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Fury

di David Ayer. Con Brad PittShia LaBeoufLogan LermanMichael PeñaJon Bernthal USA 2014

Per la trama riprendo, con aggiunte e correzioni, la sinossi pubblicata da Wikipedia.

Aprile 1945: mentre gli alleati iniziano a sferrare l’attacco decisivo verso la Germania nazista Don “Wardaddy” Collier (Pitt), un sergente dell’esercito americano è al comando di un’unità di cinque soldati di diversa estrazione e carattere – il cannoniere Boyd “Bible” Swan (LaBeouf), l’autista Trini “Gordo” Garcia (Pena) e il caricatore Grady “Con-Ass” Travis (Bernthal) – col compito di affrontare una temeraria missione dietro le linee nemiche a bordo di un carro armato M4 Sherman, da lui soprannominato Fury. Nell’ultimo scontro è stato ucciso il tiratore scelto e a Don Collier viene assegnato Norman Ellison (Lerman), che era stato inviato nell’esercito solo per otto settimane come dattilografo e non ha sembra avere alcuna vocazione alle armi. Gli altri membri dell’equipaggio sono crudeli e sprezzanti con il nuovo arrivato e, quando gli ordinano di pulire il carro, lui vomita subito dopo aver trovato un resto della faccia del vecchio mitragliere .Il tenente Parker (Xavier Samuel) nomina Don sergente coordinatore della colonna di 5 autocarri – uno comandato da lui, e, il mezzo di Collier e altri 3 con a bordo i sergenti Binkowski (Jim Parrack), Davis (Brad Henke) e Peterson (Kevin Vance) – che ha il compito di affrontare una colonna nemica che blocca l’avanzata degli Alleati. Al primo scontro il mezzo del tenente viene centrato e lui, con tutto l’equipaggio, ucciso; Don si trova così ad essere il comandante della missione. Lui, nel tentativo di educare il ragazzo alla cruda realtà della guerra – in pieno scontro Norman non aveva sparato a dei soldati ragazzini, che subito dopo avevano ucciso alcuni dei loro – gli ordina di uccidere un prigioniero (Brtanko Tomovic) ma quando il ragazzo rifiuta il sergente gli mette il dito e preme con forza, ammazzando il tedesco. Subito dopo il capitano Waggoner (Jason Isaacs), affianca alla pattuglia il sergente Miles (Scott Eastwood) e li invia a salvare un reparto intrappolato dai tank tedeschi. Compiuta la missione, i nostri conquistano una piccola città tedesca, il cui borgomastro (Daniel Betts) li aiuta ad individuare un drappello di cechini tedeschi, qui, durante la perquisizione in una casa, Don e Norman trovano una donna tedesca, Irma (Anamaria Marinca), e sua cugina più giovane Emma (Alicia Von Rittberg) e Collier spinge il ragazzo a farsi avanti con quest’ultima; i due giovani fanno l’amore e, poco dopo, Irma fa da mangiare con i viveri dei due americani; arrivano Boyd, Trini e Grady e, offesi per non essere stati invitati, sono assai sgradevoli con Norman e con le donne ma Don li rimette in riga; mentre la pattuglia sta per ripartire, un potente bombardamento colpisce la città, uccidendo Emma e alcuni soldati americani in piazza. Norman per la prima volta uccide un tedesco e dichiara a Wardaddy di avere iniziato a goderne. Waggonner affida a Don un plotone di quattro carri armati con l’ordine di tenere uno strategico crocevia. Sulla strada i carri sono però vittime di un’imboscata preparata da un Tiger I tedesco pesantemente corazzato, che distrugge rapidamente tre carri. Solo Fury riesce ad aggirare il nemico e a distruggerlo. Proprio quando raggiungono l’incrocio, il carro armato colpisce una mina, che blocca un cingolo e lo immobilizza. A Norman viene ordinato di perlustrare una collina vicina: subito dopo ritorna e riferisce di aver avvistato un drappello di SS di circa trecento uomini. L’equipaggio vuole inizialmente abbandonare e darsi alla fuga, ma Dan rifiuta di mollare. Gli uomini non se la sentono di abbandonare il loro capo e, spronati da Norman, decidono di rimanere e pianificare un agguato .La squadra attende i soldati tedeschi nascosta nel carro armato. Don stappa una bottiglia di whisky e brinda con i suoi alla morte imminente e al “più bel mestiere che c’è”, cioè combattere ed uccidere. Quando i tedeschi arrivano, l’equipaggio li coglie di sorpresa e, seppur in inferiorità numerica, infligge loro gravi perdite. Mentre continuano a lottare cominciano a scarseggiare di munizioni e Grady, Gordo, e Boyd vengono uccisi:. Collier, ferito e impossibilitato a fuggire, ordina a Norman di uscire dalla pancia del carro armato e subito dopo le granate colpiscono più volte il carro, facendo finire le sofferenze di Don. Il ragazzo si è intanto rifugiato in una buca creata dall’esplosione di una mina ed è l’unico sopravvissuto. Le SS proseguono la marcia e Norman si rinfila nel carro e qui viene soccorso dalle truppe americane che gli acclamano come grande eroe.

Il film di guerra è uno dei generi classici del cinema – segnatamente di quello americano – ed ha subito varie evoluzioni: si va dai film di propaganda patriottica (Iwo Jima – Deserto di fuoco, Guadalcanal – Ora zero), al dramma anti-militarista (Prima linea, Orizzonti di gloria), alla commedia (M.A.S.H., Il dottor Stranamore) sino alle più recenti opere di ispirazione pacifista (Apocalypse now, La sottile linea rossa). Ayer, che prima di dirigere aspri polizieschi si era messo in luce nel team di sceneggiatori di Fast and Furious e soprattutto come ideatore del durissimo Training day., ha diretto questo film avendo presente il Samuel Fuller de Il grande 1 rosso, l’Aldrich di Quella sporca dozzina, lo Spielberg di Salvate il soldato Ryan ma anche Eastwood (nel cast di Fury c’è il figlio Scott) e (perché no?), Tarantino, dandoci un ritratto impietoso e claustrofobico della guerra e delle sue brutalità ma sapendo anche raccontare l’istintualità primigenia di combattenti che, nell’orrore, sanno dirsi :”E’ il mestiere più bello che c’è!”.

