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Corviale: la vicenda del Punto Ristoro arriva in Consiglio Municipale

Votato l’atto del Pd che eviterebbe lo sgombero del Punto Ristoro nel Centro Campanella.

Potrebbe essere stata scongiurata la chiusura del Punto Ristoro ed aggregazione sociale all’interno del Centro Polifunzionale ‘Nicoletta Campanella’ a Corviale. Grazie anche alla presenza in Aula di moltissimi utenti e residenti del quartiere, è stata approvata una mozione presentata dal Pd in Municipio XI. “Oggi, votando il nostro atto, sembra che il M5S abbia fatto marcia indietro, che non voglia più procedere allo sgombero dei locali – hanno spiegato i consiglieri Pd Maurizio Veloccia, Gianluca Lanzi, Giulia Fainella e Angelo Vastola – Ora ci aspettiamo atti conseguenti: che sia evitato lo sgombero del 21 settembre e che quindi sia scongiurata la chiusura”. Lo stesso documento era già stato presentato in Aula il 25 luglio, ma “era stato fatto decadere per volontà del M5S”, spiegano i dem.

IL PUNTO RISTORO – Il Punto Ristoro rischiava lo sgombero e la chiusura, già programmata per il 21 settembre prossimo. Questo, come si legge sul profilo facebook della struttura, perchè “è stato ignorato un bando a cui il centro puntualmente ha sempre partecipato e, nella conformità delle richieste, vinto. Doveva essere ancora una volta così – spiegano – ma il cambio di Giunta ha fatto si che nella parte finale della gara il bando sia stato annullato”. Questo ha portato gli attuali gestori in una situazione di ‘abusivismo’ a causa della scadenza dei termini della concessione. “Eravamo pronti a partecipare a nuovo bando”, spiegano, ma questo non è arrivato. Nei suoi circa vent’anni d’attività il Punto Ristoro ha svolto una funzione aggregativa e di presidio sul territorio di Corviale. Questo, si legge, “fornendo servizi importanti, oltre la cucina un riferimento per uffici, Vigili, studenti e persone del luogo – e ancora – il Punto ristoro, si è sempre contraddistinto per il sostegno all’integrazione rivolta alla fascia più debole, ragazzi con disagi familiari, con disabilità. Ha sostenuto sempre iniziative culturali, con mostre pittoriche e fotografiche di artisti emergenti e iniziative in collaborazione con la biblioteca di Corviale Nicolini”.

IL GIUDIZIO – Risulta particolarmente duro il giudizio avanzato dai consiglieri democratici su questa vicenda. “Sembra che ci sia un vero e proprio accanimento da parte del M5S nei confronti dei cittadini di Corviale e dei loro luoghi di aggregazione – scrivono – prima, nei mesi scorsi, è stata la piscina di Corviale a rischiare la chiusura ora è il turno del punto ristoro, che ricordiamo è a servizio dei ragazzi del centro di salute mentale nonché di tutti i cittadini di Corviale e che il 21 settembre, se il Municipio non interverrà, sarà chiuso con l’utilizzo della forza pubblica”.

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Il nuovo volto di Causi alla guida del bilancio in Campidoglio

Per lavoro seguo i rapporti istituzionali per conto dell’ AGCI Lazio (associazione generale cooperative italiane), li seguo dall’1986 e quindi anche quelli con il Campidoglio che, all’epoca, era il Comune di Roma, non ancora Roma Capitale, ancora per tutti bruco e non ancora farfalla.

