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Storage, nuove gigafabbriche e super-batterie rivoluzioneranno il mercato?

Dopo la gigafactory di Tesla e Panasolic, arriva l’annuncio di un nuovo grande progetto di produzione di batterie. Non senza destare dubbi, la società svizzera Alevo prevede di realizzare una mega-fabbrica di accumuli al litio che abbatterebbero il costo di stoccaggio dell’elettricità, tanto da sostituire le centrali elettriche come regolatori della rete.

Il boom del fotovoltaico e il crollo verticale dei suoi prezzi cominciò quando nel campo, tenuto fino ad allora per lo più da piccole e medie fabbriche europee, piombò come un rinoceronte la potenza industriale cinese, che in pochi mesi mise in funzione fabbriche in grado di sfornare GW di pannelli fotovoltaici, a prezzi così bassi che ben presto misero fuori mercato quasi tutti i competitori. Se succederà lo stesso per le batterie , pare che stavolta la rivoluzione partirà dagli Stati Uniti.
Molti sanno che Elon Musk, il proprietario di Tesla Motor , uno dei massimi produttori di auto elettriche del mondo, si è accordato con Panasonic per costruire una “gigafabbrica” in Nevada, i cui 6500 operai saranno in grado entro il 2020 di produrre ogni anno 500.000 batterie per auto elettriche, per una capacità totale di 50 GWh. In questo modo praticamente la produzione mondiale di batterie al litio raddoppierebbe e il prezzo delle batterie crollerebbe, permettendo a Tesla di diminuire drasticamente il costo delle proprie auto.
La preparazione del sito è già partita non appena lo Stato del Nevada ha fornito gratuitamente il terreno, la costruzione di una strada a 4 corsie che lo colleghi alla più vicina highway e altri benefici fiscali, come la rinuncia alle tasse locali nei primi anni di attività, per 1,3 miliardi di dollari. Da parte loro Tesla e Panasonic investiranno 5 miliardi nel nuovo impianto che sarà del tutto alimentato da fonti rinnovabili: un impianto eolico da 140 MW, moduli solari installati sui 64 ettari del tetto della fabbrica e un impianto geotermico.
Ma se la Gigafactory di Musk è stata pubblicizzata su tutta la stampa del mondo, molta meno risonanza ha avuto un’altra notizia simile , apparsa in questi giorni: la società svizzera Alevo (da ALEssandro VOlta) ha annunciato anch’essa l’apertura negli Usa di un’altra fabbrica in grado di impiegare, a pieno regime, 6000 operai e produrre 16,2 GWh di batterie al litio ogni anno.
Alevo vorrebbe trasformare in modernissima fabbrica di accumulatori un vecchio impianto per la fabbricazione di sigarette nel Nord Carolina, già acquistato al prezzo di 68,5 milioni di dollari. Il prodotto che dovrebbe uscire da questa nuova fabbrica, forse già dalla fine del 2015, è veramente particolare, persino più interessante delle batterie per auto di Musk. Si tratta di superbatterie da 1 MWh l’una , costituite da un container pieno di accumulatori al litio-fosfati realizzati con una nuova tecnologia tedesca, che grazie a elettrodi al nickel-grafite sovradimensionati e un elettrolita a base di biossido di zolfo, secondo Alevo, permettono la scarica completa della batteria senza danni, evitano surriscaldamento e incendi e portano la vita utile dell’accumulatore ad almeno 40.000 cicli di carica-scarica, contro i 3-4.000 delle attuali batterie al litio .
Alevo afferma di avere già ordini per 200 dei suoi container-batteria, abbastanza per far operare la nuova fabbrica nel suo primo anno di attività, e sostiene che, accoppiati al loro particolare software di gestione, questi accumulatori abbattono così tanto il costo di stoccaggio dell’elettricità, da poter sostituire le centrali elettriche come regolatori della rete, recuperare quel 30% di energia sprecata per eccesso di produzione e rendere programmabili le rinnovabili intermittenti.
Troppo bello per essere vero? Forse sì. Il problema con Alevo è che nessuno nel mondo delle batterie e dell’accumulo l’aveva mai sentita nominare prima del clamoroso annuncio di apertura della loro Gigafarm. In effetti la società esiste solo dal 2009 ed è essenzialmente una startup nata per sfruttare i brevetti tedeschi su elettrodi e elettrolita di un’altra startup, la Fortu, che ha fallito il suo tentativo.
Creata da un originale manager norvegese , Jostein Eikeland, che ha cominciato la sua carriera come promoter musicale, per divenire poi fornitore di software per Internet e, infine, passare a una fabbrica di ricambi per auto, senza mai troppa fortuna. Alevo dichiara ora nel suo sito di avere 9 sussidiarie in giro per il mondo, dalle quali fornirà accumulatori e tecnologie per gestirli, ma ammette anche che la sua prima fabbrica sarà quella ancora da costruire in Nord Carolina, mentre tutta la sua attività sembra consistere per ora in ricerca e sviluppo.
Per costruire la fabbrica in Nord Carolina Alevo avrà bisogno di almeno un miliardo di dollari , ma pare ne abbiano raccolti, per adesso, solo 350 milioni, e secondo molti analisti dovranno darsi molto da fare per trovare il resto. Devono convincere gli investitori delle eccezionali qualità di prodotti che, per ora, non esistono ancora. Questo perché il settore delle batterie è notoriamente molto ostico da sviluppare per la diffidenza dei clienti nell’accettare nuove tecnologie non ancora testate.   Ma anche per la difficoltà di passare da novità, che in laboratorio funzionano benissimo, al prodotto industriale, che può rivelarsi molto complesso da assemblare e far funzionare in modo affidabile su grande scala.
Già diverse startup con programmi simili a quelli di Alevo, sono cadute al momento di entrare nel mercato, mentre una grande società nata proprio per produrre batterie di potenza per auto e rete, l’americana A123, è fallita ed è stata acquistata recentemente dalla giapponese NEC.
Insomma, come capita a molte start up desiderose di farsi notare, pare che anche questa svizzera le stia, almeno per ora, sparando un po’ grosse. Vedremo se diventerà la ‘Tesla delle batterie per la rete’ o solo un vago ricordo sulla tortuosa strada verso il sistema elettrico a fonti rinnovabili.

