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Nasce coordinamento dei comitati. Gabrielli: «Anche le istituzioni devono saper fare rete»

È stato costituito ieri a Roma, nel corso di un convegno organizzato nella sala Aldo Moro alla Camera dei Deputati, il “coordinamento delle periferie”, e cioè la prima rete nazionale di associazioni ed enti di “animazione sociale” che fanno da collante e sostegno alle azioni (le più varie) di rilancio fisico e sociale dei quartieri degradati di sette grandi città: Roma, Napoli, Bari, Bologna, Milano, Torino e Palermo.

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Si tratta di realtà diverse. Comitati o associazioni (sempre con ruoli di “collante”, non per specifiche iniziative): Corviale Domani (Roma), promotore dell’iniziativa, Comitati dei quartieri Libertà e Nuova San Paolo a Bari, Comitato Le Vele di Scampia a Napoli, Laboratorio Zen insieme a Palermo. Soggetti a cavallo tra pubblico e privato, come le Case di quartiere a Torino. Soggetti pubblici ma con ruolo di “mediazione”, come l’Urban Center di Bologna. Soggetti privati come Avanzi a Milano, architetti urbanisti specializzati in urbanistica partecipata e attivi in vari progetti a Milano.

L’ambizione del coordinamento (che si chiama «La realtà si vede meglio dalle periferie», citando una recente frase di papa Francesco) è quella, oltre a fare rete dal basso, di portare stabilmente la voce delle associazioni di quartiere nei palazzi delle istituzioni.

L’iniziativa ha ricevuto il sostegno del capo della Polizia Franco Gabrielli, che è intervenuto al convegno con una video intervista: «La crisi ha colpito di più le periferie. Ma esistono potenzialità enormi, è fondamentale che ci sia partecipazione ed è importante il coordinamento che avete costituito oggi. Ma anche le istituzioni devono imparare a fare rete, mentre spesso questo non avviene. Le istituzioni devono sporcarsi le mani, ascoltare i territori, non spaventarsi se spesso il dialogo è un po’ urlato e teso; e il dialogo va preso sul serio, gli impegni vanno rispettati, e bisogna che le istituzioni si parlino per affrontare i problemi e sappiano fare rete nel cercare di risolverli». Un intervento, quello di Gabrielli, che senza dubbio mette a frutto anche la sua esperienza di prefetto di Roma e capo della Protezione civile.

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Periferie… Tutti al centro! Si riparte dai “margini”

Un convegno sulle periferieIn pieno centro a Roma. Un paradosso? No, soprattutto se il tema principale dell’incontro è la rigenerazione di luoghi che non possono – e non devono – esser considerati marginali e per questo abbandonati a loro stessi.

Le periferie di cui si è parlato nella giornata del 23 novembre non sono quelle considerate tali perché geograficamente lontane dal centro della città. Sono invece quelle comunemente percepite come non-luoghi. Periferie che sanno di identità smarrite e nelle quali “stare al margine” diventa una consapevolezza più che una sensazione.

Ed è proprio dai tentativi di contrasto di questo status quo delle cose che prende forma il convegno “La realtà si vede meglio dalla periferia”. Nell’affascinante cornice della Sala Aldo Moro di Palazzo Montecitorio non si dà importanza a parole belle ma vuote. Il tavolo dei relatori è costruito infatti in modo tale da offrire testimonianze, esperienze e progetti messi in atto nelle periferie di diverse città italiane.

Gli interventi

Da Corviale (col suo “Serpentone”) allo Zen, da Scampia al Nuovo San Paolo, gli interventi di educatori, architetti, assessori ed esperti si susseguono incessanti. Una giornata sembra non bastare per entrare nel vivo di un tema che non può esser più solamente osservato dalla superficie. Ma, di certo, diventa sempre più impossibile non notare quanto le periferie siano accomunate da un’unica, fondamentale caratteristica: l’esser ritrovo di creatività e (sotto)culture.

Le persone, gli abitanti della periferia stessa, non possono dunque diventare un elemento secondario nell’analisi di questi luoghi. Anzi, al contrario, ripartire da chi vive questi spazi, ricomporre un sentimento di integrazione e identità sono il primo passo per riappropriarsi realmente delle periferie. E, non a caso, l’accesso al Convegno avviene dall’ingresso principale di Montecitorio, per un confronto con le istituzioni finalizzato a rimettere le persone al centro. Così come, con nuovo vigore, si sta tentando di fare con molte periferie italiane.

Se l’architetto Giovanni Caudo cita De Andrè e la sua “direzione ostinata e contraria” per riaffermare proprio la necessità di riqualificare le periferie, il convegno entra però nel vivo col racconto di progetti concreti realizzati in particolari periferie del nostro stivale.

“Carceri speciali”, Libertà e Serpentone

Letizia Liberatore e Domenico De Renzo (rispettivamente dei Comitati di quartiere Libertà e Nuovo San Paolo) ci portano alla scoperta di una Bari popolare sulla quale continuare a lavorare. “Il quartiere Libertà è da sempre musica, colore, luogo d’espressione d’arte e cultura. Doveva essere uno spazio aperto ai giovani, uno spazio da vivere. Ma il risultato non è stato quello”, dice Letizia. “Per questo ci impegniamo, per rispondere al degrado portando cultura. Ogni giorno c’è un forte reazione da parte di cittadini determinati a cambiare le cose.”

Dal racconto della Nuova San Paolo, dove i cittadini che hanno investito non vedono dopo 17 anni ancora alcun risultato, si passa poi a quello di Scampia. La storia delle “Vele” viene raccontata dai rappresentanti del Comitato e da chi, le vele, le vive e ricorda quando erano ancora sette: “C’è un’umanità straordinaria. Gente che lotta e non si rassegna. Le Vele noi le chiamiamo carcere speciale perché abbiamo visto cose bruttissime e per 30 anni siamo stati etichettati da un mondo che vede solo la Scampia dei film, di Gomorra. Ma non siamo solo questo”.

