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Quando la rigenerazione urbana parte dagli edifici scolastici

Un grande campus scolastico a Baltimora al centro di un quartiere da riqualificare, con tanto verde, aree da condividere e spazi interni flessibili e adattabili ai diversi programmi pedagogici

Non un edificio scolastico, ma un vero e proprio campus dedicato all’apprendimento (e insegnamento). La Henderson-Hopkins School è più di un progetto architettonico, è un modello di “rigenerazione urbana” volto ad incidere profondamente sulla società di Baltimora.

Microcosmo all’interno della città 
Sviluppato come una sorta di microcosmo all’interno della città, il complesso di edifici scolastici destinati a vari classi di istruzione, si compone di una serie di piccoli fabbricati- ispirati nella loro conformazione alle tradizionali villette a schiera di Baltimora- immersi in strade, piccole aree verdi e spazi da condivere.

Spazi in condivisione

Ciascun edificio è dotato di uno spazio in comune dove si consumano i pasti e di una terrazza destinata ad alcune attività didattiche o ludiche, che ha lo scopo di promuovere sia la condivisione di spazi con i compagni di scuola sia l’apprendimento individuale (vi sono tavolini dove gli studenti possono fermarsi a studiare o leggere).


Spazi interni flessibili

L’architettura del campus riflette l’attuale stato dell’arte della ricerca pedagogica. Gli spazi interni sono flessibili e adattabili a qualsiasi tipo di programma pedagogico e conformi alle diverse capacità di apprendimento, abitudini ed età degli studenti. Per facilitare, inoltre, l’apprendimento si è puntato sulla realizzazione di grandi aperture finestrate che consentano un forte ingresso di luce naturale.

Questo progetto – afferma Robert M. Rogers, fondatore dello studio Rogers Partners che ha realizzato il progetto –  rappresenta ciò che l’architettura scolastica potrebbe (e dovrebbe) essere. Il nostro obiettivo era quello di recuperare e re-immaginare un tessuto urbano ricco di opportunità per l’area ad est di Baltimora e di tradurre concretamente il concetto di scuola come istituzione fortemente radicata all’interno di una comunità

Crediamo che i quartieri forti siano costruiti intorno a delle forti scuole pubbliche – ha aggiunto Christopher Shea, Presidente EBDI (East Baltimore Development , Inc.), organizzazione no-profit che ha collaborato al progetto, che prevede non solo la costruzione del campus scolastico ma una serie di strutture e servizi volti a riqualificare l’intero quartiere: un consultorio familiare, una biblioteca, un auditorium e una palestra

Architetti: Rogers Partners

Località: 2100 Ashland Avenue, Baltimore, MD 21205, USA

Sviluppatore del progetto: Vincent Lee, AIA, Associate Partner

Project Manager: Timothy Fryatt, Associate

Project Architect: Kip Katich, AIA

Superficie: 12.000 mq

Anno: 2014

Costo: 53 milioni di dollari

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Richiesta di “Dichiarazione di interesse culturale” per il Cinema America

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Non esiste un concetto di bene culturale. Vi sono cose, gruppi e complessi di cose che hanno importanza per la storia, la condizione presente e i prossimi sviluppi della cultura. La cultura non è proprietà di persone, di classi, di singoli paesi; è di tutti. Bene culturale significa dunque bene pubblico. Il termine «bene» ha un senso patrimoniale: i beni culturali sono tali perché parti di un patrimonio. Il patrimonio culturale è mondiale, dunque ciascun paese risponde del proprio a tutto il mondo civile. Ogni paese civile ha leggi che proteggono, cioè disciplinano l’uso del proprio patrimonio culturale: all’apparato giuridico corrispondono servizi tecnici e amministrativi per l’interpretazione e l’applicazione delle leggi di protezione.  (Giulio Carlo Argan)

 

 

La richiesta di dichiarazione di interesse culturale del Cinema America, progettato negli anni ’50 da Angelo di Castro, si muove nella direzione di un suo duplice riconoscimento culturale: per le proprie caratteristiche architettoniche, in quanto “sala cinematografica” emblematica della specifica tipologia e riconoscibile elemento dello spazio urbano, e per il suo valore socio-antropologico.

 

Tra le sale cinematografiche romane tale riconoscimento è stato dato prima di oggi, e quando ormai compromesso, solo al Cinema Airone di Adalberto Libera consentendo così la distruzione di un patrimonio unico al mondo nel suo insieme.  Fino agli anni ’80 si contavano, infatti, solo a Roma oltre 300 sale cinematografiche, di cui ben 250 realizzate tra gli anni ’20 e ’50, espressione del ruolo rivestito dalla nostra città anche nel campo cinematografico internazionale, seconda al mondo solo ad Hollywood grazie alla presenza di diversi studios tra cui quelli di Cinecittà.

