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Centrali uniche di committenza, da ANCI lo schema di convenzione e la guida

 Per la gestione associata delle acquisizioni di beni, servizi e lavori in attuazione di accordo tra Comuni non capoluogo.

L’Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani) ha pubblicato sul suo sito lo schema di convenzione per la gestione associata delle acquisizioni di beni, servizi e lavori, in attuazione di accordo tra Comuni non capoluogo in base all’art. 33, comma 3-bis del d.lgs. n. 163/2006 (come riformulato dall’art. 9, comma 4 del d.l. n. 66/2014 conv. in l. n. 89/2014).

Insieme allo schema di convenzione l’Anci ha pubblicato anche la relativa Guida.

UNIONI DI COMUNI. L’articolo 33, comma 3-bis del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 stabilisce che i Comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56.

La stessa disposizione prevede che, in alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento.

LA TEMPISTICA. L’art. 23-ter del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. in l. 11 agosto 2014, n. 114 ha definito la tempistica applicativa delle disposizioni contenute nell’ art. 33, comma 3-bis del Codice dei contratti pubblici, prevedendo che:

a) esse entrano in vigore il 1º gennaio 2015, quanto all’ acquisizione di beni e servizi, e il 1º luglio 2015, quanto all’ acquisizione di lavori, stabilendo anche che sono fatte salve le procedure avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto stesso (comma 1);

b) esse non si applicano alle acquisizioni di lavori, servizi e forniture da parte degli enti pubblici impegnati nella ricostruzione delle località indicate nel decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, e di quelle indicate nel decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, convertito, con modificazioni, dalla legge 1º agosto 2012, n. 122 (comma 2);

c) i comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti possono procedere autonomamente per gli acquisti di beni, servizi e lavori di valore inferiore a 40.000 euro (comma 3).

ACCORDO CONSORTILE. Tra i vari modelli proposti dall’ art. 33, comma 3-bis del d.lgs. n. 163/2006 per l’acquisizione in forma coordinata di lavori, servizi e forniture, particolare rilievo assume il c.d. “accordo consortile”, in ragione del possibile ricorso allo stesso in quanto strumento particolarmente flessibile.

SCHEMA DI CONVENZIONE. Al fine di consentire ai Comuni non capoluogo di sviluppare in modo coerente alle previsioni del Codice dei contratti i modelli organizzativi del c.d. “accordo consortile”, l’Anci ha elaborato uno schema di convenzione che fornisce alle amministrazioni una serie di indicazioni operative.

Lo schema può essere adattato in relazione alle specificità di contesto (anche a fronte delle particolari previsioni di alcune leggi regionali nelle Regioni a Statuto speciale), nonché nell’ipotesi in cui sia utilizzato per definire l’esercizio della funzione nell’ ambito del rapporto istituzionale dell’Unione di Comuni.

PROBLEMATICHE E QUESITI. L’utilizzo dello schema di convenzione può determinare problematiche applicative, in ragione delle differenti situazioni di contesto. Per consentire ai Comuni di risolvere eventuali criticità, Anci ed Ifel hanno istituito un gruppo di lavoro per rispondere ai quesiti che verranno eventualmente posti.

I quesiti devono essere inviati a: olivieri@anci.it

Le risposte ai quesiti saranno periodicamente pubblicate sul sito ANCI.

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Mercato della casa al palo, lo dicono le buste paga

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I prezzi delle case si abbassano di anno in anno: un trend destinato a proseguire anche nel corso del 2015, ma non abbastanza da permettere alla domanda di accedere all’acquisto delle mura domestiche.

Questione di credito e di mutuo, certamente, anche se questo punto di vista le banche qualcosa stanno facendo nella direzione giusta.

Quindi perché le compravendite non ripartono, su un mercato dove la richiesta abitativa non manca, anzi negli ultimi sei mesi è in recupero?

Il vero collo di bottiglia sono e restano i fondamentali dell’economia: il lavoro anzitutto e per chi il lavoro ce l’hai livelli di retribuzione.

Perché anche chi può comprare casa oggi – a prezzi davvero appetibili e molto trattabili con la proprietà –  deve comunque mettere sul piatto un monte stipendi invariato negli anni.

