete alla ricerca delle informazioni di base sulla stampa 3D. Questa guida intende essere un’Introduzione alla stampa 3D destinata a tutti coloro che vogliono capire meglio come funzionano le stampanti 3D e cosa realmente possono produrre queste macchine. Non aspettatevi solamente un’infarinatura generale, le nostre Guide affrontano anche tematiche estremamente specifiche, al punto da poter essere utili anche ai più esperti.

La nostra Introduzione alla stampa 3D è suddivisa in più sezioni, le quali possono essere viste a loro volta come delle vere e proprie Guide ad ogni singolo argomento relativo alla stampa 3D. Infatti, per usare una stampante 3D, è necessario avere diverse conoscenze sulla modellazione 3D, sui materiali, sui software, sulle diverse tecnologie esistenti e molto altro. Questo non significa che per stampare in 3D sia necessario studiare chissà quanti argomenti, ma sicuramente è importante aver letto almeno una volta una Guida, in modo da non essere completamente all’oscuro di piccoli dettagli che a lungo andare potrebbero solamente darvi dei problemi.

Proprio per questo motivo la nostra Introduzione alla stampa 3D rimarrà online a lungo termine, in modo che voi possiate usufruirne tutte le volte che ne sentiate la necessità. Non avrete bisogno di studiare a memoria i contenuti di queste pagine, potrete consultarli tutte le volte che volete, stamparli e condividerli con altre persone, sempre nel rispetto delle regole Creative Commons del nostro portale.

Ecco gli argomenti trattati nella nostra guida introduttiva:

Una volta terminata la lettura di questa nostra guida introduttiva alla stampa 3D sarete in grado di capire quanto sia sfacettato questo mondo in continua crescita.

Alessandro Tassinari

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SCANNER 3D PER LA STAMPA 3D

scanner-3dArticolo di proprietà del portale www.stampa3d-forum.it

Gli scanner 3D sono dispositivi che ci permettono di ottenere modelli 3D da oggetti esistenti. Questi dispositivi rilevano le superfici che rientrano nel proprio raggio d’azione memorizzando le informazioni ottenute e rielaborandole, producendo in conclusione una descrizione matematica per punti dell’oggetto scansionato. In altri termini, un modello 3D digitale.

 

Le tecnologie per gli scanner 3D sono diverse e differiscono soprattutto per:

 

  • la meccanica: gli scanner 3D possono essere fissi o mobili. Quelli fissi dispongono generalmente di un piano che ruota, sopra al quale viene posizionato l’oggetto da rilevare. Quelli mobili sono impugnati da un operatore che deve avere la cura di puntarlo contro l’oggetto interessato, rilevandone le superfici.
  • la tipologia di raggi che lanciano verso l’oggetto desiderato.

 

SCANNER 3D LASER A TEMPO DI VOLO

 

Questi dispositivi utilizzano una luce laser che viene riflessa sulla superficie dell’oggetto rilevato. Il sensore del laser cronometra il tempo di volo, ossia il tempo che ci mette il fascio di laser a tornare all’origine in seguito essere rimbalzato sulla superficie rilevata, potendo definire se un determinato punto è più o meno vicino al diodo laser che emette l’impulso di luce. Questa misura è possibile in quanto la velocità della luce è costante, sarà quindi il tempo di andata e ritorno dell’impulso luminoso laser che definirà la posizione nello spazio del punto battuto. La precisione di uno scanner 3D laser a tempo di volo dipende quasi esclusivamente dalla precisione con cui esso riesce a misurare il tempo di volo.

 

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SCANNER 3D CON SISTEMA A LUCE STRUTTURATA

 

Gli scanner 3D con sistema a luce strutturata proiettano sulla superficie dell’oggetto da rilevare un fascio di luce. La deformazione del pattern proiettato definisce la posizione dei punti che compongono l’oggetto, permettendo ad una telecamera di calcolarne le coordinate tridimensionali attraverso una triangolazione.

 

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SCANNER 3D ECONOMICI

 

Sono diverse le aziende che si sono lanciate nel mercato degli scanner 3D vedendo l’aumentare dell’interesse nei confronti di questi utili pezzi di tecnologia. Stiamo parlando, per esempio, degli scanner di MakerBot, Rubicon 3D e Structure Sensor.