Lavoro, passioni…

Le emozioni di fronte a racconti di quanto è stato fatto e quanto ancora ci sia da lavorare si fondono con interviste, dati tecnici e interventi-video, come quello del Capo della Polizia Franco Gabrielli, sulla (in)sicurezza di molte delle periferie chiamate in causa. Pino Galeota, CorvialeDomani (facente parte di Coordinamento 23 Novembre – organizzatore dell’evento insieme al Forum Terzo Settore Lazio e altre reti e associazioni attive sul territorio), spiega come in quartieri simili la battaglia si combatte sul campo del valore sociale. In questo senso la risposta di Gabrielli risuona ancora più forte: “in 13 mesi ha visitato 60 periferie. Quando abbiamo detto che a Corviale non viene nessuno, lui ha prontamente risposto Ci vengo io. E l’ha fatto sul serio”, conclude Galeota.

…E foto dalle periferie

L’intervento del Dott. Sandro Cruciani – Responsabile Direzione Centrale ISTAT – diventa invece fondamentale per combinare le esperienze maturate “sul campo” con dati, numeri e statistiche. Istantanee capaci di restituire importanti fotografie di Comunità e territori da coinvolgere nel processo di rigenerazione.

La mattinata si conclude con gli interventi di Giovanni Ginocchini, Urban Center Bologna, Erika Mattarella, che porta l’esperienza di Torino, Elena Donaggio la realtà di Milano e Mariangela Di Gangi, Laboratorio Zen Insieme, di Palermo.

Tante voci, competenze diverse eppure punti di vista estremamente interessanti. Utili a fornire una visione generale della questione e raccontare piani di azione realizzabili da chi conosce bene il tema di cui parla. Tutti elementi che denotano la particolare cura nella selezione dei relatori e delle realtà presentate.

In viaggio per l’Italia

A Bologna l’Urban Center crea spazi di “immaginazione civica” e innova con “patti di collaborazione” che favoriscano la partecipazione dei cittadini attraverso un “bilancio partecipativo”: per la prima volta sono i cittadini a votare i progetti presentati (quasi 30, segno della voglia di fare per donare nuova identità alla propria periferia). Voto aperto a ragazzi dai 16 anni, agli studenti non residenti e agli stranieri. Insomma, a tutte quelle persone che vivono la città ma non hanno in altri casi il diritto di dire la loro.

A Torino è la realtà delle case di quartiere a rivoluzionare il concetto di periferia passiva: aperte a tutte e sede esclusiva di nessuno, questi luoghi diventano importanti contenitori di progettualità, come a Milano è il progetto UIA a dare vita a una mappatura e scoperta di buone pratiche provenienti “dal basso”.

In pochi minuti Mariangela Di Gangi riesce invece a colpire l’intera sala con un incisivo racconto delle attività di Laboratorio Zen Insieme sul territorio palermitano. Poche e chiarissime parole che lasciano ben impresso un concetto: “l’obiettivo degli educatori, qui, è combattere non la mafia, ma la mentalità mafiosa”.

Sociale, istituzioni e nuove narrazioni

“Non siamo tutti Buzzi, non siamo tutti Carminati”, inizia con questo monito di Salvatore Costantino (Presidente impresa sociale Folias – Legacoop) il pomeriggio, che prosegue poi all’insegna di tavole rotonde istituzionali. “Come rigenerare la periferia?”, chiede Francesca Danese, Portavoce Forum Terzo Settore Lazio. “Con la conoscenza e, insieme, la valorizzazione di un mondo come il Terzo Settore. Non si tratta di portare il Colosseo in periferia, piuttosto il contrario. Va sottolineato che rispetto ad altre città europee da noi non ci sono banlieue, però dobbiamo prendere atto della preoccupante situazione attuale: la povertà è fortemente aumentata anche nei paesi che hanno voluto creare l’Europa. E allora, se ci siamo fatti sfuggire un’Europa sociale, forse dobbiamo ripartire proprio dalle periferie per ritrovare alcuni valori persi”.

Mentre gli interventi continuano, almeno due consapevolezze si fanno strada, decise: la prima che un dialogo e la creazione di una rete tra realtà territoriali di Città metropolitane diverse è possibile. La seconda è che la ricostruzione passa anche, e soprattutto, dalle amministrazioni. E sta proprio alle istituzioni creare nuove narrazioni.

Materiale ce n’è, voglia di fare e capacità di riuscire non mancano, quindi… Non resta che ripartire. Dalle periferie, ovviamente.

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Allo Zen c’è da pagare un debito verso il territorio

In città pronti 18 milioni di euro. Per il capoluogo siciliano era presente l’associazione Zen Insieme. «È uno strumento che migliora la qualità e il senso di appartenenza alla comunità».

«Le istituzioni allo Zen devono pagare lo scotto di essere mancate per tanto tempo e hanno un debito nei confronti di quel territorio. Questo piano potrà essere una sorta di risarcimento per questo assenza». Mariangela Di Gangi, presidente dell’associazione Zen Insieme, racconta così l’incontro che si è tenuto ieri a Montecitorio, durante il quale è nato il coordinamento tra le realtà sociali delle città in cui è stato approvato il Piano per le Periferie. A Palermo questo piano porterà 18 milioni di euro tra fondi comunali, fondi del Patto per Palermo e anche fondi privati. Si tratta di cifre che in ogni caso sono presenti sulla carta ma non sono state ancora trasferite dai Comuni di riferimento. Ecco perché le associazioni che lavorano nelle città dove il Piano è stato approvato hanno promosso un incontro-convegno a Roma dal titolo La realtà si vede meglio dalla periferia, sul tema della rigenerazione delle periferie.