 

Identificati come “edifici per lo spettacolo” hanno subito e subiscono ancora oggi un triste destino. Mentre vengono trasformati e/o demoliti, i cosiddetti “edifici per la cultura”, al contrario meritevoli per principio di essere tutelati, per sopravvivere non fanno altro che imitarli alla ricerca di un possibile spettacolo, promuovendo eventi collaterali, proiezioni ed incontri di massa. Ed è così che le nostre politiche culturali anziché sottrarre la cultura alla logica imperante di mercato, così come indicato dall’art.9 della Costituzione Italiana, promuovono tale logica all’inseguimento del pubblico.

 

Solo superando l’errore di fondo per cui un film, e con esso un cinema, possa essere ridotto al suo unico valore commerciale, ed attribuendogli invece il giusto peso culturale, crediamo sia possibile uscire da questo momento di crisi e trovare azioni in grado di contrastare la caduta dell’opposizione tra mercato e cultura a cui si assiste da troppo tempo. Il tentativo ricorrente di portare il “cinema” in un museo, alla ricerca di pubblico per quest’ultimo, non fa altro che confermare quanto per noi già chiaro: il cinema, in quanto contenente, è da sempre, e a tutti gli effetti, un museo. Un museo dinamico per l’arte del cinema che è stato capace, come Walter Benjamin ci ha insegnato, di modificare totalmente il rapporto delle masse con l’arte.

 

Tutelare oggi il Cinema America, riconoscendogli valore culturale, significa innanzitutto muovere un primo passo in questa direzione e prendere le distanze da un atteggiamento di totale sottovalutazione del valore delle sale cinematografiche e, con esse, del nostro patrimonio architettonico moderno.

 

Anche se di valore riconosciuto da diversi autori e in diverse pubblicazioni,  molte sale sono, infatti e  purtroppo, andate perse del tutto o quasi: anche laddove si è voluta mantenere la destinazione d’uso originaria, nel trasformarle in multisala, si sono completamente perse tutte quelle caratteristiche tipologiche capaci di conferirgli valore architettonico. Caratteristiche che, al contrario, il Cinema America testimonia ancora, ed unicamente, per intero grazie ad una sua totale integrità formale.

 

Chi oggi frequenta il Cinema Lux (ex Alcyone), così come il Jolly, il Fiamma e molti altri, sa bene di non trovare più quella spazialità paradigmatica del “cinema” così come lo abbiamo sempre inteso. Spazialità che distingue un qualsiasi corpo di fabbrica da un’opera di architettura. I cinema hanno inoltre rivestito un ruolo fondamentale nei confronti dell’architettura moderna che risulta essergli in parte debitrice: spingendosi sempre in avanti alla ricerca di soluzioni volte a realizzare grandi ed unici invasi, sono tra i primi ad avere eliminato ostacoli strutturali e visivi per realizzare grandi campate con anche determinate caratteristiche acustiche. Basti pensare all’uso dei materiali: dai pannelli a doppio strato con interposta camera d’aria, alle superfici ondulate in grado di assorbire il suono mediante opportune forature; quelle stesse che vediamo ancora oggi nel Cinema America e che ritroviamo in molte architetture contemporanee. L’uso di materiali innovativi, come ad esempio il vetroflex, portò la ricerca e l’industria italiana ad una produzione di altissimo livello tanto da mostrare oggi una competenza tecnica meritevole di conservazione e tutela, ad esempio e studio dell’evoluzione della nostro costruire.

 

Modellato in funzione dell’osservatore, il Cinema America ha concretizzato a suo tempo tutte le nuove esigenze spaziali legate alla proiezione in presenza di un vasto pubblico, non solo al proprio interno, ma anche al proprio esterno in uno stretto rapporto dialettico tra dentro e fuori. Utilizzando elementi ricorrenti e comuni alle altre sale, è entrato a far parte della cultura figurativa e architettonica del Rione Trastevere e della città intera.L’insieme delle singole opere ci restituisce lo sviluppo della nostra città: riteniamo pertanto doveroso salvaguardare quelle oggi ancora intattecome il Cinema America.

 

Nel 1980, in occasione della mostra curata con Giorgio Muratore e Roberto Veneziani, “I cinema nella città”, Renato Nicolini manifestava la preoccupazione per un patrimonio in via di trasformazione: “è attraverso i cinema che rileggiamo l’architettura di Roma”, ma “le scelte di trasformazione debbono essere esplicite, anche se dolorose. Quello che non è ammissibile è fingere di conservare strutture nella realtà irrimediabilmente alterate.” Nascondersi allora dietro la conservazione di alcuni sporadici elementi, come nel caso della facciata del Cinema Etoile, ex Cinema al Corso di Marcello Piacentini, trasformato oggi in “concept store di Vuitton”, è quanto meno inaccettabile. Considerare una ventina di poltrone di fronte ad uno schermo, e qualche libro su un bancone, il giusto pegno culturale per il cambio di destinazione d’uso di una sala cinematografica equivale a negare l’esistenza di una qualsiasi politica culturale nei confronti del Cinema e della città tutta.  Ai nostri occhi solo il riconoscimento di valore culturale a questa sala nel cuore di Roma, ormai unico esempio esistente a Roma di un cocktail di elementi caratterizzanti il cinema di epoca moderna, può dare inizio ad un dichiarato cambio di rotta.