Lo ha calcolato l’ufficio studi del gruppo Tecnocasa, che ha analizzato quanti anni di buste paga occorrono per acquistare casa (l’analisi si basa sui prezzi al metro quadro aggiornati al primo semestre 2014 di un immobile medio usato da 65 mq, raccolti dalla rete di agenzie Tecnocasa e Tecnorete delle grandi città e sulle retribuzioni contrattuali annue di cassa per dipendente a tempo pieno per attività economica e contratto, al netto dei dirigenti, ricavate dalla banca dati Istat).

Risultato: la media nazionale di stipendi per diventare proprietari è praticamente ferma a 5,8 annualità: in leggerissima diminuzione con quanto rilevato nel 2013 (quando di annualità ne servivano 6).

Anche a livello locale non ci sono state variazioni di rilievo (vedi anche tabella in allegato): con un calo pari a -0,6 annualità, fa eccezione Napoli (dove ne servono 6,7), seguita daGenova e Roma (entrambe in calo di 0,3 annualità), mentre si mantiene costante Bologna(5,7 annualità).

La Capitale è sempre la città in cui serve il maggior numero di annualità: 9,5.

Poi c’è Milano ferma a 7,9 annualità (in calo di 0,2 rispetto al 2013).

A Palermo e Verona ne servono meno: 3,6 nel capoluogo siciliano e 3,9 nella città scaligera.

Il confronto si fa evidente se i calcoli li si fa distanza di dieci anni (204-2005 in pieno boom immobiliare, con i prezzi delle case alle stelle) dove si scopre che a livello nazionale la differenza è stata più consistente, infatti si è passati da 7,8 annualità nel 2004 a 5,8 nella prima parte del 2014.

In questo arco di tempo è Milano la città in cui si è avuta la variazione più consistente: dalle 11,1 annualità del 2004, infatti, si è passati alle 7,9 di quest’anno.

Altri due capoluoghi fanno segnare variazioni interessanti: -3,1 a Firenze (7,2 annualità) e -3 a Bologna (5,7 annualità).

Bari, Genova, Torino e Verona hanno messo in campo un andamento in linea con la media italiana: nel capoluogo pugliese servono 2,1 annualità in meno, mentre le altre tre città segnano -1,9.

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L’Italia di Renzi: un Paese senza casa e senza volto.

In televisione (Ballarò, 20 gennaio), vedi un curioso faccia a faccia fra il ministro Lupi, che c’è sempre, parla sempre e sa tutto, e una giovane ragazza madre, con due bambini e uno in arrivo, che sta fronteggiando uno sfratto esecutivo. Quando toccava al ministro di parlare (lui ha sequenze lunghe, senza punteggiatura, come nel romanzo di Balestrini Vogliamo tutto) veniva elencata, con velocità e precisione,una catena di miracoli, case, casette, grattacieli, quartieri, nuove città. Quando toccava a lei, che aveva già tolto il materasso dalla branda e lo teneva con fatica un po’ sollevato, la ragazza ripeteva, con una sua disperazione pacata: “Sì, ma io intanto dove vado a vivere?”.

La casa è un problema tragico in Italia. Pendono sulla vita e il destino di tante famiglie 150 mila sfratti subito. C’è un governo moderno, in Italia, che crede nelle soluzioni dei problemi, non nell’assistenzialismo pietoso. E dunque quei 150 mila sfratti saranno eseguiti tutti e subito, anche per incentivare la costruzione di nuove case e remunerare secondo giustizia i proprietari. E c’è un governo riformista in Italia, che le cose le fa subito. Per farle, le annuncia. Ed ecco che entra in scena il ministro Lupi e racconta.

Non si può accusarlo di mania dell’annuncio, il ministro deve pur dire che cosa intende fare, tanto più che parla veloce come gli annunci dei pericolosi effetti collaterali delle medicine. Il problema è il non fare. Ma attenzione, non si tratta di malafede. Si tratta della naturale differenza fra il tempo di parlare e il tempo di agire. L’unico punto di malafede è passare all’incasso dopo il dire invece che dopo il fare. Tu dici che in questo modo, dopo due o tre scherzi del genere, paghi in perdita di fiducia e di voti. E poiché nessuno sembra avere questo timore, e anzi annuncia a vuoto successi mai visti, a questo punto diventa chiaro che il problema della casa è allo stesso tempo la rappresentazione più chiara e drammatica di ciò che è urgente, umano, indispensabile alla vita delle persone, e non si fa(benché valanghe di soldi si rovescino su Alta Velocità, armi inutili e autostrade spacca-ambiente).

