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Gli inquilini più disagiati

L’assenza della deroga per gli sfratti dalla legge finanziaria 192/2014 (milleproroghe 2015) consentirà ai proprietari di immobili che ne faranno richiesta di poter sfrattare gli inquilini con particolari disagi, pensionati – portatori di handicap – minori, che fino al 31/12/2014 venivano salvaguardati da questo rischio.
Ad oggi non esistono dati certi sul numero di sfratti per questa tipologia di inquilini, poiché erano tutelati dalla deroga.
Questi inquilini particolarmente disagiati andranno ad aggiungersi all’emergenza nazionale che consta al 2013 di circa 73.385 sentenze emesse di sfratto.
Per UNIAT aps​ è paradossale che in una fase di continua crescita del numero degli sfratti il Governo per esigenze di bilancio aggravi l’attuale situazione aggiungendo ulteriori tipologie di inquilini sfrattabili.
Inoltre va ricordato che gli inquilini precedentemente tutelati dalla deroga non sono morosi e pagano il 20% in più il canone di affitto a titolo di indennità di occupazione. Gli stessi proprietari di casa non hanno intimato loro lo sfratto per vendita dell’immobile o cessione dello stesso ai parenti di primo grado.
Quest’ultima tipologia di sfratto se voluta dal proprietario di casa poteva essere sempre garantita dalla legge e dal Prefetto.
Oggi per questa tipologia di inquilini, non morosi e con reddito superiore a 27.000 euro si aggiunge la beffa di vederli esclusi dalle coperture ​previste dai fondi affitto e morosità incolpevole, poiché per loro non ricorrono i  requisiti di accesso agli stessi​ e nella stragrande maggioranza sono anche esclusi dalle graduatorie per le assegnazioni degli immoblili pubblici (ex I.A.C.P, ATER , ALER …)​

La richiesta avanzata al Governo da UNIAT aps​, dalle associazioni degli inquilini e dall’Anci,​ per ottenere delle soluzioni che salvaguardino questa tipologia di inquilini dal rischio di sfratto ​non può essere schiacciata  sul piano della mera richiesta di soldi  piuttosto​, la richiesta, ​testimonia l’attenzione che le associazioni esprimono sul piano sociale per una migliore qualità di welfare e protezione delle famiglie.

Nel caso in cui il Governo non dovesse provvedere con atti solleciti, UNIAT ​aps ​e le altre organizzazioni​​, impegnate nella tutela dei cittadini più vulnerabili​, presenteranno ai Prefetti la richiesta di non concedere la forza pubblica a fronte di eventuali sfratti passati in esecuzione.

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La rabbia dell’Italia senza casa

Riaccesa dalla crisi e dal mancato rinnovo del blocco degli sfratti da parte del governo, la tensione cresce soprattutto nelle città. Colpa anche della grande contraddizione tra le tante famiglie che si trovano prive di un tetto e le decine di migliaia di appartamenti pubblici non ancora assegnati ai quali si aggiungono quelli privati rimasti vuoti o invenduti. Da qui la ripresa delle occupazioni e delle proteste

Edifici sfitti e occupazioni, il paradosso italianodi LUISA GRION

ROMA – Un paese di case in proprietà, ma anche di sfratti e occupazioni abusive. L’80 per cento degli italiani è padrone delle quattro mura in cui abita, ma per chi un tetto non ce l’ha trovarne uno può diventare un incubo. La crisi economica ha visto esplodere l’emergenza abitativa, aggravata dalla mancanza decennale di una politica dell’abitare. L’ultimo corposo intervento pubblico è stato quello avviato nel dopoguerra e arrivato fino agli anni Sessanta: le cosiddette “case Fanfani”, costruite per dare una abitazione alle famiglie a basso reddito. Poi dagli anni del boom dell’edilizia privata e dei piani regolatori spregiudicati si è arrivati a quelli, attuali, dell’invenduto. Da una parte sono crollate le compravendite, dall’altra la perdita di redditi ha fatto lievitare il tasso di morosità degli inquilini.
Niente blocco. Oggi un pezzo del Paese è a rischio: per la prima volta dopo oltre trent’anni la legge di Stabilità varata a fine dicembre non ha rinnovato il blocco degli sfratti per finita locazione. Un diritto riconosciuto ai nuclei familiari con determinati limiti di reddito (27mila euro lordi l’anno) e con a carico persone malate, minori o anziani. L’ultima proroga è scaduta a fine anno, fra l’esultanza di Confedilizia – l’associazione dei proprietari che chiede al governo di non scaricare sui privati il problema abitativo – e la disperazione dei sindacati degli inquilini, secondo i quali ci sono fra le 30 e le 50mila famiglie a rischio. Non esistono cifre ufficiali invece per l’altro tragico effetto dell’emergenza abitativa: quella degli immobili violati e occupati. Fenomeno che riguarda soprattutto le case popolari (stime parziali parlano di 15mila illeciti solo fra Roma e Milano), dove si entra abusivamente approfittando di una momentanea assenza del legittino inquilino o per le quali si punta ad una sanatoria (o al comodato, come avvenuto a Parma tra mille polemiche), contando sulle lentezze dei bandi comunali che ne determineranno le assegnazioni e la vendita.

I dati sugli sfratti. Sugli sfratti il Codacons tiene i conti aggiornati: “Nel 2013 sono stati 31.399, con un incremento del 7,7 per cento rispetto all’anno precedente. Negli ultimi 5 anni il totale ha raggiunto quota 332.169, di cui 288.934 per morosità. E nel 2014 il ritmo è proseguito a circa 150 sfratti al giorno”. La mancata proroga rischia devastanti effetti sociali, annunciano le associazioni degli inquilini e i comuni sono d’accordo. Ma il governo assicura di non voler tornare indietro. Palazzo Chigi snocciola gli investimenti stanziati nell’ultimo anno sul settore e messi in fila in quel Piano Casa operativo, sulla carta, dal maggio scorso, ma di fatto lì rimasto in buona parte. Si tratta di 200 milioni per un fondo di sostegno alla locazione e 266 per la morosità incolpevole destinati a chi, per via della crisi, si trova in difficoltà economiche temporanee. Più 400 milioni volti alle ristrutturazione delle case popolari. Il viceministro alle Infrastrutture Riccardo Nencini parla di “19 provvedimenti per un totale di 2,3 miliardi” e assicura che ciò permetterà ai Comuni di cavarsela senza ricorrere al blocco.