Come è facile immaginare se ne vedevano di tutti i colori. Noi, le così dette parti sociali, eravamo invitati a consumare il così detto “rito della concertazione” che in genere consisteva in riunioni organizzate per comunicarci delle decisioni prese, la parte importante della concertazione era quella occulta, che avveniva prima della riunione convocata. Pochi eletti, più o meno sempre gli stessi, venivano incontrati riservatamente per pesare le questioni e definire le decisioni affinché non ci fossero eccessive lesioni di interessi o si palessassero in qualche rara occasione opportunità di protagonismo. Definito il pacchetto, tutto veniva sommariamente esposto dal dirigente di turno, qualche volta dall’Assessore, se era sufficietemente competente, quasi mai dal Sindaco.
Se le decisioni erano particolarmente complesse, si presentavano sintesi, senza allegati tecnici e mai documenti inviati prima per poter essere studiati.
Questo era il metodo.
Personalmente non ho mai fatto parte degli eletti della Pre Consultazione ma, ho avuto il privilegio di raccogliere confidenze in merito.
Le occasioni delle concertazione erano comunque occasioni preziose non tanto per il merito ma, per incontrare Assessori, Consiglieri, rappresentanti politici e sopratutto Dirigenti. Quasi tutti avevano qualcosa da chiedere, quasi tutti, in modo diverso dipendevano dalla macchina amministrativa del Campidoglio.
Con le Consigliature Rutelli, Veltroni, le concertazionei aumentarono di numero e oggettivamente di qualità. Si iniziò a prendere appunti durante le riunioni, si presentarono punti di vista, ma quasi mai i temi concludevano il vaglio con una decisione condivisa, anche se semplicemente maggioritaria. C’era sempre qualcosa che urgeva, un tempo costretto che impediva dopo le dichiarazioni e l’inizio dell’analisi una decisione responsabile. La decisione veniva presa da altre parti (privilegio difeso dalla P.A.) oppure non se ne sapeva più nulla entrando a far parte dei”meriti scomparsi”.
In queste occasioni ho conosciuto l’on. Causi, uomo colto e preparato, cortese e paziente con noi, inclito pubblico, che nella sua responsabilità cercava di spiegarci i meandri inspiegabili del bilancio comunale. L’impressione che ebbi dell’ uomo fu di un robusto e addottorato riformista che metteva tutta la sua passione e intelligenza a contrastare una macchina infernale fatta per bruciare ricchezza non per amministrarla. Lo fissavo intensamente durante le sue spiegazioni, spesso sottilmente ironiche con uno stile english, e mi chiedevo cosa avrei io fatto al suo posto.
Sentivo che si batteva e questo era per me un titolo d’onore al di là del risultato. Rappresentava comunque una qualità professionale ed umana infinitamente superiore alla media del persanale politico e amministrativo presente in Campidoglio.
Aderii con slancio ad alcune sue proposte e per quel che potevo fui una “parte sociale” leale e costruttiva.
Potete immaginare la delusione quando nel post Veltroni, furono presentate analisi e dati sullo stato di fatto dei conti comunali non da parte di un soggetto di parte, la nuova Amministrazione Alemanno , che avremmo imparato a conoscere negli anni successivi, ma da parte della Magistratura Contabile e della Ragioneria Generale dello Stato.
Così come riportato da Carteinregola i conti erano macroscopicamente fuori controllo.
Mai se ne parlò in tante riunioni, mai fu inviato un allert sulle condizioni del disastro; difficoltà tante ma, un naufragio è un altra cosa.
Credo proprio che i cittadini debbano riprendersi la Cosa Pubblica e con questo credo che si debbano anche confrontare con le proprie responsabilità. Le istituzioni non sono dei partiti. Occorre una discontinuità totale. Nuovi visi e nuove competenze devono trovare spazio e attenzione. Il cambiamento non può aspettare.

Eugenio De Crescenzo

Eugenio De Crescenzo




Una politica democratica per combattere le mafie

Ignazio Marino  (anni 59) sindaco di Roma

Ignazio Marino (anni 59) sindaco di Roma

Vuoi battere le mafie e contribuire a dare una prospettiva alla capitale d’Italia? Non ti resta altro punto di riferimento che Ignazio Marino. Egli deve porsi concretamente questo obiettivo: aprire la fase costituente per trasformare Roma capitale in città metropolitana, ridisegnare i confini territoriali e dare piena autonomia ai municipi; dopodiché correre per l’elezione a suffragio universale del sindaco metropolitano. Questo obiettivo politico e istituzionale è oggi tutt’uno con la battaglia per liberare Roma dalle mafie.  