 

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Esistono poi altri metodi più smanettoni per scansionare degli oggetti 3D. Uno dei più conosciuti è quello che sfrutta il potenziale del Microsoft Kinect. Proprio così, l’accessorio per la famosa XBox 360 può essere trasformato in uno scanner 3D low cost grazie ai suoi driver open source e a diversi software scaricabili online. Altro metodo economico è quello di utilizzare una macchina fotografica o uno smartphone e software open source per elaborare le immagini ottenute. Per maggiori informazioni su questo metodo di rilievo vi rimandiamo a questo articolo su 3D ArcheoLab.

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3D ARCHEOLAB: LA STAMPA 3D PER I BENI CULTURALI

archeolab-scannerArticolo di proprietà del portale www.stampa3d-forum.it

Le tecnologie di rilievomodellazione e stampa 3Dstanno rivoluzionando il settore dei Beni Culturali, creando nuove forme di documentazione, fruizione e divulgazione. Proprio la tecnologia della stampa 3D, associata alle moderne tecniche di rilievo tridimensionale open source, consente di ottenere in tempi rapidi e a costi contenuti riproduzioni fisiche di reperti archeologicielementi scultorei oarchitettonici che possono essere utilizzati a scopi differenti: per studio e ricerca, per la didattica con le scuole, per l’allestimento di percorsi museali alternativi.

 

In quest’ottica è nato 3D ArcheoLab, un progetto di tre giovani professionisti dei Beni Culturali: Giulio Bigliardi, Sara Cappelli e Sofia Menconero. L’obiettivo del progetto 3D ArcheoLab è quello di permettere a tutti il libero e pieno accesso al nostro patrimonio culturale, facilitandone la fruizione attraverso ilsuperamento delle barriere geografiche, fisiche e culturali. A questo scopo, 3D ArcheoLab utilizzatecnologie 3D libere, open source e low-cost per creare  nuove forme di conoscenza, divulgazione e accessibilità del nostro patrimonio.

 

3D ArcheoLab si rivolge a tutti quei musei che vogliono rinnovare il proprio percorso espositivo e i propri servizi online e offline, attraverso un approccio più tecnologico, più innovativo e più coinvolgente.

 

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Il primo passo è quello di creare una galleria fruibile liberamente online, anche in mobilità, e popolata di modelli 3D di reperti museali (un esempio: 3d-archeolab.sketchfab.me). Il team di 3D ArcheoLab è infatti specializzato nella realizzazione di rilievi e modelli 3D ad alta risoluzione di oggetti utilizzando esclusivamente software libero e open source.

 

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Il secondo passo è quello di riprodurre gli oggetti rilevati in 3D attraverso la tecnologia della stampa 3D. Tali riproduzioni sono gli strumenti più efficaci per creare originali attività didattiche per le scuolee per gli studenti, nella convinzione che l’approccio tecnologico e lo sviluppo di soluzioni innovative che riuniscono educazione e intrattenimento sia il modo più efficace per migliorare la conoscenza del nostro patrimonio culturale tra le giovani generazioni.

 

Infine, le riproduzioni vengono utilizzate per allestire all’interno dei musei percorsi tattili per non vedenti, in modo da garantire anche a loro un’esperienza di visita completa, troppo spesso legata solamente a testi descrittivi in braille o ad audioguide che in alcun modo riescono a restituire la complessità di un reperto.

 

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Al momento 3D ArcheoLab ha attiva una collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria di Perugia e con l’Accademia Valdarnese del Poggio di Montevarchi; ha inoltre in corso un progetto su Parma, in collaborazione con il costituendo On/Off FabLab Parma. Infine, collabora conOpen Téchne e l’Istituto di Formazione e Ricerca della Federazione Italiana Club e Centri UNESCO nell’organizzazione di attività di formazione nel campo del software libero e dei Beni Culturali.

