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Café Society

di Woody Allen. Con Jeannie BerlinSteve CarellJesse EisenbergBlake LivelyParker Posey USA 2016

Los Angeles, metà degli anni ’30: l’agente di divi Phil Stern (Carell), mentre è ad un party con la moglie Karen (Sheryl Lee), riceve un telefonata da New York: è la sorella Rose (Berlin) che gli chiede di trovare un occupazione a suo figlio Bobby Dorfman (Eisenberg), che sta arrivando ad Hollywod in cerca di fortuna. Lui lo fa riempire di scuse dalla segretaria (Tess Frazer) e, un giorno, il timido Bobby si fa convincere dal fratello malavitoso Ben (Corey Stoll) a telefonare ad un’agenzia di squillo; poco dopo gli arriva l’imbranata Candy (Anna Camp), che è alla sua prima esperienza e, quando lei gli dice di essere ebrea come lui, lui le dà i 20 dollari pattuiti e la manda via senza toccarla. Dopo tre settimane lo zio lo riceve e lo assume come tuttofare, dando incarico alla propria assistente Veronica (Christen Stewart), Vonnie per gli amici, di fargli conoscere la città. Quasi subito i due diventano amici – lei che, come tante ragazze, era andata ad Hollywood per far l’attrice ma ora che lo conosce ha la giusta distanza dal vacuo mondo del cinema – e lui se ne innamora ma lei gli dice che ha un fidanzato giornalista. In realtà è l’amante di Phil e aspetta sempre che lui si decida a lasciare la moglie. Una sera che, dopo l’ennesima titubanza dell’amante, ha accettato di andare a cena da Bobby, riceve una telefonata da Phil che vuole festeggiare con lei il loro primo anniversario e lei disdice la cena (alla quale il povero Bobby si era dedicato con grande cura) e va da lui con una lettera autografa di Rodolfo Valentino come regalo. Phil però le dice che non ce la fa a parlare con la moglie e le annuncia che vuole troncare la relazione; lei disperata va da Bobby e dorme con lui. Inizia così il loro amore e il ragazzo la convince a partire con lui per New York; intanto lo zio gli confida le proprie pene d’amore e lui – non sapendo che la donna di cui gli parla è la sua ragazza – lo consola e lo sprona a far trionfare le ragioni del cuore. Una sera Phil va nel locale nel quale adesso Vonnie lavora come guardarobiera e le dice che ha lasciato la moglie; lei, indecisa, non gli risponde. Poco dopo, lui, nel suo ufficio, si confida con Bobby – che gli ha appena comunicato che partirà per New York con il suo amore – e, mentre parlano, il giovane vede la lettera di Valentino, di cui Vonnie gli aveva parlato a proposito dell’ex-fidanzato giornalista; capisce tutto e si precipita al guardaroba per porre alla ragazza un ultimatum: o lui o lo zio. Lei sceglie quest’ultimo e lui, con il cuore a pezzi, torna a casa. Qui ritrova la famiglia: la madre ed il padre (Ken Stott), che battibeccano in continuazione accusandosi a vicenda di scarso ebraismo, la sorella Evelyn (Sari Lennick), sposata a Leonard (Stephen Kunken), marxista e con velleità intellettuali, e Ben, che ora è un gangster a tutti gli effetti e gli offre di lavorare nel night che ha appena aperto. Grazie agli amici snob Rad (Posey) e Steve (Paul Schneider), che aveva conosciuto a Los Angeles, il locale diventa alla moda e gli affari vanno benissimo e lui è ora un affabile ed efficacissimo direttore di sala. Una sera Rad gli presenta la bella modella Veronica (Lively) reduce da una delusione d’amore e lui la corteggia spudoratamente. Si frequentano, si mettono insieme e, poco dopo lei gli dice di essere incinta e lui, felice, la sposa. Ben continua la sua attività di malavitoso e, una volta che la sorella, gli confida che Joe (Brendan Burke) un vicino aggressivo e maleducato la spaventa, lui lo fa prendere dai suoi scagnozzi (Raymond Franza e Michael Elian) e, come sua abitudine, gli spara e lo sotterra nel cemento. Bobby è in piena forma – gli affari prosperano (anche se le attività del fratello sono sotto la lente della parte non corrotta delle forze dell’ordine) e lui è felice della propria vita familiare – quando al locale si presentano Phil e Vonnie con due amici; lei ora sembra essere quello che ha sempre odiato: la tipica moglie stronza hollywoodiana. Lei trova una scusa per parlargli, lui la tratta male ma Vonnie continua a cercarlo e alla fine si incontrano. Il loro amore si riaccende, quando Ben viene arrestato e tutta la famiglia si mobilita perché abbia la migliore difesa; i suoi omicidi però sono stati scoperti ed i cadaveri dissotterrati – Evelyn e Leonard tremano perché se venisse alla luce anche il corpo del loro vicino potrebbero passare seri guai – e lui viene condannato a morte. In prigione il cappellano (Nick Plakias) lo convince a convertirsi al cristianesimo, così potrà sperare nel Paradiso e questo anima una nuova discussione teologica tra Rose e il marito. Vonnie deve ripartire e né lei né Bobbie hanno il coraggio di troncare i rispettivi matrimonio. Una sera di capodanno, mentre tutti festeggiano, tutti e due, all’apparenza felici, guardano nel vuoto il loro sogno d’amore svanito.

Allen mantiene il proprio impegno a girare un film all’anno e – come abbiamo già visto da qualche tempo – i risultati sono, inevitabilmente discontinui. Cafè Society non è tra i peggiori (niente a che vedere con i modesti Vicky, Cristina, Barcellona e Irrational man, il – secondo me – sopravalutato Midnight in Paris o il pessimo To Rome with love) ma sembra, più che altro, un film “alla maniera di Woody Allen”. C’è, come ne La rosa purpurea del Cairo o in Radio Days , il richiamo al cinema degli anni’30, non solo per le citazioni de La signora in rosso (Wonan in red, 1935), La donna del giorno (Libeled lady, 1936) di Jack Conway e Voglio danzar con te (Shall we dance, 1937) di Mark Sandrich, oltre ai costanti riferimenti a Barbara Stanwyck, Irene Dunne, Ginger Rogers ed Erroll Flynn ma per il tono generale (compreso la desueta e tenerissima dissolvenza incrociata del finale) che si rifà ai registi amatissimi da Allen: Ernest Lubitsch, Frank Capra e Gregory La Cava. La scelta delle musiche poi è particolarmente accurata: vere e proprie chicche di nostalgia con brani come The paenut vendor, I didn’t know what time it was, The lady is a tramp, Jeeper Crepers o Taki Rari, interpretate dalla sublime e dimenticata Yma Sumac, Benny Goodman e Count Basie. Insomma una bella operazione di accurato ed elegante trovarabato ma il racconto è poca cosa e, una volta tanto, il cast non è splendente come in altri film, anche non riusciti, di Allen; Steve Carell è un po’ una maschera, mentre Eisenberg e la Stewart sono poco più che corretti. I migliori – e non è un caso – sono gli yddish Berlin, Stott e Lennick; con loro Allen innesta il pilota automatico e lì il film fila piacevolissimo.