 




La famiglia Bélier (La famille Bélier)

di Eric Lartigau. Con Karin ViardFrançois DamiensEric ElmosninoLouane EmeraRoxane Duran, Francia 2014

I Belièr – Rodolphe (Damiens), il padre, Gigi (Viard), la madre, Quentin (Luca Gelberg), il figlio sedicenne e la diciottenne Paula (Emera) – vivono in Normandia e gestiscono una fattoria, nella quale producono un ottimo formaggio; i primi tre sono sordomuti e Paula fa da interprete e portavoce della famiglia. E’ una ragazza normalissima: va a scuola con profitto, con qualche problema con l’insegnante di spagnolo, mademoiselle Dos Santos (Mar Sodup), ha un’amica del cuore, la flirtatrice compulsiva Mathilde (Duran) ed è innamorata segretamente del bel Gabriel (Ilian Bergala); proprio per seguire lui decide di iscriversi al coro della scuola. Qui il prof. di musica, Fabien Thomasson (Elmonsino), si accorge che lei ha una bella voce e la mette insieme a Gabriel per un duetto, che dovrà chiudere lo spettacolo di fine anno scolastico. Il ragazzo le propone di raggiungerla a casa per esercitarsi e lei, ben felice, accetta ma, in pieno canto, le arrivano le mestruazioni, mettendola in serio imbarazzo. Il giorno dopo, a scuola, i compagni la prendono in giro e lei rompe con Gabriel, che ha spifferato tutto. Nel paese si approssimo le elezioni comunali e Rodolphe decide di candidarsi contro il sindaco uscente, il traffichino Lapidus (Stephan Wojtowicz); il suo handicap renderebbe assai arduo il compito ma lui è uno che non si arrende e la famiglia si schiera con lui. Thomasson convince Paula (Gabriel, intanto, è uscito dal coro e ha rinunciato al duetto) a prepararsi con lui per l’audizione al concorso canoro di Radio France e lei, tutti i pomeriggi, va da lui ad esercitarsi, di nascosto dalla famiglia, che la crede ancora fidanzata con Gabriel e che pensa vada da lui. Un pomeriggio, però, arriva una giornalista di Fr3 per un servizio sul candidato e lei- che, come sempre, deve fare da interprete- per sbrigarsi, riduce all’osso le dichiarazioni del padre che, pensando ad un’impuntatura da ragazzina innamorata, si offende. Anche Thomasson la striglia pensando che non stia prendendo sul serio l’impegno. I genitori, nell’occasione di un mercato, la sostituiscono con Mathilde ma il poco che Paula e Quentin le hanno insegnato del linguaggio dei gesti non basta a convincere i clienti a comprare i formaggi; di più, una volta a casa lei si butta su Quentin e il preservativo gli provoca uno shock anafilattico. Paula capisce che deve loro dire la verità ma quando dice del concorso e della possibilità, in caso di vittoria, di andare a studiare musica a Parigi i genitori entrano nel panico. Lei comunica al professore che rinuncia al concorso ma che, avendo fatto pace con Gabriel, canterà con lui il duetto. Il giorno dello spettacolo, la loro esibizione è un trionfo e i Belièr si commuovono, pur non avendo, ovviamente, potuto sentire la canzone. A casa il padre le chiede di cantare mentre le appoggia una mano sul petto e, in piena notte, la sveglia: deve prepararsi per l’audizione – che è quella mattina – e tutti insieme partono per Parigi. Anche Thomasson, avvertito da Gabriel mentre era a letto con la Dos Santos, si precipita a raggiungerla. Paula canterà Je vole di Michele Sardou, mimandone il testo (“Miei cari genitori io volo…”) per comunicarlo ai suoi che la seguono trepidanti. Vincerà e lascerà il nido.

Nel ’64 In ginocchio da te di Ettore Fizzarotti diede il la ai “musicarelli” (film con protagonista un cantante famoso la cui trama era sottolineata dai suoi successi), La famigia Belièr sembra muoverne le mosse: una storia semplice e commovente, una giovanissima pop-star – la finalista di The voice francese Louane Emera – e le canzoni di Michele Sardou (Je vole, La maladie, d’amour, Je vais t’aimer, En chantant, La java de Broadway) a fare da contrappunto alla trama: Je vole, ad esempio, in pochi versi racchiude il tema principale del film, l’abbandono della casa paterna per un nuovo destino (“congetto – direbbe il Manfredi di Saziami ma di baci saziami – già esbresso ne La siepe di Al Bano). Le attinenze, però, finiscono qui: il film di Lartigau è un gioiellino di regia e di scrittura, gli attori principali, compresa la sublime Karin Viard, sono stati tutti candidati ai Cesar ( e la Emera ha vinto quale attrice emergente) e il film ha incassato in patria otre 50 milioni di euro.




San Andreas

 di Brad Peyton. Con Dwayne JohnsonAlexandra DaddarioArt ParkinsonCarla Gugino  USA 2015

Ray (Johson) è un eroico pompiere ed ha appena salvato con una spericolata manovra del suo elicottero, un ragazza, Natalie (Morgan Giffin), che era finita appesa, con la sua auto, alla parete di una montagna. Tornato a casa va a prendere la figlia Blake (Daddario), che vive con la sua ex-moglie Emma (Gugino), per portarla a San Francisco ma viene raggiunto da un allerta per forti scosse di terremoto; la ragazza sarà accompagnata da Daniel Riddicck (Ioan Gruffuld), il nuovo compagno della madre, ricchissimo costruttore di grattacieli; Ray ancora ama Emma – il loro rapporto è entrato in crisi quando la loro prima figlia Mallory (Arabella Morton) è morta annegata mentre praticava il rafting – e la notizia della nuova convivenza lo addolora. Nel frattempo, il sismologo Lawrence (Paul Giamatti) ed il suo collega Kim (Will Yun Lee), che stanno invano avvertendo la autorità del pericolo di un’imminente terremoto, si recano a San Francisco per studiare degli allarmanti fenomeni che hanno captato nei pressi di una diga; arriva la prima violenta scossa e Kim perde la vita. Lawrence, pur sconvolto dal dolore, accetta di farsi intervistare dalla giornalista Serena (Archie Panjabi) per lanciare l’allarme ma una nuova violenta scossa interrompe tutte le comunicazioni. Blake, arrivata nell’ufficio di Daniel, mentre lo attende nell’atrio conosce Ben (Hugo Johnstone-Burt), un timido ragazzo che è lì per un colloquio di lavoro ed è accompagnato dal fratellino, l’intraprendente Ollie (Parkinson). Quando lei è in macchina con Daniel, un forte sisma fa crollare il garage dell’ufficio, l’autista (John Reynolds) muore sotto le macerie, lei rimane incastrata nell’auto e Daniel scappa impaurito; Ben ed Ollie corrono a salvarla ed i tre si avviano per la città disastrata. Emma era andata a pranzo con la sorella di Daniel, Susan (Kylie Milongue) e anche l’edificio nel quale si trovano viene distrutto ma lei riesce a mettersi in contatto con Ray che la salva con l’elicottero che stava pilotando. Blake, che ha imparato dal padre alcuni accorgimenti, riesce a mettersi in contatto con lui nonostante il blackout e concorda di farsi trovare su di una torre con i due ragazzi per farsi venire a prendere. Ray e Emma devono abbandonare l’elicottero che nel salvataggio si è guastato e con un auto abbandonata dal proprietario vanno verso l’appuntamento con la figlia ma lungo la strada si apre una voragine e, grazie all’aiuto di due anziani in fuga (Fiona Press e Dennis Coard), riescono a prendere un piccolo aereo. Intanto, Lawrence e Serena, con mezzi di fortuna, sono riusciti a far arrivare l’allarme a tutti cittadini di San Francisco che incominciano ad evacuare la città. La catastrofe ha reso impraticabile la torre sulla quale si erano dati appuntamento Blake e i genitori e lei convince Ben – che è anche ferito – ed Ollie a tornare al grattacielo di Daniel (lui nel frattempo è morto). L’aereo ha un guasto e Ray si butta insieme alla ex-moglie con il paracadute. Arrivati a terra, lui salva un po’ di gente e capisce che la figlia è andata a cercare qualche luogo elevato. Uno tsunami inonda San Francisco e Ray ed Emma continuano le ricerche con un hovercraft; il palazzo di Daniel viene invaso dalle acque e Blake rischia di annegare. La salva all’ultimo minuto il padre e la famiglia si ricompone.

