1

Mafie, manager pensionati o disoccupati per gestire le imprese confiscate

Non c’è solo l’idea di utilizzare le case sequestrate al crimine organizzato per l’emergenza abitativa e per i profughi: l’Emilia Romagna pensa a un tutoraggio manageriale per la gestione delle imprese sequestrate, che si concretizzerebbe affiancando all’amministratore giudiziario un manager.
Non c’è solo l’idea di utilizzare le case sequestrate al crimine organizzato per l’emergenza abitativa e per i profughi. Il nuovo Testo unico per la legalità della Regione Emilia Romagna, al vaglio dell’Assemblea legislativa, apre la strada anche ad un’altra novità: il ricorso gratuito a manager in pensione o disoccupati per aiutare le imprese sequestrate a restare sul mercato, salvaguardando l’occupazione. Di questa ipotesi ha parlato il relatore della legge, il consigliere regionale Antonio Mumolo (Pd), intervenendo nei giorni scorsi alla Festa dell’Unità di Bologna.

Il Testo unico contiene “un articolo sulla salubrità produttiva delle imprese sequestrate e confiscate – spiega Mumolo -. La stragrande maggioranza delle imprese confiscate fallisce poco dopo. Ci sono imprese confiscate che sono cartiere, servono soltanto a riciclare denaro. Ci sono imprese confiscate che servono ad altro, sono di facciata, quindi non potrebbero stare sul mercato e fallirebbero comunque”. Allo stesso tempo, però, “ci sono imprese confiscate che sono sane”, perché i mafiosi “fanno anche investimenti veri” e queste imprese, continua il consigliere dem, “possono stare sul mercato”.

Agenzia giornalistica
Beni confiscati, così la Lombardia crea posti di lavoro “sociali”
Beni confiscati: cibo, comunicazione e turismo fanno rinascere Casal di Principe
AREA ABBONATI
Il limite, però, è che dopo il sequestro o la confisca vengono affidate ad un amministratore giudiziario, individuato all’interno di un albo “in cui normalmente ci sono avvocati e commercialisti: io faccio l’avvocato da 22 anni – afferma Mumolo – e vi assicuro che non sarei in grado di gestire un’impresa, perché per farlo non basta conoscere le leggi, bisogna conoscere il mercato e come attirare nuovi clienti, tenersi quelli che ci sono, bisogna conoscere i fornitori”.
C’è l’esempio di un albergo che fu sequestrato a Granarolo “e non è finita benissimo”, ricorda Mumolo. Bisogna fare di più, però: “C’è la necessità di garantire il livello occupazionale, perché altrimenti si rischia che i lavoratori dicano ‘si stava meglio quando c’era il mafioso, perché almeno lo stipendio lo portavo a casa’ facendo un lavoro onesto”. Per questo, “immaginiamo la possibilità di tutoraggio manageriale per la gestione delle imprese sequestrate e confiscate”, che si concretizzerebbe “affiancando all’amministratore giudiziario un manager che lo faccia gratuitamente, che accompagni l’impresa ad una gestione ottimizzata”.

Per riuscirci, precisa Mumolo, la strada più efficace sarà quella di protoccoli ad hoc con i Tribunali. Questo perché “ci sono anche i manager che fanno volontariato – assicura Mumolo – e magari vanno in Africa a seguire la gestione o costruzione di un ospedale e ci sono manager che hanno la volontà di operare, gratuitamente e volontariamente, in Italia”. Inoltre, bisogna tener presente che la disoccupazione riguarda anche i dirigenti. “Per un manager poter rimanere sul mercato e gestire un’azienda, anche gratuitamente – afferma il democratico – significa moltissimo, perché vuol dire non disperdere una professionalità e quindi ci sono anche manager disoccupati che sono disponibili a gestire per qualche mese, gratuitamente, un’impresa sequestrata perché tra l’altro un domani quella gestione potrebbe trasformarsi nel loro futuro posto di lavoro”.
Lo stesso schema, segnala inoltre Mumolo, potrebbe essere applicato anche per il sostegno alle vittime dei reati: in questo caso, ad esempio, una forma di intervento volontario potrebbe intervenire sul fronte del supporto legale.