Ma è anche efficace metafora di ciò che sta succedendo ai cittadini in politica: sono senza casa. Il giovane e deciso Matteo Renzi ha realizzato, con procedura d’urgenza, lo sfratto esecutivo di quanti, dislocati o orientati nel Pd, credevano di abitare a sinistra. Via, fuori, non interessano, sono i veri anziani anche se hanno 18 anni. Il passato (dal New Deal a Obama) non ha più senso. Il futuro sonoReagan e la Thatcher. E in questo mondo rovesciato, tipo Alice nel Paese delle Meraviglie, il cappellaio matto sfila con la Merkel a Firenze, intento a paragonarsi a Michelangelo, senza raccogliere la minima ironia da chi, giustamente, protegge il proprio lavoro di giornalista sempre in pericolo.

Anche perché, in circostanze internazionali, Renzi parla una lingua globalizzata causa di un buon umore utile all’esito degli incontri, e mette in chiaro due cose. Primo: qui non c’è trippa per gatti di sinistra. I Fassina e Cuperlo saranno anche molto gentili nel chiedere, i Bersani si adeguano “per disciplina” prima ancora di sapere a che cosa, ma nessuno si aspetta che abbiano qualcosa da dire o possano farlo. Secondo: Renzi e Verdini, entrambi disturbati da una massa frantumata e indisciplinata di persone che pretenderebbero di mettere becco, sono sicuri che un partito finisce lì, al loro livello.
Gli altri, che siano dentro il Parlamento, dentro il partito, o legati ancora alla vecchia abitudine di dire “noi”, si tolgano dalla testa di avere opinioni o consigli da dare o di menarla con la loro pretesa di partecipare alle decisioni. Come tanti proprietari, Renzi e Verdini preferiscono la casa vuota (ce ne sono decine di migliaia in Italia e, come vedete, la metafora della casa rimbalza continuamente sulla realtà) perché in tal modo non si deve minacciare o mandar via nessuno, e non c’è pericolo che qualcuno si metta in testa di contare qualcosa per il solo fatto di avere una tessera (scoraggiata) o di essere titolari di un voto.

La nuova definizione di partito è la zona di comando, non i cittadini, simpatizzanti o no. Il tramite, usato con una decisa sfrontatezza degna di Berlusconi, è un’informazione in cui la politica parla solo di se stessa e quasi solo del suo leader, che a volte torna e ritorna con la stessa frase nello stesso telegiornale, o viene tradotto in italiano da voce sovrapposta, mentre sta parlando in una lingua nuova e coraggiosa della quale anche i traduttori professionali più esperti hanno poche notizie.

Dunque il sogno del partito leggero e della casa vuota si sono realizzati. Non dimenticate che molti luminari della politica a sinistra hanno teorizzato molto presto che tocca ai professionisti decidere e agli altri seguire, qualunque fosse il loro grado di competenza. Gradatamente coloro che avrebbero potuto interferire con la decisione dei soli esperti, i professionisti della politica, sono andati via. Renzi è un ardimentoso. Però ha trovato un partito non ancora liquido ma molto molle, non ancora “ larghe intese” (e poi “partito unico della Nazione”) ma già molto incline a una strana vita condivisa con chi rigetta la Costituzione. È stato facile liquidare o spingere al muro chi era già così vicino a cedere, in base a non si sa quale pacificazione, che non esiste in politica, perché si chiama rinuncia di ideali e princìpi e, nel nostro caso, dell’Intera Costituzione. È come se Obama avesse accettato di non proteggere il diritto delle donne all’aborto, nella sua nuova legge sulla salute, pur di votare insieme ai repubblicani. Adesso la casa è vuota e gli italiani sono senza casa. Quando vivono e quando votano.

 

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Infiltrazioni dal terrazzo, il condominio è sempre responsabile

Anche se il terrazzo è di esclusiva proprietà di un condomino, il condominio deve custodire le parti comuni
23/01/2015 – Il condominio è sempre responsabile delle infiltrazioni derivanti da un terrazzo, anche se questo è di esclusiva proprietà di uno dei condomini.
Lo ha affermato di recente il Tribunale di Taranto che, con la sentenza 1098/2014, ha sottolineato anche la responsabilità dei soggetti coinvolti nei lavori.
Nel caso preso in esame dal Tribunale, i proprietari degli appartamenti situati all’ultimo piano di un condominio avevano chiesto un risarcimento per le infiltrazioni causate dalla piscina situata sul terrazzo di proprietà esclusiva di un altro condomino.