Alessandro Codegoni
01 dicembre 2014

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fonte: quale energia.it

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Monitoraggio e automazione: come ti taglio la bolletta di 500mila euro l’anno

Un semplice sistema di monitoraggio può far risparmiare a una famiglia 100-200 € all’anno sulle bollette, mentre un sistema di controllo automatizzato riesce a tagliare la bolletta annuale di un supermercato di 12-15mila € a fronte di un investimento di 30-40mila. Il nuovo Energy Efficiency Report esplora il potenziale di risparmio energetico delle soluzioni ICT.

Conoscere i consumi per individuare le azioni da intraprendere e magari adottare soluzioni tecnologiche che correggano automaticamente gli sprechi: la strada dell’efficienza energetica passa anche da qui. In Italia, limitandoci ad installare in maniera massiva semplici sistemi di monitoraggio, ogni famiglia potrebbe spendere tra 100 e 200 euro in meno all’anno di bolletta e a livello nazionale potremmo risparmiare annualmente tra calore ed elettricità circa 0,86 Mtep (milioni di tonnellate di petrolio equivamente).
Se poi affiancassimo a questi interventi delle tecnologie “intelligenti” capaci di prendere in automatico i provvedimenti più cost-effective la bolletta nazionale potrebbe essere ridotta del quadruplo, 3,4 Mtep l’anno , dato che queste soluzioni basate sull’automatizzazione possono tagliare le spese energetiche di un’industria per centinaia di migliaia di euro all’anno. Per dare un’idea del potenziale, 3,4 Mtep sono poco meno di un sesto dell’obiettivo di risparmio al 2020 stabilito dalla Strategia Energetica Nazionale, 20 Mtep, mentre il consumo finale lordo di energia in Italia nel 2012 è stato di 124 Mtep.
L’interessante stima viene dal nuovo Energy Efficiency Report , il rapporto sull’efficienza energetica dell’Energy Strategy Group del Politecnico di Milano, che sarà presentato il prossimo 11 dicembre a Milano , ma che QualEnergia.it ha potuto sfogliare in anteprima.
Quella della corretta realizzazione dell’ energy audit , si legge nello studio, è una delle grandi barriere allo sfruttamento del potenziale dell’efficienza energetica. La buona notizia è che c’è una crescente offerta di soluzioni tecnologiche basate sull’ICT che permettono di fare molto: dal semplice monitoraggio fino alla risposta correttiva automatica per ridurre i consumi e, quindi, spendere meno.
Tre le famiglie di interventi il cui potenziale viene indagato dal report ci sono i “sistemi di monitoraggio” , che permettono la raccolta delle informazioni sullo stato di un’utenza energetica e la rielaborazione di queste attraverso analisi di benchmark rispetto a situazioni ideali di funzionamento; i “sistemi di controllo” , che oltre a questo compito possono implementare automaticamente eventuali azioni correttive, e i “sistemi di supervisione” , che condensano le funzionalità degli altri due, ma scelgono ogni volta le eventuali azioni correttive in base ai risultati di analisi tecnico-economiche.
