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Dall’11 al 15 novembre torna “Visioni Fuori Raccordo”

Una quattro giorni al cinema Farnese dedicata a documentari incentrati su periferie e marginalità, intese in senso tanto geografico quanto esistenziale.

Tossicodipendenza, emigrazione, marginalità sociale: sono questi i temi dei dodici documentari selezionati, offrendo una visione approfondita e ampia dell’Italia di oggi, dei bisogni dei suoi abitanti, delle sue contraddizioni e profonde spaccature sociali.

«La selezione di quest’anno – dichiara Giacomo Ravesi, Coordinatore Artistico del Festival – attesta l’esplosione del concetto di periferia in innumerevoli rappresentazioni urbane, esistenziali e concettuali, che lontane dal decretarne la sparizione ne testimoniano la perenne rivoluzione. In questo scenario di crisi e rinnovamento il documentarismo italiano contemporaneo inquadra una società in trasformazione che rinegozia le proprie tradizioni ricercando una nuova identità individuale e collettiva. Sperimentando linguaggi ed esplorando paesaggi violentati e corpi ignorati, i documentari scelti propongono la sfida antropologica e storica, estetica e politica di guardare alla contemporaneità con uno sguardo infranto e rigenerato».

La giuria del “Visioni Fuori Raccordo Film Festival” sarà composta dal commissioning editor del programma DOC3 Fabio Mancini, dalla regista e vincitrice della passata edizione del festival Valentina Pedicini e dalla direttrice della fotografia Sabrina Varani. Spetterà a loro assegnerare il premio Migliore Opera e le eventuali menzioni speciali.

Tra i titoli di quest’anno ci sono “Dal ritorno”, di Giovanni Cioni, “Uomini Proibiti”, di Angelita Fiore, “Samara Diary”, di Ramchandra Pace, “Roma Termini” di Bartolomeo Pampaloni, “Habitat – Note personali”, di Emiliano Dante, “Doris e Hong”, di Leonardo Cinieri Lombroso, “La malattia del desiderio”, di Claudia Brignone, “The Perfect Circle”, di Claudia Tosi. Ognuno dei documentari selezionati ci mette a confronto con realtà sociali ed esistenziali tanto urgenti quanto troppo spesso ignorate, che si tratti della convivenza tra etnie, delle evoluzioni socio culturali di una città, o della sofferenza fisica e psichica di malati o tossicodipendenti.

Il Festival si aprirà presso il cinema Farnese, per poi spostarsi presso il Cineclub Detour.

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Racconto le periferie prima del botto

“Viva la sposa” è nato tra la gente e i palazzi, nei bar. Perchè la realtà sta al telegiornale come il calcio all’album delle figurine.
Nicola è sempre seduto a un bar. Dice che vuole smettere di bere, ma non smette mai. E stando al bar incontra tante persone. Ascolta le loro storie. C’è un piccolo delinquente che tenta di truffare la assicurazioni buttandosi sotto ai motorini. C’è una prostituta che ha paura dei cani, e ha un figlio da lasciare a qualcuno mentre lavora. C’è la ragazza che dice di partire per la Spagna, ma non parte mai. Su tutto questo, per la strada o in tv, passa una sposa americana che sta girando l’Italia in abito bianco. Una visione consolatoria e di speranza, forse. Storie comuni, storie di periferia. Ascanio Celestini ha scritto “Viva la sposa” ascoltando le storie nei bar del Quadraro, di Ciampino, di Morena. Partendo dal basso. E girando nel quartiere dove sono nate, al Quadraro, quartiere romano con una sua “grande bellezza”, lontanissima dai palazzi barocchi del centro, eppure piena di storia. E di storie. Abbiamo parlato con Ascanio Celestini di questo. E di alcuni dei grandi temi che ha trattato nelle sue opere. “Viva la sposa” è nelle sale dal 22 ottobre.

Quanto è importante che un film come questo nasca sul territorio, nei bar del Quadraro, di Morena, di Ciampino? Che storie si trovano in questi luoghi?
«Forse sono le storie che troviamo in tante altre periferie. Luoghi che non per forza si trovano fuori dai centri storici, ma forse soltanto fuori dal centro del mirino dell’informazione, della narrazione globale alla quale siamo abituati ad assistere. Della periferia se ne parla solo quando esplode. Io vorrei raccontare quello che succede prima del botto».

E quanto è stato importante girare nei luoghi dove sono nate le storie, lontani dalla “grande bellezza” di Roma, eppure a loro modo bellissimi, carichi di vita? Come hanno partecipato gli abitanti?
«Gli abitanti erano incuriositi. Sono abituati al cinema. Alcuni di loro ci hanno lavorato come generici, qualcuno ha avuto ruoli di responsabilità. Gli stabilimenti di Cinecittà si trovano a poche centinaia di metri. Ma erano incuriositi lo stesso. Ma quando hanno capito che non giravamo tra quei palazzi per raccontare una storia qualunque, che ci eravamo venuti proprio per il valore che il colore di quei muri, la geometria di quelle prospettive sapevano raccontare era come se si sentissero dire che a Roma non c’è solo San Pietro, ma anche il bellissimo condominio di Selinunte numero 49.
Per quanto riguarda la bellezza io non credo che la grandiosità delle chiese barocche o del Colosseo renda grandiosi anche quelli che ci abitano davanti. E a me interessa raccontare l’essere umano e se riesce a umanizzare anche i mattoni della casa in cui vive: meglio!»
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Roma. Ascanio Celestini
durante le riprese del film Viva la sposa