 

3D ArcheoLab: dall’oggetto reale alla riproduzione 

 

Il miglior modo che abbiamo oggi per una corretta documentazione di un qualsiasi oggetto è il rilievo tridimensionale, poiché consente di ricreare un modello virtuale identico all’originale, metricamente corretto e fotorealistico. Un modello 3D ci permette di estrarre un qualsiasi rilievo bidimensionale dell’oggetto, come prospetti, piante o sezioni, nonché di ricreare materialmente l’oggetto grazie alla tecnologia della stampa in 3D. Uno dei limiti principali ad un uso diffuso delle tecnologie di rilievo 3D (su tutte laser scanning e fotogrammetria) nell’ambito dei Beni Culturali è dato dal costo elevato per l’acquisto delle strumentazioni necessarie e delle rispettive applicazioni, spesso nell’ordine delle decine di migliaia di euro.

 

Tuttavia, oggi esistono tecnologie e software liberi e open source che, partendo da semplici immagini digitali, consentono di ottenere un accurato rilievo 3D semplicemente utilizzando una macchina fotografica digitale, anche compatta, e un PC di medie prestazioni, come un notebook.

 

Il primo passaggio fondamentale è ovviamente l’acquisizione di buone fotografie digitali. In questa fase è certamente utile l’utilizzo di una buona macchina fotografica, anche se camere compatte e addirittura smartphone hanno dato buoni risultati (qui un esempio). In certe situazioni può essere molto utile l’uso di un cavalletto, sopratutto in luoghi chiusi con poca luce dove il rischio di ottenere immagini mosse è molto alto; è infatti da evitare l’uso del flash. Può risultare utile anche l’uso di un manfrotto nei casi in cui l’oggetto da fotografare sia particolarmente alto e diventi impossibile scattare fotografie anche della parte più elevata dell’oggetto. Quando scattiamo le fotografie dobbiamo sempre considerare la tridimensionalità dell’oggetto che abbiamo di fronte. Per ottenere un rilievo completo e accurato è indispensabile scattare foto tutt’attorno all’oggetto: su tutti i lati, sopra e, se possibile, anche sotto. Ogni porzione dell’oggetto deve comparire in almeno tre fotografie e ogni foto deve avere un margine di sovrapposizione del 60% circa con quelle adiacenti. In pratica, si scatta una prima fotografia, poi ci si sposta un po’ di lato e se ne scatta un’altra, e così via finché abbiamo compiuto un giro completo attorno all’oggetto e non siamo tornati al punto di partenza; è consigliato scattare una fotografia almeno ogni 15 gradi di spostamento.

 

Il software

 

Una volta scattate le fotografie dell’oggetto, possiamo elaborarle con il software libero Python Photogrammetry Toolbox – PPT. Dopo aver aperto il software (è possibile installarlo sia su GNU/Linux che su Windows: si rimanda al sito dello sviluppatore per tutti i dettagli), il primo passo è caricare la cartella contenente le immagini nel tab “Check Camera Database” e qui inserire la larghezza in mm del sensore CCD della macchina fotografica che abbiamo utilizzato (se non si ha a disposizione il manuale, basta fare una veloce ricerca su Google). Il secondo passo è caricare la cartella delle immagini nel tab “RunBundler“: questo processo orienterà nello spazio le immagini ricostruendo i punti di presa di ciascuna immagine. Al termine di questo processo PPT crea una cartella temporanea con i risultati parziali dell’elaborazione. Il secondo e ultimo passaggio consiste nel caricare tale cartella temporanea nel tab “RunCMVS/PMVS” e al termine di questo passaggio il software avrà creato una nuvola di punti 3D degli oggetti che abbiamo fotografato; il risultato, in formato PLY, è visibile all’interno della solita cartella temporanea (percorso /tmp/”nome-cartella-temporanea-creata-da-PPT”/pmvs/models/).

 

Per visualizzare il risultato possiamo utilizzare il software libero MeshLab: qui è possibile caricare la nuvola di punti creata da PPT, ripulirla dai punti in eccesso e creare la mesh lanciando il comando “Surface Reconstruction: Poisson” (sul canale YouTube degli sviluppatori si trovano molti tutorial).