I magnifici sette (The Magnificent Seven)

di Antoine Fuqua. Con Denzel WashingtonChris PrattEthan HawkeVincent D’OnofrioLee Byung-Hun  USA 2016

Gli abitanti di Rose Creek, un piccolo centro contadino, sono riuniti in chiesa per decidere il da farsi perché il ricchissimo padrone dell’adiacente miniera Bartholomew Bogue (Peter Sarsgaard), li minaccia con i suoi killer perché se ne vadano e gli cedano le loro terre per 20 dollari a testa, quand’ecco che lui arriva con i suoi scherani, che ammazzano alcuni di loro, dà fuoco alla chiesa e, quando il colono Matthiew Cullen (Matt Bomer) si ribella, lo uccide a sangue freddo. In un saloon di un centro vicino, dove il baro e pistolero Josh Farday (Pratt) sta giocando a poker, arriva Sam Chisolm (Washington), guardia giurata e ufficiale di pace di una decina di stati (una sorta di bounty-killer con licenza), che affronta ed uccide il barista (David Kallaway), omicida ricercato che si era data una nuova identità; Josh, istintivamente, estrae la pistola e lo protegge dagli amici del barista. La vedova di Cullen, Emma (Haley Bennett) che era partita con il compaesano Teddy Q (Luke Grimes) per cercare qualcuno che li proteggesse, gli offre una magra – ma per loro, ridotti alla miseria da Bogue, enorme – ricompensa. Il pistolero accetta e, di lì a poco, ricompra il cavallo di Josh (che lo aveva perso al gioco) e lo recluta. I quattro partono per cercare altri mercenari: Sam convince il fuorilegge messicano Vasquez (Manuel Gracia-Ruffo), ricercato per omicidio, a essere della partita (in cambio lui lo cancellerà dei suoi elenchi) e, dopo poco si unirà a loro il bestione Jack Horne (D’Onofrio), mentre Josh, dopo aver visto l’orientale Billy Rocks (Byung-Hun) uccidere per scommessa un cow-boy (Ritchie Montgomery) armato di pistola con un coltello e il leggendario ex-ufficiale sudista Goodnight Robicheaux (Hawke), suo amico e protettore, raccogliere le vincite, li invita a nome di Sam, vecchio amico di Goodnight – Goodie per gli amici – a venire con loro. I due accettano, anche perché Goodie è convinto che in ballo ci siano molti più soldi della misera paga promessa. Mentre sono in cammino, incontrano l’indiano Red Harvest (Martin Sensmeier) e Sam, che parla un po’ di comanche, recluta anche lui. Ora sono 7 e quando arrivano al villaggio, lo sceriffo Harp (Dane Rhodes) – al soldo di Bogue – li aspetta con una torma di armati; nella scontro, ne uccidono 22 (tutti tranne Goodnight, che è come paralizzato dall’angoscia) e, scovato, Harp, che si era nascosto all’inizio della sparatoria, lo mandano dal suo padrone, sfidandolo a venire ad affrontarli; lo sceriffo, terrorizzato, esegue e Bogue, dopo averlo ucciso, si prepara a mettere insieme un piccolo esercito. I 7 addestrano al combattimento agli impreparatissimi contadini (solo Emma ha una qualche dimestichezza con le armi), congegnano trappole per rendere più arduo il compito agli assalitori e rubano armi e dinamite dal deposito della miniera. Red Harvest, che era partito in ricognizione, dopo due giorni torna per avvertirli che Bogue e i suoi arriveranno all’alba del giorno dopo. La sera Goodnight va via, confessando a Sam la proprie paure: se ne vergogna ma è convinto che se sparerà ancora lo attenderà una morte orribile. Bogue arriva la mattina dopo con decine di pistoleri ma, grazie anche alle ingegnose trappole, i primi scontri ne vedono la decimazione – non è estraneo al successo il ritorno di Goodie che uccide decine di avversari prima di morire assieme a Bill – ma lui ha in serbo un arma segreta: una potente mitragliatrice che sembra avere la meglio sui nostri eroi, quando Josh si lancia contro il mitragliere (Jackson Beals) e, pur crivellato di colpi, riesce a far saltare l’arma con un candelotto di esplosivo. La battaglia è vinta e Sam affronta Bogue che lo supplica di lasciarlo vivo: il pistolero ha con lui, però, un conto aperto: i suoi uomini avevano ucciso e violentato sua moglie e le sue figlie e lo invita a pregare prima di morire ma sarà Emma a dargli il colpo di grazia. Anche Horne è morto dopo aver massacrato parecchi mercenari con la pistola, l’ascia e le mani nude e Sam, Vasquez e Red Harvest ripartono, salutati da eroi.
Fuqua ha dichiarato di aver avuto presente, nel preparare il film, più I 7 samurai (1957) di Kurosawa de I magnifici 7 (1960) di Sturges (che ne era il dichiarato remake). Questo spiega alcune delle differenze tra i due western: quello del ’60 era solare e i 7 – ma anche i loro nemici – erano fracassoni e simpatici, mentre questo è crepuscolare e gli eroi – tranne qualche battutina tra Vasquez e Josh – sono seriosi e portatori di ideali (il cattivo, poi, è una summa di tutte le figure negative del perfido capitalismo: addirittura esordisce con la frase: “Il capitalismo è Dio!” prima di massacrare i bravi contadini). C’è poi un versante d’impegno: Sam è nero -non è la prima volta che il cinema racconta di pistoleri di colore, da Invito ad una sparatoria (1964) di Richard Wilson in poi – e alla fine si salva solo lui, l’indiano e il messicano; la donna è, post-femministicamente, coraggiosa e, in qualche modo surroga i caratteri – il combattente-contadino – che negli altri due film erano affidati a Toshiro Mifune e a Horst Bucholz; per far spazio alla multietnicità dei protagonisti i due caratteri, presenti nel film di Sturges, il paranoico Lee/Robert Vaughn e l’avido Harry Luck/Brad Dexter, sono assommati nel pensoso Goodnight di Ethan Hawke. Detto questo, il film ha dei momenti piacevoli, solo che non si capisce perché si sia sentita la necessità di fare un pallido remake di uno dei capisaldi del cinema western, al quale, ad esempio, Leone e Peckinpah si sono fortemente ispirati e che ha lanciato i tre divi più significativi degli anni successivi: Steve McQueen, Charles Bronson e James Coburn, affidandolo ad un regista più a suo agio nell’action con risvolti sociali (Training day, The equalizer, Attacco al potere). Esempi di remake falliti di western storici non ne mancavano – vedi l’insopportabile Quel treno per Yuma di Mangold del 2007 – e, di più, con la splendida eccezione del grandissimo Peckinpah, il western è morto da tempo e la deriva impegnata – iniziata con Soldato blu di Ralph Nelson del 1970 (che era stato visto come un parallelo tra la conquista del west e la guerra in Viet-Nam) – non ha fatto che accelerarne la decomposizione.




The Beatles – Eight Days a Week

di Ron Howard. Con Paul McCartney, Ringo Starr, John Lennon, George Harrison USA 2016