Per capire meglio ecco l’esempio che ci fa uno degli autori del report, Marco Chiesa: il sistema di monitoraggio si limita a rilevare che in una stanza della casa c’è una temperatura che si discosta da quella impostata come ideale e saranno poi gli utenti a dover intraprendere eventuali azioni, come chiudere o aprire una finestra o migliorarne l’isolamento; il sistema di controllo, una volta rilevata l’anomalia, interviene automaticamente , ad esempio abbassando la tapparella o chiudendo la finestra; il sistema di supervisione, invece, non solo interviene automaticamente per ridurre i consumi, ma sceglie anche quale è il modo più economico di farlo: ad esempio per abbassare la temperatura di una stanza, a seconda che fuori ci sia o meno il sole, decide se abbassare le tapparelle, aprire la finestra o far partire il condizionatore.
Tutte e tre le tipologie di intervento possono far risparmiare molto e l’Energy & Strategy Group ce lo mostra con alcune simulazioni. Ipotizzando ad esempio una casa di 100 m2 con consumi annui di 3.000 kWh elettrici e 13.000 kWh termici, l’implementazione di un sistema di monitoraggio, che informa l’utente dei consumi energetici dell’impianto di riscaldamento/produzione di acqua calda sanitaria e degli apparati di illuminazione, potrebbe comportare una riduzione della bolletta energetica di circa 160-220 euro all’anno , a fronte di un investimento iniziale di circa 1.500-2.000 euro.
Per quel che riguarda i “sistemi di controllo”, prendendo in considerazione un supermercato – 2.500 m2 di superficie – l’implementazione di un sistema di controllo, che gestisce automaticamente il funzionamento dei compressori di 30 impianti di refrigerazione, potrebbe favorire una riduzione della bolletta elettrica di circa 12.000-15.000 euro all’anno, corrispondente a circa 85-95 MWh, a fronte di un investimento complessivo di circa 30.000-40.000 euro.
Venendo, infine, ai “sistemi di supervisione”, l’esempio che si fa è quello di un impianto di assemblaggio di autoveicoli , dal quale escano 15.000 auto all’anno. Qui l’implementazione di un sistema di supervisione, che gestisce automaticamente il funzionamento di motori elettrici, inverter e sistemi di fornitura di aria compressa presenti negli impianti di assemblaggio di motore-telaio e di verniciatura, potrebbe comportare una riduzione della bolletta energica di circa 500.000-550.000 euro all’anno , a fronte di un investimento complessivo di circa 250.000-300.000 euro.
Appare evidente come una diffusione capillare di queste soluzioni potrebbe portare un notevole beneficio energetico ed economico e lo si vede bene dagli scenari che il report ipotizza. Considerando i sistemi di monitoraggio , il potenziale di risparmio energetico annuo, ovvero la quantità di energia (elettrica e termica) che può essere mediamente risparmiata ogni anno grazie all’adozione di questa soluzione, a livello nazionale è stimabile in circa 0,86 Mtep, che genererebbe un volume di mercato medio annuo di circa 480 milioni di euro. Per i sistemi di controllo , il potenziale di risparmio energetico medio arriverebbe a circa 2,1 Mtep , a cui si associa un volume di mercato annuo medio di circa 810 milioni di euro. Infine, con i sistemi di supervisione la quantità di energia che potrebbe essere mediamente risparmiata ogni anno sarebbe di circ 3,4 Mtep , e il volume di mercato medio annuo sarebbe di circa 1.680 milioni di euro .
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fonte: qualenergia.it


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48° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2014