Il Tribunale ha chiarito che il condominio è sempre responsabile delle parti comuni. Nel caso esaminato, tra queste rientrava anche il terrazzo dal momento che, pur appartenendo esclusivamente ad un condomino, aveva la funzione di lastrico solare e che la sua pavimentazione presentava segni di usura e incuria.

In altre parole, il Tribunale ha affermato che il condominio non può essere esonerato dal suo dovere di custodia neanche se il terrazzo è di esclusiva proprietà di uno dei condomini.

A detta dei giudici, la responsabilità va però condivisa anche con l’impresa che ha eseguito i lavori e con il direttore dei lavori, il cui operato ha contribuito alla creazione dell’infiltrazione.

 

 

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Riforma del Catasto: confronto fra Entrate e associazioni di settore

Discussione su gettito fiscale e immobili storico-artistici .
Opinione discordanti nell’incontro di questa mattina a Roma fra Agenzia delle entrate e Coordinamento nazionale interassociativo Catasto (costituito da Abi, Ance, Ania, Casartigiani, Cia, Cna, Coldiretti, Confagricoltura, Confartigianato, Confcommercio, Confedilizia, Confesercenti, Confindustria e Fiaip).
Tema: i primi passi della riforma entrata in vigore da gennaio 2015.

Secondo quanto sostenuto dalle Entrate, la legge delega varata dal Governo prevede un gettito fiscale invariato su scala nazionale, mentre Confedilizia sostiene che la stessa invarianza sia da calcolare su scala comunale.

L’altro punto su cui il coordinamento nazionale Catasto e Agenzia si sono trovate lontane è l’inquadramento degli immobili storico-artistici.

Secondo l’Agenzia i castelli saranno inquadrati in un gruppo catastale speciale, mentre palazzi storici sarà singolarmente esaminata e potrebbero essere classificati anche come immobili ordinari.

Sul tema particolarmente critiche le dichiarazioni del presidente di Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani (foto), che ha detto: “L’incontro è stato abbastanza deludente e particolarmente preoccupante in ispecie relativamente al trattamento degli immobili storico-artistici.

Comunque, speriamo in miglioramenti anche con il concorso dell’Ufficio legislativo del Ministero delle finanze, che ha attualmente all’esame il provvedimento”.

 

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Cedolare secca: no per le locazioni uso foresteria

Sugli affitti uso foresteria, se il conduttore è una persona non fisica che prende in locazione una casa perché vi abitino i suoi dipendenti, non si applica la cedolare secca

Non è possibile applicare la cedolare secca sui contratti di locazione conclusi con conduttori che agiscono nell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, indipendentemente dal successivo utilizzo dell’immobile per finalità abitative di collaboratori e dipendenti. sugli affitti alle locazioni uso foresteria, in particolare quelle in cui il conduttore è una persona non fisica (società o ditta individuale) che prende in locazione una casa perché vi abitino i suoi dipendenti. In tal modo, l’Agenzia delle Entrate, con una delle Faq pubblicate ieri sul proprio sito, respinge il principio espresso dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia nella pronuncia n. 470/03/14, depositata il 4 novembre 2014, con cui aveva imposto il riconoscimento della tassa a forfait anche quando l’inquilino dell’immobile è un’impresa, che lo affitta per ospitarvi i dipendenti.

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Emergenza casa, si lavora a una exit strategy per i residence: ecco il piano

20 milioni di euro di risparmi in tre anni e 12 milioni di fondi regionali. Sono solo alcuni dei numeri del progetto del nuovo assessore Danese. Nei residence oggi vivono 1931 famiglie.
Emergenza casa, si lavora a una exit strategy per i residence: ecco il piano della Danese