Francesco Rutelli e Walter Veltroni hanno rivendicato il lungo periodo di buon governo e di onestà delle amministrazioni capitoline che si sono succedute dal periodo di tangentopoli fino alla giunta guidata da Gianni Alemanno. Matteo Renzi ha commissariato con Matteo Orfini il PD romano, dopo la notizia che alcuni suoi esponenti sono coinvolti nell’inchiesta “Mondo di mezzo”.  Da quanto si conosce finora dell’indagine è con l’arrivo della destra in Campidoglio che si crea il sistema mafioso in cui le lobby affaristiche e criminali, annidate in un’area trasversale che va da alcune schegge dell’eversione di destra a imprese del terzo settore, asserviscono spezzoni di partiti e di pubblica amministrazione ai propri interessi, mediante il controllo di flussi cospicui di spesa pubblica.

Ma non mi persuade la tesi di Veltroni che il coinvolgimento del PD sia semplicemente il frutto di “una politica ridotta a tessere, correnti, potentati, preferenze e deprivata della sua ragione e del suo senso”. E che dunque sia sufficiente per risalire la china – come scrive Goffredo Bettini – “costruire un partito delle persone, in grado dal basso di controllare, discutere e decidere tutte le scelte, in trasparenza e libertà”.

È difficile una discussione razionale sulla politica e sulla sua riforma sotto la pressione quotidiana degli orrori politici e morali che emergono dall’inchiesta e delle semplificazioni giornalistiche. Ma credo che l’emotività debba far posto al ragionamento e guardarci serenamente negli occhi. Soprattutto in questo modo potremo dare effettivamente un contributo a Ignazio Marino nel suo tentativo di coalizzare intorno alla sua amministrazione le forze disponibili a combattere per liberare Roma dalle mafie e assicurare un futuro alla città.

Nulla è più come prima. Dal 2 dicembre abbiamo la certezza che anche a Roma ci sono le mafie. E il fatto che le mafie stiano conquistando la capitale è già il segno evidente che di questo morbo sia infetta ormai l’intera nazione. Il tema politico urgente diventa allora come la democrazia combatte questo cancro e come produce quelle difese immunitarie, quegli anticorpi necessari a prevenirlo.  E come il PD si attrezza per sconfiggere questo nemico e come crea degli argini per difendersi da coloro che ad un certo punto lo utilizzano per fini personali di arricchimento e di potere.

Assumere davvero l’obiettivo di dichiarare guerra alle mafie significa, dunque, restituire un senso alla politica, definire degli obiettivi concreti e introdurre nella vita del paese un’intransigenza morale e un civismo attivo che devono permeare tutti i gangli delle istituzioni e della società.

Per il PD significa dare effettivamente un senso alla propria denominazione. Non si tratta di produrre appelli moralistici o rigurgiti giustizialisti. Ma di elaborare nuove regole che riguardino la vita dei partiti e delle istituzioni, le nomine dirigenziali, la loro selezione e rotazione, le consulenze, la distinzione netta tra interventi ordinari e quelli emergenziali, gli statuti delle imprese e delle organizzazioni, indipendentemente dalla loro forma giuridica e dal carattere profit o non profit, le relazioni tra le parti sociali, i rapporti tra imprese e fornitori, i modelli di governance delle imprese che gestiscono beni comuni e interventi sociali per rendere effettivamente esercitabili i diritti.