Viste da lei che ci vive, quali sono le peculiarità di quartieri come il Quadraro e Cinecittà?
«Non è facile dire cosa sia Cinecittà o il Quadraro. Chi vive a via dei Quintili o a via dei Laterensi si sente quadrarolo. In fondo a via dei Consoli la gente vive a Don Bosco e oltre via degli Angeli gli abitanti sono di Tor Pignattara. Eppure qualcuno che viene da fuori potrebbe dire che si tratta sempre di Cinecittà.
Vista da fuori è come una matrioska che appare coma una sola bambola, ma dentro ce ne sono tante che per il distratto non esistono. I luoghi sono soltanto spazi da attraversare per arrivare da un’altra parte o, nel migliore dei casi, palazzi e monumenti che fanno stupire i turisti. Ma il luogo nel quale si vive ha due peculiarità in più: il tempo e le storie. Vivendo nel tempo, lo spazio si riempie di accadimenti. Non è più solo un luogo, ma anche le cose che in quel luogo accadono. E quando si passa oltre gli accadimenti, questi possono essere raccontati. I luoghi sono libri pieni di pagine bianche che col tempo si riempiono di parole e disegni».

Nel mondo che racconta c’è una piccola e sincera solidarietà tra gli ultimi, i soli. È una sua visione, da autore, o davvero questa solidarietà è possibile in quartieri come questi, lontani dai “Palazzi”? Ne ha viste tante di storie di questo tipo?
«C’è violenza e solidarietà. A volte le due convivono. Ovviamente c’è anche la solitudine e la distrazione. È facile uscire di casa e passeggiare incontrando persone quando abiti a piazza Navona o anche a piazza Vittorio. Nelle periferie dove le piazze sono parcheggi e alla chiusura dei negozi sembra che una saracinesca cali su tutto… è un po’ più difficile creare relazioni. Ma dove ci sono gli esseri umani c’è sempre una possibilità per crearne. Ci vuole coraggio e curiosità».

Uno degli aspetti della solidarietà di cui parliamo è anche il formarsi di famiglie non di sangue, ma di affetti. Crede che sia una risposta ad alcuni dei problemi di oggi?
«In generale la famiglia è il nucleo fondamentale della nostra società. Lo è nella maggior parte dei casi. Dobbiamo però riconoscere che non è possibile riconoscerla solo nella sua forma standardizzata e ipocritamente venduta come “naturale”. La famiglia oggi ha bisogno di essere riconosciuta in tutte le sue possibili forme».

Nel suo racconto la figura dell’ubriacone ha quasi una sua sacralità. È un po’ una sorta di custode del quartiere, un sostegno per tutti, una memoria storica della gente che ci passa?
«L’ubriaco è attratto dal bar più di chiunque altro. E nel bar, soprattutto quando il resto del quartiere attorno si spegne, è il primo che resterebbe per un ultimo bicchiere e poi per un altro ultimo ancora, per un altro… come per allungare il tempo».
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Roma. Ascanio Celestini, Francesco De Miranda e Mimmi Gunnarson
in una scena del film

Come mai ha scelto di ambientare alcune delle scene della sposa a L’Aquila? Forse perché il terremoto del 2009 è una delle tante rimozioni del nostro Paese? A sei anni di distanza, quali crede siano le responsabilità dei media e della politica?
«I media giungono in un posto quando accade qualcosa di eclatante, la raccontano e poi se ne vanno via. Raccontato così il fatto è decontestualizzato. I media dovrebbero raccontare meno e raccontarlo meglio. È un po’ come accade con le figurine. Il telegiornale mette in fila francobolli di notizie che raccontano pezzetti di verità. La realtà sta al telegiornale come il calcio all’album delle figurine.
La politica sfrutta questa semplificazione e spesso si pone nei confronti dell’informazione e della realtà come il giornalaio che vende l’album al bambino e le figurine nelle bustine».

In uno dei suoi film ha detto “Parole sante” a proposito del mondo del lavoro. Crede che la nuova riforma del lavoro possa portare a qualche miglioramento, o il precariato è una di quelle congiunture destinate a non mutare per molto tempo?
«In “Parole sante” ho fatto parlare dei lavoratori che si sono autoorganizzati e hanno compreso che il proprio problema dovevano incominciare a risolverselo da soli. L’idea di cambiare una legge ingiusta ci pone davanti ad una salita difficilmente percorribile. La lotta importante è nel fare in modo che la legge non venga nemmeno pensata. E questo è possibile se i lavoratori dimostrano di non essere docili e addomesticabili. Lo devono dimostrare non quando vengono attaccati, ma per non essere attaccati. Penso al movimento in Val Susa. Seppure il governo e i privati riuscissero nel loro intento, sarebbe l’ultima volta che tenteranno di contrapporsi a qual territorio che ha dimostrato di non essere affatto docile».

Ne “La pecora nera” ha raccontato in modo magnifico la malattia mentale e il mondo dell’ospedale psichiatrico. Crede che in Italia si stia riuscendo ad andare oltre gli ospedali, o la soluzione è ancora lontana?
«In Italia si è fatto molto. Molto più che in altri paesi. La legge 180 del 1978 è stata una rivoluzione. Ovviamente chiudere i manicomi non significa superare il disagio mentale. Ma nei manicomi i pazienti non erano curati, ma sedati e archiviati. Risvegliarli è stato un atto di grande umanità e responsabilità. Tenerli chiusi dietro un muro crea un apparente senso di sicurezza, ma è un modo nazista di relazionarsi tra esseri umani».