 

Tra i pochi casi rimasti di edificio isolato in un tessuto urbano consolidato, il Cinema America presenta infatti sul proprio fronte, quasi totalmente cieco, la tipica pensilina nervata della sua epoca che, insieme all’insegna luminosa, evidenzia il carattere di elemento urbano distintivo del cinema stesso, di “architettura per la città”. Altra eccezione oggi, che di per sé mostra valore inestimabile, è la copertura apribile che, nel consentire areazione alla sala, permetteva il contatto/contrasto tra la “luce” della notte ed il suo buio. Grazie alla profondità di campo di uno spazio articolato in platea e galleria, il CINEMA AMERICA rivela a tutt’oggi una sua FORTE INDIVIDUALITÀ, così all’interno come al suo esterno. La grande sala da 700 posti, con la sezione doppiamente inclinata e dalla forma leggermente trapezoidale per consentire perfetta visuale e acustica, è infatti leggibile nel suo prospetto grazie alla distinzione di ogni parte ed al contrasto esistente tra la compressione dello spazio di accesso e la grande apertura della sala stessa. Ad eccezione delle ceramiche di Leoncillo, indipendentemente esposte sotto lo schermo, tutti gli elementi decorativi sono ancora presenti e perfettamente integrati all’architettura. Dalle splendide maniglie in ottone alle grandi vetrine per i manifesti dei films, fino ad arrivare ai duesignificativi mosaici opera dell’artista Anna Maria Cesarini Sforza. Lo stesso possiamo dire per la struttura che è ancora in grado di rispondere positivamente ai punti più significativi del D.M. 261 del 1996, grazie alla distribuzione della sala e delle sue vie di fuga, alla posizione della cabina di proiezione ed ai materiali usati.

 

Nato nel 1954 per rispondere alle esigenze delle nuove tecnologie e di un vasto pubblico, sui resti della demolizione del teatro Lamarmora del 1925, il Cinema America testimonia una lunga e articolata storia, di vicende politiche, sociali e culturali. Ma l’ultimo passo ora da compiere è riconoscere la radicale diversità tra storia e memoria individuale; quella diversità che Vittorio Vidotto individua nella memoria collettiva, insieme di ricordi, di narrazioni e rappresentazioni del passato condivisi da un gruppo o da una collettività, talora da un’intera nazione. ”La memoria collettiva non è storia, è piuttosto uno degli oggetti più interessanti della ricerca storica, in quanto prodotto e riflesso di un comportamento culturale”. E il Cinema America è senz’altro memoria collettiva del suo Rione: chiunque sia di Trastevere racconta oggi un suo momento, un aneddoto. I più anziani ci parlano del Teatro Lamarmora, di Cacini e Fabrizi, altri ricordano la magia del cielo stellato, il fumo denso che all’improvviso si alzava a liberare l’aria della sala e le lunghe file per entrare. “Si andava al cinema non solo per vedere il film ma per stare insieme”, ci dicono a conferma delle parole di Giuseppe Tornatore: “Quando scompare una sala è come se venisse meno un amico, un conoscente, con il quale abbiamo condiviso un pezzo di strada e tante emozioni”.
I più giovani, al contrario, hanno avuto in pochi la fortuna di condividere la visione, e l’emozione, di un film con altre 7/800 persone ed è soprattutto per loro e per quanti arriveranno dopo, per assicurare non solo la storia letta, scritta, ma anche la memoria collettiva, che abbiamo oggi il dovere di riconoscere il Cinema America “bene di interesse culturale”.
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PARTECIPAZIONE, DAVVERO

partecipazione

Romasperimenta –  Trasformarelacittà

 

Cinema Tiziano 11 febbraio dalle 17 alle 19.30

 Si parla molto di partecipazione, ma  ben pochi sanno veramente in che cosa consiste.

Molti hanno capito  come “non deve” essere – una pseudo consultazione che non coinvolge i cittadini nelle scelte – e  molti credono che sia una specie di “democrazia diretta”, in cui sono i cittadini che decidono tutto.