Giunto alla 48ª edizione, il Rapporto Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese nella difficile congiuntura che stiamo attraversando. Le Considerazioni generali introducono il Rapporto sottolineando come il Paese viva una profonda crisi della cultura sistemica: nella «società delle sette giare», i poteri sovranazionali, la politica nazionale, le sedi istituzionali, le minoranze vitali, la gente del quotidiano, il sommerso e la comunicazione appaiono come mondi non comunicanti, che vivono di se stessi e in se stessi. Nella seconda parte,«La società italiana al 2014», vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno, descrivendo una società satura dal capitale inagito, la solitudine dei soggetti, i punti di forza e di debolezza dell’Italia fuori dall’Italia. Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, il governo pubblico, la sicurezza e la cittadinanza
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Meno tasse a chi paga i restauri. Succede all’Arena di Verona

Sul tavolo di sono 14 milioni euro, metà a carico dal gruppo UniCredit , metà della Fondazione Cariverona (sempre gruppo UniCredit), che andranno per lavori di restauro e adeguamento funzionale e impiantistico, di cui l’ Arena di Verona  ha urgente bisogno. Questa mattina a Milano, nel quartier generale della banca a Porta Nuova, la firma che formalizza l’accordo – uno dei primi di questo genere – tra il sindaco di Verona , Flavio Tosi , Fedrerico Ghizzon i, amministratore delegato di Unicredit (gruppo che a Verona è saldamente inserito nel territorio e gestisce il 25% del mercato bancario locale) e Paolo Biasi, presidente della Fondazione Cariverona .
Ora è tempo di pensare ai bandi di gara per selezionare le aziende adatte ai lavori e poi via con cantieri che – secondo una stima fatta dal sindaco Tosi – dureranno tre anni, al massimo quattro e saranno via via porzionati, in modo da intralciare il meno possibile con il calendario degli eventi musicali ospitati dall’anfiteatro. Intanto l’amministrazione comunale pensa già al passo successivo, ovvero la copertura dell’arena con una struttura rimovibile studiata ad hoc.

Sarebbe un altro bel colpo per uno dei monumenti italiani più conosciuti dai musicolfili e più in generale dai turisti di tutto il mondo (soprattutto tedeschi, dice l’ad Ghizzoni nel corso della conferenza stampa, specificando che i giornali in Germania hanno dato ampio spazio alla notizia del restauro imminente, su cui quest’estate hanno iniziato a girare le prime voci). I contatti con gli sponsor ci sono già: si tratta ora di concretizzare un’altro accordo come quello firmato stamattina, che ha aperto una via nuova al recupero del patrimonio storico-artistico italiano.

Le regole sono contenute nel decreto legge Art Bonus, in vigore dal luglio scorso,  che introducono anche in Italia – all’estero lo si fa da anni – un beneficio fiscale alle aziende che finanziano gli interventi. Un mecenatismo culturale – si legge nel decreto – che viene premiato con un credito di imposta al 65% per gli anni 2014 e 2015 e al 50% per il 2016. “Non abbiamo ancora deciso in quanti anni suddividere il beneficio fiscale – dice l’ad Ghizzoni, intervistato da Monitorimmobiliare a margine della firma dell’accordo con il Comune di Verona –. Siamo disponibili a replicare l’intervento su altri progetti, anche se ora siamo concentrati sull’Arena e non abbiamo altre iniziative simile allo studio”.

Via, dunque – o almeno si spera – dalle operazioni farraginose ( vedi polemiche e lo stop and go del Tar del Lazio ) come quella del restauro del Colosseo, finanziata dal patron del gruppo Tod’s, Diego Della Valle.

Guarda le videointerviste   a Fedrerico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit; Paolo Gencarelli, head of group Real estate and procurement Unicredit (che ha fatto il punto sugli immobili del gruppo, a partire dalla ex sede di piazza Cordusio); Flavio Tosi, sindaco di Verona.
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fonte: www.monitorimmobiliare.it  

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Una città nel deserto ancestrale e sostenibile

Luoghi-identità che recuperano il senso di comunità e di rispetto del territorio. ‘Desert City’, un nuovo modello concettuale di vita sostenibile nel deserto presentato dallo studio di architettura Luca Curci