Sfratti richiesti (*) Sfratti eseguiti (**)
Totale Variaz.% Totale Variaz.%
2007 109.446 8,55 22.468 0,85
2008 139.193 27,18 25.108 11,75
2009 116.573 -16,25 27.584 9,86
2010 111.260 -4,56 29.889 8,36
2011 123.914 11,37 28.641 -4,18
2012 126.852 2,37 29.154 1,79
2013 129.577 2,15 31.399 7,70
(*) Domande presentate all’Ufficiale Giudiziario
(**) Con l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario

fonte: Ministero Interni

Pubblico e privato poca chiarezza. Il fatto è che, sempre ammesso che i soldi entrino in tempo nelle loro casse, ed emergenza sfratti a parte, il problema abitativo resta tutto da risolvere: sia nel settore privato, dove le case restano vuote e gli affitti languono, che nel settore pubblico, dove i meccanismi di assegnazione sono poco chiari. Per Guido Piran, segretario generale del Sicet, sindacato degli inquilini, l’emergenza attuale si risolve solo rilanciando l’edilizia pubblica e ristrutturando in primis il patrimionio esistente. “Ma l’edilizia pubblica, come la sanità, costa”. La gravità attuale, assicura, “nasce dal fatto che gli affitti privati sono troppo alti e la locazione concordata non esiste più. Puntare sul taglio delle tasse a carico del locatore, la famosa cedolare secca, è stato un errore. Quella misura non ha funzionato, non ha prodotto una riduzione degli affitti”. Quanto all’edilizia pubblica, per Piran è essenziale “ridefinire la norma di alloggio sociale: oggi è equivoca. Serve una legge quadro sull’edilizia pubblica che chiarisca chi ha diritto ad usufruirne e in base a quali criteri: ora ogni Regione va per proprio conto, decide da sola anche i limiti di reddito e le iniquità sono evidenti”. E soprattutto servono più risorse: “Vanno coinvolti i privati, va studiata una politica fiscale d’appoggio, ma le cifre di cui parla il governo arrivano tardi e coprono più anni. In Europa si fa molto di più, il solo Regno Unito spende 2 miliardi di sterline l’anno”.

A Roma a caccia di morosi con un softwaredi MARIO REGGIO

ROMA – Più di 71mila appartamenti. Oltre 220mila abitanti, più dei 200mila residenti a Trieste. Quarantasettemila gestiti dall’Ater, l’ex Istituto autonomo case popolari, 23mila direttamente dal Campidoglio che ha anche il compito di esaminare le domande di assegnazione di una casa popolare ed autorizzarne l’assegnazione. Una lista d’attesa che ha raggiunto quota 30mila. Ma non basta. Tremila e 500 famiglie sono parcheggiate nei residence, con grande soddisfazione economica per i proprietari privati. Intanto, sui residence, sta indagando la Procura di Roma perché sugli appalti aveva messo le mani l’allegra compagnia di Buzzi e compagni.
E all’assessorato alle Politiche abitative del Comune di Roma, dopo le dimissioni di Daniele Ozzimo, indagato nell’inchiesta Mafia Capitale, non c’è alcuna voglia di parlare. Ma qualcosa riesce a filtrare lo stesso: “Il governo non ha ripresentato il decreto di blocco degli sfratti – dice un dirigente che chiede di restare anonimo – ma la questione riguarda solo i contratti scaduti per fine locazione, ergo sono esclusi quelli di morosità e non sono ovviamente coinvolti gli enti che gestiscono le case popolari. Per Roma parliamo di alcune migliaia di famiglie che si aggiungeranno a quelle già in lista attesa. Al momento il Comune di Roma non è in grado di gestire questa situazione drammatica. Un esempio concreto: su 10 casi segnalati dagli assistenti sociali, che riguardano soprattutto i “nuovi poveri”, solo uno viene risolto. Senza contare le famiglie che vivono nei residence, una scelta che dovrebbe essere provvisoria e che invece è diventata endemica con costi di milioni di euro per Roma Capitale”.
Come uscire dall’emergenza. “L’emergenza abitativa è una condizione strutturale dal dopoguerra – rispone Daniel Modigliani, commissario straordinario dell’Ater – ma sono contrario al suo uso strumentale, mantenere l’emergenza fa comodo sia alla politica che agli utenti. Manca e servirebbe una ricognizione puntuale dei numeri e delle emergenze, per programmare una concreta politica abitativa. Faccio un esempio. La domanda di alloggi è cambiata: servono tipologie di immobili più piccole rispetto al passato, mentre sono cambiati i nuclei familiari che sono aumentati ed hanno meno componenti”.
E con l’emergenza non si ferma il mercato clandestino. Nel 2013 ottocento persone sono state denunciate per occupazione abusiva di alloggio. E ogni anno centinaia di case passano di mano in maniera abusiva, subaffittate o vendute. Negli anni passati andava di moda il passaparola, oggi con internet è cambiato tutto. È cresciuto e si è consolidato un racket che entra in azione quando una famiglia si assenta per qualche settimana. Basta un click e la casa viene venduta dopo aver sostituito la serratura. Sono lontani i tempi di Cristiana Petriacci, alias “la padrona di Testaccio”, finita poi in carcere con l’accusa di estorsione e truffa per aver gestito la compravendita di immobili dell’Ater. La signora si avvaleva di un esperto del settore, più noto come “Er tapparella”, in grado di entrare negli appartamenti vuoti passando dalla finestra o dal balcone.
I numeri dell’Ater. Un po’ di storia. L’Istituto Case Popolari nasce nel 1903, sindaco di Roma il principe Prospero Colonna. Nel 1928 diventa Istituto Autonomo Case Popolari. Nel 2002 si trasforma nell’azienda territoriale edilizia residenziale pubblica del comune di Roma. La proprietà è della regione Lazio. Il suo patrimonio è valutato attorno a 10 miliardi di euro e comprende: 47.674 alloggi, 3.126 locali, 27.905 cantine, 147 terreni e 159 cartelloni. I dipendenti sono 482. Nel 2013 ha incassato 23 milioni di euro dagli affitti, mentre il 24,2 per cento degli inquilini risulta moroso. Mancano all’appello 7 milioni e 386 mila euro. Malgrado tutto, i conti dell’Ater non vanno poi così male. Dopo anni di perenne deficit, nel 2013 il conto economico ha registrato un avanzo di oltre 7 milioni di euro. “Abbiamo scoperto che i bilanci degli ultimi anni non erano mai stati approvati – afferma Claudio Rosi, direttore generale dall’ottobre del 2013 – dopo un lungo periodo di sonno profondo, l’Ater comincia a marciare”. E snocciola una serie di progetti.

L’azienda ha presentato alla Regione Lazio un programma quadriennale per la costruzione di 651 nuovi alloggi con un costo complessivo di 84 milioni di euro. E sulla manutenzione ci sono 18 gare d’appalto per 40 milioni di euro. Ma l’asso nella manica dell’Ater è la nuova piattaforma informatica per la gestione del patrimonio immobiliare che è collegata con la Guardia di Finanza. Il programma è stato “girato” a Roma Capitale, l’azienda casa della Provincia di Torino, di Trieste e Bologna. “Grazie alla piattaforma informatica – conclude Rosi – stiamo recuperando la morosità e siamo arrivati a incassare, assieme ai proventi che derivano dagli affitti e dai servizi, circa 130 milioni di euro”. E dopo anni di vacche magre sono in arrivo dalla Regione Lazio 19 milioni di euro per la manutenzione di Corviale, il serpentone sulla via Portuense.