Già nel 1937 , con Il terremoto di san Francisco di Henry King, il cinema americano aveva capito le potenzialità spettacolari del genere catastrofico, che negli anni ’70, con titoli come L’inferno di cristallo, Terremoto e Ormai non c’è più scampo, ebbe grande fulgore. Il meccanismo di questi film era semplice: in una cornice di disastri, resi spettacolari, dalle tecnologie, l’avidità degli uomini che avevano violato la natura veniva punita e i protagonisti rivelavano la loro vera natura. Allora però i registi – Terremoto. Per fare un esempio, era diretto da Mark Robson – di quei film erano ottimi professionisti ed i cast erano stellari (Paul Newman, Charlton Heston, Ava Gardner, Fred Astaire, William Holden). Peyton non è di quel livello e Dwayne Johnson è simpaticamente monolitico e qui è un po’ come se vedessimo l’inespressivo Re Scorpione alle prese con i guai di famiglia. Unica sorpresa nei titoli di coda è la bella interpretazione di Sia di California dreamin’ dei Mamas and Papas.




Il racconto dei racconti – Tale of Tales

 

di  Matteo Garrone. Con Salma HayekJohn C. ReillyChristian LeesJonah LeesAlba Rohrwacher Italia, Francia, Gran Bretagna 2015

Per la trama del film riprendo, con qualche aggiunta e correzione, quanto scritto, con grande efficacia, da Wikipedia:

Primo raccontoLa regina:

Nel regno di Selvascura i reali ( Hayek e Reilly) tentano da tempo di avere un figlio ma non riescono nell’intento a causa della sterilità della regina. Si presenta al loro cospetto uno Negromante (Franco Pistoni) che consiglia loro un rimedio magico ed efficace per risolvere il problema: la donna mangerà il cuore di un drago marino che dovrà essere prima cotto da una vergine; in questo modo diverrà gravida. Il re si immerge quindi nelle profonde acque del lago del regno con una tuta da palombaro e cerca la creatura di cui il mago ha parlato. Trova il drago e lo colpisce a morte, ma durante la sua agonia il mostro infierisce un fatale colpo di coda al sovrano, che muore dopo essere riemerso. Il cuore viene cavato ed affidato alla serva vergine (Laura Pizzirani) che esegue la cottura richiesta, inalando però il fumo fuori uscito dalla pentola e rimanendo incinta. La regina e la serva partoriscono quello stesso giorno. Quella sera si celebra il funerale del re. A commemorare il sovrano vi sono anche il re di Altomonte (Toby Jones) con la sua piccola figlia, Viola, e il re di Roccaforte (Vincent Cassell)con alcune delle sue amanti. Sedici anni dopo, il figlio della regina di Selvascura, Elias (Christian Lees) e il figlio della serva, Jonah (Jonah Lees), che   si assomigliano come gocce d’acqua, essendo nati tutti e due dalla magia del cuore del drago marino, stringono una profonda amicizia ma, per via dell’ostilità della regina nei confronti del figlio della serva, sono costretti a giocare di nascosto. Un giorno Jonah indossa i vestiti di Elias e si finge l’altro davanti alla sovrana, la quale, però, riconosce subito l’inganno. Illuso di aver beffato la regina, Jonah corre nelle stanze di Elias e gli racconta lo scherzo. Il principe promette quindi che, quando salirà al trono, entrambi potranno governare sostituendosi l’uno con l’altro. La regina, che origlia tutto, dirà amorevolmente al figlio che nessuno lo ama quanto lei. Dopodiché, tenta di avvicinare Jonah e ucciderlo con un tizzone ma questi riesce a sfuggirle. Il giorno dopo Jonah decide di lasciare il regno, ma prima di andarsene, saluta il compagno di giochi con un dono: trafitto un albero e fattone sgorgare fuori dell’acqua Jonah spiega ad Elias che il ruscello che ne verrà fuori rappresenterà il corso della sua vita (se scorrerà lieve, esso porterà serenità, se si intorbidirà, sarà un segno di sventura). In questo modo il principe saprà sempre come la vita del suo amico sta andando. Da quel giorno Elias custodisce gelosamente l’albero. All’improvviso il ruscello inizia a diventare torbido e scuro. Elias sale quindi in groppa ad un cavallo e si dirige a cercare l’amico. Raggiunge un villaggio in cui viene scambiato per Jonah dalla moglie di questi, Fenizia (Jessie Cave) e scopre che l’amico è scomparso dopo una battuta di caccia. Nel frattempo, il Negromante si presenta al cospetto della sovrana e le comunica che Elias rappresenta la metà inseparabile di Jonah e che, per questo, il principe si è diretto a cercare l’amico. La donna chiede al vecchio come eliminare Jonah. Intanto, questi è intrappolato in una grotta e tenta da giorni di chiamare aiuto. Giunge all’improvviso un ragno gigante che lo attacca ma sopraggiunge Elias e, con un colpo di lama, sventra la mostruosa creatura. Il principe riaccompagna Jonah a casa e si dirige verso il suo regno. Lungo il tragitto, il feretro del mostro che aveva attaccato Jonah si decompone, svelando la sagoma della regina, deceduta.

