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Corviale…”scusate se esisto”

locandina corviale 18 dic 15




Intervista a Paola Cortellesi e al regista Riccardo Milani

” Scusate se esisto” (commento sul film, di una ragazza che dopo l’esperienza all’estero torna in Italia….) domenica 31 Maggio cinema italiaUK al cinema Genesis) un film di Riccardo Milani con Paola Cortellesi Raoul Bova, e altri straordinari attori, come Ennio fantastichini, Lunetta Savino, Cesare Bocci.
E’ la storia di una ragazza architetto, Serena Bruno, interpretata magistralmete da Paola Cortellesi, che dopo la laurea fugge all’estero, a Londra.
E gia’ qui’, le persone che vedono il film, e sono a Londra rimangono attratte, rapite da una sorta di curiosita’, perche’ in quella ragazza in fuga c’e’ una parte di noi immigrati, proprio a Londra.

“Scusate se Esisto” é stata la prima sceneggiatura scritta da te, qual’é il messaggio piú importante che volevi trasmettere?
Paola Cortellesi:
La cosa che mi premeva di più era l’aspetto della discriminazione sul lavoro delle donne che non è una cosa che riguarda solo il nostro paese.
Parliamo anche di “cervelli in ritorno”, e interpreto il ruolo di questo architetta Serena Bruno, un nome molto comune in Italia il fatto che il cognome possa sembrare anche un nome, per questo motivo però Arch. Serena Bruno viene sembre scambiato per Archittetto Bruno Serena, si da sempre per scontato sia un uomo.
Il prologo di questa storia di una donna che riesce ad avere grandi possibilità, che è iper preparata, che fa master all’estero, che lavora qui a Londra (dove abbiamo girato a King’s Cross in un cantiere) e sta benissimo… poi però decide di tornare, tra lo stupore generale che vede tutti basiti.
Ci siamo anche documentati, anche persone che si sono arricchite nella Silicon Valley poi decidono di tornare, noi non sappiamo perchè, ma gli Italiani vogliono tornare.
Comunque Serena Bruno vuole tornare, ma il suo paese non la ama come lei ama lui, perchè si ritrova a fare cose con mansioni decisamente degradanti rispetto alla sua preparazione, viene sempre scambiata per un uomo sui progetti e dunque alla fine decide di fingersi l’assistente di se stessa, perchè quando dice che è l’assistente del Dott. Bruno Serena le danno subito credito e dunque lei va avanti così, ottiene il lavoro e inizia un progetto di ristrutturazione di un quartiere di Roma che si chiama Corviale.
Il corviale è un quartiere molto degradato di Roma, è stato complicato girare in questo quartiere?
Riccardo Milani:
Le difficoltà sono state minime, noi abbiamo lavorato molto prima di girare il film durante la preparazione del film, anche nella ricerca delle persone a cui fare interpretare quei piccoli ruoli di cui il film è costellato. C’è la signora che abita al quarto piano, i ragazzi che rubano il motorino, tutte le persone che la protagonista incontra a Corviale, sono persone di Corviale.
Noi siamo andati al Corviale con l’intenzione di raccontare un esempio di architettura importante che nasce negli anni ’70. Quando siamo andati a Tokyo a presentare il film, il pubblico è rimasto impressionato dalla bellezza di Corviale, un edificio lungo 1 km, un esempio di architettura quasi unico, che ha avuto tuttavia subito dopo la sua costruzione un percorso di degrado immediato.
Come altri esempi architettonici della città, il Corviale è un quadro di come un progetto architettonico che nasce con ambizioni altissime diventa, per altri motivi, un luogo di degrado.
Secondo te nella vita bisogna interpretare un ruolo per avere successo?
Paola Cortellesi:
Si, questo film parla proprio di questo, in questo film tutti interpretano qualcun altro.
Il personaggio di Raul Bova, nella storia è un uomo assolutamente desiderabile per la nostra protagonista, ma non condivide i suoi stessi orientamenti sessuali. Ma lui deve fingere qualcosa per non deludere suo figlio.
In ufficio dove lei lavora, poi si viene a scoprire che ognuno dei professionisti che lavora li dentro, finge qualcosa, chi per un motivo o chi per un altro, insomma in questo film tutti fingono di essere qualcun altro.
Io penso che questo è il cuore del film, l’esigenza che ognuno di noi ha di interpretare un ruolo per compiacere gli altri, piuttosto che essere orgogliosi e fieri della propria identità.
Hai mai detto nella tua vita ad un certo punto “Scusate se esisto”?
Come no, l’ho detto e ci ho scritto una sceneggiatura proprio per questo motivo.
Questo film è nato da esperienze anche autobiografiche, ma sarebbe stato strano parlare di un mestiere come il mio, perchè non si sanno molte cose (tutti pensano che questo sia un mestiere dove si va alle feste, non si fa niente, non si sa la fatica, le ore di teatro, etc)
Io non posso lamentarmi, ciò nonostante lavoro da tanti anni come autrice televisiva e quando mi sono trovata a lavorare in tavoli, chiamata a farlo, con altri autori maschi, comunque ho dovuto faticare a farmi ascoltare, nonostante fossi stata chiamata a farlo.
Ed essere spesso l’unica donna, ho fatto una riflessione, a volte devi un pò “scimmiottare”, cioè non voglio scimmiottare gli uomini, io voglio essere me stessa, non voglio prendere un piglio maschile per farmi rispettare.
Insomma ci sono delle discriminazioni palesi e dei “sottili non detti” che ti feriscono ed è il motivo per cui abbiamo scritto questo film.
Qui a Londra c’e molta immigrazione. Secondo te ha piu coraggio chi rimane in Italia, chi viene qui, o chi ritorna in Italia?
Il coraggio è sia quello di cambiare, e quindi di partire e lasciare ciò che si ha.
Dall’altra è coraggiosissimo anche tornare, perchè tornare è cercare di cambiare le cose nel proprio paese, un paese come il nostro, in crisi da 30 anni.