Tor Sapienza e San Basilio. L’anello stradale che circonda Tor Sapienza si chiama via Giorgio Morandi. All’intero, il grande quadrilatero delle case popolari. Nei 504 appartamenti abitano quasi duemila persone. Poi ci sono gli abusivi, cioè gli occupanti. Lungo il cortile interno un serpente ad un piano di quelli che avrebbero dovuto essere i negozi. Ci hanno provato, ma poi Auchan e Carrefour, che sorgono a poca distanza, hanno massacrato qualsiasi attività. Ergo, i locali sono stati occupati da famiglie al limite della povertà ed immigrati e rom. Impossibile entrare in questo girone infernale. A parte il buio la risposta è sempre la stessa: “Niente domande, andate via…..”. Altro caso esemplare è quello di San Basilio. Qui la storia è diversa dalle altre. Primi anni 70. Il governo Fanfani decide di varare un robusto piano di edilizia popolare. E proprio a San Basilio sorgono come funghi i quadrilateri delle case popolari. Partono le occupazioni. Nel settembre del ’74 la questura decide lo sgombero di 150 famiglie. Un gigantesco spiegamento di poliziotti inizia le operazioni. Il quartiere scende in piazza. La polizia si ritira. L’8 settembre torna in forze. Fabrizio Ceruso, 18 anni, perde la vita colpito da un proiettile di pistola. Da tutta la città arrivano migliaia di manifestanti, la polizia ingaggia una battaglia senza esclusione di colpi, ma San Basilio non cede. Oggi è tutta un’altra storia. A San Basilio vivono 3 mila e 400 famiglie nelle case popolari più le 700 che hanno occupato gli alloggi ma hanno beneficiato della sanatoria. Oggi il verde è aumentato, campeggiano quattro murales uno dei quali dedicato a San Basilio e a Fabrizio Ceruso. Per il resto si tira avanti. “Gli spacciatori ci sono anche ai Parioli…. ognuno di noi ha i suoi problemi, come tutti…”

Alloggi occupati sul totale degli alloggi gestiti (percentuale)
2001 2003 2004 2006 2008 2011
Nord 1.4 0.4 0.9 1.5 1.8 1.3
Centro 5.1 6.0 5.1 5.5 8.3 9.7
Sud 11.0 10.0 9.9 7.4 8.6 10.4
Italia 5.5 4.9 5.0 4.4 5.5 5.9
fonte: Ufficio studi e statistica Federcasa

L’esistenza stravolta di chi subisce lo sfrattodi MARIA ELENA SCANDALIATO

MILANO – “Bisogna viverlo, per capire”. È questa la premessa che fa ogni famiglia sfrattata, prima di iniziare a raccontare la sua esperienza. Perché essere sbattuti fuori casa è anzitutto un trauma. Soprattutto per i bambini, le cui certezze – scuola, amici, quartiere  – vengono polverizzate in pochi istanti da uno sconosciuto ufficiale giudiziario.
Siamo andati nel residence sociale “Aldo dice 26×1”, a Sesto San Giovanni; un enorme stabile dell’Alitalia occupato da diversi comitati per la casa, dove trovano alloggio quasi cento inquilini, di cui una trentina bambini. Si tratta di famiglie in emergenza abitativa, che hanno subito uno sfratto e che magari sono da anni nelle liste dell’Aler, in attesa di ricevere una casa popolare. Le loro storie si assomigliano molto: iniziano tutte con un affitto di sei-settecento euro al mese e un lavoro a basso reddito che all’improvviso viene meno. A quel punto diventa impossibile continuare a pagare e i debiti si accumulano per mesi. Fino all’arrivo dello sfratto, che tutti pensano di procrastinare, ma che alla fine bussa puntuale alla porta di casa, costringendo gli inquilini a prendere quel che possono e a lasciare l’alloggio immediatamente.  

Nel 2014 Milano ha registrato oltre 13mila richieste di sfratto esecutivo: 4mila per finita locazione, il resto per morosità. A pagarne le spese sono soprattutto i bambini, i cui bisogni vengono pressoché ignorati. Ahmed è stato sfrattato a marzo e si è rivolto subito al Comune di Milano in cerca di una soluzione d’emergenza. Non tanto per sé e sua moglie, quanto per i suoi figli di nove e undici anni che il giorno dopo dovevano andare a scuola: “Mi hanno detto di arrangiarmi. Sono riuscito a pagare un albergo per una settimana, e poi sono andato alla Caritas. Alla fine un consigliere di zona mi ha suggerito di venire qui, in questo residence. È un posto occupato, ma almeno i miei figli hanno un tetto sulla testa”.
Senza Caritas e comitati i figli di Ahmed, come quelli di molte altre famiglie, sarebbero rimasti in mezzo alla strada. Non solo a marzo, ma anche nel freddo invernale. “Alle famiglie con minori vengono offerte quasi sempre delle soluzioni alternative – afferma Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche Sociali del comune di Milano – sono pochissimi i casi di persone che dormono in macchina”. In effetti, una donna cui è stata proposta una soluzione alternativa l’abbiamo incontrata: si chiama Francesca e ha tre figli di sette, quattordici e sedici anni. Quando è stata sfrattata il Comune ha offerto a lei e alla sua bambina più piccola un posto in una comunità protetta, dove sono ospitate madri con minori vittime di violenza. Purtroppo, però, questa comunità si trova in un paesino della provincia di Asti, decisamente lontano da Milano. I due figli più grandi, che il comune avrebbe destinato a una struttura per adolescenti chissà dove, alla fine sono andati a stare con la nonna, a Monza. La famiglia, quindi, è divisa da più di un anno e lo resterà finché a Francesca non sarà assegnato un alloggio Aler. “È un’esperienza dura, perché gli altri bambini della comunità hanno dei problemi molto seri e mia figlia non c’entra niente con loro”, racconta Francesca. “Mangiamo solo pollo e riso, tutti i giorni. E in quel paesino non posso certo cercare lavoro. Per guadagnare qualche soldo e dare a mia figlia del cibo diverso faccio dei lavoretti per le educatrici della comunità. Stiro i loro abiti, lavo la loro auto… Cose così, per avere qualche soldo in tasca”.

Anno Provvedimenti di sfratto emessi
Necessità locatore Finita locazione Morosità / Altra causa Totale Variaz.%
2007 674 9.236 33.959 43.869 -3,64
2008 539 10.549 41.203 52.291 19,20
2009 700 9.208 51.576 61.484 17,58
2010 900 8.495 56.269 65.664 6,80
2011 832 7.471 55.543 63.846 -2,77
2012 1.174 6.640 62.501 70.315 10,13
2013 2.659 5.424 65.302 73.385 4,37
fonte: Ministero Interni

Senza contare la distanza dagli altri figli. “Se penso che il Comune di Milano spende 4500 euro al mese per tenerci lì, mi viene da piangere. Se avessero dato a me quei soldi, avrei risolto tutti i miei problemi”. E qui scopriamo i “numeri” di questo sistema emergenziale, poco efficiente ma costosissimo. Il Comune di Milano, nel 2012, ha inserito in comunità 404 minori accompagnati dalle madri, e 844 minori soli; per farlo, ha speso ben 30 milioni e 661mila euro. Cifra che nel 2013 è salita a 32 milioni. Somme da capogiro, con le quali si sarebbe potuto fare ben altro, soprattutto per le famiglie sfrattate. Un budget che, d’altronde, lo stesso Majorino intende ridimensionare: “Abbiamo avviato il progetto della residenzialità sociale temporanea, con cui daremo a mille persone, ogni anno, uno sfogo abitativo di emergenza”. Il progetto dovrebbe partire nel 2015. Ad oggi, però, il Comune continua a spendere tra i 70 e i 90 euro al giorno solo per collocare in comunità un minore sfrattato. Cifra che raddoppia in presenza della madre.