link all’articolo




Le nuove frontiere della cooperazione, dal Worker buyout ai beni confiscati

Rapporto Euricse. Sono 252 le imprese recuperate dai lavoratori costituiti in cooperative; poi ci sono quelle nate per gestire beni a favore di intere comunità di cittadini e 123 cooperative sociali impegnate nella gestione di beni confiscati alla criminalità organizzata.
L’azienda chiude? La prendono i lavoratori. I beni comuni vengono svenduti? Li tutela la comunità. I beni vengono confiscati alla criminalità organizzata? Li gestiscono soggetti sociali. Sono le nuove sfide della cooperazione, che negli ultimi anni non solo sono cresciute in numero e portata, ma che hanno anche subìto una forte spinta innovativa. A renderne conto è l’Euricse, l’Istituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale, che ha pubblicato il terzo rapporto “Economia cooperativa. Rilevanza, evoluzione e nuove frontiere della cooperazione italiana”.
In Italia nel complesso sono 67.062 le cooperative attive, che hanno generato un valore di produzione di 90,7 miliardi di euro e che hanno dato lavoro a oltre un milione di persone. In 10 anni – dal 2001 al 2011, quindi anche in piena crisi – sono aumentate del 15%. Tra queste, le cooperative sociali sono 11.264, con una crescita dell’88,5 per cento in 10 anni. Ma la vera portata innovativa sta tutta qui, nelle nuove forme cooperative che negli ultimi anni hanno preso sempre più piede in Italia. “Nuovi tipi di cooperative caratterizzate da un orientamento sociale più marcato di quelle tradizionali, orientate cioè a perseguire interessi di carattere generale, più che a risolvere un problema economico di un particolare gruppo sociale” evidenzia Euricse. E questo avviene in almeno tre ambiti: le cooperative costituite tra lavoratori per scongiurare la fine di un’azienda, quelle nate per gestire beni a favore di intere comunità di cittadini e quelle impegnate nella gestione di beni confiscati alla criminalità organizzata.
Le cooperative tra dipendenti, worker buyout. In Italia, le prime esperienze risalgono agli anni ’80, in una fase critica per l’economia. Con la ripresa degli anni ’90 il fenomeno sembrava ridimensionato, finchè non è scoppiata la crisi. Nel complesso, le imprese recuperate dai lavoratori costituiti in cooperative sono state 252: il settore di attività prevalente è quello manifatturiero (con più del 60% dei casi). Si tratta di imprese di piccola o media dimensione, ma altamente specializzate. Delle cooperative nate a cavallo degli anni ’80 e ’90, il 36% è ancora attivo. “Dati questi che vanno valutati tenendo conto che si trattava in tutti i casi di salvare imprese in gravi difficoltà al momento della loro conversione – sottolinea Eurisce -. Questi risultati suggeriscono che, quando adottata, questa forma cooperativa è effettivamente in grado di superare situazioni di crisi e di stabilizzare e sviluppare l’attività produttiva a beneficio non solo dei soci lavoratori, ma anche del contesto socio-economico di riferimento”.
La cooperativa di comunità. Questaseconda forma di cooperativa – di cui nel rapporto Euricse non fornisce dati – è finalizzata a gestire beni o a realizzare servizi a favore dei cittadini di una determinata comunità. Ha iniziato a diffondersi negli ultimi anni ma alcune regioni hanno già approvato leggi per il loro riconoscimento e sostegno. Soprattutto perché “si è iniziato a collegare queste cooperative con la tematica dei beni comuni – anch’essa divenuta di attualità soprattutto dopo il referendum sulla privatizzazione dell’acqua – di cui potrebbero diventare un soggetto gestore” si precisa nel rapporto.
Le cooperative che gestiscono beni confiscati alla criminalità organizzata. Sono oltre 11 mila gli immobili – per un valore di 362 milioni di euro – e 1.700 le imprese confiscate. L’81% dei beni si trova nelle quattro regioni del Sud. Sono 448 le organizzazioni che hanno in gestione questi beni e 123 sono cooperative sociali. Di queste, il 66% opera nelle regioni meridionali. Di 75 è stato possibile ricostruire i dati economico-patrimoniali e di 85 quelli occupazionali. Il valore della produzione ne 2013 era di 130 milioni – contro i 118 del 2011 – e il capitale investito ammontava a 118 milioni. Sempre nel 2013, occupavano 4.281 lavoratori di cui il 2% con difficoltà gravi di accesso al lavoro, con una netta prevalenza di contratti a tempo indeterminato.

link all’articolo




Roma, le ville della mafia per i bimbi “detenuti”

Accordo tra tribunale, Comune e Dap per accogliere in una casa le carcerate di Rebibbia e i loro figli. Pronte 2 palazzine dell’Eur sottratte alla criminalità organizzata.

“Finalmente parte “Antimafia Capitale”. È felice Francesca Danese, l’assessore minacciata, l’assessore sotto scorta, l’assessore “del mondo di sotto” come lei stessa si definisce. È felice perché “lo avevo promesso quando accettai questo incarico. Avevo giurato che avrei tirato fuori i bambini dal carcere: e ora, grazie a un giudice coraggioso come Guglielmo Muntoni, grazie alla sua determinazione e alla sua forza, ecco che questo sogno diventa realtà”. Manca solo la Delibera di giunta, infatti, perché all’assessore Danese, all’assessore alla Legalità Alfonso Sabella, in collaborazione con il Dap, vengano assegnate due ville di 500 metri quadri l’una, circondate da un giardino, che ospiteranno le donne con bambini oggi detenute insieme ai loro piccoli nel carcere di Rebibbia.