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Due rapper sul set: Fedez e J-Ax attori per Alemà al Serpentone di Corviale

Hip hop e una generazione «orfana» che sta «in mezzo alle cose come un errore», incorniciati in una Roma «che certo non è da cartolina»: sono gli ingredienti di «Zeta», il terzo film di Cosimo Alemà, che include la partecipazione di rapper di spicco tra i quali Fedez e J-Ax.
Nella pellicola «si parla di rap, la musica delle nuove generazioni, qualcosa di cui mi occupo da tantissimo tempo», dice Alemà in una pausa delle riprese sul set.
«Insieme ai produttori ci interrogavamo su come coniugare questo lavoro ventennale nella musica con il cinema», spiega il 45enne romano, mentre il suo aiuto regista, Marcello Calvesi (che ha collaborato con Claudio Caligari in «Non essere cattivo») mette a punto gli ultimi dettagli della scena.
Zeta «racconta il tentativo di un ragazzo molto giovane di sfondare nel mondo del rap venendo da una metropoli molto difficile che è Roma, anche se nel film non viene mai citata, e certo non è una Roma da cartolina».
Si gira al Serpentone di Corviale, il ‘manifesto’ dell’architettura Anni ’70 trasformatosi in una mini-città ghetto. Il Serpentone, «questo famoso blocco di cemento lungo un chilometro rappresenta ancora oggi a Roma ma forse anche in Italia un esempio unico, che rende l’idea che vogliamo raccontare nel film: un quartiere che nasce in mezzo alla campagna e inghiotte un pò tutto, compresi i protagonisti», dice il regista, che sottolinea il legame affettivo con Corviale, «andavo a scuola qui vicino». È una sorta di ‘richiamo della foresta’: la scuola è il Liceo Marcello Malpighi, lo stesso frequentato da Paola Cortellesi, che in «Scusate se esisto» di Riccardo Milani ha impersonato Guendalina Salimei, l’architetto che vinse il bando per la riqualificazione del «quarto piano» del Serpentone.
Ma non c’è solo Corviale: l’altra parte del film è ambientato a Tor Bella Monaca, «una vera e propria città completamente isolata dal resto».
«Zeta» non è una commedia, avverte il regista, ma i protagonisti Diego Germini (in arte Izi), Irene Vetere, Salvatore Esposito (il Genny Savastano in «Gomorra – la serie») e Jacopo Olmo Antinori («Io e Te» di Bernardo Bertolucci e «I Nostri Ragazzi» di Ivano De Matteo) incontreranno i loro ‘beniamini’, J-Ax, Fedez, Salmo, Baby K, Briga, Clementino, Ensi, Lowlow, Noyz Narcos, Rancore, Shade, Tormento oltre al famoso breaker Lilou del Red Bull BC One All Star Team.
I loro fan li potranno vedere alle prese «con un progetto cinematografico e non sempre, solo, con la musica e i video musicali», conclude Alemà.

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Estate Romana a Corviale

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CORVIALE CULT

ESTATE ROMANA A COSTO ZERO

Concerti, incontri con scrittori, mostre, cinema, documentari, teatro, fumetti e tanto altro a entrata gratuita.

La conferenza stampa di presentazione si terrà presso Pizzeria Ciro, bene confiscato alla Mafia, in Piazza Della Maddalena, 10 (Pantheon)

Saranno presenti i rappresentanti delle associazioni coinvolte e alcuni degli artisti presenti nel programma.

Corviale: Estate Romana a Costo Zero intende portare all’attenzione dei cittadini e delle Istituzioni la ricchezza socio-culturale della periferia di Corviale e anche di altre realtà periferiche della nostra città. I territori debbono essere ascoltati, conosciuti e valorizzati secondo quanto emerge dalla realtà concreta e dalla capacità di muovere energie e sentimenti.

Indicare spazi su cui fare manifestazioni o eventi e su questi costruirci bandi, iniziative e altro rappresenta un concetto di cultura ”mordi e fuggi” che non sedimenta crescita e sperimentazione nei territori perchè elaborato sulla carta e non sul consumo, come si dice a Roma, di “tacchi e suole” e cervello.

Estate Romana a Costo Zero è un paradigma con cui si deve lavorare per creare cultura strutturata nelle periferie dove gli enti locali possono portare valore aggiunto integrandosi nel vissuto culturale quotidiano. In questo paradigma la nostra realtà ha avuto un pubblico-privato che, seppur con diversità e differenze, ha saputo svolgere il proprio ruolo con passione e competenza mettendoci del proprio. Ci siamo conosciuti con una ricerca territoriale, ci siamo messi in rete e, dopo aver valutato le possibilità, ognuno con il suo contributo ha dato risposte e prodotto attività, eventi, sedimentazioni e relazioni.

Corviale: Estate Romana a Costo Zero è la prima sintesi delle opportunità e delle capacità di rigenerarsi che la Comunità mette in “mostra”. Lo fa all’interno del circuito territoriale e lo porta all’attenzione sia della Comunità cittadina che delle Istituzioni.

Con un programma vario e ricco, di grande interesse e soprattutto ad ingresso gratuito, vogliamo dimostrare che realizzare un programma di eventi interessanti in questo territorio è possibile.