Partiti, istituzioni e società civile organizzata dovrebbero sentire come proprio compito primario quello di promuovere pratiche concrete innovative che diventino procedimenti istituzionali trasparenti, affidabili e competitivi e favoriscano comportamenti virtuosi volti ad alimentare fiducia e cooperazione. Partiti, istituzioni e società civile organizzata dovrebbero sentire come propria missione quella di accompagnare processi partecipativi dal basso per l’utilizzazione trasparente, efficiente e condivisa dei flussi finanziari destinati allo sviluppo locale.

Partiti, istituzioni e società civile organizzata dovrebbero cogliere l’occasione dell’istituzione della città metropolitana di Roma capitale per interrompere un percorso istituzionale sbagliato. Un percorso che è il frutto di un accordo tra i potentati della cattiva politica volta ad affossare un disegno virtuoso delineato nella riforma del titolo V della Costituzione e nella legge 42 del 2009: la trasformazione di Roma capitale nella città metropolitana. Non è vero che la legge Delrio non lo permette. E se si hanno dubbi, si concordi con il governo il tragitto e si proceda rapidamente verso l’autonomia dei municipi e la definizione di uno statuto che preveda l’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano. Se non si realizza questo disegno la specialità di Roma capitale si banalizza perché non potrà realizzarsi in un’area vasta omogenea come accade per tutte le maggiori capitali del mondo. Marino deve battersi per questo obiettivo politico: preparare le elezioni dirette del sindaco della città metropolitana di Roma capitale e candidarsi a questo ruolo. E su tale obiettivo squisitamente politico e istituzionale deve costruire un accordo vero con il premier Renzi e con il commissario del PD Orfini.

È sconfortante che intorno allo statuto della città metropolitana non ci sia alcun dibattito pubblico. E il tutto sia lasciato agli accordi di vertice dei capi tribù dei partiti. I cittadini non sono per niente coinvolti in decisioni che riguardano i maggiori poteri autonomi dei municipi, le elezioni dirette e i nuovi confini territoriali che la città deve avere per svolgere pienamente le funzioni assegnate ad essa dalla Costituzione.

Vero è che neanche i cittadini romani richiedono di partecipare direttamente nella definizione di tali scelte importanti per la loro vita, quasi rassegnati a subire le decisioni dall’alto su questioni che riguardano lo sviluppo della loro città. Un atteggiamento passivo di subordinazione ai potentati che evidenzia una latente mafiosità diffusa. E’ anche per questo motivo che una funzione rilevante dovrebbe essere svolta dalle istituzioni scolastiche e universitarie per sviluppare il capitale cognitivo, cioè la risorsa indispensabile per accrescere la domanda di partecipazione e l’efficienza delle istituzioni democratiche e così prevenire i fenomeni di corruzione. Si tratta di agire sulla formazione della psicologia cognitiva e morale individuale nelle fasi giovanili di maturazione e stabilizzazione delle capacità decisionali per fare in modo che le persone apprezzino il valore e l’utilità della trasparenza, dell’affidabilità, del merito e della cooperazione.

Gerardo Chiaromonte, in qualità di presidente della Commissione Parlamentare Antimafia tra il 1988 e il 1992 ci aveva avvertiti della presenza delle mafie a Roma, sollecitandoci a guardare al fenomeno mafioso in modo ampio e lungimirante. Si tratta – egli scriveva – di partire da due elementi essenziali: 1) le origini antiche di un modo di fare politica in Italia (accentuatosi negli ultimi decenni) che si nutre a volte del rapporto tra partiti e uomini della struttura dello Stato con ambienti più o meno ambigui; 2) la costituzione di un nuovo blocco, flessibilissimo e resistentissimo, di forze politiche e sociali diverse che mira e, in gran misura, riesce a controllare e a gestire il flusso di spesa pubblica con un vero e proprio “sistema di potere”, in particolare colluso e comunque connivente (attraverso confini assai incerti) con nuclei e clan della delinquenza organizzata.