Le sette organizzazioni di altrettante città che hanno visto approvato il Piano sono: Corviale Domani (Roma), Urban Center (Bologna), Avanzi (Milano), Comitato Le Vele Scampia (Napoli), Laboratorio Zen Insieme (Palermo), Comitati Quartiere Libertà e Nuovo San Paolo (Bari), Progetto CO-CITY in Urban innovations Actions (Torino). Insieme hanno lanciato il Coordinamento Periferie che servirà per monitorare la spesa di questi fondi e per permettere alle associazioni di scambiare esperienze e metodologie. A Palermo la riqualificazione riguarderà la costa Nord, quindi in particolare lo Zen ma anche Marinella e Sferracavallo. «Questo coordinamento serve come interfaccia con le istituzioni – spiega Mariangela Di Gangi – per permetterci di lavorare meglio, affiancandoci e rafforzandoci rispetto alla realizzazione dei piani».

In questo primo incontro si è provato a delineare le linee guida operative per riqualificare e rigenerare i luoghi dove vivono moltissimi cittadini, spesso in condizioni di svantaggio in termini di servizi pubblici. «Nel mio intervento – continua Di Gangi – ho cercato di spiegare il mio punto di vista da operatrice nel quartiere, non scendendo nel merito del progetto in se ma raccontando l’importanza del processo, e non del progetto, che prova con fatica a corresponsabilizzare cittadini e istituzioni. La rigenerazione urbana, poi, per me è uno strumento che migliora la qualità della senso di appartenenza alla comunità, che può provare a accorciare la distanza tra cittadini e istituzioni per creare reale coesione sociale».

Tra i tanti relatori e ospiti presenti: il ministro per la Coesione Territoriale Claudio De Vincenti, Pino Galeota di Corviale Domani (Roma) e Giovanni Ginocchini di Urban Center (Bologna), Claudio Giangiacomo, avvocato del Cild – Centro di Iniziativa per la Legalità Democratica, il capo della Polizia di Stato Franco Gabrielli, il presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera Andrea Mazziotti Di Celso, il vice Avvocato dello Stato Marco Corsini, il direttore generale Fondazioni Casse di Risparmio Franco Righetti, il presidente della Commissione parlamentare Periferie della Camera Andrea Causin,  la segretaria nazionale dell’ANCI Veronica Nicotra.

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Le periferie diventano centro con l’animazione sociale

Occorre ripensare le comunità, in un’epoca in cui il 69% della popolazione vive nelle città.
Il sommovimento a cui abbiamo assistito nel concetto di CENTRO/PERIFERIE, cioè di quel segno tracciato quale confine del dato territoriale, una sembianza di avviso, un avvicinamento al limite e la certezza di una differenza in un omogeneo normato, si è trasformato in un filo d’arianna nel labirinto delle relazioni tra:
– Prodotto e consumo
– Conoscenza ed esclusione
– Connessione e sconnessione.
Davanti a questo gomitolo è forte la tentazione di tirare un filo, un filo qualsiasi a caso: non ci troviamo a confrontarci quindi con aree vocate negli spazi urbani ma, al contrario, con sovrapposizioni di senso e di funzioni: non centralità carismatiche, ma policentrismi dinamici.
La città industriale con attorno il proprio agro prevedeva gerarchie territoriali certe, tramite l’identificazione di quartieri che di fatto rappresentavano la demarcazione sia delle funzioni, sia delle classi sociali. La successiva pressione demografica, che in seguito si è sviluppata, ha provocato lo scardinamento delle scansioni. Dai dati rileviamo che i territori urbani sembrano destinati a triplicarsi, infatti rappresentano: nella UE il 75%, in Giappone il 93%, negli USA l’81%, in Cina il 54%, in Italia il 69%, in Francia il 79%.
È lecito quindi chiedersi: stiamo entrando in una era periferica?
Affinare gli strumenti di analisi
Se ciò fosse vero, avremmo bisogno di una analisi dei conflitti di potere che si addensano in una area così rappresentativa a crescita spesso incontrollata.
Quindi l’affinamento degli strumenti di analisi per analizzare e capire il contesto in svolgimento è la premessa per poter capire e affrontare un fenomeno complesso nei luoghi ove si stringono e vivono la maggior parte degli umani, forse ancora non convintamente o consapevolmente cittadini. In particolare tra gli altri sicuramente:
– Un censimento umano fisico e catastale
– La inviduazione degli elementi maggiormente contraddittori
– Le disuguaglianze critiche
– La composizione dei poteri materiali e immateriali
– I livelli di bassa pressione istituzionale
– La quantità e la qualità delle azioni informali
– La contrazione degli spazi collettivi.
A significare un cambiamento strategico nella gestione degli spazi metropolitani va segnalato un nuovo modello d’ invasione, e gli agenti sono i Fondi Sovrani che tramite la finaziarizzazione delle ricchezze scavalcano i confini e si impossessano di parti delle città caratterizzandone qualità e uso (Londra e in parte Parigi).