Ai tempi di Happy Days, i Beatles, in tour in America, erano andati sul set ma – ricorda Ron Howard protagonista della serie nel ruolo di Richie – non per lui: volevano conoscere Fonzie (Henry Winkler). L’incontro l’ha però segnato se 50 anni dopo decide di girare su di loro il suo primo documentario. Altre volte la televisione ha commissionato documenti su i Fab Four (What’s happening! The Beatles in the USA di fratelli Maysles è un precedente del quale Howard ha certamente tenuto conto) ma, per la prima volta, ci viene raccontata l’evoluzione del gruppo pop più importante della storia dall’interno ed i Beatles ci arrivano con la loro genialità ma anche con le loro fragilità; anche fisicamente, li vediamo ragazzi nei primi due anni dei loro successi e precocemente adulti negli anni immediatamente successivi, logorati da un circo (sono loro stessi a definirli così) che tendeva a mostrificarli (“freaks” è il termina con il quali George definisce se stesso e i suoi compagni). Ci sono interviste a Paul e Ringo, che – dopo anni di presa di distanza – rivendicano la forza del loro team, dichiarazioni di John e George che riportano alla musica il valore di fondo del gruppo e varie testimonianze di personaggi che avevano, come testimoni o semplici fan, partecipato a quel fenomeno e inserti nei quali appare il geniale Richard Lester, con sequenze di A hard day’s night e Help!, i due deliziosi film nei quali li ha diretti. Seguiamo i Beatles dalle prime esibizioni nelle cantine di Liverpool, alla dura gavetta di Amburgo, ai primi successi, ai massacranti – e alienanti (nel frastuono non sentivano le proprie voci e Ringo racconta di aver suonato basandosi sui movimenti del sedere degli altri tre e sul battito del piede di Paul) – tour americani, alla decisione di non esibirsi più in pubblico e di concentrarsi sulle registrazioni- da qui nacquero lp-capolavoro, quali Revolver, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (il miglior album pop di sempre per moltissimi critici) e The Beatles/White Album – fino al concerto di addio sul terrazzo della Apple il 30 gennaio del ’69, ripreso dal film Let it be. La storia è puntellata da testimonianze di addetti ai lavori, quali il giornalista Larry Kane che, ventenne, li seguì nel loro primo tour americano, il critico Jon Savage, che non poté andare da ragazzino a sentirli perché i genitori glielo proibirono, Lou Costello, loro fan da bambino, frastornato dalla rivoluzione del loro album Rubber Soul. Ci sono poi fan speciali: Whoopi Goldberg che, bambina, capisce che la loro musica è unificante; la storica Kitty Oliver che, partecipò al loro concerto di Jacksonville – allora attraversata da manifestazione contro la segregazione – insieme a tanti ragazzini bianchi, perché loro avevano imposto – minacciando di far saltare la data – che non ci fosse apartheid durante la loro esibizione; la produttrice tv Debbie Supnik, che tredicenne – col suo nome Debbie Gendler – fu intervistata durante la loro apparizione all’Ed Sullivan Show; Sigourney Weaver, adolescente innamorata di John che si schiarì i capelli con la birra, sicura di essere notata dal suo amato in mezzo ad altre 15.000 ragazzine urlanti e il compositore Howard Goodall, che afferma che, nella storia della musica, solo Mozart può – per quantità di brani riusciti – essere paragonato a loro.

Quest’ultima testimonianza è la chiave del film: Ron Howard ha gli strumenti giusti per raccontare il successo e l’amicizia (Cocoon, Apollo 13, Rush) e qui viene fuori la profondità del rapporto tra i quattro ma anche con il manager Brian Epstein e con i produttori George Martin e Neil Aspinall ma, soprattutto, riesce – senza forzare il racconto – a far capire quale rivoluzione musicale (per primi inserirono stilemi d’avanguardia nella musica pop), industriale (il LP, fino a quel momento pura raccolta di 45 giri di successo, con loro diventò la vera hit) e sociale (i giovani in quegli anni divennero una forza commerciale e di costume, come mai erano stati in passato) siano stati i Beatles. Il ‘900 è stato teatro di rivoluzioni orrende e cruentissime: il fascismo, il nazismo e il comunismo, ben venga chi ci ricorda l’unica rivoluzione, che ha coinvolto enormi masse migliorandole: la beatlesmania (come ci dice John in Revolution :”Tu parli di rivoluzione, bene, tutti vogliamo cambiare il mondo ma quando mi parli di distruzione.. non contare su di me”)




Ritual – Una storia psicomagica

di Giulia BrazzaleLuca Immesi. Con Desirèe GiorgettiIvan FranekAnna BonassoAlejandro JodorowskyCosimo Cinieri Italia 2013.

Lia (Giorgetti) è una creatrice di moda e vive con Victor (Franek), uomo d’affari narciso e possessivo, un rapporto d’intensa e sofferta dipendenza. E’ in cura psicanalitica dal dott. Guerrieri (Cinieri), al quale racconta di quando, bambina (Giulia Carissimi) andava in un paesino del veneto dalla zia Agata (Zanin Mariaciara), guaritrice e cartomante: qui aveva avuto precocemente le prime mestruazioni e le aveva vissute con angoscia come una sorta di punizione per aver “violato” la cappella nella quale era seppellito un uomo il cui corpo – si diceva in paese – era stato sottratto dal demonio. Un giorno, rientrata tardi da un appuntamento con lo stilista Flavio (Giuseppe Ferlito) trova ad attenderla l’inferocito Victor che la aggredisce e la possiede brutalmente. Poco dopo aspetta un bambino ma il compagno la induce, contro la sua volontà, ad abortire. Il suo fragile equilibrio diventa ancora più precario e, dopo un tentativo di suicidio, decide – anche su suggerimento del terapeuta – di andare dalla zia (Bonasso). Agata la accudisce, mentre aiuta, con i tarocchi e piccoli riti magici, i compaesani a superare i loro problemi. Lei, intanto, si intrattiene con i  salbanei (folletti in veneto), due bimbi immaginari  (Nicola Arabi e Gaia Ziche) che, con la brutale ma poetica sincerità dei piccoli, la mettono di fronte al suo dolore. Quando, però, le si palesa l’Anquana (Patrizia Laquidara) – ninfa dei boschi – che canta la ninna nanna al suo bambino morto e lei stessa comincia a ninnare un bambolotto, Agata capisce che deve fare qualcosa. La situazione precipita quando arriva Victor – deciso a portarla via – e lei viene nuovamente risucchiata dalla dipendenza psicologico-sessuale che la lega a lui. La zia consulta lo spirito del marito defunto Fernando (Jodorowsky) che l’aveva iniziata alla psicomagia e decide di dover intervenire rapidamente per salvare la nipote; caccia di casa Victor e comincia un rito di purificazione sulla nipote. Victor va in paese e nel locale di Beppe (Fabio Gemo), beve troppo e rimorchia Gloria (Roberta Sparta) ma, poco dopo, torna nella villa e, scavalcato il muretto, entra, interrompe il rito e si addormenta ubriaco. All’alba Agata la sveglia e completa il rito: prende un mango che le aveva legato sulla pancia, lo mette in una scatola di legno e lo seppellisce, dicendo che quella sarà la tomba del bambino mai nato. Improvvisamente sollevata, Lia torna a casa ma sul letto trova la scatola disseppellita: Victor le aveva seguite e – gridando che la farà rinchiudere – scaglia in terra il frutto, rompendolo. Lia perde il lume della ragione, lo accoltella con un paio di forbici e, mentre lui muore, culla il bambolotto-neonato in compagnia dei salbanei.

Abbiamo trovato questo film in una bella rassegna di opere di autori italiani da ripescare ed è stata una bella sorpresa. I due registi-produttori hanno fatto (e non è certo così comune tra i nostri operatori) appieno il loro mestiere di indipendenti, mettendo insieme, con il solo aiuto di sponsor locali, un racconto intenso e personalissimo. Tanto per cominciare, hanno saputo illustrare un percorso psicologico con grande intensità (per merito anche dell’efficacissima protagonista: un bell’esempio – raro da noi, comune in altri paesi – di attrice nota ai frequentatori di teatro che approda al cinema e riesce a rimodularsi secondo gli stilemi dello schermo) ma, pur partendo da La danza della realtà di Jodorowsky, non sono entrati nel mondo magicamente surreale dell’autore  (non a caso, stretto collaboratore nella sua giovinezza di Arrabal e Topor, con i quali aveva creato il movimento teatrale Panico). Il regista de La montagna sacra e di Santa Sangre, ha approvato la sceneggiatura ed ha accettato di apparire in un cameo ma gli autori – forti anche della supervisione di Jeff Gross, sceneggiatore di Polanski – sono andati nella direzione di un racconto realistico, forti della conoscenza dei lavori di Ernesto De Martino (etnologo, autore de Il mondo magico e di Sud e magia), ricavando suggestioni e magie dalle filastrocche e canzoni della tradizione popolare veneta e attingendo gli atti psicomagici dalle ritualità del quotidiano contadino.  Lo so che può apparire blasfemo ma Jodorowsky senza la sua (vogliamo dirlo? pesante!) sovrastruttura ieratico-surreale è meglio. Della protagonista abbiamo detto ma il cast è tutto ben amalgamato. Belle le musiche della Laquidara e di Moby. Il film sta ancora girando in rassegne (ma è anche in uscita il dvd): se vi capita, non perdetelo!