È, dunque, vero che ogni struttura che amministri potere è esposta all’infiltrazione di organizzazioni mafiose, come ha ricordato Veltroni. Ma è anche vero che la politica democratica può produrre gli anticorpi necessari per prevenire questi rischi. Se questa non c’è o si siede, le mafie trovano porte e finestre spalancate per assoggettare ai propri interessi criminali le istituzioni e la società.

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Il Pd riabbraccia Marino ma senza uno straccio d’idea

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Prima giunta Marino

Tra Ignazio Marino e il suo partito si è siglata una tregua giusto per prendere tempo. Ma nulla di più perché un contributo effettivo di idee dalla conferenza programmatica del Pd di Roma non è arrivato. E dunque è mancata una proposta su cui confrontarsi veramente e da cui ripartire, in modo condiviso, nell’attività amministrativa.

Marco Causi ha sicuramente individuato i problemi più scottanti della capitale ma la sua relazione è stata carente sul piano di una visione strategica di medio periodo entro cui collocare il futuro di Roma. Il senatore democratico è stato bravo a glissare brillantemente questa parte colmando il vuoto con la presentazione – convinta e priva di tentennamenti – degli assi portanti dello sforzo che il governo Renzi sta compiendo per far uscire il paese dai marosi della crisi. Ma non ha offerto alcuna base concreta di cose da fare a livello locale. Lo scontro tra una vecchia e cattiva politica e una buona politica è tutta giocata sul piano nazionale e riguarda il nostro rapporto con l’Europa, la capacità di modificare l’asse delle politiche di austerità, richiedendo più Europa senza ripiegare sui nazionalismi da “piccola patria” e portando a compimento quelle riforme che ci permettono di svolgere il nostro ruolo nel rilancio delle istituzioni europee.

C’è sicuramente consapevolezza della causa di fondo del malessere sociale che ultimamente si è manifestato in alcuni quartieri della città con punte virulente di “guerriglia urbana”. Non solo non si è potuto fare a meno di inanellare i dati della crisi a Roma quasi fossero un bollettino di guerra: in sette anni sette punti in meno di valore aggiunto, 30 mila posti di lavoro perduti al di fuori della CIG, 75 mila posti di lavoro perduti transitando attraverso la CIG, tasso di disoccupazione raddoppiato dal 5,8 all’11,3 per cento, tasso di disoccupazione giovanile al livello del 44,9 per cento, superiore alla media italiana del 40 per cento. Ma si sono anche individuate, senza mezzi termini, nei litigi istituzionali, negli eterni conflitti tra regione e comune e tra governo e amministrazione capitolina le ragioni di fondo dell’incapacità di dare risposte concrete al malessere dei cittadini. Non si è potuto tacere quello che tutti vedono. E cioè che gli effetti devastanti della grande depressione su Roma hanno colto impreparata un’intera classe dirigente a tutti i livelli: una classe dirigente litigiosa, inadeguata, irresponsabile e priva di capacità propositiva. Nel rappresentare i rapporti tra Campidoglio e Pisana, Causi utilizza un’espressione che rende plasticamente l’idea della situazione: «continuano a comportarsi da separati in casa».

C’è la denuncia dell’«arretrato di manutenzione urbana» e dei «vistosi segnali di caduta della qualità dei servizi pubblici essenziali» da affrontare attraverso un «piano per le periferie». E tuttavia i disagi manifestati dai cittadini per questa situazione diffusa di degrado, soprattutto nei quartieri periferici, costituiscono solo i sintomi di un malessere che ha cause più profonde da indagare con maggiore compiutezza. I figli e i nipoti degli ex baraccati e degli ex borgatari degli anni cinquanta e sessanta, migrati dalle regioni centro-meridionali del paese, stanno subendo un arretramento dei livelli di benessere fino a rasentare la soglia di povertà. La condizione di profonda incertezza rispetto al futuro fa sì che queste persone sviluppino una tipica avversione verso i deboli: non perché c’è in loro il senso del nemico, ma per paura di cadere nello stesso livello. Allora, attraverso l’aggressione al nero, al nordafricano, al bengalese, si stabilisce  una distanza rispetto al pericolo di una contaminazione da contatto. È la reazione a questo rischio e a quello di cadere al loro stesso livello. È una distorta ricerca di dignità. È qui che fanno leva i movimenti populisti per incanalare la violenza verso gli immigrati e la protesta verso le istituzioni considerate le principali responsabili dell’afflusso di stranieri nei quartieri multietnici della città. Manca ancora una lettura attenta e puntuale di questo fenomeno sociale.