Riscoprire la Civitas
La ricerca che quindi auspichiamo è il ritrovamento della Civitas intesa come Comunità Consapevole.
Anche una delle organizzazioni geopolitiche più strutturate, coma la Chiesa, con una storia fortemente accentrante, ha attuato recentemente un ribaltamento della propria centralità, intanto scegliendo un Papa che che si è definito come «proveniente dalla fine del mondo…» ed in seguito affermando nella enciclica Evangelii Gaudium l’urgenza di «uscire dalle proprie comodità e raggiungere tutte le periferie»… Periferie geografiche ed esistenziali. Viene ripreso il concetto che lì dove tutto iniziò, la Giudea, era periferia del mondo, facendo nascere l’idea che forse la “realtà” si vede meglio guardandola dalla periferia.
È evidente che gli spazi che controlliamo, quelli assimilati, non ci trasmettono dubbi, sono le nuove emergenze o stratificazioni che provocano dubbi, che aprono a nuove realtà. Quindi la chiave delle conoscenza e della scoperta può produrre la parola appartenenza, un’appartenenza conquistata, un’intelligenza collettiva che si sprigiona creando personalità, quello che i latini chiamavano deus loci.
Anche la segregazione o la specializzazione provocano la creazione di una personalità, ma il loro contrasto può essere organizzato con una scelta dal centro? La disuguaglianze fisiche e psicologiche possono essere affrontate senza scendere sul terreno?
Valorizzare le identità nel decentramento
Noi crediamo di no! Crediamo che non sia possibile. Ad esempio l’ipotesi avanzata in Francia della Metropole du Grand Paris, macroregione da 7 milioni di abitanti, ci appare una azione di un razionalismo sconfortante e non per la vastità della progettazione ma per la governace direttiva.
Invece, la faticosa definizione delle identità agite nel decentramento, nell’autonomia, in un equilibrio in continuo aggiornamento tra le comunità abitanti, intercalati da interventi macro e micro di riqualificazione (trasporti/mobilità, rifiuti/ambiente, cultura/partecipazione), rappresentano quel complesso di scelte che possono produrre una identità attiva.
È probabile che in Italia ci sia una finestra specifica per sperimentare queste mutazioni territoriali, attraverso scelte a vantaggio, possibili solo per delle nostre specificità : non siamo mai stati un vero impero, non ci siamo mai sentiti una vera nazione. In questo spazio di mancanze trovano possibilità i grandi interventi informali che si sono realizzati nelle città. L’obbiettivo dei prossimi anni potrebbe essere quello di digerire e integrare l’informale.

Così si vince l’anticittà
L’architetto Boeri parla di città-anticittà, attraverso la creazione di una dinamica bipolare ove per anticittà si identifica il degrado delle infrastrutture, dei servizi, degli edifici, la perdita degli scambi sociali e culturali, la sicurezza, «l’appartenenza allo spazio urbano come bene pubblico».
Nel trattare quindi la trasformazione che il concetto di periferia ha avuto dal novecento possiamo immaginare che sia utile rilevare:
– La densità degli spazi.
– La varietà dei comportamenti culturali presenti nelle comunità.
Di fatto nelle città italiane le periferie si insinuano nel tessuto stabilizzato sovrapponendosi e intrecciandosi (Roma, Napoli, Genova, Milano).
L’attenzione principale va portata verso la qualità della condizione urbana, quindi intensità degli scambi tra comunità, gruppi e popolazioni in una cornice “certa”, attraverso alcuni principi che permetto lo svolgimento della rigenerazione:
– Il contenimento della separatezza
– La modalità e il metodo di esprimersi attraverso la partecipazione
– La credibilità dell’ organismo istituzione nel coagulare la concentrazione delle esigenze in proposte e progetti.
Ad esempio sul piano operativo è della massima importanza valutare gli spazi vuoti presenti nel tessuto urbano, e dei locali o delle infrastrutture inutilizzate per la qualità urbana.
La difesa delle iniziative informali nate, anche attraverso le valutazioni collettive di vantaggio.
Le iniziative di conoscenza e contaminazione culturale con altri territori urbani – ad esempio esiste a Roma una ricchezza incredibile luoghi e di circuiti – presidi sociali, culturali, ambientali, teatri, biblioteche.
La centralizzazione delle organizzazioni di livello superiore e generale devono diventare la premessa per la conoscenza culturale dei territori attraverso gli strumenti principali della socializzazione come lo sport, la scuola, la mobilità.

La rigenerazione chiede animazione sociale
Il senso di appartenenza, punto cruciale della civitas, non si costruisce dall’oggi al domani, ma con piccoli passi che permettano di far percepire, che il proprio destino personale è legato a quello collettivo. È questo il motivo per cui è inutile pensare di lasciare in mano la rigenerazione urbana ai tecnici, ma solo a scelte politiche mirate, in un orizzonte medio periodo (10 anni) in cui potranno avere effetti di sostanziale cambiamento che favoriscano la trasformazione compartecipata dello spazio, insomma un effetto murales.
La conformazione ad arcipelago di Roma è una eredità di caos che può favorire la rigenerazione, se partiamo dall’idea che la spinta primaria della rigenerazione urbana è “l’animazione sociale”.
Noto che, nell’intervista rilasciata dal Ministro Franceschini a “Limes” sul numero dedicato alle periferie, la rigenerazione urbana viene identificata come una «grande occasione architettonica e urbanistica», non una grande opportunità sociale.
Per questo sposiamo l’idea degli operatori culturali, di un Assessorato all’Ascolto, per attuare un’azione professionale, articolata, diffusa, che si prefigga di dar voce agli aggregati territoriali, che con modalità codificate sappiano interloquire ed ispirare scelte di comune accordo con le comunità attive dei cittadini, oltre alla proposta dell’Auditorium di Municipio in cui possa essere veicolata la programmazione dei grandi attrattori cittadini dando vita ad una distribuzione culturale decentrata e quale riferimento delle iniziative delle comunità territoriali.
Il progetto presentato per il Giubileo per i Romani della creazione dei Presidi sociali, culturali e ambientali sui territori quali spazi aperti di partecipazione e di proposta.
Concludo con una nota positiva per l’argomento periferie, che sembra aver raggiunto una centralità nella comunicazione: la Biennale di architettura di Venezia di Alejandro Aravena, un cileno, anche lui uomo di periferia, che ha organizzato la rassegna partendo da una domanda: come si misura l’architettura che contribuisce con i propri mezzi a ridurre le disuguaglianze, a mitigare le sofferenze è i disagi?
Ci sembra una buona domanda.

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Periferie di Roma: sono fatte di persone, non solo di edilizia

Ripartire dalle persone, riavvicinare cittadini e istituzioni, uscire dall’emergenza e cominciare a pianificare: così si può fare la rigenerazione urbana.