Secondo raccontoLa pulce:

Nel regno di Altomonte la figlia del re, Viola (Bebe Cave), si diletta nella musica e nella letteratura, sognando un radioso futuro con un suo ideale principe azzurro, mentre il padre sviluppa con il tempo un particolare rapporto con una pulce. Si affeziona all’insetto a tal punto da iniziare a nutrirlo e a svilupparne enormemente lacrescita. La pulce diviene un giorno troppo grossa, da non riuscir più a respirare e muore. Il re, già provato per il lutto, non vuole che anche Viola, ormai in età da marito, lo lasci ed indice un torneo: chiunque indovinerà l’animale da cui proviene la pelle che metterà a disposizione (quella della gigantesca pulce) avrà la mano di sua figlia. Nessun pretendente potrà mai venire a capo dell’arcano e infatti tutti sbagliano ma   all’improvviso giunge alla corte un mostruoso orco (Guillame Delaunay), che, dopo aver annusato la pelle della creatura, dà la risposta giusta. La principessa Viola è costretta ad andare a vivere con il gigantesco mostro in una lurida grotta sopra le montagne. Tempo dopo, mentre il l’orco è a caccia, Viola avvista una donna di circo (Rohrwacher) dall’altro lato della montagna e la implora di aiutarla. La mattina seguente, senza farsi notare, Viola si sporge sul bordo della montagna e avvista la donna con il marito (Massimo Ceccherini) e i tre figli (Vincenzo Nemolato, Giulio Beranek e Davide campagna), che hanno disteso ai due lati delle rocce una corda. Il più giovane prende la principessa e si appresta a camminare sulla fune. L’orco, tuttavia, si accorge della manovra e si aggrappa al filo per inseguirla. Arrivati dall’altro lato, Viola e il saltimbanco riescono a tagliare la corda, facendo precipitare il mostro nel fossato. Mentre la compagnia sale, felice, sul carretto. Improvvisamente, l’orco, che è sopravvissuto alla caduta, torna all’attacco. I saltimbanchi muoiono tra le mani del mostro. Viola non può far altro che concedersi nuovamente alla bestia. Egli se la carica sulle spalle, ignaro però chelei nasconde un pugnale fra le vesti. La principessa trafigge così l’orco e corre, sanguinante con la testa dell’orco fra le mani, al castello dal re, che è ormai in fin di vita. “Questo è il marito che avete scelto per me!”, dice sprezzante la principessa al padre che si abbandona in un lungo pianto. La ragazza, commossa, si commuove e lo stringe a sé.

Terzo racconto: Le due vecchie

Nel regno di Roccaforte il re si diletta in orge e divertimenti, fino al giorno in cui si innamora perdutamente della voce di una figura femminile incappucciata che ode cantare. Il sovrano si dirige davanti alla dimora della ragazza per farle la corte, senza sapere che all’interno vivono due anziane sorelle, Imma (Shirley Henderson) e Dora (Hayley Carmichael), la quale ha incantato il re con la sua bella voce. Senza farsi sfuggire l’occasione, Dora propone un patto al re: dovrà tornare da lei dopo una settimana, così che possa concedergli di vedere un dito della sua mano. Il sovrano acconsente. Dora tenta di lustrare il suo indice e di abbellirlo il più possibile, ma invano. All’ultimo momento la donna usa il dito della sorella, più levigato del suo, e lo mostra al re attraverso la fessura della porta. A questo punto l’uomo, mosso dal desiderio, invita la donna a recarsi a palazzo nelle sue stanze. Dora acconsente ma ad una condizione: il tutto dovrà avvenire al buio. Il sovrano accetta, e la notte seguente i due giacciono insieme, senza che il re si accorga dell’inganno. Tuttavia le luci del mattino rivelano il tranello, e il sovrano, carico di vergogna e orrore, ordina alle guardie di precipitare la donna giù dalla finestra. L’ordine viene eseguito, ma Dora si salva, impigliandosi fra i rami di un albero sottostante. Passa da quelle parti una strega (Kathtyn Hunter), che, spinta dalla compassione verso l’anziana, la libera e, abbracciandola, e le applica un incantesimo. Di li a poco giunge nei boschi il re, a caccia, e, al posto della vecchia, trova una bellissima giovane (Stacy Martin) nuda dai lunghi capelli rossi. E’ Dora, ringiovanita dalla maga. Il re decide di maritarsi con lei, e poco tempo dopo viene celebrato il loro matrimonio a cui partecipa anche Imma. Quest’ultima si meraviglia della bellezza dalla sorella e vuole sapere come ha ottenuto la giovinezza in modo tale da poter ricevere anche lei lo stesso dono; Dora, esasperata, le dice che si è tolta la vecchia pelle. Disperata, Imma si reca il giorno dopo da un ciabattino (Renato Scarpa) e gli offre i gioielli del vestito che Dora le ha procurato per il matrimonio, in cambio di un favore: l’uomo dovrà scorticarla per farla tornare giovane; il brav’uomo si rifiuta. Lei fa la stessa richiesta ad un arrotino(Kenneth Collard), che la porta nel bosco e la accontenta. Imma torna, priva di pelle sanguinante ed agonizzante verso il palazzo reale.

Poco dopo, nel regno di Altomonte, Viola viene incoronata regina, al cospetto del suo popolo, del nuovo sovrano di Selvascura, Elias, del sovrano di Roccaforte e della sua regina Dora. Quest’ultima, mentre si celebra l’incoronazione, avverte uno strano effetto sulla sua pelle: si stanno rigenerando sul suo corpo le sue sembianze da vecchia. Triste, impaurita ed avvilita, la donna si lancia in un malinconico pianto e si allontana sotto lo sguardo attonito del marito, mentre continuano i festeggiamenti.

Lo cunto de li cunti è la più antica raccolta di fiabe della storia della letteratura; pubblicato tra il 1634 ed il1636, pochi anni dopo la morte dell’autore Giambattista Basile, contiene alcune delle favole, rese note, in seguito dai Grimm e da Perrault: Cenerentola, La bella e la bestia, Il gatto con gli stivali, Raperonzolo ma Il pentamerone – questo il titolo italiano della raccolta – è anche uno dei più belli e significativi testi della nostra letteratura (non a caso Benedetto Croce li ha voluti tradurre in italiano dall’originario napoletano arcaico) : i re, le regine, le principesse, i maghi e le streghe sono immersi in un quotidiano terragno e corporale nel quale sono alla pari di villane e porcai, con una dimestichezza che è tipica della antica cultura contadina. Il cinema è stato spesso tentato alla riduzione di quel testo ma l’unica operazione era stata fino ad oggi C’era una volta di Rosi, con Sophia Loren ed Omar Sharif. A Garrone vanno riconosciuti due meriti: l’aver rotto l’incantesimo – a proposito di favole – mettendo in scena, con sostanziale fedeltà, tre racconti (il film di Rosi era un patchwork di racconti, rielaborati – lo dico con grande rispetto per l’operazione- in chiave partenopeo-hollywoodiana) e l’intuizione di adeguare il racconto, almeno in parte, alle grandi operazioni di fantasy degli ultimi anni (da Biancaneve e il cacciatore a Il trono di spade). Il risultato è problematico: il budget del film (12 milioni) è eccezionale per il nostro cinema ma il confronto con i modelli di riferimento, che costano almeno 10 volte tanto (e nel cinema, i soldi, se ben spesi, sono una componente fondamentale della creatività) non è così lusinghiero e, inoltre, Garrone sostituisce il popolano e visceralmente inverecondo cinismo del Basile, un’amarezza – modernamente ma anche anacronisticamente – predicatoria, che aggiunge pesantezza e un po’ di nobile noia ai racconti; per intenderci: qualche anno fa Beppe Barra lanciò una versione drammatica della famosa macchietta M’agg’a curà, era intensa e godibile ma durava 3 minuti non 128! . Cannes, non a caso, ha mostrato qualche iniziale perplessità.