Luoghi-identità interconnessi

Ripensare il concetto di confine, che può essere visto non solo come linea che divide ma anche come elemento di connessione fra due luoghi, come punto di incontro fra spazio pubblico e privato. Nasce da queste riflessioni ‘Desert City’ , una proposta progettuale per un modello di vita, alternativo e sostenibile, nel deserto presentata dallo studio di architettura Luca Curci. Un progetto che si pone in antitesi con gli attuali ‘labirinti urbani’ che stanno spopolando nelle regioni degli Emirati Arabi e che recupera il senso di comunità, come modello  socio-economico teso all’inclusione, appartenenza, cooperazione e alla capacità di coinvolgimento.
Luoghi-identità interconnessi
Il project plan si compone di una serie di luoghi-identità simbioticamente interconnessi tra loro, a configurare un unico sistema organico e articolato. Tre le macro tipologie architettoniche immaginate, differenti per dimensione, funzioni e numero di abitanti: gli hub più piccoli possono ospitare residenze mono o plurifamiliari, piccole comunità  composte da 1 a 5 nuclei familiari; gli edifici di dimensioni intermedie ospitano strutture specialistiche al servizio delle comunità come centri di ricerca, centri culturali, amministrativi o terziari; gli edifici più grandi ospitano comunità più articolate, con popolazioni da 2.000 a 5.000 abitanti e le loro attività lavorative, culturali e sociali.
L’obiettivo è di creare un modello di vita basato sulla valorizzazione dei rapporti umani e sul rispetto del territorio, sfruttandone condizioni climatiche e risorse.
Materiali locali, energia rinnovabile, riutilizzo di acqua e rifiuti
Le abitazioni saranno realizzate utilizzando materiali a basso impatto ambientale di provenienza locale e per l’approvvigionamento energetico verranno utilizzati sole e vento. L’acque verrà utilizzata con consapevolezza, attraverso il recupero e il riutilizzo delle acque di scarto, la raccolta delle rare ma abbondanti precipitazioni, e la produzione di acqua potabile attraverso la desalinizzazione ottenuta attraverso l’energia solare. Anche i rifiuti saranno recuperati attraverso il riciclaggio ed il compostaggio.
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fonte: casaeclima.com

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Consumi energetici, ogni famiglia spende in media 1.635 euro l’anno

Nel 2013 le famiglie italiane hanno complessivamente speso oltre 42 miliardi di euro
Secondo i dati forniti dall’Istat, nel 2013 le famiglie italiane hanno complessivamente speso per consumi energetici oltre 42 miliardi di euro, con una spesa media per famiglia pari a 1.635 euro.
MENO DIFFUSI GLI IMPIANTI DI RAFFRESCAMENTO . La quasi totalità delle famiglie risiede in abitazioni dotate di impianto di riscaldamento degli ambienti e dell’acqua, mentre i sistemi per il raffrescamento risultano meno diffusi: ne sono in possesso solo 3 famiglie su 10.
Sono ampie le differenze territoriali nella diffusione di apparecchiature per il condizionamento: ne risultano dotate solo l’1,5% delle famiglie residenti in Valle d’Aosta e quasi il 50% di quelle che risiedono in Sardegna.

Il tipo di impianto più diffuso è l’autonomo, sia per riscaldare gli ambienti (lo utilizzano 66 famiglie su 100), sia per l’acqua calda (74). Gli apparecchi singoli vengono utilizzati più frequentemente nel Mezzogiorno, i centralizzati nel Nord.
OLTRE IL 70% DELLE FAMIGLIE USA IL METANO . La principale fonte energetica di alimentazione degli impianti di riscaldamento dell’abitazione e dell’acqua è il metano, utilizzato da oltre il 70% delle famiglie.
DIFFERENZE TRA NORD E SUD . La spesa per consumi energetici delle famiglie è più elevata al Nord e più contenuta nel Mezzogiorno, con un differenziale che supera i 400 euro (30% in più delle spese sostenute nel Mezzogiorno). La spesa media annua cresce in ragione sia del numero dei componenti sia della loro età. Una famiglia monocomponente giovane spende in media circa 650 euro in meno rispetto a una coppia con 3 o più figli.
Gli impianti di riscaldamento dell’abitazione restano accesi tutti i giorni durante la stagione invernale per l’87% delle famiglie, con sensibili differenze territoriali (98% a Bolzano e 62% in Sicilia). L’impianto di riscaldamento viene utilizzato, in media, per circa 8 ore al giorno, più nel pomeriggio (quasi 4 ore e mezzo) che non nelle fasce mattutine (2 ore e mezzo circa) o notturne (circa un’ora). Le famiglie residenti al Nord accendono in media due ore in più rispetto a quelle del Centro e tre ore e mezzo in più rispetto a quelle del Mezzogiorno.