Il flop dei centri d’emergenza di Milanodi MARIA ELENA SCANDALIATO

MILANO – L’emergenza abitativa, però, non riguarda solo gli sfrattati, ma anche i Rom sgomberati dai campi e gli occupanti colti in flagranza di reato. Lo scorso novembre, infatti, Comune e Prefettura hanno siglato un patto contro le occupazioni abusive da cui è nata una task force di pronto intervento. Tutto parte dalle segnalazioni dei cittadini, che possono chiamare il 112 per denunciare ogni tentativo di occupazione. Ricevuta la segnalazione, vengono allertate le forze dell’ordine, l’operatore sociale e l’ispettore di Aler o di MM, che sono i due enti gestori delle case popolari. Una volta sul posto, bloccati gli occupanti “in flagranza”, l’operatore sociale valuta la loro condizione: se ci sono minori o c’è una situazione di fragilità, viene offerta accoglienza presso uno dei centri di emergenza sociale del Comune. In realtà, come ammesso dagli stessi operatori sociali, sono pochissimi gli occupanti che accettano questa soluzione; la stragrande maggioranza, alla fine, si arrangia da parenti e amici, o in altro modo, perdendo ogni possibilità di avere un alloggio popolare (chi occupa, infatti, viene cancellato dalle liste per cinque anni).

I centri di emergenza sociale a Milano sono due e godono di una pessima fama: uno si trova in via Barzaghi, l’altro in via Lombroso. Si tratta di strutture della Protezione Civile adattate, con grande difficoltà, a ospitare delle famiglie che possono restare al massimo 40 giorni (prorogabili in condizioni particolari), ricevendo una branda per ogni membro di più di tre anni, l’uso di cucine comuni e l’uso di bagni comuni.

La struttura di via Barzaghi, che abbiamo visitato, può ospitare un centinaio di persone dislocate in quattro camerate. Uomini, donne e bambini dormono negli stessi ambienti, separati da “capannine” costruite dagli ospiti incastrando manici di scopa e tende da doccia, per garantire almeno un minimo di privacy. La gestione del centro è affidata alla Fondazione Progetto Arca, che nel 2013 ha stipulato una convenzione con il Comune di Milano. Nonostante la struttura si mostri già in pessime condizioni, la situazione potrebbe essere peggiore di quanto sembri. “È un luogo terribile, dov’è impossibile lavorare”, racconta uno degli operatori del centro, che ci ha contattati dopo la nostra visita.
Stando alla testimonianza in via Barzaghi gli educatori si trovano costretti a gestire non solo le decine di ospiti presenti, ma anche la portineria (il portone è rotto), i macchinari (dalle lavatrici ai forni delle cucine) e l’ingresso dei mezzi della Protezione civile, parcheggiati nel cortile della struttura. Senza contare la presenza di infiltrazioni di acqua e i servizi igienici di difficile utilizzo: “Il bagno degli uomini sarebbe privo di acqua calda, mentre le turche (non ci sono water) sono inutilizzabili per i bambini più piccoli”.
Ecco perché nessuno accetta l’alternativa dei centri di emergenza, dove si dovrebbero costruire dei percorsi di “autonomia abitativa”. Gli unici a essersi adattati sono i Rom, che pure abituati a condizioni di vita pessime non meritano certo di abitare in un luogo simile. Un luogo subìto soprattutto dai bambini, che non vengono neppure accettati nelle scuole di prossimità. Racconta ancora l’operatore che ci ha chiesto di rimanere anonimo: “Li rifiutano perché gli altri genitori non li vogliono. L’anno scorso a dicembre sono arrivati dei piccoli che sono riuscita a iscrivere a scuola solo a marzo. A novembre è arrivata una famiglia con 5 figli. Nonostante le mille telefonate e le lettere ai dirigenti scolastici, ancora non hanno un posto in nessun istituto. E pensare che ci sarebbe l’obbligo scolastico”.

Tra affitto e proprietà, il progetto Abita Giovani di EDOARDO BIANCHI

MILANO – Nella Milano delle occupazioni e delle polemiche per le politiche di Aler, la società Aler che gestisce il patrimonio immobiliare pubblico in Lombardia, c’è anche un’esperienza positiva di cui si parla poco. Grazie ad un’idea del membro della Fondazione Cariplo, don Gino Rigoldi, da oltre due anni è nato un progetto denominato Abita Giovani che ha il fine di allocare ragazzi Under 35 in abitazioni popolari ristrutturate, di proprietà Aler. Lo scopo, è quello di rendere nuovamente abitabili residenze sfitte e in decadimento, ricreando un concetto di: vivere il quartiere sociale, intessendo una stretta connessione tra le persone che ne fanno parte.

Deguene, ingegnere civile e mamma di due bambini, racconta con entusiasmo la sua esperienza in questo progetto. Ci descrive l’iniziativa del gruppo su Facebook che le ha dato l’opportunità di ottimizzare le spese per l’appartamento. Grazie al gruppo social, ha avuto modo di chiedere suggerimenti a chi facesse già parte del programma e quindi con più esperienza in merito. La pagina web rappresenta un modo per avvicinare le persone attraverso interazioni telematiche che rendano partecipi tutti coloro che hanno aderito al progetto Abita Giovani.

Alice ci racconta come l’iniziativa funzioni e che oggi giorno, secondo la ventottenne studente di veterinaria, è uno dei programmi più interessanti per i giovani in cerca di un’appartamento. Si sofferma inoltre sui costi relativamente bassi d’affitto e come a quel prezzo sia difficile trovare un’offerta migliore nel panorama milanese. Dario, impiegato in una banca, ci spiega come l’acquisto di una casa oggi sia estremamente difficoltoso per un giovane con un reddito di fascia media, anche con possibilità di accesso a mutui agevolati. Nello specifico, sostiene che senza aiuti da parte del nucleo familiare l’investimento in immobili sia possibile solo grazie al sostegno di realtà quali quella di Abita Giovani.

Caterina, insegnante in un sobborgo di San Siro, nonostante abbia trovato attraverso questo programma una soluzione abitativa, si sofferma sulla svendita del patrimonio pubblico immobiliare in Lombardia. A tal proposito, si chiede come mai non vengano più costruiti alloggi popolari e perché quelli esistenti vengano dismessi. Ritiene inoltre i criteri di selezione dell’Housing Sociale buoni per le persone di ceto medio, ma non idonei per le famiglie meno abbienti.

I programmi per agevolare l’acquisto immobiliare sono in costante aumento a seguito del positivo esito dei programmi come Abita Giovani e di altri progetti che stanno prendendo piede a Milano. Oggi le persone in possesso di un lavoro a tempo indeterminato e con meno di 35 anni possono permettersi attraverso un contratto d’affitto con futura vendita una casa di proprietà. Resta da capire se l’organizzazione sia volta a far ripartire una città immobilizzata che presto ospiterà una manifestazione di livello mondiale come l’Expo, o se sia l’ennesimo bacino che verrà sfruttato per interessi e ritorni economici.