 




Youth – La giovinezza

di Paolo Sorrentino. Con Michael CaineHarvey KeitelRachel WeiszPaul DanoJane Fonda  Italia, Francia, Svizzera, Gran Bretagna 2015

Fred Ballinger (Caine) e Mick Boyle (Keitel) sono vecchi amici, il primo è un famoso musicista che ha deciso di mettersi in pensione e l’altro è un regista ancora in affannosa attività. Entrambi sono alloggiati in una esclusiva Spa in Svizzera e Fred – che è in albergo con la figlia Lena (Weisz) –  viene raggiunto da un emissario (Alex MacQueen) della Regina d’Inghilterra che gli chiede di dirigere i suoi famosi Simple Songs per il compleanno del Principe Filippo, lui rifiuta e, alle insistenze dell’altro, si spazientisce; Jimmy Tree (Dano), un divo emergente che è lì per concentrarsi sul suo prossimo ruolo, ha assistito alla scena e, ammirato, stringe amicizia con lui. Lena parte per un viaggio in Polinesia con il marito Julian (Ed Stoppard), che è figlio di Michael, così Michael e Fred sono liberi di lasciarsi andare ai loro innocenti giochi goliardici: prendono in giro un santone tibetano che garantisce di poter levitare, si interrogano l’un l’altro su chi di loro sia andato a letto con una ragazza amata da entrambi decine di anni prima e, tutte le sere, scommettono 50 sterline sulla possibilità che una coppia di compassati anziani che cena sempre in silenzio possa parlare – vince sempre Fred, sino a che, un giorno, non li vedono di nascosto, fare l’amore in un bosco con lei che ulula di piacere. Dopo un po’, però, Lena ritorna in lacrime: Julian la ha lasciata per la cantante pop Paloma Faith (se stessa) e, alle domande del padre sul suo comportamento, lui confessa che se ne è innamorato perché è brava a letto. Fred, Mick e Jimmy non sono le uniche tre celebrità  ospiti del resort, tra gli altri c’è anche Maradona (Roly Serrano), che  grassissimo  ha bisogno dell’aiuto della moglie (Loredana Cannata) per ogni movimento ma palleggia divinamente anche con una palla da tennis. Fred cerca di consolare la figlia ma lei mentre sono entrambi ai fanghi gli rinfaccia tutto il male che ha fatto a lei ed alla madre, Melania (Sonia Gessner), con i suoi continui tradimenti e lui accusa il colpo. Dopo un po’, però, lei comincia a corteggiare in imbranato alpinista e riuscirà a scuoterlo dalla sua timidezza dicendogli: “Io a letto sono bravissima!”. Fred vede un bambino mancino (Leo Artin Boschin), che studia il violino su un suo Canto semplice e gli corregge la posizione; il bambino gli dirà che la sua musica è bellissima, così come farà felice Maradona dicendogli che tutto il mondo sa che anche lui è mancino. Mick sta faticando con il suo team di sceneggiatori (Chloe Pirrie, Tom Lipinski, Alex Beckett, Nate Dern e Mark Gessner) a trovare il finale per il film che sta per girare, interpretato da Brenda More (Fonda), la diva che lui ha lanciato in passato e che continua a lavorare nei suoi film.  L’emissario torna alla carica con Fred e, lui esasperato, gli rivela che non vuole eseguire i Canti semplici perché li aveva scritti per la moglie, noto soprano, e non può eseguirli con nessun altra. Lena capisce di essere stata ingiusta con lui e, commossa, l’abbraccia. Jimmy, intanto, si fa truccare da Hitler (il ruolo che dovrà interpretare nel film) ma dichiara di non voler più fare il film perché l’esperienza in quella compagnia gli ha fatto capire di volersi dare solo ad esperienze vitali. Nell’albergo è scesa anche la splendida Miss Universo (Madalina Diana Ghenea) e, una volta che Fred e  Boyle sono immersi nelle acqua termali li raggiunge  completamente nuda; i due sono ipnotizzati dalla visione, quando un fattorino comunica a Mick che Brenda è lì; lui la raggiunge e lei, spietata, gli comunica che non farà il film perché ha già firmato un ricco contratto  per una serie televisiva e, alle sue rimostranze, gli dice che lui come regista è finito. Senza di lei il film non si farà e Mick, fingendosi indifferente, saluta gli sceneggiatori, va da Fred e si uccide buttandosi dal balcone. Il musicista va a trovare la moglie, che è ricoverata in una clinica veneziana in uno stato di completa demenza senile,  e le racconta tutto l’amore che insieme hanno vissuto. Lo vediamo, nel finale, dirigere, di fronte ai Reali d’Inghilterra, il suo pezzo con la violinista Viktoria Mullova (se stessa) e la soprano Sumi Jo (se stessa).

Sorrentino si conferma come l’autore italiano più controverso di questa generazione: i suoi film – in particolare La grande bellezza e questo – hanno grandi ammiratori e grandi detrattori (più alcuni malaccorti che li accumunano a Fellini e basano su questo i loro zoppicanti giudizi)). Io appartengo alla prima schiera e non posso che lasciarmi prendere dal meraviglioso coinvolgimento che sempre i suoi film sanno suscitare; come spesso succede ai grandi artisti la materia usata è semplice, addirittura elementare ma, nel nostro immaginario, la piccola massaggiatrice (Luna Zimic Mijovic) con l’apparecchio, la giovane escort grassottella (Gabriela Belisario) e i loro cadenti, tristissimi clienti rimarranno scolpiti, nella loro caricaturale irrealtà, come figure di profonda verità. Questo forse è il segreto di Sorrentino: più passa il tempo, più acquista una forte libertà di ispirazione, sciogliendosi dagli schemi e dagli accademismi che impaniano anche i migliori dei nostri registri. In questo senso è forse il più internazionale degli autori italiani contemporanei (e in questo  – ma solo in questo – può essere paragonato a Fellini).Un cenno a parte meritano le musiche che nei film di Sorrentino  hanno sempre un valore preminente  (basti pensare ai Talking Heads in This must be the place):  qui , oltre a Paloma Faith e Sumi Jo ,cantano  Mark Kozelk e i Retrosettes e i brani originali scritti da  David Lang sono imperdibili.