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L’architetta del film: «In periferia serve una Cortellesi»

guendalina salimeiProtagonista Guendalina Salimei, archistar e docente alla Sapienza, interpretata dall’attrice nel film «Scusate se esisto»

Va spesso all’estero e non soffre di nostalgia. Quando è a Parigi, Bratislava o Hanoi non le manca l’aria di casa, non compensa annusando foglie di basilico. E a Roma, la sua città, mai è rimasta per strada perché due balordi le hanno rubato il motorino. Ha talento come Serena, la giovane architetta di «Scusate se esisto», l’ultimo film-commedia di Riccardo Milani, ma a differenza di lei, anche negli anni degli esordi, non è mai stata così spiantata. «La cameriera per pagarmi l’affitto non l’ho mai fatta», dice. Guendalina Salimei è l’ultima stella, in ordine di tempo, dell’architettura italiana. Il Corriere di Roma le ha appena dedicato un editoriale accostandola a Zaha Hadid. Già sei anni fa, Luigi Prestinenza Puglisi la definì «punta di diamante» delle donne progettiste. Ora la gloria mediatica grazie a Paola Cortellesi, che ha portato la sua storia (professionale) sullo schermo.
Anche se ha vinto concorsi in mezzo mondo e ha progettato una nuova Venezia vietnamita nella baia di Holong, Salimei non si atteggia ad archistar. Si limita ad apprezzarne alcune come Steven Holl, Rem Koolhaas ed Elia Torres. Insegna alla Sapienza e parla convinta di architettura «partecipata», periferie da risanare, progettazione ecosostenibile: parola, ammette «che vuol dire tutto e niente». Per lei, comunque, è sinonimo di materiali locali, soluzioni low-tech e basso consumo energetico. Da quando il film è nelle sale, non ha pace. Amici, colleghi: tutti a complimentarsi. Sanno che il progetto di cui si parla, la ristrutturazione del Corviale, la grande muraglia romana, è suo ed è reale.
Allora, com’è finita in quel film?
«Mi chiama il regista e mi racconta di una commedia con un’architetta protagonista. Mi dice che ha bisogno di me. Di me? E lui: incontriamoci».
E la storia del Corviale?
«Milani e Cortellesi sapevano tutto del mio progetto: che era già stato selezionato, e che lo avevo chiamato “Il chilometro verde”, perché avevo immaginato un giardino pensile. Volevano conoscere i dettagli, il prima, il come, il perché».
Il film le è piaciuto?
«Molto, fa ridere e pensare».
Sorpresa dall’attualità della storia? Si parla di una periferia simbolo proprio mentre quelle reali si infiammano.
«Il mistero, semmai, è come ci si possa essere dimenticati delle periferie. Noi che le frequentiamo, sapevamo. Renzo Piano ci sta lavorando con i suoi giovani architetti e siamo in attesa dei risultati della sua sperimentazione».
A un certo punto è sembrato che l’Italia avesse una sola periferia: Scampia.
«È vero, poi, dopo le rivolte negli Usa e prima ancora in Francia, la cronaca ha scoperto le periferie di Milano, di Roma, di Torino. Tutte molto simili».
Perché le periferie italiane sono così brutte?
«Non sono più brutte delle altre. È vero, invece, che le nostre città sono bellissime, al Nord come al Sud; e che i nostri centri storici e le nostre piazze sono rari condensati di storia e cultura. Al confronto, la periferia ci perde, è ovvio. Qui il Pantheon, lì il Corviale. Qui i decumani napoletani, lì le “vele” di Secondigliano. E su!».
Perché, senza Pantheon o decumani cosa cambierebbe?
«A Roma si dice che il Corviale è buono solo a fermare il ponentino. Ma fu progettato negli Anni 70, in un’altra era. Mario Fiorentino non poteva certo immaginare l’uso e l’abuso degli anni a seguire: il vuoto intorno, l’incuria, l’assenza di articolazione sociale».
Quando le periferie cominciano a imbruttire?
«Quando diventano monofunzionali, buone solo per andarci a dormire. E, più di recente, quando le città cominciano a scaricare qui il peso dell’immigrazione e le conseguenze della cattiva integrazione».
Abbattere o recuperare?
«Recuperare. Noi italiani sappiamo farlo, ma un certo punto abbiamo smesso. I sindaci hanno pensato ad altro».
Recuperare anche se costa di più?
«Non costa di più. So di cosa parlo».
Lei è ottimista?
«Sì, ma a tre condizioni».
La prima.
«Le nostre periferie non sono connesse. Bisogna renderle accessibili».
Ma la connessione, si obietta, talvolta “periferizza” i centri storici.
«Senza, c’è il conflitto. L’isolamento crea insicurezza sia in periferia sia in centro».
La seconda condizione.
«La periferia ha bisogno di spazi di relazione, perché non c’è solo l’isolamento dei luoghi, c’è anche quello delle persone. E quello che ho cercato di fare al Corviale. Bisognerebbe fare come la Cortellesi nel film: ascoltare chi in periferia ci vive, sedersi allo stesso tavolo».
La terza.
«Farla finita con la monofunzionalità. Bisogna portare in periferia parti vive della città. Le università, tanto per cominciare. Ammiro molto gli olandesi: devono vedersela col mare incombente, eppure recuperano l’irrecuperabile».
Vedremo davvero il chilometro verde?
«Pare proprio di sì».

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