A Napoli fallisce uno sgombero su duedi TIZIANA COZZI

NAPOLI – Sono 2.300 gli sfratti che avrebbero diritto alla sospensiva tra Napoli e provincia. E sono ben 4 mila le occupazioni abusive in corso tra Napoli (con 1.500 alloggi di proprietà comunale) e provincia (con 2.200 alloggi dell’Istituto autonomo case popolari). Il problema casa nel capoluogo campano va avanti da sempre, ma la crisi degli ultimi anni e il conseguente impoverimento delle famiglie ha trasformato un fenomeno in un’emergenza continua. Anche il patrimonio storico napoletano paga il prezzo all’illegalità. Ci sono circa 800 posizioni irregolari nei palazzi storici. E sugli sgomberi il bilancio è cosa da poco: 60-70 all’anno nella città di Napoli sono quelli andati a buon fine su 130 tentativi finiti nel nulla. Un numero veramente esiguo rispetto al numero reale degli immobili occupati. Anche a Napoli, come a Milano, ci si può ritrovare con la casa occupata dopo un lungo periodo di assenza. Ad un’anziana signora del rione Rossetti di Fuorigrotta, quartiere periferico della città, ci sono voluti 2 anni per rientrare nella sua casa occupata da una famiglia con bambini. Ogni volta lo sgombero era impossibile per motivi di salute di uno dei componenti o perché l’occupante era incinta. La dinamica degli abusivi di rado è violenta. Chi occupa subentra illegalmente a chi va via e spesso dietro c’è un traffico di denaro. Nemmeno la camorra può dirsi estranea al fenomeno: in più di un’occasione si è adombrata la regia dei clan.
I grandi numeri, anche se inferiori a Milano, riguardano anche gli sfratti che hanno diritto alla sospensiva. Ma se nella città del Duomo si è provveduto in altri modi all’assegnazione di nuovi alloggi, all’ombra del Vesuvio il provvedimento ora negato dal governo resta l’unica speranza. “A Napoli c’è esigenza della sospensiva – spiega Gaetano Oliva, Cgil Casa Napoli – perché non c’è nient’altro che abbia messo in moto nuove assegnazioni. L’ultimo bando è del 2010 e in 4 anni hanno esaminato solo 8 mila pratiche, non si riesce nemmeno a pubblicare la graduatoria provvisoria”. L’ultima risale a 20 anni fa e su 20 mila aventi diritto, in 15 anni è stata data sistemazione a 1.500 famiglie. “Questo vuol dire che un’intera generazione è tagliata fuori – sottolinea Oliva – non avrà diritto a un bel niente. La nostra preoccupazione è che torneranno gli ufficiali giudiziari a bussare alle case, come accadde nel 2010, con il governo Berlusconi, quando in un mese si contavano a Napoli 6-7 esecuzioni di sfratto. Si buttava fuori gente che non sapeva dove andare. Il ministro Lupi risponda sui fatti e intervenga concretamente sulla nostra emergenza”.
Anche le agevolazioni per morosità incolpevole non hanno sortito grandi effetti. Su un fondo di 1 milione e 400 mila euro assegnato alla Campania, a Napoli sono ben poche le domande arrivate al Comune, per questo l’avviso pubblico è stato  prorogato fino al 15 febbraio. Eppure si contano circa 2.400 morosi incolpevoli tra Napoli e provincia.
Nel 2013 sono 3.320 gli sfratti emessi di cui 1.505 a Napoli e 1.815 in provincia. L’80 per cento sono sgomberi per morosità, si tratta appunto di inquilini che non ce la fanno più a pagare, un fenomeno sempre più frequente in provincia. La crisi corrode le possibilità economiche anche dei proprietari. Accade sempre più spesso che chi possiede un solo immobile non abbia la forza economica per fare causa al suo inquilino moroso. Non tutti gli sfratti emessi nel 2014 sono stati eseguiti proprio perché il proprietario non poteva rivolgersi ad un avvocato per aprire la procedura. Così gli inquilini morosi continuano a restare in casa. Sono stati 2.684 gli sfratti esecutivi per morosità (1.382 in provincia e 1.302 in città). Quasi seimila (5.849) invece le richieste di esecuzione di sfratto, cioè quelle in cui la procedura è stata avviata e si attende solo l’arrivo degli ufficiali giudiziari.

Edifici in comodato, polemiche a Parmadi MARIA CHIARA PERRI

PARMA – La lista d’attesa per l’assegnazione di un alloggio popolare è lunga e difficile da scalare, con patrimonio di edilizia residenziale pubblica vecchio di decenni o bloccato in cantieri in costruzione. In piena emergenza abitativa: nel 2013, tra Parma e provincia, sono stati emessi dal tribunale 726 provvedimenti di sfratto, di cui 363 in città. Sono state 489 le richieste di esecuzione per morosità di affitto e spese condominiali. Più di una al giorno. D’altro canto, abbondano gli immobili privati lasciati sfitti per la crisi del mercato immobiliare. Ed ecco che anche a Parma negli ultimi anni si sono moltiplicate le occupazioni. Edifici vuoti in pieno centro storico si sono riempiti di famiglie straniere con bambini, in situazioni di estrema indigenza, supportate dai movimenti autonomi che da anni si battono per il diritto alla casa.

Proprio nelle ultime settimane la giunta 5 Stelle ha deciso di risolvere il problema di due occupazioni, in un ex cinema e in uno stabile privato, scendendo a patti con gli occupanti e con i loro sostenitori. Come? Concedendo alle famiglie uno spazio pubblico in comodato d’uso. Una soluzione che ha scatenato una marea di polemiche.

L’assessore ai Servizi sociali Laura Rossi difende la scelta, spiegando che si tratta di una soluzione temporanea d’emergenza, per fare uscire dall’illegalità famiglie disperate che solo così potranno essere prese in carico dai servizi sociali. Dall’altra, l’opposizione politica parla di “premio all’illegalità”. Una scorciatoia concessa a chi commette reati rispetto ai tanti che rispettano la legge. Il dito è puntato non tanto contro l’accoglienza ai senzatetto, ma contro la decisione di concedere parte dello stabile anche alle attività di un centro sociale pur di mettere fine all’occupazione, mentre tante altre associazioni aspettano in fila il benché minimo contributo.

Ragioni contrapposte su un problema delicato, destinato a ripresentarsi presto: altri due condomini in centro sono occupati da 13 famiglie con otto bambini, tra cui due gemelline neonate. I tecnici si sono già presentati per staccare il gas.

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Emergenza abitativa, niente proroga agli sfratti

senzatetto

Nell’anno in cui si sconta la maggiore crisi degli ultimi decenni, non si fanno sconti a nessuno, nemmeno a chi si ritrova non solo senza lavoro ma anche senza un tetto.
A differenza degli scorsi anni, nel 2015 non ci sarà la proroga del blocco degli sfratti: il decreto Milleproroghe 2015 (D.L. 192/2014) pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 31 dicembre scorso, non ha previsto la proroga del blocco degli sfratti, ossia lo slittamento dei termini dello sfratto per quegli inquilini in difficoltà nel pagare i canoni di locazione. Gli inquilini in difficoltà al posto della tradizionale proroga potranno rivolgersi ai due Fondi recentemente rifinanziati dal Governo: il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione e quello per la morosità incolpevole.

Ma il problema persiste, soprattutto nelle grandi città, perché le risorse previste per il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione sono ripartite tra le varie Regioni e spetta poi ai singoli Comuni attivarsi con la pubblicazione di un bando che indichi i criteri per poter essere ammessi alla garanzia del Fondo, i tempi e le modalità…senza dimenticare la burocrazia. Tanto che le tre città a maggiore densità abitativa, Milano, Roma e Napoli, hanno fatto un appello per la proroga degli sfratti. La richiesta arriva da Francesca Danese, Daniela Benelli e Alessandro Fucito, assessori alle politiche abitative di Roma, Milano e Napoli in una lettera al governo per rivedere la decisione presa.