Le Associazioni interessate: Mitreo Iside, Corviale Domani, Calcio Sociale, Stadio del Rugby dell’Arvalia Villa Pamphili, Teatro di Edda Gaber, Polo Internazionale per le Arti e Mestieri Creativi, Corviale. Arci Solidarietà Onlus, Coop. Acquario 85, Biblioteche di Roma.

Info : Pino Galeota 3356790027 galeota.pino@libero.it | Antonella Matranga matranga.antonella64@gmail.com

 




Il “Piccolo Cinema” racconta le periferie romane attraverso gli occhi degli anziani

San Basilio: film, arte e fotografie all’inaugurazione di venerdì 5 giugno.

Un quartiere rimasto per venticinque anni senza una sala cinematografica. Fino ad oggi, quando a San Basilio aprirà il Piccolo Cinema, un’arena estiva che ospiterà film che raccontano le periferie di Roma e del mondo. All’inaugurazione di venerdì 5 giugno prenderà parte anche l’attore Valerio Mastandrea, per un progetto che vede coinvolti gli utenti del centro anziani di zona e del bocciofilo Ville di Roma. Gli anziani infatti sono stati i veri “direttori artistici” della piccola sala all’aperto, totalmente gratuita.

La programmazione prenderà il via con tre proiezioni, tutte alle 20.30. Il via del 5 giugno sarà affidato a “L’odore della notte” (1998) di Claudio Caligari, scomparso solo qualche giorno fa e in cui è protagonista proprio Mastandrea, fino all’ultimo al fianco di Caligari. Sabato 13 va in proiezione il mondo della spaccio a Corviale, con il film “Et in terra pax” (2010) di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, piccolo fenomeno cinematografico lanciato a suo tempo dal Nuovo Cinema Aquila, mentre venerdì 19 sarà la volta di “L’onorevole Angelina” (1947) di Luigi Zampa, film ambientato a Pietralata con Anna Magnani protagonista.

Il Piccolo Cinema San Basilio è un’opera dell’artista Rub Kandy presso la cosiddetta Stazione Sanba (via Morrovalle incrocio via Cagli), inserita nel progetto “Trame, trasmissioni di memoria”, che ha preso il via a febbraio e s’inserisce nell’ambito dell’invecchiamento attivo, promuovendo processi di scambio e la riappropriazione del territorio attraverso la memoria, l’arte e la narrazione. Cemea del mezzogiorno onlus in collaborazione con l’associazione culturale Walls, stanno realizzando il progetto, che si avvia alle fasi conclusive, anche grazie al supporto di Regione Lazio, Roma Capitale, Municipio IV e assessorato alle Periferie.

Oltre al cinema, “Trame” vedrà protagonista anche l’arte e le illustrazioni di Giulio Bonasera, che con workshop di disegno e un’esposizione racconterà la vita di periferia degli anziani, mentre il fotografo Valerio Muscella inaugurerà la mostra “Bocciofilìa”, in cui racconta con il proprio sguardo e attraverso decine di scatti i gesti e le persone che lo hanno condotto in questi mesi alla scoperta di San Basilio e della memoria collettiva del quartiere, ora impressa in una serie di ritratti di vita quotidiana e di un docufilm.

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Intervista a Paola Cortellesi e al regista Riccardo Milani

” Scusate se esisto” (commento sul film, di una ragazza che dopo l’esperienza all’estero torna in Italia….) domenica 31 Maggio cinema italiaUK al cinema Genesis) un film di Riccardo Milani con Paola Cortellesi Raoul Bova, e altri straordinari attori, come Ennio fantastichini, Lunetta Savino, Cesare Bocci.
E’ la storia di una ragazza architetto, Serena Bruno, interpretata magistralmete da Paola Cortellesi, che dopo la laurea fugge all’estero, a Londra.
E gia’ qui’, le persone che vedono il film, e sono a Londra rimangono attratte, rapite da una sorta di curiosita’, perche’ in quella ragazza in fuga c’e’ una parte di noi immigrati, proprio a Londra.