 

La stampa 3D

 

A questo punto ci basta esportare il file in formato STL e aprirlo con un software di slicing, come CURA o Slic3r, per creare il file GCODE da dare in pasto ad una stampante 3D.

 

Il progetto 3D ArcheoLab sta rivoluzionando il mondo dei Beni Culturali in modo innovativo, sfruttando software open source e nuove tecnologie che piano piano stanno diventando accessibili a tutti.

 

Per chi volesse approfondire l’argomento del software di Slicing per un oggetto 3D, consigliamo la consultazione della guida apposita a CURA SlicerLINK

 

Giulio Bigliardi

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GUIDA A CURA SLICER -BASE-

scanner 3DArticolo di proprietà del portale www.stampa3d-forum.it

Il processo di produzione di un oggetto 3D si può suddividere in 3 grandi categorie: lamodellazione, lo slicing e la stampa.
In questo articolo entreremo nel vivo del processo che maggiormente influisce sulla qualità finale dell’oggetto: lo slicing. Per farlo utilizzeremo un software libero chiamato “Cura”.

 

Ma cos’è lo Slicing?

 

Dopo aver creato il nostro oggetto 3D tramite i programmi di modellazione (LINK alla nostra guida alla modellazione), abbiamo bisogno di convertire il disegno in un linguaggio comprensibile dalla nostra stampante 3D.  Qui entra in gioco il nostro programma Cura Slicer, che grazie ad una serie di parametri impostati dall’utente elabora il modello 3D, calcolando il percorso più efficiente che la nostra stampante 3D deve fare per ottenere il risultato migliore.

 

Perché Cura?

 

Esistono moltissimi software predisposti a fare questo genere di operazioni ma sicuramente i punti di forza di Cura rispetto ai suoi competitor sono la semplicità e l’ottima user-experience, riuscendo così ad ottenere ottimi risultati agendo su un numero essenziale di parametri. In più è un software libero: Cura è scaricabile dal sito della Ultimaker (QUI) ed è disponibile per tutti i SO quali Windows, Mac OS e Linux.

 

Il primo avvio

 

Una volta installato ed avviato Cura ( lo potete scaricare gratuitamente a questo link), dovremmo settare il software in modo da farlo comunicare con la nostra stampante. Per far ciò andremo nel menu  “Machine->Machine settings..  “

 

Machine_settings

 

  •     Maximum width: lunghezza del piano di stampa (asse X).
  •     Maximum depht: profondità del piano di stampa (asse Y).
  •     Maximum height: Altezza del piano di stampa (asse Z).
  •     Serial Port: lasciare AUTO.
  •     Baudrate: selezionare il baud della vostra  elettronica.

 

 

 

 

 

I Parametri base

 

Nella parte sinistra della schermata di Cura è possibile accedere ai parametri di personalizzazione dello slicing.
Cura

 

– Quality

 

Questa sezione è dedicata alla qualità della stampa, che andrà ad influire anche  sul tempo finale della stampa: una maggior qualità richiede un maggior tempo di lavorazione:

 

  • Layer height: è l’altezza del layer, quindi di ogni singolo strato depositato dall’ugello dell’hotend: influisce direttamente sulla qualità della stampa (valore consigliato da Cura: 1/4 del diametro del vostro ugello);

 

layer Height

 

  • Shell Thickness:  é lo spessore delle pareti, che va espressa come multiplo del diametro dell’ugello di estrusione. Esempio: avendo un ugello di 0.5 e impostando la Shell a 1.0, verranno generate 2 linee perimetrali (in genere da 2 a 4 linee);

 

  • Enable retraction: se spuntata, abilita la retraction della quale parleremo dopo. (default: ON)

 

 

 

– Fill

 

Con questi due parametri andremo a modificare i criteri di riempimento dell’oggetto: cosa che influirà sulla resistenza meccanica del pezzo stampato:

 