Suicide Squad

di David Ayer. Con Jared LetoBen AffleckWill SmithMargot RobbieJoel Kinnaman USA 2016

Dopo la morte di Superman (vedi Batman v Superman: Dawn of Justice) l’ agente governativo Amanda Waller (Viola Davis) convince lo Stato Maggiore degli Stati Uniti ad appoggiare il suo progetto di formare  un team di supercriminali che possa essere usato contro eventuali nemici dotati di superpoteri. Il compito di mettere insieme la squadra viene affidato al colonnello Rick Flag (Kinnaman), sia per la sua capacità militare che perché è innamorato della archeologa June Moone (Carla Delevingne), la quale in una spedizione era stata posseduta dalla potentissima Incantatrice, che sarà nella squadra sotto il doppio controllo del colonnello e della Waller che ne conserva il cuore in una valigetta. Flag si reca al carcere-manicomio Arkham Asylum, che ospita in regime di massima sicurezza tutti i supercriminali e qui recluta Harley Quinn (Robbie) – ex-psichiatra dell’Arkham, che aveva avuto in cura il Joker (Leto) e se ne era innamorata, diventando a sua volta una formidabile assassina -,il killer Deadshot (Smith) – il più infallibile tiratore del mondo, che era stato catturato da Batman (Affleck), una sera nella quale era a passeggio con l’amata figlia Zoe (Shailyn Pierre-Dixon) e non gli aveva sparato per non spaventarla -,El Diablo (Jay Hernandez )– un bandito che ha il potere di scatenare il fuoco ma non è in grado di governarlo e (dopo un evento spaventoso, ha deciso di non usarlo più -, Capitan Boomerang (Jai Cortney) – un rapinatore solitario australiano, armato di sofisticatissimi e mortali boomerang, che era stato arrestato da Flash (Ezra Miller), dopo un colpo ad una gioielleria, nel quale aveva ucciso il suo complice per non dividere il ricchissimo bottino – e Killer Croc (Adewale Akinnuoye-Agbaje) – gigante cannibale anfibio dalla pelle squamata. Una sera Incantatrice si impadronisce di June e riesce a fuggire alla sorveglianza di Rick e dopo aver ucciso un passeggero (Alain Chanoine) della metropolitana, tramette nel suo  corpo lo spirito del del proprio fratello Incubus. Flag va dalla Waller, che, dopo aver ferito il cuore della  maga e ucciso i militari presenti al loro colloquio, per evitare che potessero rivelare il segreto, gli ordina di partire in missione con la Suicide Squad, senza rivelare il vero scopo della missione.  Al gruppo si unisce il mercenario Slipknot (Adam Beach) – uno strangolatore letale e agilissimo nell’arrampicarsi; ad ognuno dei supercriminali viene impiantata nel collo una carica esplosiva per scoraggiare qualsiasi tentativo di fuga o ribellione e insieme partono per la misteriosa missione, raggiunti dalla guardia del corpo Katana (Kaaren Fukuhara) – che, dopo aver ucciso gli assassini del marito, ha fatta sua la loro spada che imprigiona l’anima di coloro che cadono sotto i suoi colpi. Incantatrice, mentre il fratello uccide varie persone, trasformandole in mostri-killer di pietra dura, comincia costruire un’enorme arma, che moltiplichi i suoi poteri, parzialmente indeboliti dalle ferite al cuore inferte dalla Waller. Slipknot si fa convincere da Boomerang (che vuol capire se davvero è stata loro impiantata una mini-bomba)  a tentare la fuga e l’esplosivo lo mette fuori gioco   Nel frattempo, Joker, cattura Griggs (Ike Barinholtz), il sadico capo delle guardie carcerarie dell’Arhham Asylum, lo fa parlare e riesce  a disattivare a distanza la carica esplosiva nel collo di Hayley. La Squadra combatte contro i mostri e raggiunge il primo obiettivo: il quartier generale di Amanda Waller, che si fa scortare sul tetto del palazzo ma l’elicottero in arrivo è stato dirottato da Joker, che lancia una corda alla fidanzata e, quando la Waller ordina a Deadshot di spararle, lui sbaglia appositamente mira ma il velivolo viene abbattuto dalle truppe di Incantatrice, uccidendo tutti, compreso (apparentemente) Joker, tranne Harley; la stessa Waller viene catturata e tenuta in ostaggio con un sistema di cavi che le traggono tutti i segreti militari dalla mente. Rick Flag decide di continuare da solo la missione, ormai disperata, nella speranza di liberare June dalla possessione di Incantesimo ma i componenti della Squadra, dopo una bevuta in un bar – durante la quale El Diablo confessa di aver inavvertitamente ucciso l’amata moglie(Corina Calderon) e i loro due figli (Daniela e Nicolas Uruena) – decidono di  andare fino in fondo e di seguirlo. Arrivano alla stazione dismessa della metropolitana nella quale Incantatrice tiene prigioniera Waller e comincia a usare l’arma contro obiettivi militari sensisibili e – mentre un gruppo di Navy Seals guidati dal Tenente Edwards (Scott Eastwood) e da Killer Croc si immerge nella fognatura sottostante per mettere una bomba sotto Incubus, gli altri affrontano i due super-maghi, El Diablo, diventa un gigante di fuoco e riesce tenere bloccato Incubus, fino all’esplosione che li uccide entrambi. Incantatrice sembra, però, invincibile e, quando offre ai membri della squadra di esaudire i loro desideri se si schierano con lei, Harley Quinn accetta ma, quando le è vicina, le strappa il cuore (che la maga aveva recuperato dalla Waller)  dal petto; Killer Croc e Deadshot riescono assieme a distruggere la misteriosa arma e  Flag, sbriciolandole  il cuore, uccide  Incantatrice, liberando June dalla possessione. La Waller, ora libera, concede ai membri della squadra alcuni privilegi e dieci anni di sconto sulla pena (li vuole poter ancora usare per altre missioni disperate). Poco dopo Joker, sopravvissuto allo schianto dell’elicottero, irrompe nella prigione e fa evadere Harley Quinn.