Le periferie di Roma hanno preso la parola con il convegno “Periferie: adesso parliamo noi”: è stata l’occasione di parlare della rigenerazione urbana. Tra tanti temi, tutti sono d’accordo su un punto di partenza: le persone.
Quando si parla di periferie si tende sempre a concentrarsi sulle loro condizioni fisiche. Il degrado, che condiziona le vite dei cittadini, è la prima cosa che balza agli occhi. Per questo oggi, quando si dice la parola “periferie”, si pensa subito a interventi di natura edilizia, urbanistica, architettonica.

Ma c’è anche chi nelle periferie ci vive. Le persone, con le loro vite, il loro lavoro, le loro storie. Uno dei temi ricorrenti dell’incontro “Periferie: adesso parliamo noi”, organizzato dal Coordinamento periferie (che mette insieme comitati di Corviale, Statuario, Tor Bella Monaca, Torpignattara, Torrespaccata) il 26 maggio scorso con l’obiettivo di comunicare sette richieste a chi governerà in futuro la capitale, è stato proprio questo. Sì, perché per parlare di periferie, bisogna conoscere le persone che ci vivono. E capirle.

Periferia, un concetto ambiguo

Una ricerca dell’Università Roma Tre, presentata dal professor Pasquale De Muro, ad esempio, ci mostra dei dati preoccupanti rispetto ai livelli di istruzione di chi vive in periferia, livelli che sono comparabili a quelli dei Paesi a medio reddito. Il tasso di abbandono scolastico è altissimo, e ci sono persone che lavorano poco, male, con guadagnano scarso e hanno un livello di istruzione bassissimo, spesso al di sotto della scuola secondaria. E quindi poche possibilità di trovare un lavoro migliore.

«Tranne alcune piccole cose, per risolvere questo problema non c’è nessuna iniziativa», commenta De Muro. «Non possiamo andare da nessuna parte, se non risolviamo questi aspetti».
Oggi però non è semplice parlare di “periferie”, e il rischio è anche quello di essere fuorvianti. A Roma esistono infatti tante periferie diverse, ha ricordato Carlo Cellamare, urbanista dell’Università La Sapienza. Ci sono diverse periferie – anche l’Olgiata, ad esempio, lo è -, ci sono anche periferie benestanti. Il maggiore sviluppo di Roma oggi è fuori del Grande raccordo anulare, dove abita il 23% della popolazione. «Sta cambiando il modo di intendere le città», riflette il professore della Sapienza. «Anche la dicotomia centro-periferia non può essere intesa nello stesso modo. Quello che accomuna oggi tutte le periferie è la distanza delle istituzioni e della politica».

Le periferie di Roma sono piene di risorse

Ma le periferie oggi sono anche i luoghi dove nascono i fiori dal cemento. «Sono i luoghi dove c’è il fermento, dove ci sono le iniziative, la mobilitazione, le produzioni culturali. Sono un po’ un laboratorio sociale», ha spiegato Cellamare. «A Tor Bellamonaca abbiamo una grande produzione di musica, il rap». Anche questo fa pensare al punto da cui siamo partiti: per lavorare sulle periferie occorre lavorare sulle persone. «Non ha senso intervenire solo fisicamente, se non si lavora su un altro terreno», riflette il professore della Sapienza.

«Piazza Castano è una delle poche piazze pubbliche a Tor Bella Monaca. Spesso ciò che è pubblico diventa territorio di nessuno. Ma poi i cittadini hanno iniziato a rimetterla a nuovo». È una delle tante forme di riappropriazione della città e di mobilitazione che accomunano le diverse periferie di Roma. Un altro esempio è il Cubo Libro, sempre a Tor Bella Monaca, un edificio occupato dove un gruppo di cittadini ha messo su una biblioteca pubblica, con le donazioni degli abitanti del quartiere. «Questo tipo di realtà sono in rete in tutta Roma e organizzano anche il prestito interbibliotecario», ha raccontato. E poi ci sono le aree verdi, che sono state prese in carico da alcune associazioni, mentre altre si fanno carico del problema della casa.
Di tutto questo dovrà tenere conto chi governerà Roma. «Le amministrazioni dovrebbero fare un’alleanza con la città, con i cittadini», auspica Cellamare, «avvicinare l’istituzione ai cittadini. E risolvere il problema del lavoro. Il contrasto a problemi come lo spaccio lo facciamo portando il lavoro, energia forte per rilanciare le periferie».

Dall’emergenza alla pianificazione

Di queste persone, che ogni giorno lavorano insieme, e in silenzio, per migliorare la vita delle periferie di Roma in cui vivono, ce n’erano molte all’incontro del 26 maggio. Una di queste è Caterina. Fa parte di un’associazione di genitori delle scuole di Piazza Cardinali, L’albero di Gelsi, fatta da genitori dei bambini delle scuole riunite accanto a Piazza Cardinali. All’incontro rappresentava il comitato di quartiere di Torpignattara. Il suo intervento, molto sentito, ha messo l’accento sul grave problema che contraddistingue le politiche che riguardano le periferie. Sono politiche di emergenza, e mai di pianificazione. La non pianificazione è urbanistica: Torpignattara è uno spazio teoricamente tutelato, a livello paesaggistico e archeologico, ma, non essendoci pianificazione, è vittima dei costruttori. Non c’è una pianificazione della mediazione culturale, nonostante ci siano moltissime comunità diverse. Non c’è pianificazione dei servizi di sopravvivenza, come trasporti e nettezza urbana. «Questo provoca una tensione latente, che sfocia nella tensione culturale, la non corretta pianificazione di questi servizi è un colpo al cuore della società interculturale” è l’opinione del comitato di quartiere. E poi non c’è pianificazione del servizi culturali: non ci sono cinema, biblioteche, nemmeno una piazza al centro del quartiere. Infine, non c’è pianificazione dei servizi di sviluppo economico, con la quantità delle serrande chiuse che evidenzia la perdita di identità del un intero comparto produttivo.