20 milioni di euro di risparmi in tre anni e 12 milioni di fondi regionali da investire per garantire un’adeguata sistemazione a quanti vivono in particolari condizioni di disagio. Sono solo alcuni dei numeri dell’exit strategy del nuovo assessore alle Politiche Abitative Francesca Danese per i Centri di assistenza abitativa temporanea, i cosiddetti residence. Strutture molto costose contro cui il sindaco Ignazio Marino ha dichiarato guerra fin dall’inizio del suo mandato. Lo stesso primo cittadino in sede di presentazione di bilancio aveva annunciato che con il passaggio al Bonus Casa si sarebbe passati da una spesa di 43 milioni l’anno a 27. Proprio questa mattina un gruppo di attivisti della Ram insieme ai comitati dei residence si sono riuniti in presidio sotto al dipartimento Politiche Abitative a viale Manzoni e ottenuto un incontro con l’assessore . Tra le preoccupazioni infatti anche “la sospensione del servizio residence senza un’adeguata alternativa”. Attualmente non sono poche le persone che abitano nei 31 residence di Roma Capitale: 1931 nuclei familiari per un costo complessivo di 41 milioni di euro. Oltre 21 mila euro all’anno a famiglia, 1750 euro al mese.
Dagli uffici dell’assessore Danese arrivano i numeri del piano sull’emergenza abitativa : “Con le nuove politiche sulla casa 12 milioni di euro di fondi regionali saranno investiti per il piano d’intervento del sostegno abitativo con l’obiettivo di garantire un’adeguata sistemazione alloggiativa ai nuclei che vivono in particolari condizioni di disagio attraverso un Servizio di Assistenza Alloggiativa Temporanea, avviare il Buono Casa previsto dalla delibera della Giunta Capitolina n. 368/13 e destinato ai nuclei attualmente ospitati nei residence, erogare il Contributo all’affitto previsto dalla delibera del Consiglio Comunale n. 163/1998 attraverso i Municipi”. L’operazione permetterà di risparmiare 7 milioni di euro nel 2015 e 13 milioni di euro tra il 2016 e il 2017.

I n particolare dei 12 milioni di euro da destinare all’emergenza abitativa per il 2014 e il 2015 , 7.182.000 euro saranno destinati per il Servizio di assistenza abitativa temporanea per continuare ad assistere i nuclei familiari che non sono nelle condizioni socio-economiche di accedere al Buono Casa. Per quest’ultimo invece verranno impiegati 2.755.000 euro mentre altrettante risorse verranno impiegate per il Contributo all’affitto (Municipi), una misura non nuova che il comune prevede dal 1998 e serve a prevenire situazioni di emergenza abitativa evitando che i nuclei familiari diventino morosi.
Inoltre per il Servizio di assistenza abitativa temporanea sono state stabiliti dei requisiti per l’accesso. Tra questi avere un reddito massimo di 18 mila euro e non essere assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica né proprietari di immobili. Inoltre l’accesso al buono casa non pregiudica i diritti acquisiti rispetto all’assegnazione di alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica.“
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Piano casa, l’assessore Danese contro l’art.5: “Ci pone qualche problema”

piano casa sfrattiIl provvedimento prevede la possibilità del distacco delle utenze per gli immobili occupati e nega la residenza agli abitanti. Poi la richiesta: “Aprire un tavolo interistituzionale”

“L’art. 5 della Legge Lupi ci pone qualche problema”. Proprio mentre le polemiche attorno alla mancata proroga degli sfratti stanno raggiungendo il culmine, l’assessore alla Casa Francesca Danese prova a riaprire la partita sul Piano casa del governo. Con una nota l ‘assessore ha confermato la preoccupazione per le condizioni di vita delle famiglie, si parla di almeno diecimila persone, che vivono in alloggi occupati alle quali l’articolo 5 della Legge Lupi impedisce, con la cancellazione dai ruoli anagrafici, l’accesso al diritto alla salute, alle utenze luce e gas, l’iscrizione a scuola dei più piccoli e, più in generale di godere a pieno dei diritti di cittadinanza. Un provvedimento contro cui sono scesi in piazza diverse volte i movimenti per il diritto all’abitare che da martedì scorso stanno occupando per protesta gli uffici dell’anagrafe capitolina di via Petroselli.

DANESE CONTRO L’ART.5“Le occupazioni? La legalità è un tema che riguarda tutto, quindi stiamo verificando chi ha diritto e chi no. Ovviamente c’è una legge, la legge Lupi, che non ho fatto io nè gli assessori delle altre aree metropolitane, il cui articolo 5 ci pone qualche problema” ha affermato l’assessore Danese al termine dell’odierna riunione di Giunta in Campidoglio, a chi gli chiedeva quale fosse la sua posizione sul decreto Lupi e in particolare sulla questione delle occupazioni abitative. “Bisogna iscrivere i bambini a scuola, bisogna garantire il diritto alla salute. Questo è un tavolo aperto, io non posso risolvere un problema di carattere nazionale ma insieme alle altre città siamo in fase di studio, censimento e monitoraggio perchè questa è una situazione che preoccupa e non fa dormire gli assessori delle aree metropolitane”.