La differenza tra i supereroi Marvel (Spiderman, Iron Man, Thor, Hulk) e quelli D.C. (Superman, Batman) – che è la creatrice della Suicide Squad – è, come abbiamo già visto, nella costante ironia che caratterizza, anche nei momenti più drammatici, le creature di Stan Lee. Gli eroi D.C. – soprattutto degli anni ’90 in poi – sono invece sempre un po’ pietrificati nelle loro elucubrazioni sul Bene e il Male; naturalmente le trasposizioni cinematografiche vanno nella stessa scia dei comics (il recente Batman v Superman: Dawn of Justice ne è un monumentale esempio). Negli anni precedenti anche Batman e Superman erano, se non ironici, almeno un po’ più easy (i Supeman del geniale Richard Lester e il Batman: the movie del televisivo Leslie Martinson erano pieni di allegre scazzottate). Anche la Suicide Squad – o Tax Force x come sarà ribattezzata negli anni ’80 – è nelle sue elaborazioni fumettistiche e di animazione piuttosto seriosa. La scelta di Ayer per dirigere la trasposizione cinematografica è sicuramente azzeccata: lui è l’autore di Fury, dove aveva raccontato benissimo lo spirito di gruppo nell’equipaggio di un carrarmato e l’adrenalina della battaglia. Certo, la sceneggiatura è un po’ asmatica, lo stesso Ayer è solidissimo nella regia ma non così vivace nel montaggio (lo scontro finale di Avengers, per dire era un balletto). Due cose però sono superlative: il cast e le musiche. Per il primo – dopo aver lamentato l’assenza di due membri della squadra originale: Poison Ivy (Batman e Robin) e Bane (Il cavaliere oscuro – Il ritorno),  forse per l’indisponibilità  di Uma Thurman e di Tom Hardy che li avevano interpretati – composto tutto  da ottimi attori, non si può non sottolineare, oltre alla conferma del talento di Will Smith, la prodigiosa Margot Robbie, alla quale il film deve gran parte del successo: la sua Harley Quinn è un carattere destinato a permanere nella memoria collettiva. Le musiche per la loro parte sono scelte e usate con un tratto di genio (The house of rising son degli Animals per Deadshot, Sympathy for the Devil dei Rolling Stones per Joker-Harley, Spirit in the sky di Norman Breenbaum per le riprese in volo e poi i Quen, Eminem, Etta James, Kanye West, quasi a coprire egregiamante qualche vuoto narrativo. Una sequenza del film, poi, illustra benissimo lo spirito un po’ retorico della D.C. Comics: quella in cui l’Incantatrice materializza i sogni dei nostri supercriminali: eccoli immersi in ideali da borgesucci pantofolai: I fiori d’arancio, la casetta, la famigliola!




It Follows

di David Robert Mitchell. Con Maika MonroeKeir GilchristJake WearyOlivia LuccardiDaniel Zovatto USA 2014

Nella periferia di Detroit, una ragazza, Annie (Bailey Spry), entra ed esce terrorizzata da casa, poi fugge con la macchina e, dopo che ha telefonato al padre (Loren Bass), la troviamo morta con la gamba spezzata in modo innaturale sulla spiaggia. Jay Height (Monroe) va al cinema con il suo ragazzo Hugh (Weary) ma lui dopo poco la riporta a casa, spaventato da una donna che solo lui ha visto. Pochi giorni dopo, loro due in macchina fanno l’amore per la prima volta e, alla fine, lui prima la cloroformizza e poi la porta legata su di una sedia a rotelle in un palazzo diroccato, dicendole che così facendo le ha passato la propria maledizione ed ecco apparire dal nulla un’ inquietante donna nuda che lentamente va verso di lei. Hugh la slega e la scarica, svenuta,davanti a casa. Qui i suoi genitori (Ele Barda e Debbie Williams) e l’agente venuto a raccogliere la denuncia stentano a credere a quella strana storia, mentre la sorella minore Kelly (Lilly Sepe) e gli amici Yara (Luccardi) e Paul (Gilchrist) le promettono di starle vicino ed aiutarla. L’indomani a scuola, Jay deve scappare da una vecchia (Ingrid Mortimer) in camicia da notte che le si fa incontro. La notte i ragazzi dormono da lei e, all’improvviso, in cucina le appare una ragazza (Alexyss Spradlin) seminuda che fa la pipì sul pavimento e, quando scappa in camera sua, la porta viene sfondata da un gigante magrissimo (Mike Lanier). Lei scappa nel parco e viene raggiunta dagli amici e da Greg Hannigan (Zovatto), il giovane vicino di casa. Insieme decidono di andare nella casa di Hugh per chiedere spiegazioni ma trovano una catapecchia diroccata, dove, però, apprendono che il vero nome del ragazzo è Jeff Redmond. Lo rintracciano e lui spiega a Jay che la sua maledizione è cominciata con un rapporto occasionale con una ragazza e che non si sente sicuro perché, anche se lo ha passato a lei, non è completamente immune e che se lei fosse uccisa da uno dei persecutori, il maleficio tornerebbe a lui; la mette, inoltre, in guardia: gli inseguitori possono prendere anche la forma di qualcuno che le vuole bene. I ragazzi scappano in una villetta al mare della famiglia di Greg ma anche qui nuove terrorizzanti presenze si materializzano. Jay perde la testa e scappa con la macchina ma sbanda e finisce in ospedale con qualche contusione. Qui Greg, che non ha paura ed è un gran dongiovanni, fa l’amore con lei. Ora la maledizione dovrebbe essere arrivata a lui e, infatti, una notte lei distingue un’ombra che entra dalla finestra della casa dei vicini e si precipita ad avvertirlo del pericolo ma, quando sta per arrivare nella sua stanza, vede la signora Hannigan (Leisa Pulido) che bussa alla porta del figlio e che, quando lui apre, fa un balzo e lo uccide. La maledizione è tornata da lei e i ragazzi hanno un piano: vanno nottetempo nella piscina comunale, armati di svariati congegni elettrici, lei si tuffa nella vasca e gli altri sono pronti a inserire le spine e a gettarli in acqua non appena un persecutore la seguisse nell’acqua. Eccolo, nella forma del padre di Jay che comincia a bersagliarla con i ferri da stiro, i televisori e tutti gli altri attrezzi, per poi buttarsi in piscina ma con una pistola che si erano portati appresso lo uccidono e la piscina diventa tutta rosso sangue. Tornata a casa Jay accetta l’offerta di Paul, che – da sempre innamorato – le continua a proporre di far l’amore per prendere su di se il maleficio. L’indomani mattina escono tenendosi per mano e qualcuno, forse meno minaccioso, li segue.

L’horror è uno dei generi più vecchi della storia del cinema e, non a caso, tra i primi divi dello schermo troviamo il re del genere Lon Chaney (Il fantasma dell’Opera, Lo sconosciuto, La serpe di Zanzibar), padre del primo, ineguagliato Uomo lupo, Lon Cheney jr, D’altronde, il primo Novecento aveva visto il trionfo del Teatro del Grand Guignol, regno di drammi sanguinolenti, che aveva avuto rapidamente epigoni in tutta Europa – in Italia la compagnia Sainati (“Sai i morti!”, diceva Petrolini). In tempi più recenti studiosi di psicologia del profondo hanno individuato nella natura onirica della fruizione dei film la radice della sua forza espressiva e cosa è più simile ad un incubo di un film horror? Negli anni settanta/ottanta, in non casuale coincidenza con la conquistata libertà sessuale dei giovani, si sono affermati alcuni grandi autori, Tobe Hopper, John Carpenter, Wes Craven e Sean Cunningham che hanno dato vita a splendidi filoni adolescenziali del genere: rispettivamente Non aprite quella porta!, Halloween, Nightmare e Venerdì 13 , tutti – soprattutto l’ultimo – incentrati su mostri che, prevalentemente, colpiscono ragazzi che si appartano a fare sesso. Mitchell, che è un giovane cinefilo – lo dimostrano le citazioni di due b/movies-chicche: Guerra tra i pianeti di William Lee Wilder (fratello del grande Billy) e Voyage to the Planet of Prehistoric Women, ingenua opera prima di Peter Bogdanovich – fa del sesso tra ragazzi la causa scatenante dell’orrore e, con pochissimi effetti, riesce, riprendendo splendidamente la periferia di Detroit, a creare angoscia quasi dal nulla. D’altronde, (il tirchissimo e geniale Roger Corman e il miracoloso Mario Bava insegnano) il grande horror è fatto di atmosfere e di sospensioni che si ottengono meglio con pochi mezzi che con gigantesche baracconate che spezzano la suspense. Aiutano – e non poco – le stranianti musiche di Disasterpeace.