Per rigenerare le periferie di Roma, e con esse tutta la città, occorre passare dall’emergenza alla pianificazione. Occorre pensare alle persone. E, una volta per tutte, ascoltarle. Il Coordinamento delle periferie ha diffuso un documento con sei richieste ai candidati sindaco. Le periferie aspettano le risposte.

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Rigenerare le periferie: sei proposte ai candidati sindaco

Un coordinamento di quattro grandi periferie chiede un Accordo di programma. Che comincia con la riorganizzazione dell’Amministrazione.

Sei proposte per i candidati sindaco, perché finalmente anche a Roma si avviino percorsi per rigenerare le periferie, ridando ai cittadini quella qualità di vita di cui hanno bisogno, occorre avere un modello di sviluppo condiviso e partecipato, ma servono anche strumenti e strutture in grado in realizzare quanto serve per raggiungere gli obiettivi. Ieri, durante il convegno CANTIERE APERTO. Periferie: adesso parliamo noi, è stato presentato il documento che redatto dal Coordinamento Periferie di Corviale, Statuario Tobellamonaca, Torpignattara e Torrespaccata. Contiene sei proposte ai candidati sindaco, che sono state elaborate durante un lungo lavoro di incontri, ricerca, dibattito cui hanno partecipato associazioni, gruppi, singoli cittadini delle periferie citate.

Il coordinamento chiede di fare alcune scelte precise, perché il problema delle periferie non si affronta con le ruspe, ma appunto in una prospettiva di rigenerazione, che tra l’altro valorizzi le risorse – umane, culturali, ambientali – che in questi quartiere ci sono, anche se sottovalutate o trascurate.

Un’Amministrazione meno rigida e più efficace

Fra i primi punti è indicata la necessità di riformare l’organizzazione l’Amministrazione comunale, sostituendo l’Assessorato alle periferie con un Assessorato per la rigenerazione urbana e ridefinendo l’organigramma dando spazio a Dipartimenti trasversali. L’Amministrazione è infatti troppo rigida e settorializzata, tanto da apparire inadeguata a qualunque politica che voglia essere innovativa.

Il primo passo per definire un piano per rigenerare le periferie, secondo Pino Galeota, è di «mettere tutti attorno ad un tavolo, insieme all’Amministrazione, Asl, scuole, trasporti… L’obiettivo è arrivare ad un Accordo di programma, con un responsabile di progetto e uno stato di avanzamento dei lavori opportunamente monitorato». L’alibi per non intervenire seriamente sulle periferie è sempre la mancanza di fondi, ma «non è vero che non ci sono risorse. Bisogna imparare a usare meglio quelle europee, ma anche a coinvolgere le aziende e soprattutto il privato sociale. E poi c’è il ruolo delle municipalizzate, da mettere a punto e valorizzare».

Luca Lo Bianco ha indicato una serie di fattori che sono di ostacolo ad una strategia che punti a rigenerare le periferie: tra l’altro, il fatto che negli ultimi anni l’idea di un forte decentramento è stato accantonata e che si punta alla rivisitazione delle società di servizio pubblico con riforme che prevedono la dismissione, cosa poi nei fatti impossibile… «Se si realizzasse un vero decentramento sui Municipi, anche il dibattito sulle periferie si sposterebbe», perché «al cosiddetto centro rimangono alcune politiche, integrate tra loro, ma tutto il resto si fa sui territori». Ed è evidente che questo implica una ridefinizione della macchina comunale. Tra l’altro, occorre usare di più strumenti nuovi come gli Uffici di scopo, organizzati attorno ad obiettivi ben delineati, raggiunti i quali si sciolgono». Tutto questo implica anche un «ragionamento con i sindacati, che riguardi la ridefinizione del senso del lavoro pubblico e affronti i temi delle funzioni, ma anche quello, molto concreto, degli orari di lavoro, e quindi di apertura al pubblico».
Processi complessi, ma non impossibili. Che andrebbero sviluppati, secondo torrespaccataAlfredo Fioritto, creando le condizioni per una vera «partecipazione alle scelte, a qualunque livello». D’altra parte, i cambiamenti sono già in atto e incidono fortemente sulla governace. La legge del 2014 sulle città metropolitane ha abolito le provincie, sostituite dalla Conferenza metropolitana (quella di Roma comprende 120 comuni) e ha istituito un Consiglio metropolitano e un sindaco eletti dai cittadini. Se questa è la strada, secondo Fioritto, «è evidente che anche l’Assessorato alle Periferie non ha più senso» e che bisogna ragionare in termini completamente diversi, perché cambia l’idea stessa di centro e di periferia.

Sei proposte per rigenerare le periferie

Le sei richieste sono frutto di un lungo lavoro di dibattito e approfondimento, che ha coinvolto associazioni, movimenti, singoli cittadini, università e centri di ricerca. Ecco una sintesi delle richieste:

Promuovere un forum dedicato alle periferie e quindi alla Rigenerazione Urbana entro la seconda decade di luglio.

L’abolizione dell’Assessorato alle Periferie e la costituzione dell’Assessorato per la Rigenerazione Urbana, attraverso la realizzazione di una effettiva interdisciplinarietà, che abbia funzioni e poteri di riconosciuto coordinamento.

La definizione di un nuovo organigramma dell’Amministrazione, che dia funzioni e poteri a Dipartimenti responsabili, che dovranno collaborare con chi verrà incaricato di coordinare i progetti individuati.

L’attivazione di sperimentazioni nelle cinque Periferie, congiuntamente con tutti i soggetti pubblici e privati interessati, che entro un anno definiscano contenuti, scelte e procedure per avviare le attuazioni. Il cosiddetto stato avanzamento lavori dovrà avere tempi, modalità e responsabilità note e forme di comunicazione partecipate. Va individuato un Responsabile del progetto, che abbia le competenze per coordinarlo e per seguire il suo iter amministrativo e interistituzionale.

La definizione di un modello di sviluppo delle periferie, che renda protagonisti i cittadini, le presenze territoriali e che preveda le necessarie connessioni con l’Area metropolitana, con la Regione Lazio e la governance nazionale, oltre che con i settori produttivi pubblici e privati.