Per cominciare con il piede giusto l’esperienza che decollerà a breve al Flaminio per la trasformazione dell’area della ex caserma di Via Guido Reni, Carteinregola e  Cittadinanzattiva Flaminio organizzano un seminario sulla partecipazione,  invitando i comitati e i cittadini del quartiere ma anche della città, nella prospettiva di rendere il Flaminio-Villaggio Olimpico, oltre a  un laboratorio di  trasformazioni urbane, anche un laboratorio di cittadinanza attiva.

Saranno chiamati a intervenire  diversi comitati cittadini che hanno vissuto esperienze di progetti partecipati autogestiti o avviati insieme alle istituzioni, saranno raccontati esempi viurtuosi e fallimentari, saranno invitati  i responsabili del processo di partecipazione del progetto del Flaminio insieme a  esperti, autori di studi e seminari sulla partecipazione.

Sul sito di Carteinregola verrà inaugurata una sezione con un censimento delle esperienze passate e in corso nell’area di Roma Metropolitana

Partecipano:

Luca Lo Bianco Capo segreteria Assessorato alla Trasformazione Urbana di Roma Capitale.Esperto di sviluppo locale partecipato

Carlo Cellamare  docente di urbanistica della Sapienza, autore di libri e  pubblicazioni su progetti partecipati (tra cui Progettualità dell’agire urbano. Processi e pratiche urbane Editore: Carocci)

Mirella Di Giovine Direttore Dipartimento Patrimonio – Sviluppo, Valorizzazione di Roma Capitale. Come Direttore del Dipartimento XIX Politiche per lo sviluppo ed il recupero delle Periferie  ha gestito  politiche integrate di cui facevano parte processi partecipativi

Riccardo D’Aquino docente  di progettazione University Rome Center,  è nel direttivo di Cittadinanzattiva Flaminio

Alessandro Giangrande già docente Roma 3 – Associazione PSP, Progettazione Sostenibile Partecipata – COORDINAMENTO CITTADINO PROGETTO PARTECIPATO EX RIMESSA ATAC VITTORIA

Emma Amiconi, Direttore Fondaca  Fondazione per la Cittadinanza Attiva

Maurizio Colace, Rinascimento di Roma

Paolo Gelsomini, Coord. residenti Città Storica Carteinregola

Mario Spada come  consulente del Comune di Roma ha promosso dal 1994 al 1998 le prime sperimentazioni di partecipazione dei cittadini ai programmi di rigenerazione urbana realizzando una rete di laboratori di quartiere.

I COMITATI CITTADINI*

Coordina Carlo Infante Urban Experience

La partecipazione non è direttamente proporzionale alla quantità degli interventi su un palco. Utilizziamo il blog di Romasperimenta come piattaforma collaborativa di orientamento e aggregazione per tutte le realtà che vogliono raccontare esperienze di  partecipazione attiva alle trasformazioni urbane, sia come buone pratiche, sia come esempi fallimentari. INVITIAMO I COMITATI CITTADINI A INVIARE LINK ALLE PAGINE WEB CHE RACCONTANO I PERCORSI PARTECIPATI VISSUTI  a romasperimenta@gmail.com

Cominciamo da martedì un percorso di riflessione collettiva sulla “partecipazione” dei cittadini alle trasformazioni urbane e non solo, partendo dal Flaminio, al Cinema Tiziano  (> vai alla pagina) di fronte alla ex caserma di via Guido Reni, che  nelle prossime settimane diventerà protagonista di un  laboratorio partecipato con i comitati di quartiere. Cominceremo da qui a raccontare e a raccontarci come si può partecipare, ma continueremo  in altri quartieri della città, in più incontri, fino a organizzare una iniziativa che coinvolga tanti comitati e tante esperienze prima dell’estate.Intanto cominciamo ad accumulare informazioni, suggestioni, riflessioni alla pagina “partecipazione”. E a proporvi  due  video: il primo a cura di Mario Spadaracconta il “Progettare con i cittadini”  , il secondo un’esperienza gestita da Urban Experience in Puglia…

http://carteinregola.wordpress.com/2014/02/08/partecipazione-davvero/

RIFLESSIONI E ESPERIENZE DI PARTECIPAZIONE

http://www.statigeneralinnovazione.it/online/dare-forma-alla-partecipazione-23-novembre-citta-dellaltra-economia-nuova-tappa-della-roadmap-del-progetto-roma-smart-city/

http://www.urbanexperience.it/eventi/roadmap-per-roma-smart-citydare-forma-alla-partecipazione/

SULLA EX CASERMA DI VIA GUIDO RENI AL  FLAMINIO

https://cittadinanzattivaflaminio.wordpress.com/progettoflaminio/casermadiviareni/partecipazione-al-flaminio-il-diario/

 

 




Puglia, il project manager che ha trasformato un’ex fabbrica in un’officina di idee

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Roberto Covolo è il project manager responsabile del progetto di riqualificazione e trasformazione di un ex stabilimento a San Vito dei Normanni (Brindisi) in uno spazio culturale e sociale innovativo chiamato “Ex Fadda”, un’officina di idee al servizio del territorio. “Ex Fadda-Idee Extralarge” è un luogo restituito alla comunità: da spazio degradato e inagibile, in cui era proibito persino giocare, a luogo di tutti.