Il piano di Maggie – A cosa servono gli uomini (Maggie’s Plan)

 

di Rebecca Miller. Con Greta GerwigJulianne MooreEthan HawkeBill HaderMaya Rudolph USA 2015

Maggie (Gerwig) single giovane docente di Arte Applicata dice al suo amico Tony (Hader), di aver deciso di farsi inseminare artificialmente e di aver scelto per questo il loro ex compagno di scuola Guy (Travis Fimmel), produttore di sottaceti con la passione per la matematica. Quest’ultimo accetta e lei gli consegna una provetta che lui dovrà riempire e portarle dopo un paio di settimane. A scuola incontra John (Hawke), docente di Antropologia perché entrambi sono dalla Segretaria Beverly (Fredi Walker-Browne): lei ha ricevuto un doppio assegno dello stipendio e lui nessuno; da questo contrattempo nasce una amicizia e lui – il cui matrimonio con l’egocentrica e brillante Georgette (Moore), saggista di successo, è in crisi – le si lega molto e le fa leggere un romanzo che sta scrivendo. La sera dell’appuntamento con Guy, lui ha dimenticato la provetta e ne riempie un’altra nel bagno di Maggie ma, mentre lei si sta infilando il seme, suona John, che, sconvolto, le dice di amarla e di voler lasciare la moglie e i due fanno l’amore. Due anni dopo, sono insieme ed hanno una bimba di nome Lily (Ida Rohatyn); lui lavora al romanzo e a lei è affidata tutta la gestione della famiglia, compresi i figli di lui – Justine (Mina Sundwall) e Paul (Jackson Frazer) – quando tocca a lui tenerli. Un giorno, lei va con l’amica Felicia (Rudolph), moglie di Tony, alla presentazione dell’ultimo libro di Georgette – un saggio femminista sulle geishe, che in realtà è un esplicito atto d’accusa all’ex marito e a lei – e, conoscendola, intuisce che è la donna giusta per John (lui si sta troppo lasciando andare e, inoltre, passa ore ed ore a parlare al telefono con la ex). Il rapporto tra le due donne comincia a sciogliersi ma quando Maggie propone a Georgette di riprendersi John, lei la scaccia arrabbiata, salvo poco dopo rincontrarla e concertare con lei un piano: lei sarà relatrice ad una conferenza di antropologia ad Ottawa, farà in modo che sia invitato anche John e lì proverà e riconquistarlo. Il piano – complice anche una tempesta di neve che fa annullare tutti voli e li tiene in albergo per vari giorni – funziona e John, tornato a casa, confessa, pieno di sensi di colpa, a Maggie di esser riandato a letto con l’ex moglie. Lei si mostra comprensiva e lo invita a riflettere sulla possibilità che ami ancora Georgette. Lui riprende a frequentare la propria ex casa – stando attento a non creare un nuovo scombussolamento ai figli con un repentino ritorno – ma una sera litiga con Georgette e va da Felicia e Tony; questi, che ha bevuto troppo, si lascia sfuggire una frase sul piano di Maggie e lui, furibondo con entrambe le sue due mogli, fa una scenata, prende le sue cose e si allontana da tutti. Ora è Georgette ad affidarsi completamente a Maggie, che di nuovo fa in modo che i due ex si rivedano e si mettano definitivamente insieme. Qualche tempo dopo, sono tutti insieme a pattinare, quando Felicia fa notare a Maggie quanto la piccola Lily sia portata per i numeri ed ecco arrivare, armato di pattini, il matematico mancato Guy: vuoi vedere che la inseminazione, nonostante i pasticci…? (lei per aprire a John lo aveva perso sul pavimento).

Rebecca Miller, scrittrice, attrice sceneggiatrice, è la figlia di Arthur Miller ed è al suo quinto film come regista. La sua vena è, inevitabilmente, intellettualistica ed è una habituè del Sundance Film Festival (dove ha vinto premi con i suoi primi due film, Angela e Personal velocity), da vari anni la più importante rassegna del cinema indipendente americano. Questa è, forse, la sua operazione più compiuta – il film è stato invitato anche all’ultima Berlinale – forse anche per merito della scelta di prendere le mosse dal bestseller di Karen Rinaldi A che servono gli uomini. Certamente il cast aiuta: non solo i tre protagonisti sono prefetti nei ruoli ma è sempre un piacere vedere la multiforme Maya Rudolph (imitatrice al mitico Saturday Night Live, brillante co-protagonista de Le amiche della sposa e intensa protagonista di American Life); in un piccolo ruolo c’è anche il grande Wallace Shawn (presente in molti film di Woody Allen e indimenticabile zio Vanja in Vanja nella 42sima strada di Louis Malle).

 




Kiki & i segreti del sesso (Kiki, el amor se hace)

di Paco León. Con Natalia de MolinaÁlex GarcíaPaco LeónAna KatzBelén Cuesta Spagna 2016

Natalia (de Molina) e Alex (Garcìa) hanno appena fatto l’amore ma lei ha un segreto da confessare: In un emporio è stata aggredita da un rapinatore (Jacobo Sanchez) e si è eccitata moltissimo, scoprendo così di essere soggetta alla perversione sessuale chiamata arpaxofilia. Poco dopo vanno a fare un picnic nel bosco con la sorella di lei, Asun (Yael Belicha) e il suo compagno Rubèn (David Mora) e Alex prova ad aggredire Natalia, fingendosi un bandito ma lei non ci casca e, poco distante, Asun si masturba appoggiata ad una pianta: è dendrofila e si eccita con i vegetali (anche la sorella ne è blandamente affetta: è una caratteristica della loro famiglia un po’ speciale: il loro nonno materno, ad esempio era storpio perché la nonna era affetta da abasiofilia: attrazione verso le difficoltà motorie).Una sera, dopo una cena fuori, al parcheggio vengono aggrediti da due malviventi (Mario Sanchez e Alvaro Rodriguez), che in realtà sono due attori ingaggiati da Alex ma quando lui prende il posto di uno dei due e la afferra da dietro, Natalia lo butta a terra; all’ospedale tutto si chiarisce e lui, come lei sognava da tempo, le chiede di sposarlo.
Paco (Leòn) e Ana (Katz) sono da un terapeuta sessuale (Eduardo Recabarren) perché qualcosa non va nel loro rapporto: lui è un po’ frettoloso e lei non è brava a fare i pompini. A casa provano a sbloccarsi ma arriva la loro amica Belèn (Cuesta), bisex e disinvoltissima, che li invita ad una festa nel locale per scambisti nel quale lavora. Qui bevono un po’, lui va fare pipì e s’ imbatte in Eduardo (Sergio Torrico), uno sportivo che gli chiede di fargli pipì addosso (urofilia), lui si ritrae ma alla fine cede e Belèn, per consolare Anna che è un po’ brilla e confusa dall’ambiente le dà un bacio in bocca; Ana ne rimane sconvolta e confessa al compagno che è attratta dall’amica. Lui, sulle prime, se ne va sconvolto ma poi la convince a fare l’amore con lei e, quando le due sono a letto, si spoglia e le raggiunge. Formeranno una felice famiglia apertissima, basata sul poliamore.
Maria Candelaria (Candela Pena) e Antonio (Luis Callejo), una coppia di giostrai, non riesce ad avere figli e la ginecologa (Blanca Apilànez), le consiglia di trovare una chiave per avere un orgasmo – che lei evidentemente non ha pur in una intensa attività sessuale con il marito – che aiuterebbe la gravidanza. La notizia della morte improvvisa di un amico fa piangere Antonio e lei si accorge di essere dacrifiliaca, di eccitarsi, cioè con le lacrime, al punto di masturbarsi in chiesa al funerale dell’amico. Lei cerca continuamente di far piangere il marito: gli nasconde l’adorato cane, fingendo che sia scomparso e gli dice di essere malata di cancro. Un giorno lei gli dice che va a ritirare le analisi e lui, che comincia a sospettare, la segue e la vede fermarsi a giocare a flipper. Quando la affronta per chiedere una spiegazione, la donna sviene. All’ospedale, vengono a sapere che lei è finalmente incinta.
Il chirurgo estetico Josè Luis (Luis Bermejo), confida alla collega Maite (Maite Sandoval), di essere sempre stanco, a causa della moglie Paloma (Mari Paz Sayago), che, da quando è costretta su di una sedia a rotelle, è divenuta aggressiva e scostante e lei – che ha i suoi problemi con una figlia adolescente (Diana Tobar) che vende le proprie mutandine usate ai feticisti – gli dà una boccetta di potente sonnifero. Lui è sonnofllo e ogni sera gliene versa un’abbondante dose e, quando lei è addormentata, la possiede in tutte le posizioni. La loro cameriera filippina Loreley (Rea Gutièrrez) ha capito tutto e, in cambio del suo silenzio, chiede dei seni nuovi. Una mattina, Paloma si sveglie all’una e chiede spiegazione al marito; quando lui confessa, sulle prime, s’infuria ma, poi, capendo che lui le ha dato una prova d’amore, lo abbraccia con passione.
La giovane Sandra (Alexandra Jimènez), sta ricevendo Rey (Xavièr Rey), un ragazzo conosciuto in una chat e gli confessa la propria perversione, la efefilia – la eccitano alcuni tessuti – ma, quando tira fuori un fazzoletto di seta e gode toccandolo, lui ride e lei lo caccia, mostrandogli l’apparecchio acustico che ha dietro l’orecchio e gli grida: “sono nevrotica, sorda e mi puzzano i piedi!”. Conoscendo il linguaggio dei gesti, lei fa, di lavoro, l’interprete per i sordi totali. Un giorno deve fare da collegamento tra lo studente Ruben (David Mora), che vuole superare lo stress di un imminente esame e Aixa (Aixa Villagràn), operatrice di una chat erotica; la situazione potrebbe essere imbarazzante ma il ragazzo è così disarmante che Sandra ne è un po’ presa. Lo rincontra ad una festa di piazza – dove troviamo tutti i protagonisti delle varie storie – e, dopo essersi eccitata per la stoffa della sua maglietta, lo bacia appassionatamente.