“Scusate se Esisto” é stata la prima sceneggiatura scritta da te, qual’é il messaggio piú importante che volevi trasmettere?
Paola Cortellesi:
La cosa che mi premeva di più era l’aspetto della discriminazione sul lavoro delle donne che non è una cosa che riguarda solo il nostro paese.
Parliamo anche di “cervelli in ritorno”, e interpreto il ruolo di questo architetta Serena Bruno, un nome molto comune in Italia il fatto che il cognome possa sembrare anche un nome, per questo motivo però Arch. Serena Bruno viene sembre scambiato per Archittetto Bruno Serena, si da sempre per scontato sia un uomo.
Il prologo di questa storia di una donna che riesce ad avere grandi possibilità, che è iper preparata, che fa master all’estero, che lavora qui a Londra (dove abbiamo girato a King’s Cross in un cantiere) e sta benissimo… poi però decide di tornare, tra lo stupore generale che vede tutti basiti.
Ci siamo anche documentati, anche persone che si sono arricchite nella Silicon Valley poi decidono di tornare, noi non sappiamo perchè, ma gli Italiani vogliono tornare.
Comunque Serena Bruno vuole tornare, ma il suo paese non la ama come lei ama lui, perchè si ritrova a fare cose con mansioni decisamente degradanti rispetto alla sua preparazione, viene sempre scambiata per un uomo sui progetti e dunque alla fine decide di fingersi l’assistente di se stessa, perchè quando dice che è l’assistente del Dott. Bruno Serena le danno subito credito e dunque lei va avanti così, ottiene il lavoro e inizia un progetto di ristrutturazione di un quartiere di Roma che si chiama Corviale.
Il corviale è un quartiere molto degradato di Roma, è stato complicato girare in questo quartiere?
Riccardo Milani:
Le difficoltà sono state minime, noi abbiamo lavorato molto prima di girare il film durante la preparazione del film, anche nella ricerca delle persone a cui fare interpretare quei piccoli ruoli di cui il film è costellato. C’è la signora che abita al quarto piano, i ragazzi che rubano il motorino, tutte le persone che la protagonista incontra a Corviale, sono persone di Corviale.
Noi siamo andati al Corviale con l’intenzione di raccontare un esempio di architettura importante che nasce negli anni ’70. Quando siamo andati a Tokyo a presentare il film, il pubblico è rimasto impressionato dalla bellezza di Corviale, un edificio lungo 1 km, un esempio di architettura quasi unico, che ha avuto tuttavia subito dopo la sua costruzione un percorso di degrado immediato.
Come altri esempi architettonici della città, il Corviale è un quadro di come un progetto architettonico che nasce con ambizioni altissime diventa, per altri motivi, un luogo di degrado.
Secondo te nella vita bisogna interpretare un ruolo per avere successo?
Paola Cortellesi:
Si, questo film parla proprio di questo, in questo film tutti interpretano qualcun altro.
Il personaggio di Raul Bova, nella storia è un uomo assolutamente desiderabile per la nostra protagonista, ma non condivide i suoi stessi orientamenti sessuali. Ma lui deve fingere qualcosa per non deludere suo figlio.
In ufficio dove lei lavora, poi si viene a scoprire che ognuno dei professionisti che lavora li dentro, finge qualcosa, chi per un motivo o chi per un altro, insomma in questo film tutti fingono di essere qualcun altro.
Io penso che questo è il cuore del film, l’esigenza che ognuno di noi ha di interpretare un ruolo per compiacere gli altri, piuttosto che essere orgogliosi e fieri della propria identità.
Hai mai detto nella tua vita ad un certo punto “Scusate se esisto”?
Come no, l’ho detto e ci ho scritto una sceneggiatura proprio per questo motivo.
Questo film è nato da esperienze anche autobiografiche, ma sarebbe stato strano parlare di un mestiere come il mio, perchè non si sanno molte cose (tutti pensano che questo sia un mestiere dove si va alle feste, non si fa niente, non si sa la fatica, le ore di teatro, etc)
Io non posso lamentarmi, ciò nonostante lavoro da tanti anni come autrice televisiva e quando mi sono trovata a lavorare in tavoli, chiamata a farlo, con altri autori maschi, comunque ho dovuto faticare a farmi ascoltare, nonostante fossi stata chiamata a farlo.
Ed essere spesso l’unica donna, ho fatto una riflessione, a volte devi un pò “scimmiottare”, cioè non voglio scimmiottare gli uomini, io voglio essere me stessa, non voglio prendere un piglio maschile per farmi rispettare.
Insomma ci sono delle discriminazioni palesi e dei “sottili non detti” che ti feriscono ed è il motivo per cui abbiamo scritto questo film.
Qui a Londra c’e molta immigrazione. Secondo te ha piu coraggio chi rimane in Italia, chi viene qui, o chi ritorna in Italia?
Il coraggio è sia quello di cambiare, e quindi di partire e lasciare ciò che si ha.
Dall’altra è coraggiosissimo anche tornare, perchè tornare è cercare di cambiare le cose nel proprio paese, un paese come il nostro, in crisi da 30 anni.

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Hollywood punta su Roma Il ritorno dei divi a Cinecittà

Da «Zoolander 2» a «Ben Hur», i ciak delle grandi produzioni La concorrenza straniera battuta grazie agli incentivi fiscali.

La grande tribù della produzione di «Ben Hur», dopo aver lasciato Matera, è sbarcata a Cinecittà il 2 febbraio, tra gli stabilimenti di via Tuscolana e il retroterra del parco tematico di Cinecittà World sulla via Pontina, e lascerà Roma solo il 18 maggio dopo aver costruito l’esatta replica del Circo Massimo col coinvolgimento di 80 cavalli e di una media di 7-800 comparse al giorno per le scene di massa, per un totale di circa 12 mila scritturati sotto la guida dell’italiano Enzo Sisti, line producer del film diretto da Timur Bekmambetov (nel cast, col protagonista Jack Huston-Ben Hur, c’è Morgan Freeman nel ruolo dello Sceicco Ilderim).

Storia lunga 78 anni

Due giorni fa, nella città del cinema che ormai ha alle spalle 78 anni di storia, è stato anche battuto il primo ciak di «Zoolander 2», sequel della parodia del mondo della moda girato nel 2001. Un entusiasta Ben Stiller si è auto-immortalato con un selfie negli studios romani postando la foto su Instagram con l’eloquente commento «First day of shooting down! #Zoolander2 #Cinecitta #Finallymakingthismovie!». Ovvero: finalmente si gira!

Il remake della Dolce vita

E per le strade di Roma, nei vicoli dell’antico Ghetto ebraico, i fotografi capitolini giocano al remake della Dolce Vita inseguendo il co-protagonista accanto a Stiller, cioè Owen Wilson (l’attore che nel 2011 recitò per Woody Allen in «Midnight in Paris» con Carla Bruni sotto gli occhi preoccupati di Sarkozy) nelle sue scorribande notturne tra ristoranti (è ghiotto di carciofi alla giudìa) e una discoteca romana ora di gran moda in via Fleming, sopra Corso Francia. Uno spettacolo nello spettacolo, il divo che si sottrae ai flash sullo sfondo di Roma antica stando a un gioco mediatico che è alla radice del mito di Cinecittà.