 L’ex stabilimento enologico “Dentice di Frasso“ è un bell’esempio di archeologia industriale come ce ne sono tanti in Italia: un immobile di pregio – di circa 3.000 mq coperti e 15.000 scoperti – simbolo di un grande passato industriale. Dopo che la proprietà venne trasferita alla Regione Puglia, però, l’ex fabbrica fu più utilizzata e rimase in stato di totale abbandono fino al 2011, quando un gruppo di ragazzi, professionisti e imprenditori locali capeggiati da Roberto Covolo ha avuto un’idea “folle”: trasformare una fabbrica abbandonata in un luogo pubblico per l’aggregazione, la creatività e l’innovazione sociale, riqualificarne gli spazi a costo zero attraverso l’auto-costruzione e coinvolgere il territorio sui temi dello sviluppo locale e del sostegno alla cultura.

Il progetto prende il nome da Renato Fadda, ultimo direttore dello stabilimento e marito dell’ultima erede dei Dentice di Frasso, e se oggi “Ex Fadda” è uno spazio pubblico gestito da una trentina diorganizzazioni e imprese attive nei campi della comunicazione, della cultura e del sociale, lo si deve ad un’iniziativa nata “dal basso”, dalla cittadinanza: “E’ stata una scommessa a partire da un’idea che avevamo in testa: quella di provare a creare, lontano dai flussi principali di persone e cose in Puglia, uno spazio che potesse ragionare come se fosse in una grande città europea”, ha spiegato Roberto alla stampa locale. Roberto è uno dei protagonisti di questa rinascita e ci ha creduto fin dal primo momento, tanto da lasciare il posto fisso in Regione Puglia per dedicarsi a tempo pieno al progetto. Dal 2012 coordina tutte le attività e le “idee extralarge” che nascono in questa “officina del sapere”, con l’obiettivo di farla diventare lo “spazio culturale e sociale più bello della Puglia”.

ExFadda4 150x150 Puglia, il project manager che ha trasformato unex fabbrica in unofficina di idee“In questo momento”, ha detto Roberto, “utilizziamo circa 2.000 mq della struttura: li abbiamo resi fruibili attraverso un cantiere di auto-costruzione in cui abbiamo coinvolto designer e architetti di tutt’Italia, insieme a volontari locali. Ad ispirare il cantiere sono state le pratiche del recupero dei materiali, della sperimentazione di architetture con materiali naturali, della partecipazione diffusa alla riqualificazione. Gli spazi sono dedicati a uffici, laboratori, aule, sala prove, gallerie di esposizione, spazi per le performance. È uno spazio modulare, un posto così flessibile da poter essere, al tempo stesso, uno spazio per concerti e una palestra, un laboratorio di ricerca e una galleria d’arte”. Ma non è tutto: un aspetto fondamentale del progetto riguarda anche l’inclusione sociale. A fine febbraio, infatti, nelle cosiddette “stalle del Principe” aprirà “XFood”, il “ristorante sociale” che darà lavoro a persone con disabilità e che servirà cibi locali a km zero.

Il progetto “Ex Fadda” è promosso dal Comune di San Vito dei Normanni e dalla Regione Puglia ed è gestito, dicevamo, da realtà locali: “Siamo una comunità di una trentina di organizzazioni: associazioni, giovani imprese, gruppi informali e singole persone che sviluppano progetti all’interno di “Ex Fadda”. Stiamo progettando una serie di attività che riguardano il rapporto tra impresa, cultura e sviluppo sul nostro territorio, perché la prossima frontiera da raggiungere è convincere il tessuto attivo di imprenditori della zona a mettere la faccia su questa operazione e a trovare un pensiero condiviso sul sostegno dei costi della cultura”.

Il progetto “ExFadda”, ha continuato Roberto, “è basato su meccanismi di carattere comunitario: non vogliamo concepirci come uno spazio che eroga servizi, quanto piuttosto come un luogo in cui costruire relazioni tra le persone e i progetti e creare opportunità. Ospitiamo progetti e aziende che lavorano assieme, ma abbiamo un concetto differente rispetto al co-working tradizionale. Il nostro obiettivo non è “affittare scrivanie”: noi vogliamo condividere idee. Lasciamo che siano le persone stesse a stabilire quanto “vale” la loro presenza all’interno di ExFadda. In pratica, siamo qualcosa a metà tra uno spazio di co-working, un incubatore di idee e uno spazio sociale”.