Dall’inizio della crisi, cinque anni fa, Roma ha registrato oltre diecimila sentenze per fine locazione; 4500 a Napoli e 4mila le sentenze di sfratto a Milano sempre tra il 2008 al 2013. Il 70% di queste famiglie avrebbe i requisiti di reddito e sociali (anziani, minori, portatori di handicap) previste dalla legge per la proroga.
Sul problema degli sfratti è intervenuto oggi il ministro Lupi durante il question time alla Camera: “Il disagio abitativo è un’emergenza che il governo ha posto come grande priorità” ma una proroga degli sfratti avrebbe “un effetto devastante sulla politiche innovative e concrete che il governo ha adottato in questo campo. La Consulta ha sancito per ben due volte che si tratta di uno strumento incostituzionale”. Il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti ha aggiunto: “Non è pensabile tornare indietro, con un piccolo provvedimento, nella politica dell’emergenza abitativa”.

Il presidente dell’Anci, Piero Fassino, ha inviato una lettera al ministro Maurizio Lupi in difesa della proroga: “In assenza della proroga degli sfratti, la già grave emergenza abitativa generata dalla crisi in atto da diversi anni rischia di acuirsi. Per far fronte a ciò, Ti ribadisco la necessità di inserire la questione in sede di conversione del decreto legge Milleproroghe”.

Nella missiva il presidente dell’Anci sottolinea “la crescente preoccupazione dei Comuni, in particolar modo delle grandi Città, per la mancata proroga degli sfratti per finita locazione, in specie a tutela delle persone e delle famiglie in situazione di grave disagio. Pur apprezzando l’attenzione che hai riservato alle tematiche inerenti le emergenze abitative – da ultimo l’istituzione e i riparti del Fondo Affitto e Fondo Morosità incolpevole (annualità 2014) – rimane alto l’allarme, in quanto le risorse appaiono inadeguate ed erogate con procedure non celeri”.

Il problema dell’emergenza abitativa va a braccetto con altro problema, quello degli affitti in nero e dei relativi sfratti, cui aveva rimediato il Governo Monti con il provvedimento della “cedolare secca” ma lo scorso anno la Consulta con la sentenza n. 50 depositata il 14 marzo 2014, ha cancellato gli “sconti” previsti per gli affittuari che denunciavano contratti in nero e permettevano agli inquilini di registrare di propria iniziativa il contratto d’affitto presso un qualsiasi ufficio delle Entrate.

Inoltre le pronunce della Corte Costituzionale hanno effetto anche per il passato, quindi finiranno nel nulla anche i contratti che sono stati registrati dagli inquilini e dai funzionari del Fisco a partire dal 6 giugno 2011. Le super-sanzioni, infatti, sono scattate 60 giorni dopo l’entrata in vigore del decreto, che era il 7 aprile 2011. A ciò si aggiunge che i proprietari potranno chiedere agli inquilini di liberare l’abitazione, perché il contratto cadrà insieme alla norma di legge che lo prevedeva.

Maria Teresa Olivieri

 

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FOTO:  By Aaron Logan (from http://www.lightmatter.net/gallery/albums.php) [CC BY 1.0 (http://creativecommons.org/licenses/by/1.0)], via Wikimedia Commons


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“Emergenza casa” A Bari 2000 sfratti e 18mila alloggi sfitti

affitti case

BARI – Famiglie senza casa, persone sbattute per strada da un contratto scaduto, gente alla disperata ricerca di un alloggio: l’emergenza nel settore delle abitazioni è sempre all’ordine del giorno, complice la crisi che imperversa seminando povertà e disastri umani e sociali. Nel solo capoluogo sono circa duemila i nuclei familiari in difficoltà – anche a causa della mancata proroga del blocco degli sfratti per finita locazione -, mentre i dati Istat rivelano la presenza di ben 18mila appartamenti sfitti disponibili sul territorio cittadino.

Dati drammatici sui quali l’amministrazione comunale intende intervenire a partire dall’avvicinare le associazioni di proprietari immobiliari ed i sindacati degli inquilini, con l’obiettivo di trovare soluzioni adeguate ed efficaci al fine di mitigare le criticità del mercato privato delle locazioni. Ci sta provando l’assessore Vincenzo Brandi (Patrimonio ed Erp) che ieri ha riunito attorno allo stesso tavolo Confedilizia, associazione Piccoli proprietari, Sunia, Uniat, Assocasa, Uniacep, Unione tutela inquilini e Unioni inquilini Bari nel tentativo di arginare l’emergenza che sta colpendo numerose famiglie e cittadini.

Allarmanti i dati che a fine 2014 rivelano ben 500 casi di sfratto esecutivo per fine locazione, 1.200 situazioni di sfratto per morosità incolpevole, mentre sono ben 100 i nuclei familiari rimasti senza alloggio alla disperata ricerca di soluzioni alternative alla strada. Così, anche alla luce della conclamata disponibilità di migliaia di abitazioni sfitte – anche se i numeri non concordano in quanto le associazioni dei proprietari riducono ad un terzo (!) le cifre ufficiali fonte Istat – l’assessore ha avanzato la proposta di procedere nel più breve tempo possibile alla costituzione dell’Agenzia della casa su territorio comunale, destinata poi ad estendersi su scala metropolitana. L’idea, condivisa all’unanimità, potrebbe concretizzarsi già nei prossimi mesi.

Tra le ipotesi suggerite, al fine di rendere disponibili gli appartamenti sfitti, c’è la possibilità di ricorrere alle locazioni a canone concordato (l. 431/98), stabilendo che il canone d’affitto non superi il 30% del reddito percepito dall’affittuario. Al tempo stesso, verrebbero individuate alcune forme di garanzia per i proprietari degli appartamenti: l’istituzione di un fondo di garanzia (che copra un anno e mezzo di canoni rispetto ai 5 anni – 3+2 – di contratto) in alternativa alla stipula di una polizza assicurativa.
«Sono soddisfatto – commenta Brandi – per aver avviato un confronto costruttivo. Grazie a questo primo incontro abbiamo cominciato un percorso condiviso per giungere a soluzioni strategiche che possano ridurre il numero di famiglie senza casa. Ora dobbiamo concentrarci sull’attivazione delle procedure di contratti di locazione a canone calmierato che consentano alle fasce della popolazione con un reddito medio di poter prendere in fitto le migliaia di appartamenti oggi sfitti in città. Insieme abbiamo anche programmato una serie di incontri finalizzati alla nascita dell’Agenzia della casa e per le locazioni, lo strumento attraverso cui dovremo affrontare tutte le situazioni di emergenza abitativa» .

Il Sunia nel condividere l’istituzione dell’Agenzia suggerisce anche la stesura del nuovo accordo comunale sui canoni di locazione agevolati (l’ultimo risale al 2004). «Le famiglie chiedono aiuto nel pagare l’affitto: basti pensare che a fronte di 2.200 domande di case popolari al Comune ogni anno vengono presentate oltre 7mila richieste di contributo di integrazione canone. La famiglie chiedono case in affitto a canoni sostenibili», afferma il segretario provinciale Angelo Garofalo. [n.perch.]

