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L’architetta del film: «In periferia serve una Cortellesi»

guendalina salimeiProtagonista Guendalina Salimei, archistar e docente alla Sapienza, interpretata dall’attrice nel film «Scusate se esisto»

Va spesso all’estero e non soffre di nostalgia. Quando è a Parigi, Bratislava o Hanoi non le manca l’aria di casa, non compensa annusando foglie di basilico. E a Roma, la sua città, mai è rimasta per strada perché due balordi le hanno rubato il motorino. Ha talento come Serena, la giovane architetta di «Scusate se esisto», l’ultimo film-commedia di Riccardo Milani, ma a differenza di lei, anche negli anni degli esordi, non è mai stata così spiantata. «La cameriera per pagarmi l’affitto non l’ho mai fatta», dice. Guendalina Salimei è l’ultima stella, in ordine di tempo, dell’architettura italiana. Il Corriere di Roma le ha appena dedicato un editoriale accostandola a Zaha Hadid. Già sei anni fa, Luigi Prestinenza Puglisi la definì «punta di diamante» delle donne progettiste. Ora la gloria mediatica grazie a Paola Cortellesi, che ha portato la sua storia (professionale) sullo schermo.
Anche se ha vinto concorsi in mezzo mondo e ha progettato una nuova Venezia vietnamita nella baia di Holong, Salimei non si atteggia ad archistar. Si limita ad apprezzarne alcune come Steven Holl, Rem Koolhaas ed Elia Torres. Insegna alla Sapienza e parla convinta di architettura «partecipata», periferie da risanare, progettazione ecosostenibile: parola, ammette «che vuol dire tutto e niente». Per lei, comunque, è sinonimo di materiali locali, soluzioni low-tech e basso consumo energetico. Da quando il film è nelle sale, non ha pace. Amici, colleghi: tutti a complimentarsi. Sanno che il progetto di cui si parla, la ristrutturazione del Corviale, la grande muraglia romana, è suo ed è reale.
Allora, com’è finita in quel film?
«Mi chiama il regista e mi racconta di una commedia con un’architetta protagonista. Mi dice che ha bisogno di me. Di me? E lui: incontriamoci».
E la storia del Corviale?
«Milani e Cortellesi sapevano tutto del mio progetto: che era già stato selezionato, e che lo avevo chiamato “Il chilometro verde”, perché avevo immaginato un giardino pensile. Volevano conoscere i dettagli, il prima, il come, il perché».
Il film le è piaciuto?
«Molto, fa ridere e pensare».
Sorpresa dall’attualità della storia? Si parla di una periferia simbolo proprio mentre quelle reali si infiammano.
«Il mistero, semmai, è come ci si possa essere dimenticati delle periferie. Noi che le frequentiamo, sapevamo. Renzo Piano ci sta lavorando con i suoi giovani architetti e siamo in attesa dei risultati della sua sperimentazione».
A un certo punto è sembrato che l’Italia avesse una sola periferia: Scampia.
«È vero, poi, dopo le rivolte negli Usa e prima ancora in Francia, la cronaca ha scoperto le periferie di Milano, di Roma, di Torino. Tutte molto simili».
Perché le periferie italiane sono così brutte?
«Non sono più brutte delle altre. È vero, invece, che le nostre città sono bellissime, al Nord come al Sud; e che i nostri centri storici e le nostre piazze sono rari condensati di storia e cultura. Al confronto, la periferia ci perde, è ovvio. Qui il Pantheon, lì il Corviale. Qui i decumani napoletani, lì le “vele” di Secondigliano. E su!».
Perché, senza Pantheon o decumani cosa cambierebbe?
«A Roma si dice che il Corviale è buono solo a fermare il ponentino. Ma fu progettato negli Anni 70, in un’altra era. Mario Fiorentino non poteva certo immaginare l’uso e l’abuso degli anni a seguire: il vuoto intorno, l’incuria, l’assenza di articolazione sociale».
Quando le periferie cominciano a imbruttire?
«Quando diventano monofunzionali, buone solo per andarci a dormire. E, più di recente, quando le città cominciano a scaricare qui il peso dell’immigrazione e le conseguenze della cattiva integrazione».
Abbattere o recuperare?
«Recuperare. Noi italiani sappiamo farlo, ma un certo punto abbiamo smesso. I sindaci hanno pensato ad altro».
Recuperare anche se costa di più?
«Non costa di più. So di cosa parlo».
Lei è ottimista?
«Sì, ma a tre condizioni».
La prima.
«Le nostre periferie non sono connesse. Bisogna renderle accessibili».
Ma la connessione, si obietta, talvolta “periferizza” i centri storici.
«Senza, c’è il conflitto. L’isolamento crea insicurezza sia in periferia sia in centro».
La seconda condizione.
«La periferia ha bisogno di spazi di relazione, perché non c’è solo l’isolamento dei luoghi, c’è anche quello delle persone. E quello che ho cercato di fare al Corviale. Bisognerebbe fare come la Cortellesi nel film: ascoltare chi in periferia ci vive, sedersi allo stesso tavolo».
La terza.
«Farla finita con la monofunzionalità. Bisogna portare in periferia parti vive della città. Le università, tanto per cominciare. Ammiro molto gli olandesi: devono vedersela col mare incombente, eppure recuperano l’irrecuperabile».
Vedremo davvero il chilometro verde?
«Pare proprio di sì».