“Io penso che in Puglia abbiamo qualcosa in più: è la nostra capacità di relazione, la nostra capacità di stare insieme ad altre persone e costruire contesti comunitari, dalla famiglia al gruppo di amici”,ha concluso.“Questa cosa, che è sicuramente un lascito della nostra tradizione, può essere una straordinaria risorsa contro la crisi. In questo contesto proprio il tema delle relazioni e del capitale sociale presente in Puglia può essere un ottimo motivo per venire qui, facendo leva sulla comunità come strumento indispensabile per affrontare la crisi”.

Laura Pavesi

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Inaugurazione lavori ATER

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Inizio del lavori di manutenzione al Palazzo ATER

ater romamercoledì 15 gennaio ore 11,30
Largo Cesare Reduzzi

INIZIO DEI LAVORI DI MANUTENZIONE DELLE CINQUE SUPERSCALE

saranno presenti:
DANIEL MODIGLIANI (Commissario Straordinario – ATER del Comune di Roma)
FABIO REFRIGERI (Assessore Infrastrutture, Politiche Abitative, Ambiente – REGIONE LAZIO)
PAOLO MASINI (Assessore Periferie e Lavori Pubblici – ROMA CAPITALE)
MAURIZIO VELOCCIA (Presidente del Municipio XI°)
invito




Rassegna stampa > Roma: il Corviale si riqualifica e diventa sostenibile

wise-society-people-for-the-future-logoA trent’anni dalla sua costruzione l’edificio della periferia di Roma esempio negativo di architettura popolare punta alla rinascita grazie ad un progetto condiviso

E’ possibile trasformare un esempio di architettura residenziale poco riuscita in uno spazio riqualificato dove pensare persino di sperimentare un nuovo modo di abitare la città? Sembra proprio di sì, secondo quanto emerso dal Forum dedicato alla rinascita di un edificio che in realtà, per dimensioni, costituisce da solo un quartiere della periferia ovest di Roma, il Corviale. Il titolo della kermesse, svoltasi a Roma tra il 21 e il 23 novembre scorso, Corviale 2020, intelligente sostenibile inclusivo, rispecchia la giusta ambizione degli abitanti che affiancati dalle istituzioni (Regione Lazio, Comune di Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Facoltà di architettura della Sapienza, Istituto case popolari) si stanno impegnando nel progetto diriqualificazione degli spazi del quartiere  attraverso un protocollo di intesa in cui l’obiettivo è di “promuovere e favorire tutte quelle attività volte a innalzare la qualità della vita e per il benessere della comunità, attraverso lo sviluppo di una cultura dell’abitare e del paesaggio”. L’idea è di creare un modello abitativo innovativo che preveda non solo il consumo ma anche la produzione di energia, di cibo, di innovazione. Insomma l’affermazione di un’economia che genera inclusione sociale e diminuzione della spesa del welfare.Ma cos’ è Corviale? Si tratta di un progetto di edilizia popolare nato alla fine degli anni ’60 in una situazione in cui il problema di dare una casa agli operai era centrale. A questo rispondeva l’idea, per molti versi utopistica, dell’architetto Mario Ferrandino. Ma Corviale divenne in breve l’emblema deldegrado urbano, di povertà e delinquenza. In una parte – l’intero quarto piano, che i progettisti avevano destinato a spazi comuni e commerciali – l’edificio fu occupato in modo abusivo da intere famiglie che oramai lì ci vivono da trent’anni. Una leggenda metropolitana è arrivata addirittura ad accusare Corviale di essere la causa della scomparsa del ponentino, il famoso vento romano… Insomma ciascuno si è fatto un’idea di quello che è anche chiamato il Serpentone, comprese le molte amministrazioni pubbliche succedutesi alla guida della città che hanno oscillato dalle ipotesi estreme di riqualificazione a quelle di abbattimento. Si è detto che Corviale sia troppo grande (e in effetti l’edificio principale è alto nove piani), troppo lungo (un chilometro, adagiato come un enorme grattacielo sul terreno), troppo isolato (qualcuno ha aggiunto, situato tra la fine della città e la campagna). Quello che è evidente è che versa in stato di degrado, avendo necessità, a trent’anni dalla sua costruzione, di manutenzione soprattutto delle parti esterne e di rifacimento degli impianti, alcuni mancanti come quelli antiincendio. E non è un luogo piacevole dove vivere per le oltre 8000 persone che occupano i 1300 appartamenti anche perché mancano spazi di aggregazione, previsti dal progetto ma mai costruiti.Ma negli ultimi anni, è accaduto qualcosa di diverso e di importante che rende Corviale una realtà molto più viva e complessa di come appare a una prima superficiale impressione. “Accanto alle criticità esistono – ha detto l’architetto Paolo Castenovi del Politecnico di Torino – anche potenzialità da sfruttare che rappresentano l’altra faccia della medaglia, per ripensare a un modo nuovo di abitare questi spazi”. Per esempio, proprio per la sua posizione periferica ma immersa nel sistema dei parchi più vasto della città costituito dalla Tenuta dei Massimi e dalla Valle dei Casali, Corviale può funzionare da cerniera tra città e campagna svolgendo un ruolo di integrazione con gli spazi rurali, peraltro molto belli dal punto di vista paesaggistico. Esiste inoltre una forte identitàrispetto a Corviale da parte dei suoi abitanti che può costituire un punto di forza. Infine, è vero che è isolato, ma proprio perché circondato da spazi vuoti, è facile intervenire per creare o migliorare le aeree comuni destinate a servizi e usi pubblici e dall’arrivo dei primi inquilini nel ‘82 sino a oggi, qualcosa è stato fatto. Sono stati costruiti impianti sportivi, uffici pubblici e una piscina comunale, sono attive associazioni come il Calcio Sociale e il Rugby, esiste una biblioteca. C’è un giornale on line, www.corviale.com in cui si svolge anche attività di formazione giornalistica. Da uno spazio abbandonato è nato il Mitreo, centro culturale e artistico di arte sede del comitato Corviale Domani e un mercato a km zero si svolge settimanalmente per le strade del quartiere e raccoglie i prodotti delle aziende agricole circostanti. I cittadini di Corviale, ora puntano a un salto di qualità per trasformare il Serpentone da “mostro” a esempio virtuoso. Per questo il sociologo Fabrizio Battistelli della Sapienza di Roma, ha parlato di “rigenerazione degli spazi”, da realizzare attraverso due strumenti: la partecipazione popolare e lo sviluppo economico sostenibile. Anche la cultura, in questo processo di crescita, “dev’essere integrazione sociale e rilancio” come ha sottolineato l’assessore alla cultura di Roma Flavia Barca – e “questa è una sfida nuova per il quartiere e la città intera che può diventare un modello da esportare anche all’estero”.