 

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Gli inquilini più disagiati dal primo gennaio 2015 potranno essere sfrattati

apascucci

L’assenza della deroga per gli sfratti dalla legge finanziaria 192/2014 (milleproroghe 2015) consentirà ai proprietari di immobili che ne faranno richiesta di poter sfrattare gli inquilini con particolari disagi, pensionati – portatori di handicap – minori, che fino al 31/12/2014 venivano salvaguardati da questo rischio.

Ad oggi non esistono dati certi sul numero di sfratti per questa tipologia di inquilini, poiché erano tutelati dalla deroga.
Questi inquilini particolarmente disagiati andranno ad aggiungersi all’emergenza nazionale che consta al 2013 di circa 73.385 sentenze emesse di sfratto.

Per UNIAT aps è paradossale che in una fase di continua crescita del numero degli sfratti il Governo per esigenze di bilancio aggravi l’attuale situazione aggiungendo ulteriori tipologie di inquilini sfrattabili.

Inoltre va ricordato che gli inquilini precedentemente tutelati dalla deroga non sono morosi e pagano il 20% in più il canone di affitto a titolo di indennità di occupazione. Gli stessi proprietari di casa non hanno intimato loro lo sfratto per vendita dell’immobile o cessione dello stesso ai parenti di primo grado.
Quest’ultima tipologia di sfratto se voluta dal proprietario di casa poteva essere sempre garantita dalla legge e dal Prefetto.

Oggi per questa tipologia di inquilini, non morosi e con reddito superiore a 27.000 euro si aggiunge la beffa di vederli esclusi dalle coperture previste dai fondi affitto e morosità incolpevole, poiché per loro non ricorrono i requisiti di accesso agli stessi e nella stragrande maggioranza sono anche esclusi dalle graduatorie per le assegnazioni degli immoblili pubblici (ex I.A.C.P, ATER , ALER …)

La richiesta avanzata al Governo da UNIAT aps, dalle associazioni degli inquilini e dall’Anci, per ottenere delle soluzioni che salvaguardino questa tipologia di inquilini dal rischio di sfratto non può essere schiacciata sul piano della mera richiesta di soldi piuttosto, la richiesta, testimonia l’attenzione che le associazioni esprimono sul piano sociale per una migliore qualità di welfare e protezione delle famiglie.

Nel caso in cui il Governo non dovesse provvedere con atti solleciti, UNIAT aps e le altre organizzazioni, impegnate nella tutela dei cittadini più vulnerabili, presenteranno ai Prefetti la richiesta di non concedere la forza pubblica a fronte di eventuali sfratti passati in esecuzione.

Il presidente UNIAT aps
Augusto Pascucci


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Sfratti, Lupi ai Comuni: pronti a collaborare, ma no a proroga

ministro lupi 2

Piena disponibilità a collaborare con gli enti locali per risolvere i circa 2000 casi interessati dalla mancata proroga del blocco degli sfratti. Ad assicurarla è stato il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi, che nel corso di un’audizione presso la Commissione Ambiente del Senato, ha ribadito però, ancora una volta, il suo no a un provvedimento di proroga. Uno strumento, ha evidenziato, che «non risolve il disagio abitativo» e che ha «effetti devastanti sulle politiche abitative messe in campo dal Governo» per affrontare l’emergenza casa. «Non si può più ricorrere a palliativi – ha detto Lupi – ma non siamo contrari a dare una mano alle grandi città con altri strumenti innovativi».

Lupi: pronti a collaborare su casi specifici  Il titolare del dicastero ha assicurato l’impegno a risolvere i casi interessati dalla mancata proroga, che si attestano intorno alle 2000-2.200 unità («sono dati oggettivi sui quali non si può discutere», ha puntualizzato Lupi) e che sono concentrati soprattutto in tre grandi città Roma, Napoli, Torino. «Stimiamo che le risorse necessarie si aggirino intorno ai 10 milioni di euro. Siamo disponibili a risolvere la questione», ha spiegato il ministro, che questa sera affronterà la questione con il presidente dell’Anci, Piero Fassino. Lupi ha poi aggiunto: «Non siamo contrari a dare una mano alle grandi città con altri strumenti per risolvere problemi puntuali».

L’appello degli assessori  Erano stati Francesca Danese, Daniela Benelli e Alessandro Fucito, assessori alle Politiche abitative di Roma, Milano e Napoli, le tre aree metropolitane più grandi d’Italia, a lanciare lo scorso 6 gennaio un appello al ministro a favore della proroga degli sfratti anche nel 2015, per scongiurare rischi sociali e problemi di ordine pubblico. Le famiglie a rischio di sfratto esecutivo per la mancata proroga degli sfratti di fine locazione in tutta Italia sono tra 30mila e 50mila

 

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Sfratti:Confedilizia,bonus meno abbienti

(ANSA) – ROMA, 11 GEN – Un piano messo a punto da Confedilizia “che consentirà a Stato e Comuni di ridurre a un terzo la spesa pubblica per l’emergenza abitativa”, basato sulla “consegna ai meno abbienti, da parte dei servizi sociali comunali, di un bonus da spendere da parte dei beneficiari con i locatori più disponibili e comunque nell’ambito del sistema di locazioni calmierate”. Lo ha annunciato il presidente dell’associazione che riunisce i proprietari di immobili, Corrado Sforza Fogliani.
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Casa, i paradossi del nuovo catasto Per Imu e Tasi aumenti fino al 220%

Negli ultimi giorni del 2014 i proprietari di case di quattro zone top di Milano si sono visti recapitare una lettera dell’Agenzia delle entrate che annunciava la revisione dell’estimo catastale dell’immobile e il relativo incremento, spesso superiore al 100% che si traduce in un aumento proporzionale per Imu e Tasi a partire da quest’anno. A Roma nel 2013 le rendite riviste al rialzo erano state addirittura 175mila, e di queste 79mila riguardanti abitazioni. Le due operazioni sono state possibili grazie a una norma della Finanziaria 2005 che consente ai comuni di cambiare classificazione catastale agli immobili delle zone che abbiano avuto un incremento dei valori medi di mercato del 35% superiori alla media cittadina; formalmente nulla a che vedere, quindi, con l’epocale riforma del catasto avviata lo scorso anno e destinata a diventare effettiva non prima del 2018-19. Sono però un campanello d’allarme su che cosa potrebbe succedere se non verrà radicalmente ripensata nel frattempo l’imposizione fiscale sulla casa.

Il problema è che nonostante la crisi del mercato e il sensibile ridimensionamento dei prezzi, lo scostamento tra valore catastale e reale degli immobili rimane molto elevato. Secondo uno studio dell’Omi, l’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, che ha esaminato oltre 198mila atti di vendita su tutto il territorio nazionale, il valore catastale è in media 3,1 volte più basso del prezzo di cessione dell’immobile. Significa che se si applicassero le aliquote oggi in vigore l’importo dell’imposta di registro dovrebbe in media triplicare e quello di Imu e Tasi raddoppiare. Naturalmente le cose non stanno in maniera così semplice, perché le differenza tra città e città sono notevoli, e anche all’interno dei comuni di maggiore dimensionale ci sono forti sperequazioni: oggi a Milano o a Roma una casa nuova in periferia ha un valore catastale più alto di una di uguale superficie in centro, se era stata accatastata come casa popolare.