La sottoscrizione di un Accordo di Programma o altro atto similare, che renda procedibile il progetto condiviso tra tutti i soggetti pubblici e privati interessati.

Il coordinamento chiede inoltre che, nella fase di transizione, a fronte delle problematiche sulla sicurezza e la legalità nei grandi agglomerati periferici, si pensi ad una presenza continua di Ater-Regione e del Comune di Roma sui territori.

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Medicina ed esistenza sul senso del vivere

Biblioteca Renato Nicolini – sabato 6 febbraio, ore 9:30

Convegno

II convegno è un’opportunità per cercare di comprendere l’innegabile disagio che attraversa la società attuale e riflettere sui nuovi problemi con cui siamo posti a confronto.

Coordina la Dr.ssa Isabella Faggiano di Organon.
Partecipano il Dr. Esper Russo, presidente Organon, la Dr.ssa M. Teresa Russo, docente Filosofia Morale e Bioetica, Uniroma3,
il Dr. Ferdinando Brancaleone, psicoterapeuta, direttore scientifico ISUE (Istituto di Scienze Umanistiche ed Esistenziali), Napoli,
P. Roberto Fornara, Ocm, biblista, la Dr.ssa Serena Mosti, neurologa, Fondazione Santa Lucia “Neuroscienze e dolore” ,
il Dr. Stefano Salvago e Dr.ssa Simona Marino, Organon.
La partecipazione è libera.

Programma convegno medicine ed esistenza

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A Corviale filosofia, psicologia, scienza e teologia s’incontrano

La riqualificazione di Corviale, un quartiere alla periferia della Capitale, non passa soltanto per il restyling del mattone. Mentre strade, parchi e palazzi si rifanno il look, Corviale pensa anche ad incrementare il fervore della sua anima culturale. Filosofia, psicologia, medicina e teologia si sono dati appuntamento in un unico evento, organizzato dall’associazione culturale Organon (Consultorio filosofico e antropologico esistenziale: http://www.consultoriofilosoficoorganon.it).

“Medicina ed esistenza sul senso del vivere”: è questo il titolo dell’imperdibile appuntamento fissato per sabato 6 febbraio 2016, presso la biblioteca comunale di Roma Renato Nicolini, in via Marino Mazzacurati 76.

“Il convegno vuole essere un’opportunità per cercare di comprendere l’innegabile disagio che attraversa la società attuale – spiega Esper Russo, consulente filosofico, presidente di Organon – un invito a riflettere sui nuovi problemi con cui siamo posti a confronto. E’ in atto un cambiamento che costringe a porsi alcuni interrogativi: abbiamo di fronte una vera e propria trasformazione qualitativa della sofferenza, un malessere il cui contenuto è svuotato di senso”.

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Oltre al presidente di Organon, che introdurrà i lavori, parteciperanno al covengno anche Padre Roberto Fornara, teologo, Maria Teresa Russo, docente di filosofia morale e bioetica presso l’Università di Roma Tre, Ferdinando Brancaleone, psicoterapeuta, direttore scientifico Isue e Serena Mosti, neurologa della fondazione Santa Lucia di Roma.

Scopi e motivazioni che spingono queste professionalità lungo i propri percorsi di cura, potrebbero sembrare molto distanti tra loro. Ma è soltanto una questione di apparenza. La domanda di senso, infatti, sottende tutte le altre domande: è la domanda religiosa, è la questione spirituale, è l’interrogazione filosofica ed è anche la domanda della medicina. E, cambiando l’ordine della questione, è necessario domandarsi se la medicina oggi, orientata ad un approccio metrico ed economico, lasci spazio e possa ancora riuscire ad essere la fonte della cura dell’uomo ed avere gli strumenti per prendersene cura e possa tornare ad integrarsi con altri domini di conoscenza, per medicare il malessere dell’uomo recuperando risorse che le appartengono essenzialmente.

“Il convegno, dunque – ha continuato Esper Russo – vuole in ultima analisi rappresentare un momento di incontro per interrogarsi sull’idea di uomo e di malattia che sottende alla cultura dell’ attuale medicina, chiedendosi se quell’ approccio ad un corpo, visto come macchina che si rompe, sia in grado di dare ancora oggi risposte esaustive e soddisfacenti ad un’umanità sempre più sofferente e ferita. L’intento – ha concluso il presidente di Organon – è praticare una riflessione congiunta tra più discipline, per arricchire ed estendere il campo d’indagine e d’intervento”.

Medicina ed esistenza sul senso del vivere

Introduce Esper Russo, presidente di Organon

Relatori:

Roberto Fornara, teologo, teresianum: Parola, Carne e Gloria: Umanità di Dio e dività dell’uomo

Maria Teresa Russo, docente di filosofia morale e bioetica presso l’Università di Roma Tre: “Il doppio occhio clinico: la malattia tra medicina e filosofia”

Ferdinando Brancaleone, psicoterapeuta, direttore scientifico Isue Napoli:”Cura e Malattia secondo l’ottica antropologica neo-esistenziale”.