In termini concreti, è in attesa di essere messa a disposizione per gli interventi sul territorio una somma consistente già stanziata di quaranta milioni per partire con la riqualificazione degli spazi e la ristrutturazione degli edifici. Ed anche per realizzare quell’idea che sicuramente potrebbe rivelarsi il simbolo della rinascita di Corviale: il riuso del tetto “più grande del mondo”come luogo vitale di incontro e di aggregazione di persone, beni, informazioni che operano nelSerpentone. Il progetto prevede la creazione di uno spazio verde – costituito da serre idroponiche(tecnica di coltivazione fuori suolo), pergole fotovoltaiche, orti e verde pensile, laboratori artigianali e mini fab lab per servizi digitali personalizzati. – in stretto dialogo con il territorio circostante. In primo luogo con lo spazio che circonda gli edifici che dovrà contenere aree riconoscibili di aggregazione, come le piazze, che oggi non esistono, e poi piste ciclabili e un sistema di pedonalità diffusa. L’integrazione del sistema verde creato sul tetto di Corviale dovrà svilupparsi anche con l’ampia campagna e il bosco circostante per mettere le basi ad un’economia sostenibile, in grado di generare profitti ma anche di fornire migliore qualità di vita.

http://wisesociety.it/

http://wisesociety.it/architettura-e-design/roma-il-corviale-si-riqualifica-e-diventa-sostenibile/