Il film è un quasi remake dell’australiano The little death di Josh Lawson ma Leòn, attore al suo secondo film da regista, ci mette tutta la verve della recente, trasgressiva commedia spagnola (da Almodovar in poi), costruendo una specie di La ronde, senza la malinconia mitteleuropea di Schnitzel ma, anzi, con un’ allegra sfrontatezza tutta neolatina. Non è certo tutto perfetto in questo film: non tutte le trovate sono originalissime (la casalinga in ciabatte della chat erotica era in America oggi di Altman, l’idea che le puzzette di lei siano una prova di amorosa intimità viene da Ted e la donna che si mette a gambe in aria dopo il rapporto per far scendere il seme la abbiamo vista in Maybe baby) ma Kiki e i segreti del sesso è piacevolissimo, anche per merito di un ottimo cast, tutto – a parte Candela Pena che in patria è una star – di attori, almeno da noi, poco noti ma bravissimi. Tremo al pensiero di cosa avrebbe fatto una delle nostre dive se – al posto della perfetta, divertentissima e mai volgare Alexandra Jimènez – avesse dovuto mimare espliciti dialoghi sessuali nella scena della chat. Aiutano – e non poco: illustrano al meglio i personaggi – le scenografie di Vincent Diaz e Montse Sanz e i costumi di Javier Bernal e Pepe Patatìn.




The Boss

di Ben Falcone. Con Melissa McCarthyKristen BellPeter DinklageElla AndersonTyler Labine USA 2016

Michelle Darnell (McCarthy) è un’anchor-woman televisiva di grande successo, che spiega agli spettatori come diventare ricchi. In un’intervista televisiva Gayle King (se stessa) rivela le sue origini: lei era stata abbandonata dalla madre ed era cresciuta in orfanotrofio gestito da suore. Questo sembra averla resa totalmente anaffettiva e lei, infatti, bistratta i suoi due stretti collaboratori: l’adulatorio Tito (Cedric Yardbrough) e l’efficiente Claire (Bell). Tra i nemici di Michelle, il più accanito è Renault (Dinklage), suo vecchio collega ed amante cui lei, da giovane, aveva soffiato un prestigioso incarico; ora lui è un magnate ricchissimo e nevroticissimo – il suo braccio destro Stephan (Timothy Simons) lo deve accudire come una baby-sitter – e lei gli porta via – grazie ad informazioni riservate – un lucroso affare. Renault per vendetta la denuncia e lei finisce in galera per insider trading, perdendo tutto. Quando esce di prigione, non sapendo dove andare, si fa ospitare a forza da Claire, che ora lavora per Dana Dandridge (Cecily Strong), una manager spietata, cresciuta con il mito di Michelle e vive con la figlia dodicenne Rachel (Anderson) in un appartamentino. Michelle è convinta che quella sarà una sistemazione provvisoria e la mattina dopo va al club che era solita frequentare per riprendere i contatti con il mondo degli affari ma qui i suoi ex colleghi Bryce (Michael McDonald) e Carl (Stephen Mallory) la fanno buttare fuori in malo modo. Lei cade in depressione ma Claire le dice che se vorrà rimanere dovrà darle una mano con Rachel: il giorno dopo così la accompagna ad una riunione di Coccinelle, nella quale la capo-scout Sandy (Kristen Skaal) illustra orgogliosa i progressi che le ragazze hanno fatto nella vendita per beneficienza di biscottini. In piena riunione Helen (Annie Mumolo), madre della mascolina Hannah (Presley Coley), la riconosce e fa una piazzata, rintuzzata dalla combattiva Michelle, che decide di sfruttare la rete di vendita delle ragazzine per mettere in commerci gli ottimi brownies al cioccolato di Claire. Propone a quest’ultima una società al 50% e ingaggia varie Coccinelle, proponendo loro un guadagno al posto dei ridicoli premi che ottenevano dai biscottini; la prima ad essere arruolata tra le Darnelle Darlings – questo è il nome dell’impresa – è Chrystal (Eva Peterson), una ragazzona aggressiva e manesca (che sarà utilissima in uno scontro in strada con Helen e le altre Coccinelle). Gli affari vanno benissimo, tanto che Michelle deve chiedere un finanziamento alla miliardaria Ida Marquette (Kathy Bates), la prima che aveva creduto in lei e che lei – come al solito – aveva tradito; nonostante questo, fiutando l’affare la Marquette accetta di metterci i soldi. Si apre così il laboratorio Darnelle Darlings ma Renault è in agguato e Michelle lo vede parlare con Claire; questo e un affettuoso regalino fattole da Rachel – a lei che ha una vera paura dei sentimenti – la convincono a vendere l’attività al suo nemico di sempre. Ora è di nuovo ricca ma tirando fuori il regalo della ragazzina ha un sussulto di pentimento e va da Claire a chiedere perdono e a cercare di rimediare. La donna è in casa con la figlia ed il fidanzato, Mike (Labyne) ed è nei guai: aveva lasciato il lavoro per occuparsi dell’azienda e non aveva avuto nulla dalla vendita perché la sua partecipazione alla pari non era mai stata registrata. Michelle spiega il suo piano: andranno di notte nell’ufficio di Renault e sottrarranno il contratto che lei aveva sottoscritto, prima che lui lo possa depositare. Mike si incarica di distrarre il guardiano gay Kenny (Larry Dorf) e Michelle, Claire e Rachel vanno nell’ufficio di Renault e prendono il documento ma, sul più bello, sopraggiungono lui e Stephan e il magnate – che ha il mito dei samurai – impugna una katana contro di loro, nel parapiglia che segue, lui, combattendola, scopre di amarla ancora e tutto finisce per il meglio.