ILLUMINAZIONE A BASSO CONSUMO . A distanza di pochi anni dal ritiro dal commercio delle lampadine tradizionali, le lampadine a risparmio energetico rappresentano già quasi i tre quarti delle lampadine utilizzate.
INVESTIMENTI NEL RISPARMIO ENERGETICO . Le famiglie dichiarano di aver effettuato investimenti sul fronte del risparmio energetico negli ultimi 5 anni: oltre la metà per ridurre le spese per l’energia elettrica, il 21% per le spese di riscaldamento dell’abitazione, il 15% per il riscaldamento dell’acqua e, infine, il 10% per il condizionamento.
LEGNA . Più di una famiglia su cinque fa uso di legna per scopi energetici (consumando 3,2 tonnellate in media all’anno) mentre solo il 4,1% utilizza pellets. Il consumo di legna è più elevato nei comuni montani (oltre il 40% delle famiglie) e in Umbria e Trentino Alto Adige (poco meno di una famiglia su due).
La metà delle famiglie che utilizzano legna ricorre (parzialmente o totalmente) all’autoapprovvigionamento. La quercia è il tipo di legname più utilizzato.
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fonte: casaeclima.com

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Smart energy master, software per misurare sprechi e perdite in città

Il progetto avviato dall’Università di Napoli e testato nel capoluogo campano potrà essere applicato anche a altre realtà.
Per evitare l’errata gestione delle risorse energetiche, l’Università di Napoli – attraverso il team di ricercatori del Dicea (Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale) – ha deciso di realizzare un software in grado di misurare sprechi e ‘perdite’ di energia, acqua e quant’altro della città partenopea, aumentandone così il grado di sostenibilità ed efficienza energetica.
COME FUNZIONA IL SOFTWARE. La piattaforma, che prende il nome di “Smart energy master- Per il governo energetico del territorio” (Sem), verrà sperimentata in tre quartieri pilota: Chiaia, Arenella e Vomero. In questo modo, il Comune di Napoli e i ricercatori conosceranno l’effettiva tenuta delle infrastrutture cittadine e potranno di conseguenza sviluppare una piattaforma open data aperta a tutti col fine di studiare nuovi servizi al cittadino e alle imprese, nonché ottimizzare le risorse.
PROGETTO REPLICABILE IN ALTRE CITTA’. Il progetto, finanziato con circa 1,2 milioni di euro (PON 2007-2013), nell’ambito del programma europeo “Smart cities & Smart communities”, non è stato ovviamente pensato solo per il capoluogo campano, ma per tutte le città italiane che vorranno seguirne l’esempio.
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Come sarebbero le nostre città se a progettarle fossero le donne?