I MOVIMENTIEcco quindi quanto denunciato dai movimenti: “L’art. 5 della Legge Lupi comporta gravi implicazioni per chi vive nelle occupazioni: negando le residenze nelle occupazioni abitative infatti, si impedisce anche l’iscrizione a scuola dei bambini, l’assistenza domiciliare dei disabili, il rinnovo dei permessi di soggiorno e la scelta del medico di base” denunciano i movimenti. “Per questa ragione, mentre dal sindaco Marino e dagli assessorati competenti non arrivano riscontri o interlocuzioni, i movimenti continuano ad occupare, con tanto di tende, gli uffici dell’anagrafe. Non possiamo più aspettare”.

IL TAVOLOL’assessore ha poi proposto l’apertura di un “tavolo interistituzionale tra Comune, Prefettura, Regione, Ater organizzazioni sindacali degli inquilini e dei piccoli e grandi proprietari immobiliari” si legge nella nota. “Nella nostra città la questione è più complessa anche alla luce della delibera regionale del dicembre del 2013, sul recupero e il riuso del patrimonio pubblico e l’acquisizione dell’invenduto, dentro il quale si disegna un percorso di inclusione per queste famiglie nelle graduatorie per l’assegnazione di un alloggio. Per la piena attuazione del dettato della delibera regionale e, più in generale, per fuoriuscire dalle logiche emergenziali, l’assessorato alle Politiche abitative vuole promuovere un tavolo interistituzionale tra Comune, Prefettura, Regione, Ater organizzazioni sindacali degli inquilini e dei piccoli e grandi proprietari immobiliari” conclude.

LA GRADUATORIAInoltre l’assessore Danese ha annunciato la chiusura della graduatoria delle persone che hanno richiesto una casa popolare: “Stanno partendo più di 2mila lettere perchè esce finalmente la graduatoria delle persone che hanno richiesto un alloggio Ater”. Le ultime 2500 richieste infatti sono state vagliate dall’amministrazione comunale che ha così avvertito i diretti interessati. In totale nella nuova lista per la richiesta delle case popolari sono state inserite 9500 persone. “Parte anche il buono casa, grazie alla delibera che è stata approvata il 23 dicembre che dice che noi vogliamo chiudere con l’assistenza alloggiativa temporanea, i cosiddetti residence che ci costano tanto, e invece poter permettere a una famiglia di accedere a un affitto calmierato e faremo un tavolo anche con i piccoli proprietari”.

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Dondi (Nomisma): Solo il 15% degli edifici in classe energetica performante

riqualificazione energetica caseAlla presentazione dell’accordo Saie-Sie, focalizzato sul nuovo appuntamento di BolognaFiere dedicato all’impiantistica in edilizia, ha partecipato anche il direttore generale e responsabile del dipartimento Real estate di Nomisma, Luca Dondi (foto), commentando i dati elaborati dall’Istituto sul tema della riqualificazione dell’esistente, come l’opportunità per le imprese per uscire dalla crisi del settore.

“Se prima della crisi era l’offerta a guidare la domanda, ora saranno i bisogni a sostenerla – ha detto Dondi, rifrendosi in particolare alle stime di compravendite di case, che saliranno nel 2015 a quota 470.324 (+16,7% rispetto al 2013) e supereranno le 517.200 nel 2017, pur rimanendo anni luce distanti dalle 800mila unità vendute durante il boom immobiliare –

Il mercato non sarà più lo stesso: sarà infatti caratterizzato da un approccio selettivo, con interventi mirati e di qualità”.

Accanto agli investimenti in nuove costruzioni, i tanti comparti e le filiere di una moderna edilizia sono chiamati ad operazioni di manutenzione straordinaria e riqualificazione energetica, resi necessari da un patrimonio immobiliare energivoro e obsoleto: “solo il 15% circa degli immobili – ha aggiunto Dondi – rientra nelle classi energetiche più efficienti (A, B e C) e ben l’83,6% ha più di vent’anni.

Nel nostro Paese, infatti, il 55,4% delle unità abitative è stato costruito prima del 1971 e richiede una seria strategia di intervento, mentre oltre un quarto (28,2%), risalente al ventennio tra il 1972 e il 1991, necessita di investimenti in efficientamento”.