Come rendere verdi e pedonali le periferie urbane

seattleOggi più che mai è attuale il dibattito sullo stile di vita attivo, opposto come modello salutare a quello sedentario e dipendente dall’uso dell’automobile per qualsiasi minimo spostamento.
Si tratta di una questione particolarmente importante in un Paese come gli Stati Uniti, dove la conformazione delle cittadine provinciali e dei suburbs (le periferie urbane), costituite da abitazioni isolate, grandi centri commerciali sparsi e mega arterie stradali trafficate, favorirebbero l’uso smodato delle macchine, a discapito degli spostamenti a piedi. Il tutto con ricadute negative sulla salute dei residenti, a rischio obesità e attacchi cardiaci.
MODIFICARE I CENTRI URBANI E SUBURBANI A FAVORE DEI PEDONI E DEL VERDE. In molti urbanisti e architetti si stanno quindi interrogando su come invertire questa tendenza in positivo, modificando questi centri residenziali a favore dello stile di vita attivo. Un esempio ben riuscito in tal senso è rappresentato dal quartiere Northgate, a nord di Seattle, recentemente interessato da un profondo – e ragionato – intervento di retrofit, in chiave green.
PIÙ DENSO, PIÙ VERDE. Northgate è sempre stato “famoso” per essere sede di alcuni dei più antichi centri commerciali del paese, ma anche – negli ultimi tempi – per l’alto numero di malattie croniche associate a stili di vita sedentaria e per i numerosi decessi da incidenti stradali. Ragion per cui un team di progettisti è stato incaricato di riqualificare un’ampia porzione del quartiere, seguendo tre principali direttive: rendere interrati i parcheggi, riportare alla luce il torrente Thornton Creek, costretto sotto terra, e realizzare un vicinato denso, efficiente e verde, con spazi in comune, dove ritrovare il gusto dello stare all’aria aperta e muoversi a piedi.
CONDOMINI LEED SILVER E SPAZI COMUNI. Per Northgate i progettisti, insieme ad una squadra composita di urbanisti e paesaggisti, hanno stabilito un’infrastruttura civica di nuovi parchi, una nuova biblioteca pubblica, un centro comunitario e un grande parcheggio sotterraneo in comune. Tutt’attorno sono stati realizzati una serie di condomini certificati LEED Silver (di cui una parte con alloggi a prezzi agevolati), che incorporano un sistema di teleriscaldamento e che, in fase di cantiere, hanno riciclato il 90 per cento dei rifiuti da costruzione. Tutt’attorno è stato ripristinato l’habitat naturale del fiume Thornton Creek, che aiuta ad assorbire l’acqua piovana in eccesso e che nel giro di pochi mesi ha attirato una serie di specie vegetali e faunistiche andate disperse.
IN MOLTI RESIDENTI HANNO RINUNCIATO ALL’AUTO DI PROPRIETÀ. I risultati non si sono fatti attendere: in moltissimi residenti hanno scelto di rinunciare all’auto di proprietà, preferendo i mezzi pubblici e il car sharing, mentre biblioteca e centro di incontro hanno registrato subito un alto numero di iscritti.

L’auspicio è che ora altri suburbs – americani e non – possano seguire l’esempio.
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Il vademecum per le smart cities

smart-cityPer dare sostegno e supporto alle amministrazioni che vogliono intraprendere la strada dell’innovazione e del cambiamento, lo Smart Cities Council, in collaborazione con la business school ESADE di Barcellona, ha elaborato delle linee guida da seguire per trasformare qualsiasi città in una smarrì city.

Il vademecum, che prende il nome di “Smart Cities Readiness Guide”, contiene oltre 50 casi studio di città intelligenti che affrontano alcune delle problematiche più comuni legate al passaggio da “normale” città a smart city.

CONTENUTI. Nello specifico, le linee guida contengono informazioni su: energia, telecomunicazioni, trasporti, acqua e acque reflue, rifiuti, servizi sanitari e sociali, sicurezza ed aspetti economici. Tra le città studio troviamo invece Malta, Londra, Indiana City, Sino-Singapore Tianjin Eco-City, PlanIT (Portogallo e Barcellona e moltissimi altri.
guida per le smart city
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La sostenibilità secondo gli architetti europei

sostenibilitaSebbene vi siano visioni diverse del concetto di sostenibilità da paese a paese, dal report di Arch vision emerge che non si dà più importanza solo all’efficienza energetica ma soprattutto la sostenibilitá economica
Di cosa parliamo quando parliamo di sostenibilità? Se nel 2012 gli architetti di tutta europa tendevano ad associare il termine al risparmio energetico, le cose sembra stiano cambiando. E il concetto di sostenibilità diventa un contenitore in cui far confluire una serie svariata di elementi, primo fra tutti il risparmio economico. A rivelarlo è l’ultimo report di Arch Vision “Q3 2013 European Architectural Barometer”, un sondaggio trimestrale svolto su un campione di 1600 architetti di otto paesi europei.
IL RUOLO-CHIAVE DEGLI ARCHITETTI. L’obiettivo dello studio è chiaro: dal momento in cui gli architetti hanno un ruolo fondamentale e trainante per il settore delle costruzioni e dal momento in cui la sostenibilità rappresenta il vero trend del settore, è importante capire il significato che viene dato a questa parola. Anche perché il mondo delle costruzioni prevede l’interazione di svariati soggetti, tra committenti, clienti, investitori, che dovrebbero “parlare la stessa lingua”.
LA SOSTENIBILITA’ SMETTE DI ESSERE SEMPLICEMENTE RISPARMIO ENERGETICO. E infatti il report conferma che il concetto di sostenibilità non solo cambia da paese a paese ma è mutato anche nell’arco del tempo, diventando sempre più complesso. Da semplice sinonimo di risparmio energetico, il termine viene oggi associato anche ad altri elementi, che comprendono il risparmio di denaro, la riciclabilità, i bassi costi manutentivi, l’utilizzo di materie prime naturali. Certo, il risparmio energetico rimane la maggiore caratteristica citata (sopratutto per gli architetti italiani e spagnoli), grande importanza viene data anche al risparmio economico (primo fattore per Regno Unito e Polonia) e agli altri elementi sopracitati, con percentuali in costante aumento.
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