Ferve l’attività

Ma non basta. Proprio ieri negli uffici dell’amministratore delegato di Cinecittà Studios, Giuseppe Basso, si è tenuta una riunione forse decisiva per la produzione di una serie tv targata Sky dedicata a Diabolik, destinata al mercato internazionale, col coinvolgimento del maestro Dante Ferretti (tre premi Oscar) per le scenografie.
Cinecittà conosce una nuova primavera, e si respira un clima quasi euforico. «Sono rientrato da pochi giorni da un lungo giro negli Stati Uniti. Ho incontrato a Hollywood i rappresentanti delle grandi Major e dei maggiori produttori indipendenti. Ho riscontrato una nuova attenzione per Cinecittà, per il nostro marchio, per la città di Roma e, in generale, per il nostro sistema Paese», racconta Basso. Ma cosa è accaduto? «Finalmente si comincia ad avere meno timore per le autorizzazione per le riprese, per le leggi sul lavoro. Ma soprattutto bisogna dare atto al ministro Dario Franceschini per la determinazione con cui è riuscito a far approvare il nuovo sistema di tax credit, ovvero degli incentivi fiscali. Prima eravamo assolutamente non competitivi, ci ritrovavamo esclusi dal circuito dei migliori set europei».

Pagina sul New York Times

La conferma è arrivata dal New York Times che ieri in prima pagina titolava: «Hollywood ancora una volta torna sulle rive del Tevere», grazie proprio «ai benefici fiscali per le produzioni straniere voluti dal governo italiano». 
Con la nuova norma i progetti stranieri hanno un beneficio del 25% di quanto spendono in Italia. Unendo insieme Cinecittà Studios e Filmmaster, entrambe aziende del gruppo Italian Entertainment Group, si possono trasferire alla produzione fino a 20 milioni di benefici fiscali a progetti che investono in Italia fino a 90 milioni di euro.

Fondamentale il tax credit

Basso assicura che senza il tax credit «Zoolander 2» sarebbe finito altrove, probabilmente in Gran Bretagna o in Francia. Ma un’altra carta decisiva, spiega Basso, è stata giocata grazie a James Bond: «La produzione di quel film è andata bene, Roma ha dimostrato di poter essere un eccellente set per una grande produzione. Un esempio come quello è importante. Perché noi vogliamo e dobbiamo pensare in grande. Cinecittà è una straordinaria realtà composta da venti teatri di posa, più di cento persone impiegate stabilmente, con un reparto scenografico tra i più vasti d’Europa con quaranta addetti. Le voci circolate nel 2012 di una trasformazione di Cinecittà in un maxi resort non ci hanno aiutato. Ma ora possiamo guardare al futuro con sicurezza e decisione». 
Aveva insomma ragione Fellini: «Quando mi chiedono dove vorrei vivere, a Londra, New York… io penso sempre che vorrei vivere a Cinecittà» 

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CINEMA IMPERO. IL PROGETTO C’È, IL CONSENSO PURE. PERCHÉ NON SI VA AVANTI?

Dopo la raccolta di 4.000 firme per richiedere la riapertura del Cinema Impero, dopo i sondaggi e dopo il laboratorio partecipato di progettazione a cui hanno partecipato oltre 1.000 persone e 32 fra associazioni e imprese (il più grande labaratorio partecipato mai fatto a Roma), il nostro movimento di “pressione” è riuscito ad ottenere un primo risultato: i 5 piani della torre su via Acqua Bullicante sono stati riaperti e ora accolgono corsi di danza, teatro, perfomance e musica. Quasi 500mq che sono diventari spazi di formazione per le arti perfomative come previsto dal nostro progetto.Lo spazio è gestito dalla proprietà che coordina le attività.

Manca ancora molto però. Tutto lo spazio retrostante – il vero Cinema Impero – è tutt’ora chiuso e nonostante il nostro progetto sia ormai riconosciuto da tutti (proprietà e istituzioni) come fattibile non passa in fase esecutiva. C’è in atto una sorta di “sospensione” che ci preoccupa, che ci fa temere il peggio. La recente delibera sui cinema chiusi non aiuta a pensare positivo in quanto consente anche di speculare sull’area.

Per questo nei prossimi giorni torneremo a farci sentire, a chiedere incontri e tavoli, a chiedere perché un progetto fatto (anche con piani architettonici esecutivi come quello di Christian di Domenicantonio), condiviso e supportato da migliaia di persone, definito best practice dall’Università e dal Forum PA, studiato e discusso alla Biennale dello Spazio Pubblico sia ancora fermo.

Noi non chiediamo niente per noi. Non facciamo parte della schiera di quelli che protestano per passare all’incasso.
Noi chiediamo che lo spazio sia riaperto nelle modalità condivise con migliaia di cittadini di questo quartiere: Spazio culturale polifunzionale.
Noi chiediamo di riavere un cinema e un polo culturale e chiediamo di averlo come lo hanno “disegnato” i cittadini di Tor Pignattara.