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Quanto costa una casa a New York?

casa a new yorkAbitare a New York, sogno di tantissime persone di tantissime parti del mondo, è molto complicato e dispendioso: soprattutto nel borough di Manhattan – uno dei cinque grossi quartieri che costituiscono la città – gli appartamenti disponibili sono molto pochi e affittare o comprare casa è sempre più caro: negli ultimi quattro mesi del 2014 il costo medio di un appartamento a Manhattan è arrivato a 1,7 milioni di dollari (1,4 milioni di euro) sorpassando il precedente record del 2008, precedente alla crisi economica e al crollo del mercato immobiliare.

Secondo Corcoran Group, la principale agenzia immobiliare di New York, il costo mediano – cioè quello al centro, con la metà delle case che costa di più e la metà che costa di meno – di tutti gli appartamenti di Manhattan è 916 mila dollari (791 mila euro) mentre il costo mediano di tutti i bilocali – sempre a Manhattan – è 710 mila dollari (613 mila euro). Per il sito HSH, che calcola e compara mutui e i tassi ipotecari, il costo mediano di una casa a New York è di 410 mila dollari (350 mila euro): per comprarne una bisogna guadagnare almeno 92 mila dollari all’anno, al netto delle tasse (circa 79 mila euro), con un mutuo a 30 anni a tasso fisso, tenendo anche conto delle spese di gestione dell’immobile.

Negli ultimi anni sono nati moltissimi servizi online per aiutare le persone a districarsi tra gli innumerevoli fattori da tenere in conto per comprare o affittare casa in città. Il sito Curbed ha una rubrica, Curbed Comparison, che confronta le case che si possono affittare nei vari quartieri di New York a una data cifra. Per esempio con 1.700 dollari al mese, circa 1.400 euro, si può affittare un bilocale non arredato nell’Upper West Side o un bilocale con un bagno molto piccolo ad Astoria, nel meno centrale Queens. Sul sito del New York Times è possibile calcolare se sia più conveniente comprare casa o restare in affitto, tenendo conto del costo della casa, del tempo in cui si prevede di abitarci, e del tasso di mutuo richiesto dalla banca. C.J. Hughes del New York Times ha provato a calcolare cosa si può comprare con un budget di 750 mila dollari (645 mila euro) nei vari boroughs di New York.

Manhattan/1 (dove quel che conta è la posizione)
Per prima cosa Hughes ricorda che Manhattan è una zona affollatissima e quasi inaccessibile, a meno di essere milionari. Con un po’ di pazienza si può trovare anche qui qualcosa di buono, a patto di essere disposti a ristrutturare qualche vecchio ufficio con bagno e cucina poco attrezzati. Per 725 mila dollari Hughes ha scovato uno studio nel West Village, con pavimenti in legno, soffitti alti, ma una cucina minuscola e senza finestre. Come puntualizza Katherine Salyi, l’agente immobiliare dello studio, «è un appartamento piuttosto piccolo che ha bisogno di un po’ di lavori ma è in una zona splendida», una delle più alla moda di Manhattan, piena di vita e locali. Secondo il sito immobiliare StreetEasy, nel 2014 il costo mediano degli appartamenti nel West Village è stato di 1,5 milioni di dollari (quasi 1,3 milioni di euro).

Manhattan/2 (dove quel che conta è lo spazio)
Per un bilocale da 750 mila euro le persone si aspettano “un po’ di cose”, dice Hughes, “tra cui due posti distinti in cui cucinare e fare una doccia, e una porta che separa la zona giorno dalla camera da letto. Il cacciatore consumato di appartamenti tende anche a pensare che per quella cifra il bilocale sia grande meno di 90 metri quadrati”. Per questo Hughes considera un affare un appartamento che ha scovato nel quartiere di Inwood, la zona più settentrionale di Manhattan, a soli 679 mila dollari (585 mila euro): è grande 130 metri quadrati e ha tre stanze da letto, due bagni e svariati sgabuzzini. Per avere più spazio è necessario allontanarsi dal cuore di Manhattan – la zona dove si trovano le case più grandi è a Harlem – rischiando però di finire in un posto isolato e poco servito. Inwood è una piacevole eccezione, un quartiere residenziale inframmezzato da vie e piazze piene di negozi, caffè e parchi.