Nella tabella abbiamo calcolato di quanto differisce il valore catastale medio da quello di mercato nelle principali città italiane. Per il calcolo abbiamo considerato la casa di superficie e valore catastale medio della città e il prezzo medio a metro quadrato indicato da Nomisma, moltiplicato per la misura dell’appartamento. La città, tra quelle esaminate, più penalizzata sarebbe Messina dove l’incremento teorico dell’imposizione sarebbe del 221% ai fini Imu e Tasi e addirittura del 367% per l’imposta di registro da versare all’acquisto. A Milano Imu e Tasi crescerebbero del 120% mentre per comprare si pagherebbe il 220% in più. Nella Capitale i due valori di incremento sono rispettivamente 77,4 e 158%. La città che ha meno da temere è Torino, dove la differenza tra imponibile Imu/Tasi e valore fiscale è solo del 16%.

La riforma del Catasto prevede l’introduzione di criteri di mercato per l’identificazione del valore fiscale. Un aspetto basilare sarà il passaggio dal cervellotico sistema attuale basato sui vani a quello dei metri quadrati. In ogni provincia si insedierà una commissione censuaria che definirà gli estimi, ci sarà anche una commissione centrale per dirimere eventuali controversie e supplire alle commissioni provinciali se inadempienti.

Il passaggio più delicato per dare via alla riforma è atteso nei prossimi mesi, quando il governo emanerà il decreto con i criteri per determinare gli estimi. Si partirà dai canoni di locazione e dai prezzi di vendita rilevati sul mercato (la base sarà presumibilmente quella dell’Osservatorio dell’Agenzia) e a quelli si applicheranno coefficienti di differenziazione a seconda del piano in cui si trova la casa, dell’ epoca di costruzione, delle caratteristiche della strada ecc. In tutto saranno coinvolti 62 milioni di immobili: per questo i tempi non potranno essere brevi, considerando poi che chi si vedrà aumentare l’imponibile in maniera significativa difficilmente resisterà alla tentazione di presentare ricorso.
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Gli italiani tornano a risparmiare e pensano alla casa

La parola d’ordine è ripartire dai fondamentali.

Non tanto e non solo macroeconomici, perché qui il punto di partenza, più che sui massimi sistemi, guarda alle tasche delle famiglie italiane in termini di reddito e di capacità di mettere da parte risorse.

La base insomma per poter andare in banca a chiedere un mutuo per comprare casa (che sia prima abitazione o un cambio in sostituzione), senza essere accompagnati alla porta con un “non se ne parla”.

Dopo gli ultimi dati, discutibili per usare un eufemismo, sull’andamento dell’inflazione e dopo le rilevazioni diffuse ieri sui prezzi delle case – in pratica:  nel terzo trimestre 2014 sono scesi dello -0,7%, mentre le case nuove, a sorpresa, risultano in crescita – un soffio di ottimismo arriva dai numeri contenuti nel dossier  Istat su redditi e risparmio degli italiani (dove si parla anche di profitti delle società), che danno un elemento in più di valutazione su un 2015 che non si è aperto sotto buoni auspici.

Nel terzo trimestre del 2014 – si legge però nel rapporto Istat, disponibile in versione integrale come allegato – la propensione al risparmio degli italiani è stata pari al 10,8% (inteso come rapporto tra risparmio lordo delle famiglie consumatrici e reddito disponibile lordo), in aumento di 1,6 punti percentuali sul trimestre precedente e di 0,9 punti su base annuale.

Si tratta del livello più alto raggiunto dall’ormai lontano terzo trimestre 2009.

Quell’aumento della propensione a risparmiare vuol dire che l’allerta sulle spese familiari è e resta alta, a partire dalla spese straordinarie e quelle inattese.

Manca ancora un pezzo di strada prima di arrivare a pensare alla casa come bene da acquistare (o come investimento), ma il responso che arriva del mercato residenziale italiano oggi è unanime: anche grazie ai prezzi così bassi, la domanda abitativa sta tornando e sta crescendo.

A questo elemento si aggiunge un’altra indicazione degna di nota: il reddito disponibile delle famiglie in valori correnti è aumentato dell’1,8% rispetto al trimestre precedente e dell’1,4% rispetto al corrispondente periodo del 2013.

Sono valori contenuti – ma di segno positivo, come non se ne vedevano da tempo – che fanno capire come il peggio della crisi sia alle spalle, anche se la ripresa non è ancora all’orizzonte.

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Anche il mattone tradisce: prezzi delle case in flessione. In quattro anni il valore è sceso di circa il 17%. Aumentano però i mutui e le compravendite

Pure il mattone ci rende più poveri. La casa, il bene al quale gli italiani sono più affezionati, tradisce ancora. Da una parte le tasse, dall’altro le regole su misura per chi le occupa abusivamente o non paga gli affitti. Infine il prezzo, che nel terzo trimestre 2014 – il dodicesimo di fila – continua a scendere. Un’opportunità per i pochi che possono comprare, ma anche una fregatura per chi vuole vendere. Secondo l’Istat l’indice dei prezzi delle abitazioni (Ipab) acquistate dalle famiglie è sceso dello 0,5% sul trimestre precedente e del 3,9% rispetto allo stesso periodo del 2013. Il calo congiunturale è però dovuto alla diminuzione dei prezzi delle abitazioni esistenti (-0,7%): per la prima volta dopo due anni, infatti, si registra per le abitazioni nuove un rialzo dei prezzi (+0,7%) rispetto al trimestre precedente.
SEGNI DI RIPRESA
Pur persistendo una dinamica tendenziale negativa, la flessione del prezzo delle case continua comunque a ridursi dopo il picco toccato nel primo trimestre del 2013 (-6%), attestandosi a -3,9%, sintesi del -4,8% registrato dai prezzi delle abitazioni esistenti e del -1,3% dei prezzi di quelle nuove. Per i proprietari si tratta comunque di un salasso. Dal 2010 a oggi, infatti, il prezzo delle case esistenti (non nuove) è sceso in media del 16,7%. Ciò nonostante, sempre nel terzo trimestre 2014 le compravendite aumentano del 4,1% rispetto allo stesso trimestre del 2013, come registra l’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate. E anche l’erogazioni dei mutui bancari è in aumento.
PIÙ CREDITO
Su questo fronte si registrano infatti nuovi segnali di miglioramento. Secondo l’Osservatorio di Assofin-Crif-Prometeia sul credito, tra gennaio e novembre 2014 i mutui immobiliari concessi alle famiglie italiane su un campione di 84 banche (i quattro quinti del mercato) sono aumentati del 31,2% su base annua, pari a 22,46 miliardi di nuove erogazioni. E proprio sul fronte dei mutui entrano adesso in vigore le nuove norme della legge di stabilità, che ha stabilito tre anni di sospensione per i debiti bancari delle micro, piccole e medie imprese, oltre che per le famiglie.
ACCORDO IN BANCA
Per rendere la norma operativa serve un accordo che banche, imprese e associazioni dei consumatori dovranno trovare nei primi tre mesi dell’anno. La sospensione riguarda però il rimborso della quota di capitale, e non la quota di interessi. L’operazione presenta comunque alcune ombre. La sospensione infatti non sarà a costo zero: durante tutto il triennio i mutuatari dovranno continuare a pagare gli interessi. Il costo dell’operazione in termini di oneri finanziari sarà così più elevato di quanto concordato in precedenza. Inoltre il conto dell’operazione aumenterà in quanto gli istituti di credito sono soliti calcolare gli interessi sull’intero debito residuo e non sulle rate sospese.
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