Stiamo registrando le varie fasi di questo cantiere in progress e stiamo costruendo un documento audiovisivo per testimoniare la nostra attività e la grande partecipazione che lo ha contraddistinto. Sarà un doc in progress perché intendiamo mettere la parola fine solo quando l’intero cinema sarà riaperto

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 Whiplash

batteristadi Damien Chazelle. Con Miles TellerJ. K. SimmonsMelissa BenoistPaul ReiserAustin Stowell USA 2014

Andrew Neimann (Teller) è un ragazzo solo: vive con il padre Jim (Reiser), un professore di liceo con irrisolte velleità di scrittore (la madre li ha lasciati quando lui era piccolo) e con lui va al cine-club a vedere vecchi film europei, per il resto non ha amici e studia la batteria (sua unica e quasi maniacale passione) presso il miglior Conservatorio di New York; è al primo anno e nella band del suo corso fa il voltaspartiti al titolare Ryan (Stowell). Un giorno il professor Fletcher (Simmons), una leggenda del jazz, lo convoca per un audizione e lo mette a voltare gli spartiti al batterista Carl Tanner (Nate Lang); poco dopo insulta sanguinosamente e caccia il trombonista Metz (C.J. Vana), reo di non aver capito le stonature di un suo compagno. Andrew – che nel frattempo ha trovato il coraggio di invitare la ragazza che vende i popcorn al cine-club  Nicole (Benoist) – morde il freno e, quando la band dell’Istituto si esibisce, approfittando di una propria distrazione (ha perso lo spartito di Carl che non sa suonare a memoria), convince Fletcher a farlo esibire. Il concerto va bene e lui ha guadagnato il ruolo di titolare. Ora è sicuro di sè e una sera a cena con il padre e gli zii (Chris Mulkey e Suanne Spoke), racconta dei propri successi e tratta con superiorità i cugini (Charlie Ian e Jayson Blair), fieri dei propri  risultati sportivi a scuola. Fletcher pretende da lui sempre di più, tanto che il ragazzo ha le mani ferite per il tanto provare ossessivamente, e lui lascia Nicole, con la quale si era fidanzato, per timore che possa distrarlo dalla musica. Un giorno Fletcher, dopo aver commemorato in classe un brillante ex—allievo morto per un incidente (sapremo poi che si è suicidato), prova con la  band Caravan ma, scontento di Andrew, lo mette in competizione con Carl e Tanner. Alla fine lui ce la fa, dopo ore di sofferenza ed avendo riempito la batteria di sangue. Arriva il giorno di una nuova esibizione fuori città ma al pullman sul quale viaggia Andrew si buca una ruota, lui affitta una macchina e arriva con un lieve ritardo e senza le bacchette (le ha dimenticate in agenzia); Fletcher, che lo aveva già sostituito, accetta di aspettare che torni ma, nella fretta, Andrew viene investito da un camion; pur ferito esce dai rottami e prende, all’ultimo secondo, il proprio posto allo strumento; è troppo malridotto e suona male e, quando Fletcher si scusa con il pubblico e lo caccia, gli si avventa addosso. Espulso dalla scuola, mette via la batteria e si fa convincere dal padre ad affidare all’avvocato Rachel (April Grace) una denuncia anonima per maltrattamenti nei confronti dell’insegnante. Qualche tempo dopo, avendo visto in un bar di una jam-session con Fletcher entra e , quando sta per uscire, il musicista lo chiama e lo invita a bere qualcosa; gli racconta di aver perso il lavoro al Conservatorio per via di una denuncia anonima ma di aver sempre cercato tra i suoi allievi un nuovo Charlie Parker, sapendo di doverli tormentare per tirar fuor da qualcuno di loro il genio musicale; alla fine della conversazione, lo invita ad entrare nell’orchestra jazz che ha appena formato. Andrew accetta e telefona a Nicole per invitarla al concerto nella speranza di recuperare il rapporto ma lei gli comunica di avere un nuovo fidanzato. La sera del concerto, Fletcher gli dice di sapere che la denuncia era partita da lui e apre la performance con un brano inedito, del quale Andrew non nemmeno lo spartito. Alla fine della penosa performance si alza per andarsene, accolto dal padre ma, di scatto, torna indietro e suona Caravan (è il secondo brano in programma), in maniera perfetta, infischiandosi della direzione di Fletcher e chiudendo, esausto e sanguinante, con un assolo fuori programma. Lo sguardo di odio che lui e il jazzista si erano scambiati si trasmuta, ora, in intesa tra  due musicisti che si sono riconosciuti.

Chazelle ha appena trent’anni  e con questo secondo film (il primo, Guy e Madeleine on Park Beach, era un bianco e nero sempre di ambiente jazzistico), ha trionfato a Sundance, vincendo sia il Premio della Critica che quello del Pubblico; ora ha varie nomination all’Oscar, in particolare quella allo strepitoso J.K. Simmons quale attore non protagonista e si sta affermando  nel mondo come un grande film sul jazz (al pari di Bird di Eastwood e ‘Round midnight di Tavernier); d’altronde la creatività musicale e la sofferenza che comporta devono essere un’ossessione del regista che ha anche scritto la sceneggiatura de Il ricatto, storia di un pianista nevrotico che deve tenere un concerto sotto il tiro di un  killer paranoico .La scelta dei brani è poi significativa, oltre al complesso Caravan di Duke Ellington, Whiplash di Hank Levy, che dà il titolo al film, è considerato il pezzo che dà il via al jazz-rock, cioè la commistione tra tradizione e pop, così come questo film è il tentativo, riuscito, di far entrare il be-bop nel cinema direttamente come sangue e tecnica senza la scorciatoia della biografia di qualche grande.