Il Bronx
Il modo migliore per risparmiare è dimenticarsi Manhattan e rivolgersi agli altri boroughs, anche se è meno vantaggioso di anni fa. Brooklyn è un posto sempre più alla moda e anche molte zone di Long Island sono care quasi quanto i confinanti posti a Manhattan. Nel Bronx, il borough più settentrionale, è facile trovare soprattutto case in affitto e i trifamiliari sono decisamente più diffusi di bilocali e appartamenti condominiali: e non è più il Bronx di una volta. Un’eccezione è il quartiere di Riverdale, che si trova nella zona nord-occidentale del Bronx ed è abitato soprattuto dalla classe media. A gennaio per esempio cercando nella sezione immobiliare del sito del New York Times, Hughes ha trovato 23 case tra i 650 mila e i 750 mila dollari – principalmente bilocali e appartamenti – di cui 19 a Riverdale e dintorni.

Chi invece cerca una villetta può provare con Locus Point, una piccola penisola nella zona sud-orientale del quartiere abitata soprattutto da famiglie di origine irlandese, italiana e tedesca. Con 719 mila dollari si può comprare per esempio una casa bifamiliare con tre stanze in ogni appartamento. Ha un giardinetto sul retro, dove si può sistemare una piscina o un barbecue. La zona, ammette Hughes, è decisamente isolata e per arrivare sulla Fifth Avenue bisogna prendere un autobus che ci mette 40 minuti. D’altro canto il paesaggio e la vista sono molto belli e tutto è parecchio tranquillo: «qui c’è spazio, si può avere una cantina, si possono fare figli: a Brooklyn non c’è più spazio, e non ce n’è nemmeno nel Queens» spiega l’agente immobiliare Clarissa Rosado.

Staten Island
Staten Islan è il quartiere più meridionale e meno popolato di New York, raggiungibile via traghetto da Manhattan e attraversando il ponte di Verrazzano da Brooklyn. Ricorda un quartiere dormitorio di New Jersey o del Connecticut, con le sue “modeste case di metà del secolo con stradine e garage”: secondo Hughes è un buon posto dove investire i 750 mila euro anche se non è particolarmente vitale o divertente. «I giovani non vogliono venire qua perché non succede niente – spiega l’agente immobiliare Cosimo Tacopino – Ma quando hai voglia di sistemarti e allo stesso tempo restare a New York evitando il casino, questo è il posto giusto».

Con 739 mila dollari si può comprare una casa dei primi anni Ottanta con tre stanze da letto, due bagni, un bancone per colazione, e un salotto col caminetto. La casa in questione si trova vicino al Conference House Park, un parco di cento ettari con panchine, stradine in cui passeggiare e un bel panorama da cui si vede il New Jersey.

Queens
È il borough più vasto, al confine con Brooklyn. Hughes consiglia di concentrarsi su Douglas Manor, un quartiere residenziale con casette di inizio Novecento, che ricordano le villette in mattoni della buona borghesia di Long Island. Qui con 750 mila dollari non si può comprare molto: le belle case eleganti, abitate da gente che gioca a tennis o va in piscina nei club privati, in vendita a meno di un milione di dollari sono pochissime; ce ne vogliono più o meno dai due ai quattro. Si può però puntare su quella che erano le dependances della villa. Hughes ne ha scovata una in vendita a 728 mila dollari: un cottage bilocale che un tempo era il garage di una villa in stile Tudor, che si trova a fianco. Il cottage non è molto grande ma è accogliente e ha una bella cucina, anche se per una famiglia è decisamente troppo piccolo (e richiede un buon rapporto con i vicini).

Brooklyn
Dopo Manhattan è il quartiere più alla moda e ambito di New York: negli ultimi tempi la zona più cara è Kings County, dove i prezzi delle case raggiungono a volte quelli di Manhattan. Brooklyn risulta comunque più vantaggiosa: a fine 2014 il prezzo mediano di un appartamento era di 690 mila dollari, il 7 per cento in più del 2013 ma decisamente meno di Manhattan, dove arriva a 1,4 milioni di dollari. A Brooklyn ci sono case molto simili a quelle costruite a Manhattan: di fatto per la stessa cifra si può comprare lo stesso tipo di casa ma più grande. Nel quartiere di Fort Greene per esempio è in vendita un bilocale di 70 metri quadri con cabina armadio e un piccolo balcone. Nella Williamsburgh
Savings Bank Tower, il più alto e famoso edificio di Williamsburg, quartiere hipster e alla moda di Brooklyn, un appartamento di due stanze costa 1,65 milioni di dollari (1,4 milioni di euro), mentre uno studio arriva a quasi 600 mila dollari (510 mila euro).

 

 

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