C’è attenzione al tema della sicurezza e del contrasto dell’illegalità e tuttavia appare carente un’analisi aggiornata delle mafie a Roma. Causi evita di pronunciarne il nome e parla genericamente di «pericolose organizzazioni criminali». Ma altra cosa sono i poteri mafiosi che hanno messo le mani sulla città, le inedite commistioni tra mafie e  pezzi della destra estrema e populista, la loro penetrante capacità di organizzare consenso diffuso intorno ai traffici illeciti e al riciclo dei proventi di tali attività, di riempire i vuoti lasciati dalle istituzioni, dalla politica e dalla società civile organizzata, di utilizzare settori collusi e corrotti di pubblica amministrazione e di imprenditoria locale e di soffiare sul fuoco del malessere sociale nei quartieri con una maggiore presenza di immigrati. È pertanto sacrosanta l’indicazione di alzare il livello della risposta repressiva. Ma non se ne esce solo con una più riequilibrata dislocazione territoriale dei presidi fissi delle forze dell’ordine. Ci vuole un’azione capillare di sensibilizzazione, di divulgazione delle caratteristiche del fenomeno, di educazione per stroncare anche una mafiosità latente che ci riguarda un po’ tutti.

C’è sicuramente una puntuale disamina dei problemi da affrontare per conseguire il risanamento finanziario di Regione e Comune come condizione per liberare risorse in direzione degli investimenti. E si avverte senza dubbio il senso d’urgenza nel procedere verso un profondo rinnovamento delle pubbliche amministrazioni centrali e locali e delle aziende pubbliche concessionarie di servizi essenziali per favorire la modernizzazione dei processi la riorganizzazione delle strutture, la qualità dei servizi al cittadino, l’aumento di produttività, la riduzione dei costi.

Ma il Pd romano nella “due giorni” al Teatro Quirino si è limitato ad elencare solo alcuni titoli generici delle cose da fare, rinviando l’approfondimento nei circoli e nelle sedi istituzionali. Sono temi estrapolati dai documenti regionali per la programmazione dei fondi europei 2014-2020: aerospazio, scienza della vita, beni culturali e tecnologie per il patrimonio culturale, industrie digitali, sicurezza, green economy, agrifood. Nulla è stato detto su alcuni nodi cruciali che impediscono la progettazione e la realizzazione di vere politiche di sviluppo nella città per modificare drasticamente la struttura economica e sociale dei territori. Come concentrare e integrare le diverse politiche a livello locale? Con quali strumenti partecipativi? Come costituire dal basso efficaci partenariati pubblico-privati? Come creare lavoro in una logica produttiva stabile mediante processi di autoimprenditorialità economicamente sostenibile e coinvolgendo giovani italiani e stranieri?  Come gestire i beni comuni in una logica di welfare produttivo? Causi ha riproposto con calore la litania del decentramento municipale come se fossimo all’anno zero. È possibile che non si sia accorto che proprio in questi giorni si sta stupidamente perdendo l’occasione dell’istituzione della città metropolitana di Roma capitale per dare finalmente la piena autonomia ai municipi e permettere così di avere un’istituzione di prossimità attrezzata per affrontare i gravi problemi della città? La Legge Delrio – fortemente voluta dal governo Renzi – ha offerto finalmente ai romani tale opportunità ma la vecchia e cattiva politica sta facendo di tutto per aggirarla. E una nuova e buona politica a Roma ancora non si intravede.