Perché insomma diventi realtà, per la prima volta in Italia, la Legge 62 del 21 aprile 2011 che prevede non possa essere applicata la misura del carcere alle donne che hanno figli di età inferiore ai sei anni. E che gli arresti domiciliari possano essere scontati in una struttura protetta. O in un Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri): e di Icam invece ce ne sono soltanto due, uno a Milano e uno a Venezia. Una legge arrivata dopo lunghe battaglie per accendere l’attenzione sul problema: come fece la giornalista Luisa Betti, qualche anno fa, realizzando un documentario toccante girato proprio nel carcere di Rebibbia, Il carcere sotto i tre anni di vita. “Sono felice perché voglio dare segnali positivi alle organizzazioni e alle associazioni oneste e per bene che lavorano a favore degli ultimi” continua Francesca Danese. “Queste due strutture saranno seguite direttamente dall’amministrazione: non accadrà più quello che si è visto negli ultimi anni. Ci sarà un monitoraggio costante”.

Il giudice Guglielmo Muntoni, a capo della III sezione del Tribunale penale di Roma che si occupa delle misure di prevenzione, non solo ha ideato ma si è anche battuto per firmare un Protocollo d’intesa con Regione, Comune, Abi, Confindustria, Confcommercio, Camera di commercio pur di mettere a frutto i beni mobili e immobili sequestrati e confiscati alla criminalità. La sua sezione (composta di tre giudici) che gestisce beni per oltre un miliardo di euro, 250 aziende e 800 immobili, farebbe qualsiasi cosa pur di metterli a frutto: e forse un po’ meno le maglie burocratiche della troppo spesso borbonica macchina amministrativa comunale, visto che sono settimane che si attende una firma perché la cosa diventi operativa. “Eppure questa giunta, questa amministrazione, il mio assessorato e questo sindaco stanno lavorando per velocizzare il più possibile i percorsi burocratici – amministrativi” spiega l’assessore Danese. “Anche perché io voglio passare subito allo step successivo.

C’è un problema molto serio rispetto alla nuova povertà: sempre più romani perdono il lavoro e poi la casa, perché non riescono a pagare l’affitto o il mutuo. Ci sono lise d’attesa per la casa con famiglie che aspettano anche da anni. Ci sono studenti fuori sede che troppo spesso finiscono con contratti a nero. Ci sono i senza fissa dimora. A questo voglio pensare”. In attesa di firme e timbri, dunque, non si può che gioire per quei piccoli che, se solo si guardano le immagini del documentario di Luisa Betti, fanno stringere il cuore. Un’infanzia dietro le sbarre, bambini costretti ad alzare gli occhi verso il cielo senza mai poter spaziare con lo sguardo.

link all’articolo




Municipio XI: via libera alla mappatura dei beni confiscati alla Mafia

Il Consiglio Municipale approva all’unanimità il documento con cui si chiedeva di mappare i beni che, nel territorio, sono stati confiscati alla Mafia. Il Municipio si conferma così tra i più virtuosi nel contrasto alla criminalità organizzata.

I beni confiscati alla Mafia, saranno mappati e resi pubblici. E’ questo il risultato cui si è arrivati, in Municipio XI, grazie al voto unanime di tutto l’arco consiliare. L’iniziativa si inserisce nel solco tracciato dal progetto “Municipi Senza Mafie”, lanciata dall’associazione daSud ed alla quale l’ente di prossimità ha già aderito.

UN PASSO CONCRETO – “In momenti difficili come quelli che sta vivendo la nostra città, profondamente segnata dall’inchiesta di Mafia Capitale – ha osservato Alberto Belloni, Capogruppo SEL e primo firmatario del documento votato – non ci si può limitare a dare il proprio supporto alla magistratura, ma la politica deve fare qualcosa in prima persona, senza delegare o rinviare. Produrre ed approvare questo atto è un messaggio importante contro il malaffare che si insidia come una metastasi nel tessuto della capitale, un atto dovuto, che va ad affiancare tutti gli altri già messi in atto da questa amministrazione municipale. Il nostro Municipio, infatti, ha aderito al protocollo”.

MUNICIPI SENZA MAFIE – Tra gli altri proponenti c’era anche il Capogruppo di Fratelli d’Italia Valerio Garipoli che ha ricordato come, per effetto del documento votato, il Presidente Veloccia e la Giunta dovranno ” attivarsi nei confronti di Roma Capitale, ANBSC e ABECOL al fine di realizzare una mappatura dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata presenti sul territorio municipale. Tale atto – ha aggiunto Garipoli – segue e si inserisce nel percorso avviato il 18 novembre 2013 rafforzando il report dell’Associazione ‘daSud’ sull’attuazione del protocollo Municipi senza mafie”.

link all’articolo