  




Mi chiamo Maya

di Tommaso Agnese. Con Matilda LutzMelissa MontiCarlotta NatoliValeria SolarinoGiovanni Anzaldo  Italia 2015.

La sedicenne Niki (Lutz) è in gita con la sorellina Alice (Monti) di nove anni e la mamma Lena (Natoli), con le quali vive serena; al ritorno un camion investe la loro macchina e Lena muore sul colpo. Dimesse dall’ospedale le due sorelle sono accolte dall’assistente sociale Cecilia Fornari (Solarino) che le porta in un istituto da dove Alice andrà dal padre (che lei non ha mai visto) in America, mentre Niki (del cui padre non si sa nemmeno il nome) dovrà essere ospitata in una casa-famiglia. Tra due ragazze ospiti dell’istituto scoppia uno sgradevole alterco e Cecilia porta le sorelle nella loro casa, con il pretesto di prendere i vestiti. Alice non vuole lasciare la sorella e Niki non vuole andare da sconosciuti e così le due scappano dalla migliore amica (Giada Arena) di Niki che per guadagnare qualche soldo si spoglia in web e fa la cubista, così, quando Niki le chiede aiuto, le propone  di esibirsi con lei quella sera. Agghindata da coattella con un improbabile parrucca azzurra, Niki sale sulla limousine rosa di un’altra cubista e, con la sorellina al seguito, va al locale; qui però l’amica vede il suo ragazza baciare un’altra e, irritata da un commento di Niki, la caccia via. Sole, stanche ed affamate le due ragazzine vengono quasi investite da un’adolescente (Laura Adriani) che le riconosce e, entusiasta, le porta nella sua ricca casa, dove le rifocilla e procura loro dei vestiti; in realtà, il suo entusiasmo nasce dal desiderio di esibirle alla festa che sta per dare come fenomeni; il party di lì a poco degenera in atti di vandalismo e  le due scappano via. Dormono in un parco ed il mattino dopo si imbattono in un Marc Bresson (Anzaldo), un mangiafuoco che si esibisce per strada. Alice intanto,  con un telefonino che  aveva rubato alla festa, chiama Cecilia perché non ce la fa più; Niki dapprima si arrabbia, poi, accompagnata da George porta la sorellina dall’assistente sociale e quando questa le chiede di venire via con lei, scappa via, insultandola. Niki decide di far l’amore con il ragazzo (per lei è la prima volta) e lui la porta da una sua amica tatuatrice (Laura Gigante). L’indomani lui se ne va e la tatuatrice le fa un piercing , la veste da dark. con una cresta punk , la porta in un locale alternativo e, dopo averla fatta bere, la bacia. Ubriache le due ragazze si addormentano in strada e Niki, quando si sveglia, vede che lì a due passi c’è un autobus che va al mare. Lo prende e, stanca e arresa, dalla spiaggia chiama Cecilia perché la venga a prendere.

Agnese è al suo primo lungometraggio ma ha già lavorato con buoni risultati a progetti che riguardavano il disagio dell’adolescenza (il suo corto Appena giovani era basato sugli studi di una equipe di psichiatri e psicologi dedicata all’argomento). Mi chiamo Maya non è un saggio  sociologico ma, semmai, una fiaba moderna, qualcosa tra Pinocchio ed Alice nel Paese delle Meraviglie: in un mondo senza adulti di riferimento una ragazzina accompagnata solo dalla sorellina più piccola, affronta un percorso iniziatico che in quanto tale è, per sua natura, onirico e fiabesco (nessuno si chiede se l’Omino di Burro o il Bianconiglio esistano davvero ma solo se rappresentano bene i fantasmoi  – per dirla con Jung – che incarnano). Tutto quello che c’è da capire, in un film, è se le intenzioni registiche arrivano e la risposta è sì: anche con le inevitabili ingenuità di un’opera prima e coi limiti di un budget prudente ma ben speso, Agnese dimostra di essere un regista e di saperci far arrivare pathos ed emozioni, con una levità esemplare.

 




Mad Max: Fury Road

di George Miller (II). Con Tom HardyCharlize TheronRosie Huntington-WhiteleyZoë KravitzNicholas HoultUSA, Australia 2015

Anche per la trama di questo film riprendo, con aggiunte e correzioni, lo scritto di Wikipedia:

In un disastroso futuro distopico (distopia: immagine di un futuro fortemente invivibile)  , dovuto ad una serie di calamità catastrofiche che hanno causato il crollo della società, vive Max (Hardy), un ex-poliziotto solitario che ha perduto la famiglia durante i primi giorni del collasso sociale. Max viene catturato dai Figli di Guerra, un’armata di guerrieri dalla pelle pallida comandati dal tirannico ImmortanJoe (Hugh Keyas-Byrne) che – coadiuvato dal sapiente e malvagio nano deforme Corpus Colossus (Quentin Kenihan) –  governa, tramite i Figli della Guerra,  un regno totalitario lungo la desertica Fury Road, sottomettendo il popolo tramite il possesso delle riserve di acqua.Etichettato come “donatore universale” di sangue, Max è costretto a trasfondere il proprio sangue con Nux (Hult), uno dei tanti figli malati di Joe. Nel frattempo Furiosa(Theron), una serva di ImmortanJoe, guida un’autocisterna corazzata per andare a recuperare il carburante dall’impianto di Joe, ma esce dalla Fury Road poiché ha nascosto nel veicolo le Cinque Mogli- The Splendid Angahard (Rosie Huntginton-Whiteley),The Capable (RileyKeough), The Dag (Abbey Lee), The Fragile Cheedo (CortneyEaton) e The Knowing Toast (Zoe Kravitz) – delle donne sane e fertili destinate ad accoppiarsi con ImmortanJoe per dare alla luce una nuova stirpe di figli sani, a differenza della precedente che è quasi completamente malata (Angahard è già incinta e sta per partorire). Furiosa intende scappare e salare se stessa e le Mogli dal folle tiranno. Joe si rende conto della loro fuga e, insieme al suo primogenito Rictus Erectus (Nathan Jones), si mette alla testa dei Figli di Guerra, inclusi Nux,che si porta appresso Max per continuare a pompargli sangue, e il  suo compagno di battaglie Slit (JoshHelman),  per fermare Furiosa e recuperare le Mogli. L’inseguimento viene interrotto dall’attacco della banda dei predoni Porcospini e, in seguito, da una violenta tempesta di sabbia. Finita la tempesta, Max e Nux si ritrovano presso l’autocisterna di Furiosa .Max, pistola in pugno, decide di unirsi a loro per sopravvivere, mentre Nux ritorna daImmortanJoe, il quale si fa raggiungeredalle bande del Mangiauomini (John Howard) di Gastown e quella del Fattore (Richard Carter) di Bullet Farm. Nel frattempo Max e le donneraggiungono il canyon dove stringono un accordo con i Motociclisti, guidati da Prime Imperator (Richard Norton),perchè blocchino il passaggio con una frana in cambio di carburante. Tuttavia, siccome le forze di ImmortanJoe sono vicine, Furiosa è costretta a partire mentre i Motociclisti detonano gli esplosivi per bloccare il canyon. Max riesce a seminare i Motociclisti, ma ImmortanJoe e Nux riescono lo stesso a penetrare il blocco e li inseguono. Mentre Nux riesce a salire a bordo, Angahard cerca di difendere Furiosa dagli attacchi ma finisce per cadere dal mezzo e venire investita dalla macchina di Joe, così egli perde sia la compagna che il figlio sano, Nux, temendo che Immortan lo possa ritenere responsabile della perdita dell’erede, nella confusio, penetra nell’autocisterna. Furiosa spiega a Max che ha intenzione di condurre le Mogli alle Terre Verdi, il luogo fertile e vitale in cui lei viveva da bambina. Nux svela a sua presenza a bordo e si pente di tutto quello che ha fatto e viene accettato dal gruppo (di lì  a poco tra lui e Capable nascerà un sentimento). Sul far della sera i fuggiaschi e gli inseguitori giungono su un tratto del deserto dal terreno fangoso dove l’autocisterna rimane bloccata. Mentre Nux escogita un sistema per tirare l’autocisterna fuori dal fango, Max va ad uccidere il Fattore, che possiede un mezzo di trasporto capace di muoversi sul fango. Max ne esce vittorioso e conquista un prezioso carico di armi e munizioni. Il mattino seguente il gruppo di Max e Furiosa giunge in un punto in cui trova una donna nuda (Megan Gale) che implora aiuto. Max la interpreta correttamente come l’esca di una trappola, ma Furiosa si avvicina lo stesso e le dice il proprio nome e il clan dal quale proviene. La donna, che fa parte del clan delle Molte Madri ed è nota come La Valchiria, riconosce Furiosa, in quanto sua madre era una di loro prima di venire rapita da ImmortanJoe.Max,  però, rivela a Furiosa che le Terre Verdi sono ormai inabitabili, ma la Madre più anziana (Melissa Jaffer) ha conservato i semi di varie piante a così il gruppo e le Molte Madri decidono di unirsi e attraversare il deserto insieme con la speranza di trovare un nuovo posto dove vivere. Max decide di andare per la propria strada, ma dopo aver avuto visioni della sua famiglia deceduta, decide di riscattarsi restando unito al raggruppamento di amici e li convince a tornare indietro per affrontare ImmortanJoe , usare la sua acqua e il suo terreno fertile per i semi e creare una nuova Terra Verde.Nella battaglia finale contro ImmortanJoe e i Figli di Guerra, Furiosa resta gravemente ferita mentre le Molte Madri cercano di difendere l’autocisterna dagli attacchi dei Figli di Guerra e Max – dopo aver ucciso vari guerrieri, tra i  quali The Rock Rider Chief (Stephen Dunley), un rocker con chitarra sputafuoco – affronta  il gigantesco RictusErectus ma sta per avere la peggio . Toast viene catturata e messa nella macchina di Joe, ma lei riesce a distrarlo permettendo a Furiosa di raggiungerli. Furiosa aggancia la maschera di ImmortanJoe alla ruota della propria macchina con una catena, così l’apparecchio e la faccia di Joe vengono strappati via, causandogli una morte istantanea. Nux si sacrifica per schiantare l’autocisterna causando anche la morte di Rictus, mentre Max e gli altri fuggono a bordo della macchina di Joe. Max medica le ferite di Furiosa e le trasfonde il suo sangue.I civili gioiscono nel vedere il cadavere di ImmortanJoe, mentre Furiosa, le Molte Madri e le Mogli rimaste vengono issate alla roccaforte appartenuta a Joe dai Figli di Guerra più giovani e insieme lasciano scorrere l’acqua per dissetare tutti quanti. Il film si chiude con Furiosa e Max che si scambiano un ultimo sguardo prima che lui scompaia tra la folla.

Nel 1979 il primo MadMax (in Italia fu intitolato Interceptor) entrò nel Guinnes dei primati: costato 100.000 dollari alla produzione australiana,, ne portò a casa 100.000.000 (record battuto, qualche anno dopo, solo da The Blair Witch Project). Per il regista George Miller e il protagonista Mel Gibson, che furono insieme negli altri due sequel (Interceptor II – Il Guerriero della Strada e MadMax – Oltre la Sfera del Tuono), fu il successo. Ora, l’eclettico Miller (ha diretto anche Babe – Maialino Coraggioso e due Happy Feet), lasciati porcellini sapienti e pinguini ballerini, torna con un quasi-sequel del primo episodio. Sono passati 36 anni  ma la sua mano è perfettamente in grado di competere con i grandi action  tecnologici di questi tempi. La Theron, che a dodici anni da Moster, torna a deformarsi, è una straordinaria presenza sullo schermo e Hardy non è il carismatico e folle di suo Gibson ma regge benissimo. L’attore che interpreta ImmortanJoe, (Hugh Keyas-Bryne)  era stato Toecutter, il villain del primo MadMax

 




The Gunman

The Gunmandi Pierre Morel. Con Sean PennIdris ElbaJavier BardemRay WinstoneMark Rylance  USA, Francia, Spagna 2015