 




Cinquanta sfumature di grigio (Fifty Shades of Grey)

cinquantadi Sam Taylor-Johnson. Con Jamie DornanDakota JohnsonLuke GrimesVictor RasukJennifer Ehle. USA 2015.

Anastasia (Johnson) è una laureanda in Letteratura Inglese ed, un giorno, la sua coinquilina Kate (Eloise Mumford), che ha preso l’influenza, le chiede di andare al suo posto ad intervistare il giovane tycoon Christian Grey (Dornan); l’uomo si rivela affascinante e gentilissimo e lei ne è colpita; qualche giorno dopo lui si presenta nel negozio di ferramenta nel quale lei lavora e le compra della corda e degli altri legacci e poche ore dopo manda il suo autista Taylor (Max Martini) a prenderla all’uscita dal lavoro per portarla a cena e nel locale spiega alla ragazza che è preso di lei ma che non può continuare a vederla a causa delle proprie inclinazioni. Il giorno dopo lei si vede recapitare in regalo delle prime copie costosissime dei romanzi di Thomas Hardy, il suo scrittore preferito. La sera con Kate e con Josè (Rasuk), un suo amico innamorato segretamente di lei, va a ballare, si sbronza e, ubriaca, telefona a Christian; lui la va prendere, accompagnato dal fratellastro Elliot (Grimes) e, dopo averle detto che meriterebbe una sculacciata, la porta via. L’indomani mattina lei si sveglia svestita nel suo letto ma lui le dice  che hanno solo dormito e le chiede di mettersi con lui, solo però dopo aver sottoscritto un contratto che le sottopone. Tornata a casa, trova Kate che fa l’amore con Elliot e comincia a leggere il contratto; questo prevede una serie di clausole che partono dai rispettivi ruoli: quello di Dominatore per lui e quello di Sottomessa per lei. Lei, dopo lunghe esitazioni, lo incontra e, come per una vera trattativa di affari, discute punto per punto l’accordo, escludendone alcuni eccessi, come le penetrazioni estreme. Con l’elicottero di lui (che intanto le aveva fatto costosi regali, quali un computer ed un’ automobile) vanno nella sua villa a Seattle e cui lui le mostra la stanza dei giochi: una camera rossa piena di fruste, cinghie, corde e manette e la camera dove lei dormirà (da sola: lui non dorme con le donne con cui ha fatto sesso) durante i week end. Quando lei gli rivela di essere vergine, lui la porta subito nel proprio letto e ci fa l’amore con grande partecipazione. Il loro rapporto va avanti e solo quando lei si dichiarerà pronta andranno nella stanza dei giochi. Un paio di week end dopo lei ha voglia di andare a trovare la madre, Carla (Ehle) e, poco dopo, a sorpresa lui la raggiunge; lei è un po’ irritata dell’intrusione e lui, per la prima volta, delicatamente la sculaccia. Tornati a Seattle, lei gli chiede di andare nella sala rossa, dove lui, usando la corda che aveva comprato da lei, la lega, la benda e, blandamente, la frusta. Lui, poco dopo, le confessa di aver avuto una prima infanzia terribile, a causa della madre drogata e di essere stato successivamente adottato dai Grey. Anastasia sopporta sempre meno quel rapporto così poco intimo nella quotidianità e, per capire meglio l’animo di lui, gli chiede di sottoporla ad una vera punizione; lui la denuda e le dà sei violente cinghiate; quando però, eccitato, cerca di abbracciarla, lei si ritrae insultandolo. Quella sera stessa, gli ridà i suoi regali e decide di andarsene ma, quando l’ascensore sta per chiudersi…

E.L. James aveva inizialmente messo mano ad una serie dal titolo Masters of the Universe, che era basata sui fan di Twilight ma, avendola infarcita di scene di sesso, la ha trasformata nella trilogia 50 sfumature e questo spiega l’impianto di base del racconto: Christian, come Edward Cullen, ha una tara che lo porta ad allontanare da sé la pur amata Anastasia/Bell. Questo nel film è rimasto ma l’operazione produttiva – per altro perfettamente riuscita da punto di vista commerciale – è stata quella di puntare sul glamour piuttosto che sul sesso ( che avrebbe comportato divieti, allontanando il prezioso pubblico dei tennager), diluendo ed annacquando le scene di BDSM (bondage, dominazione, sadismo e masochismo) e lasciando intatti irimandi alla Cenerentola soft-porno che caratterizzala storia ed i suoi due protagonisti: povera e risoluta lei, ricco e potente lui. La regista, peraltro, è una video artista- sopportabilmente trasgressiva ed amata dai salotti bene – ed a ha diretto con il nome di Sam Taylor Wood il film Nowhere boy, sulla giovinezza di John Lennon (ha poi cambiato nome quando ne ha sposato il giovanissimo protagonista, Aaron Taylor Johnson). Dakota Johnson è figlia di Melanie Griffith e di Don Johnson e Dornan, che si era fatto notare nel serial The fall, è stato il boy friend di Keira Knightley e così si completa il cerchio modaiolo. Non c’è molto altro da dire su quella che non è altro che una furba e accattivante confezione dentro la quale non c’è altro che sfavillio di un’improbabile ricchezza (Christian lavora pochissimo)  ed una quasi totale assenza di erotismo (perfino il prudente Secretary, più o meno sullo stesso argomento, era più sexi), anche se un paio di commenti a labbrucci serrati di nostri moralistelli a tariffa ideologica ci farebbe venir voglia di difenderne  l’onesta operazione di marketing…