Melissa McCarthy è stata la capofila di quella pattuglia di comiche, come Ami Schumer o Rebel Wilson, che hanno fatto del linguaggio esplicito, delle allusioni sessuali e del politically uncorrect il proprio segno distintivo. Dopo le strepitose perfomances ne Le amiche della sposa e in Corpi da reato, già in Spy si era notata una sostanziale concessione alla commedia tradizionale ma la svolta era cominciata con Tammy, diretto – come questo – dal marito Ben Falcone e The boss (commedia ispirata alle vicende della conduttrice americana Martha Stewart) è una conferma della nuova linea virata sulla commedia per famiglie. Né ci aspettiamo qualcosa di rivoluzionario dal remake al femminile di Ghostbusters, del quale è protagonista. Questo film, d’altronde, dal punto di vista commerciale (lei ne è anche produttrice, oltre che co-sceneggiatrice con il marito) ha fatto il suo: con un budget di 29 milioni di $ ne ha, sinora portati a casa 77. E’ un peccato se perdiamo la sua vitalissima comicità ma anche lei, evidentemente, “tiene famiglia”!




Cristian e Palletta contro tutti

 di Antonio Manzini. Con  Libero de RienzoPietro SermontiRocco CiarmoliGiselda VolodiMargherita Vicario   Italia 2015

Cristian (De Rienzo) è un trentenne disoccupato che vive ancora con i genitori e divide la stanza con il fratello Paolo (Francesco Mastroianni), volenteroso studente di Medicina. Lui invece aspetta la “botta di culo” che gli cambierà la vita. Un giorno al bar viene contattato da due figuri (Tullio Sorrentino e Dario D’Ambrosi), sorta di Gatto e Volpe di Pinocchio, che, in cambio di 300 euro gli affidano il compito di farsi dare una busta con 5.000 euro da un pregiudicato (Pierluigi Cuomo) agli arresti domiciliari. Lui dovrebbe andare con la fidanzata Teresa (Vicario) – che lavora con i genitori (Gino Nardella e Tiziana Schiavarelli) ed il fratello (Toni Malco) nella incredibilmente fiorente società di import-export di mozzarelle di famiglia –  in Puglia per il matrimonio della cugina della ragazza ma, dopo aver tentato invano di farsi coprire dall’amico Palletta (Sermonti), meccanico innamorato a sua volta di Teresa, inventa con lei una scusa implausibile. Il pregiudicato, dopo avergli consegnato i soldi, gli propone una scopetta e gli vince l’intera somma. I due compari lo afferrano e, dopo averlo minacciato di una brutale rappresaglia, gli forniscono una via d’uscita: per saldare il debito, guadagnando anche 100.000 euro dovrà portare nel Leictenstein un grosso carico di droga, con un furgone che loro provvederanno a rinforzare nell’officina di Peppe (Angelo Lorusso), il principale di Palletta. Di nuovo Cristian si rivolge all’amico per farsi accompagnare ma l’altro rifiuta e lui, disperato, decide di andare dal guru delle droghe John Benzedrina (Antonio Manzini); qui, complice il fumo passivo di un enorme spinello, sente fluttuare il consiglio dell’assistente colombiana (Kelly Palacios) di usare la pipì di giaguaro per confondere i cani antidroga alla frontiera. Lui cerca l’animale allo zoo ma il guardiano (Mario Patanè) gli dice che è stato ceduto al giardino zoologico di Berlino, quando Teresa, in lacrime, gli intima di accompagnarla a Brindisi per i funerali di suo zio Gaetano, deceduto all’improvviso. Sarebbe la soluzione perché vicino alla città c’è lo Zoo-safari di Fasano, dove potrà trovare l’ambito giaguaro ma Palletta, sperando di conquistarla, rivela alla ragazza le prodezze del fidanzato e lei lo lascia. Lui decide di partire per la Puglia con il suo motorino scassatissimo ma viene raggiunto da Palletta, che gli chiede perdono per averlo tradito con la ragazza e gli dice di accettare la sua offerta (il suo principale è stato appena arrestato e l’officina è chiusa). Trafugano la macchina di Peppe e con quella partono per Fasano; quando stanno per arrivare, vendono un vecchio manifesto che pubblicizza un circo con un giaguaro quale attrazione. Vi dirigono e trovano un tendone lacero e sporco, dove incontrano un omarino, Alfredo (Ciarmoli), che per la pipì della belva chiede uno sproposito. Fanno per andarsene ma l’ometto li richiama: la padrona del circo, la grassissima e laida Ester (Stefania Ugolini) è disposta a dar loro il liquido gratis se Cristian farà l’amore con lei. Dopo vari sforzi, Cristian (concentrandosi nell’immaginare Stefania Marcuzzi nuda) ce la fa ma Alfredo si apparta e fa la pipì in una bottiglia ma i due non ci cascano e lo costringono a confessare che il giaguaro era stato venduto al boss malavitoso don Gaetano, alla cui villa si fanno accompagnare. Qui Palletta –spaventato dai discorsi di Alfredo – decide di rimanere fuori dalla porta e Cristian, armato di bottiglie e di un sacchetto per raccogliere la pipì, bussa e, dopo essere stato introdotto da un inquietante figuro (Maurizio Aiuito), scopre che don Gaetano è lo zio morto di Teresa e lei, convinta che lui sia là per lei, lo presenta alla moglie del boss, zia Filomena (Giselda Volodi), che gli racconta che il marito era stato ucciso dal giaguaro e che ora la belva è in cantina – dove nessuno dovrà mettere piede- in attesa di essere giustiziata. Palletta gironzolando per la proprietà, vede le teste del Gatto e la Volpe emergere dalla porcilaia, dove sono stati seppelliti e fatti mangiare dai maiali (è a zio Gaetano che i due avevano sottratto la droga) e, non riuscendo a comunicare con l’amico che è riuscito ad arrivare alla gabbia in cantina, decide di bussare per salvare il salvabile. Troppo tardi: zia Filomena lo ha scoperto e, dopo aver riso dell’espediente della pipì (loro tutti, compresi Teresa ed i suoi, usano spacciare droga coprendola con il latte delle mozzarelle), li fa interrare per essere uccisi il giorno dopo; invano i due chiedono l’intercessione di Teresa: lo sgarro alla famiglia è più importante di qualunque sentimento. Di notte però, armato di pala, arriva Alfredo che li libera ma…

Manzini è un curioso personaggio: attore da vari anni, sceneggiatore (Come Dio comanda, Il siero della vanità), all’improvviso è diventato scrittore di grande successo con i gialli, pubblicati da Sellerio, che hanno come protagonista il vice-questore Rocco Schiavone, poliziotto di grande acume ma di modi e di etica molto personali. Qualche tempo fa, prima di diventare famoso, ha dato la sceneggiatura di questo film (allora il titolo era Zio Gaetano è morto) alla Combo di Flavia Parnasi, una giovane produzione che, oltre a titoli “tradizionali” (Un ragazzo d’oro di Avati e La coppia dei campioni di Base), ama trovare prodotti di anomala nicchia (sin dal primo film prodotto: l’acerbo e interessante Benur)  . Dall’incontro è nato questo piacevolissimo film, che unisce alle qualità della tradizionale commedia all’italiana – la capacità di raccontare ironicamente i drammi  e, soprattutto, la volontà di individuare ed usare efficaci caratteristi anche per i ruoli minori – con gli stilemi picareschi della comicità spagnola e con il vaudeville (il finale sembra preso dall’ultima tragicomica inquadratura di Ronda di notte con Stanlio e Ollio). I primi incassi non sono eccezionali ed è un peccato perché è un film di cui si sentirà parlare (chi ha la bontà di leggermi sa che quasi mai mi sbilancio contro il responso del pubblico ma stavolta credo di fare un favore a chi si convincesse ad andarlo a vedere).