Le quote rosa in architettura sono un miraggio. Considerato da sempre uno dei settori più maschio-centrici in assoluto, quello dell’architettura e della progettazione urbanistica è un universo chiuso, dove le donne hanno ancora poca visibilità, poco spazio e laddove ce l’hanno sono discriminate. E’ vero che i dati diffusi dal IV Rapporto sulla professione dell’architetto a cura del Cresme e del Consiglio nazionale parlano di un incremento della presenza femminile (dei 152 mila architetti italiani quasi il 41%, ovvero circa 62 mila, è composto da donne, che rappresentano anche il 54% degli iscritti ai corsi di laurea di secondo livello in architettura), ma è altrettanto vero che le discriminazioni sono tutt’ora grandi ed evidenti: in base alle stime gli uomini hanno guadagnato nel 2013 il 60% in più delle donne.
Se dall’Italia ci spostiamo al resto d’Europa la situazione non cambia. Nel Regno Unito, la situazione è ancora peggiore: la presenza femminile negli studi di architettura, dal 2009 al 2011, è scesa dal 28% al 21%. Ma il dato più allarmante, a livello globale, è che è molto raro che le donne ricoprano ruoli di alto livello. Il che significa che edifici e sopratutto città sono pensate e progettate da uomini. Viene quindi da chiedersi, se così non fosse, le nostre città sarebbero diverse?
Se fossero le donne a progettare le città, come cambierebbe il paesaggio urbano?
Le donne forse non privilegerebbero i grattacieli
Parte da queste domande un interessante articolo-inchiesta pubblicato recentemente sul Guardian a firma di Susanna Rustin. E la prima testimonianza rilasciata dall’architetto Fiona Scott, co-fondatrice dello studio Gort Scott è emblematica: “Odio gli stereotipi del tipo ‘gli edifici progettati da uomini sono più avveniristici, mentre le donne preferiscono le forme morbide, curvilinee e i colori’. Ma penso anche che se chiedessimo a delle donne quale sarebbe il proprio ideale architettonico in poche parlerebbero di grattacieli alti e imponenti.”
Le donne, da discriminate, pensano ai discriminati
E’ innegabile, la mente di uomini e donne è profondamente diversa. E lo è anche perché le difficoltà che le donne devono affrontare sono maggiori, prima fra tutte quella di ‘farsi largo’ in un mondo professionale dominato da maschi. “I primi anni della mia carriera sono stati difficilissimi- rivela Scott- perché ho dovuto dimostrare ai miei colleghi di valere quanto se non più di loro, sono molti gli ostacoli e i pregiudizi che una donna deve affrontare.” Ed è proprio questo uno degli aspetti che si riflette nella progettazione: le donne, da discriminate, pensano ai discriminati. E immaginano quindi un ambiente urbano che consideri di più le minoranze: bambini, anziani, disabili. Una città più a misura d’uomo, con spazi ricreativi e più sicura. Meno sfarzo, più concretezza.
“L’esperienza di essere madri, di doverci occupare dei nostri figli, di doverci affannare per essere riconosciute sul lavoro, di aver provato più e più volte un sensazione di insicurezza quando ad esempio giriamo sole la notte, dà alle donne una maggiore sensibilità- dichiara la progettista e co-fondatrice del network Urbanistas Women Liane Hartley- e una maggiore capacità di guardare le cose da un punto di vista differente.” E’ chiaro, ribadisce Hartley, tutte le minoranze non possono essere considerate, e la questione dovrebbe essere non come sarebbero le città se fossero progettate da donne, ma come sarebbero le città se fossero ascoltate più voci, differenti fra loro.
Città più verdi e funzionali
A conti fatti, quindi, le nostre città sarebbero diverse? Ad esserne convinto è il Women’s Design Service, uno dei primi studi di progettazione formato da sole donne, nato nella metà degli anni ’80 proprio con l’obiettivo di imprimere una svolta in un mondo dominato da architetti di sesso maschile. Secondo Cathrine Greig, parte del team WDS, le donne sarebbero in grado di concepire spazi meno sfarzosi e sicuramente più rispondenti alle esigenze sociali. Se dovessi pensare a una città progettata da una donna la immagino con più verde, più parchi giochi, più servizi accessibili alla comunità e uno sguardo particolare alla mobilità sostenibile.”
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IMU terreni montani, decisa la proroga al 26 gennaio

A renderlo noto un comunicato stampa del Governo, ora il decreto contenente la proroga attende solo la sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale

Nel Consiglio dei Ministri di venerdì 12 dicembre, il Governo ha approvato l’atteso decreto legge che proroga il termine di versamento dell’IMU per i terreni dei Comuni montani dal 16 dicembre 2014 al 26 gennaio 2015. Si ricorda che ora i terreni agricoli montani sono suddivisi in tre categorie:

quelli ubicati in Comuni aventi altitudine superiore a 600 metri sono totalmente esenti da IMU;
quelli ubicati in Comuni aventi altitudine tra 281 e 600 metri sono esenti da IMU solo se posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali;
quelli ubicati in Comuni con altitudine fino a 280 metri sono totalmente imponibili IMU.

Ora, il decreto attende la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il decreto legge approvato contiene anche norme per il rifinanziamento di spese urgenti e disattiva la clausola di salvaguardia prevista nel D.L. n. 66/2014 che prevedeva l’aumento di accise nel caso in cui il gettito IVA derivante dal pagamento dei debiti arretrati delle Pubbliche amministrazioni risultasse inferiore alle previsioni. Il minor gettito IVA viene compensato utilizzando accantonamenti che la legge di stabilità per il 2014 prevedeva a favore della Pubblica amministrazione.

 
Fonte: Governo Italiano

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Tasse sulla casa, cresce il fenomeno della rinuncia a favore dello Stato

Confedilizia: in aumento le schede di cancellazione degli immobili dal
catasto e sempre più italiani stanno pensando di
lasciare la propria abitazione allo Stato perché non riescono più a
pagare le imposte sulla casa http://www.casaeclima.com/ar_19704__ITALIA-Fisco-casa-tassazione-sugli-immobili-Tasse-sulla-casa-cresce-il-fenomeno-della-rinuncia-a-favore-dello-Stato.html

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