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Scusate se esisto! Il film ispirato a Guendalina Salimei e al suo progetto (vero) per Corviale

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Arriva nelle sale la commedia brillante di Riccardo Milani con Paola Cortellesi e Raul Bova, il film è ispirato a un vero concorso di architettura e all’architetto che lo ha vinto

Una giovane appassionata di architettura (Paola Cortellesi) studia sodo, dopo la laurea va all’estero e accumula master. Alla fine diventa project manager di uno dei tanti interventi che stanno trasformando Londra. Ma c’è un problema. È sola, ha nostalgia dell’Italia e ci vuole tornare. Prende la sua decisione: rientrare nel suo Paese, che ama. Detto fatto. Sbarca a Roma, che l’accoglie a calci in bocca: chiede aiuto per strada e gli rubano il motorino; cerca lavoro come architetto e riesce solo a farsi assumere come cameriera (con curriculum); cerca un alloggio e si sistema in una soffitta alta un metro e mezzo; si innamora del suo datore di lavoro (Raul Bova) ma scopre che è gay.

Alla fine capita davanti a Corviale, l’immenso complesso di edilizia popolare in periferia, e ha suo colpo di fulmine: quella periferia romana popolata da giovani facce da galera e casalinghe pronte a prenderti a randellate – ma poi anche ad aprirti la porta di casa e darti da mangiare – la conquista. Ancora una volta prende la sua decisione: partecipa a un bando di architettura per riqualificare quel palazzone enorme e spersonalizzante. Alla fine lo vince.

Scusate se esito! il film immaginato da Riccardo Milani prende spunto da una storia vera, e da un architetto in carne e ossa. Quell’architetto è Guendalina Salimei: 50% passione e 50% tenacia. Con il suo T-studio ha vinto il vero bando di architettura per riqualificare il “famoso” quarto piano di Corviale, cioè il piano che, negli anni delle sbornie ideologiche, l’architetto Mario Fiorentino aveva immaginato come l’isola felice fatta di negozi, servizi pubblici, aree di socializzazione, divertimento… In realtà, dopo 10 anni, il vuoto del quarto piano è stato riempito dalle residenze autocostruite dagli intraprendenti inquilini.

Il progetto del chilometro verde, che attraversa l’intera gigantesca stecca del falansterio, cerca di dare ai residenti quel decoro, quella dignità e quella dotazione di spazi che gli era stata promessa e che renderebbe più umano abitare a Corviale. Ma il progetto va oltre, cercando anche di sperimentare forme di residenzialità condivisa e di soluzioni ecosostenibili. Un bel progetto, lanciato nel 2008, e finora – purtroppo come tanti altri concorsi di architettura – rimasto sulla carta (in questo caso, sullo schermo).

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il progetto a cui è ispirato il film