Serena Mosti, neurologa, fondazione Santa Lucia Roma: “Neuroscienze e dolore”

Coordina Isabella Faggiano, Organon

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Periferie: sviluppo locale, innovazione sociale e sicurezza dei territori

Ne parlano:
Augusto Pascucci (UNIAT); Alfonso Pascale (CeSLAM); Marco Corsini (Avvocato dello Stato); Tommaso Capezzone (Giornale delle periferie); Giammarco Palmieri (PresV Municipio di Roma); Esterino Montino (Sindaco di Fiumicino); Sen. Stefano Esposito (Commissario PD Ostia); Padre Fabrizio Valletti (Coop. Soc. La roccia); Pino Galeota (Corviale Domani); Guglielmo Loy (Politiche territoriali UIL); Alberto Civica (UIL Lazio); Luciano Mocci (FederLazio); Alessandro Mauriello (CeSLAM); Leonello Tronti (Università Roma 3); Eugenio De Crescenzo (AGCI); Indra Perera (CNA World Roma); Laura Bongiovanni (Isnet); Umberto Croppi (Federculture Servizi); Angelo De Nicola (UPPI Lazio); Sergio Bellucci (NetLeft); Germana Cesarano (Magliana 80); Giorgio Benvenuto (Fondazione Bruno Buozzi); Paolo Masini (MIBACT); Andrea Masala (ARCI); Giorgio De Finis (MAAM); Massimiliano Valeriani (Regione Lazio); Aurelio Mancuso (Equality Italia)
Da tempo associazioni, comitati, università, gruppi di cittadini, italiani e non, provano a fare breccia nell’agenda delle varie istituzioni, lontane dai territori, chiedendo azioni concrete contro lo stato di abbandono e di sovraffollamento delle periferie. Secondo UNHABITAT (NAZIONI UNITE) il divario urbano che si sta creando tra la città ricca e quella povera è in aumento vertiginoso: 800 milioni di persone vivono negli slums (favelas,bidonville, baraccopoli) e circondano i centri residenziali dei ricchi sempre più protetti da guardie armate. La città europea moderna nella sua progettazione è stata attenta ad evitare condizioni di emarginazione di comunità e popolazioni mettendo molta attenzione alla vita sociale pubblica, ambientale e estetica dei territori urbani. Per queste ragioni negli anni passati si è discusso tanto sul “diritto alla città” e sulle motivazioni alla base della formazione delle disuguaglianze sociali (Henri Lefebvre – Diritto alla città – 1968). Negli ultimi decenni, però, la capacità di combattere le disuguaglianze è diminuita e oggi ci troviamo di fronte all’esplosione di conflitti sociali acuiti dal mancato riconoscimento delle diversità culturali e dall’assenza di strategie e politiche delle istituzioni pubbliche. Le ricadute sociali, economiche e politiche si evidenziano in programmi di governo caratterizzati dalla propaganda che orienta l’azione politica a respingere l’ immigrazione o a chiudere le frontiere piuttosto che a studiare politiche e programmi per attenuare il disagio e la separazione sociale. C’è bisogno di ricostruire la fiducia dei cittadini nei confronti del sistema politico e dei corpi intermedi e di ricomporre il rapporto tra istituzioni (regionali, nazionali ed europee) e società locale (intesa come comunità, società civile ed ente locale di prossimità) in cui le istituzioni mettono a disposizione la prospettiva e i mezzi dell’emancipazione e la società locale riaccende le sue tensioni al cambiamento e si riorganizza per trovare la strada e vincere la sfida dello sviluppo. In Europa le città inglesi, belghe e in primis francesi pagano da tempo i prezzi di queste scelte sbagliate e come si è potuto assistere tristemente nelle banlieue parigine e nei quartieri popolari londinesi e di Bruxelles, la questione dell’odio sociale ha favorito la crescita e l’insediamento di cellule criminali del terrorismo internazionale di matrice islamica connotando le periferie come habitat naturale per persone malfamate , pericolose e soprattutto diverse, quasi sub-normali. In Italia i programmi di rigenerazione urbana sono fermi agli anni 90, con i progetti Urban e al 2002 con i Contratti di quartiere, e il Piano Città dell’ex Ministro Lupi che non è mai decollato. Ciononostante le periferie delle metropoli italiane e soprattutto romane sono in continuo cambiamento, come segnalano Ilardi e Scandurra e guardare Roma è come osservare i mutamenti a livello nazionale. “Dalle borgate dei ragazzi di vita di Pasolini ai centri sociali occupati , dai territori abbandonati ai Rave illegali al movimento Ultras, fino agli anni 2000 con le tristi aggregazioni abitative sorte intorno ai giganteschi centri commerciali, le periferie romane sono state dei laboratori culturali, macchine formidabili che producono metropoli e i suoi potenti immaginari dove sono precipitati molto spesso i simboli dell’intera comunità nazionale” (M. Ilardi, E. Scandurra – Ricominciamo dalle Periferie – 2009).
MATERIALE
Relazione di Alfonso Pascale (CeSLAM)



Rammendo delle periferie al centro del convegno di Fondazione Italcementi

“Rammendo e rigenerazione urbana per il nuovo Rinascimento” è il titolo del convegno promosso dalla Fondazione Italcementi in programma il prossimo 24 gennaio alla Fiera di Bergamo.

“Siamo un Paese straordinario e bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie. Ma sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee”.

(Renzo Piano)

È da queste considerazioni – e da un manifesto dell’architetto e Senatore Renzo Piano (leggi qui), che sarà presentato in anteprima in occasione del Convegno – che prende avvio l’appuntamento annuale della Fondazione Italcementi, chiamando alcuni dei protagonisti dell’impegno di analisi, progettazione e attuazione di politiche e iniziative volte a rigenerare le città e valorizzare le periferie urbane, a discutere e stimolare quella visione necessaria a innescare il nuovo Rinascimento, capace di ridefinire il tessuto delle città e di includere quelle classi sociali che attualmente vivono in modo conflittuale il processo di urbanizzazione.

Partendo dal contributo video di Renzo Piano, architetto e senatore a vita, approfondiranno il tema: Mario Cucinella, Architetto, Silvano Petrosino, Filosofo e Professore Università Cattolica, Emanuela Casti, Professore Ordinario di Geografia Università di Bergamo, Geminello Alvi, scrittore ed economista, Francesco Daveri, Economista ed editorialista del Corriere della Sera, Aldo Mazzocco, Amministratore Delegato di Beni Stabili, Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo, Michele Molè, fondatore e direttore creativo Nemesi & Partners, progettista di Padiglione Italia, nell’ambito di un dibattito coordinato da Walter Mariotti, giornalista.

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