  • Bottom/Top thickness: è lo spessore delle pareti superiori e inferiori del modello, dovrà essere un valore multiplo del Layer Height. Esempio: con un Layer Height di 0.2 per avere 3 strati pieni si imposterà questo campo con 0.6 (solitamente da 2 a 4 layer);
  • Fill Density: è il valore espresso in percentuale della quantità del riempimento: impostando 25%, il riempimento del modello sarà composto da 25% di materiale e 75% vuoto. Maggiore sarà il riempimento e maggiore sarà il materiale utilizzato ma anche la solidità del pezzo. (valore consigliato minimo: 25% );

 

raft_25%                               raft_60%

 

– Speed temperature

 

In questa sezione di Cura si settano i valori di velocità e temperatura di stampa essenziali per la buona riuscita del modello:

 

  • Print Speed: agendo su questo valore si modifica la velocità della stampa: all’aumentare della velocità diminuisce la qualità e la durata della stampa (si utilizzano valori compresi tra 30 e 60, si puo arrivare fino a 120 mm/s);
  • Printing temperature: temperatura di stampa dei materiali (PLA 210- 180° , ABS 210-230°, Nylon 230-260°), questi parametri sono indicativi, la temperatura ottimale di stampa per lo stesso materiale varia molto in base al produttore della plastica e anche dal colore (ovviamente si parla in misura di 3-4 gradi massimi);

 

– Support

 

Cura è in grado di disegnare automaticamente i supporti per l’adesione al piatto e se necessario il supporto per le parti a sbalzo (bridge):

 

  • Support type: è  la selezione del tipo di supporto per modelli con sbalzi, difficilmente viene utilizzato per le prime stampe e quindi normalmente viene settato su None;
  • Platform adhesion type : questo campo ci interessa maggiormente di più, è il tipo di supporto per l’adesione al piatto, il Brim estende il primo layer oltre ai contorni del modello per aumentare considerevolmente l’adesione al piatto di stampa, mentre Raft crea uno strato aggiuntivo che verrà stampato tra il piatto e l’oggetto, cosa che rende più difficoltosa l’eliminazione del surplus di materiale ( consiglio: Brim );

 

– Filament

 

  • Diameter: è il diametro del filo, va cambiato ogni volta che si cambia la bobina dalla quale si sta stampando, si consiglia di utilizzare il calibro in quanto il diametro del filo può variare di o,4mm da bobina a bobina;
  • Flow: valore percentuale della quantità di materiale estruso, non dovrebbe essere necessario modificarlo;

 

-Advanced

 

Per ora vediamo solo due opzioni della tendina advanced che sono necessari per un primo settaggio del software

 

Advanced

 

– Machine

 

  • Nozzle size: è il diametro del nostro ugello di estrusione, un nozzle con diametro minore ci permetterà di inseguire una qualità sempre maggiore ( solitamente 0,5 – 0,4 – 0,35 – 0,3 ).

 

 

 

– Retraction

 

Ecco che siamo arrivati alla famosa retraction che avevamo anticipato all’inizio della guida, praticamente è l’azione di ritirare il filo fuori dall’estrusore, per poter fermare l’estrusione ed evitare il gocciolamento, deve essere eseguito quando l’estrusore si sposta da un punto all’altro senza dover depositare materiale:

 

  • Speed: velocità con la quale viene eseguirà la retraction, da non aumentare eccessivamente per evitare slittamenti (tra 90 e 140 mm/s);
  • Distance: la lunghezza della retraction, dipende dal nostro tipo di estrusore di diretto ( con il motore sul carrello dell’hotend) oppure bowden (motore solitamente ancorato al telaio della stampante) , Diretto: 4-5mm , Bowden: 8-16mm;

 

 

 

 

 

Eseguiti tutti questi settaggi saremo in grado di caricare il modello 3D ed esportare il relativo GCode, oppure inviarlo direttamente alla nostra stampante.

 

E con questo abbiamo visto tutti i parametri base per configurare al meglio la nostra stampante con Cura slicer. Se si riscontrano dei problemi durante la stampa, molto probabilmente agendo su questi valori riuscirete a sistemarli. Inoltre, mentre inserite alcuni parametri, Cura stesso vi informerà se c’è qualcosa che non va.

 

Ovviamente, per qualsiasi problema o necessità di chiarimento potete chiede consiglio sul forum della nostra community. Buone stampe!

Leonardo Bertè

 

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