Nel 2006 Jim Terrièr (Penn) è in Congo,  collabora con una Onlus ed è fidanzato con Annie (Jasmine Trinca), medico solidale, della quale è innamorato anche il suo amico Felix (Bardem). Un giorno, però, lui, Felix ed altri due vengono convocati d’urgenza: sono Agenti Speciali Internazionali sotto copertura e uno di loro dovrà uccidere il locale Ministro delle Miniere; colui cui toccherà il compito dovrà sparire. Sarà Jim il prescelto e lui, dopo aver messo a segno il colpo mortale, raccomanda Annie a Felix. Qualche anno dopo è di nuovo in Congo ma stavolta si occupa solo di fornire acqua potabile agli abitanti ma un giorno viene attaccato da tre killer, ne ha la meglio e nella tasca di uno di loro trova due provette per l’analisi del sangue (tipica precauzione dell’Agenzia per assicurarsi dell’identità dell’ucciso). Jim vola a Londra e va dal suo vecchio capo Cox (Rylance), che ora è a capo di una multinazionale e che gli fa capire che ha le ore contate. Lui va a Barcellona (Felix, del cui aiuto ha bisogno, vive lì) e in città ritrova il vecchio amico Stanley (Winstone), anche lui ex-killer in ritiro, che gli dà un rifugio sicuro e gli fornisce l’indirizzo di Felix, ora sposato con Annie. Felix gli un appuntamento a cena e si fa trovare ubriaco, in compagnia di Annie; poco dopo lei lo raggiunge e, dopo un tempestoso chiarimento, i due fanno disperatamente l’amore. Il giorno dopo Jim raggiunge Felix nella sua villa di campagna; l’amico, ancora ubriaco e folle di gelosia, gli comunica che lo ha tradito; infatti, un manipolo di uomini, guidati da Reiniger (Peter Franzen) fa irruzione nella villa e, nella sparatoria che ne consegue, Felix e gli uomini di Reiniger vengono uccisi. Jim torna di nascosto nel proprio appartamento e, usando a proprio favore le trappole esplosive che i killer vi avevano predisposto, fa fuori un bel po’ di nemici e porta Annie da Stanley ma lì arriva Reiniger che li prende entrambi e li porta da Cox . Questi tortura Stanley e, dopo averlo ucciso, minaccia telefonicamente Jim di far fare la stessa fine ad Annie se lui non si consegnerà. Terrièr ha però pesanti prove del coinvolgimento di Cox nell’attentato e riesce ad ottenere un appuntamento faccia a faccia. Nel frattempo l’ufficiale dell’interpol DuPont (Elba) lo contatta e lo invita a collaborare; lui risponde che lo farà a tempo debito. L’incontro con Cox era ovviamente una trappola e lui uccide un po’ di sicari ma non riesce a liberare Annie. L’appuntamento decisivo è alla Plaza de Toros dove è in corso una corrida e, stavolta Jim fa in modo di essere seguito da DuPont. Qui Cox, dopo aver inebetito di droghe Annie, si porta altri sicari ma Jim ha la meglio e Cox muore incornato. La sua collaborazione vale a Jim la libertà e lui raggiunge Annie, di nuovo in Africa per una missione umanitaria.

Patrick Manchette è stato un importante scrittore e sceneggiatore francese di noir e Gunman è tratto dal suo romanzo più famoso: Posizione di tiro, dal quale nel 1982 Robin Davis aveva già ricavato Il bersaglio con Alain Delon e Catherine Deneuve. Alcolizzato e anarco-comunista , Manchette riprende il tema del killer stanco e pentito (già apparso, ad esempio, in chiave moralistica dal pur notevole Una pistola in vendita del cattolico Graham Greene) e ne fa un dolente eroe nichilista. Penn, che produce questo film ha assoldato il capace autore del primo Taken con Liam Neeson  e però immette nella storia un sovrappiù di solidarismo terzomondista, che inceppa il racconto e rende poco credibile il protagonista. Penn ostenta un fisicaccio scolpito ma si dimentica spesso di recitare e la Trinca non ci prova nemmeno.

 




Sarà il mio tipo?  (Pas son genre) e altri discorsi sull’amore

sara-il-mio-tipo-film-03di Lucas Belvaux. Con Émilie DequenneLoïc CorberySandra NkakeCharlotte TalpaertAnne Coesens  Francia 2014

Clement Le Guern (Cobery) è un giovane filosofo raffinato e un po’ cinico: ha pubblicato un saggio dal titolo Dell’amore e del caso, nel quale contesta l’essenza men che carnale del sentimento; lo vediamo lasciare con freddezza  la sua ultima amante (Martine Chevalier), alle cui lacrime contrappone freddamente le proprie teorie. Ora gli hanno assegnato una cattedra ad Arras e lui, parigino fino al midollo, ne è assai seccato. All’arrivo lo accoglie la collega Helene Pasquier-Legrand (Coesens) sua grande ammiratrice e il preside (Christophe Moyer) gli organizza un orario che lo impegna solo i primi tre giorni della settimana. Tra lezioni ad allievi svogliati, conferenze, discussioni con gli snobbissimi genitori (Didier Sandre e Martine Chevallier) che non condividono il suo, ai loro occhi modesto, lavoro. Una sera incontra in un locale un’altra ex, Marie (Amira Casar), che lo accusa di egocentrismo ed anaffettività. Un giorno va dal parrucchiere e la titolare, m.me Bortolin (Talpaert) lo affida a Jennifer, una giovane parrucchiere con un passato sentimentale burrascoso – ha un figlio, Dylan (Tom Burgeat) che cresce allegramente da sola – e una irresistibile solarità. Dopo qualche giorno lui la va a prendere per bere un aperitivo, poi per altre sere vanno a cena, al cinema e, mentre lei gli racconta la sua passione per i romanzi rosa di Anna Gavalda, per il gossip sui divi e per i film di Jennifer Aniston, lui le fa leggere L’idiota di Dostoevski e le dice che ha criteri estetici kantiani. Al terzo appuntamento vanno a letto e scoprono di avere una bella intesa sessuale. La relazione continua, lei lo porta al bar karaoke, dove lei e le sue amiche, Cathy (Nkake) e Nolowenn (Talpaert) si esibiscono in You can’t hurry love abbigliate come le Supremes e lui le legge Proust e Zola (lei, per amore, affronta anche, armata di dizionario, la Critica della ragion pura di Kant) ma evita di incontrare Dylan. Un  giorno però in libreria lei vede il suo saggio e gli fa una scenata perché non gliene aveva mai parlato, probabilmente non ritenendola all’altezza. Dopo un breve periodo di freddezza, si rivedono ma ormai  qualcosa non va: quando fanno l’amore lei gli apre gli occhi che lui tiene costantemente chiusi e, durante la Sfilata dei Giganti – la manifestazione carnevalesca di Arras – incontrano Helene ed il marito (Christophe Leys) e lui non la presenta. Jennifer ne è ferita (evidentemente lui si vergogna di lei con i colleghi) ma fa finta di niente. A letto gli dice che partirà con le amiche per una settimana, al karaoke canta in lacrime I will survive  e, arrivata a casa, dice alla baby sitter (Tiffany Coulombel) adolescente del figlio che non avrà più bisogno di lei e le raccomanda di studiare per non finire come lei. Quando Clement va a cercarla al lavoro per salutarla prima del viaggio Cathy gli dice che si è licenziata e che a loro aveva detto che sarebbe partita con lui. In realtà ha lasciato l’appartamento ed è andata non si sa dove con Dylan.

Sarà il mio tipo è tratto dal romanzo Non il suo tipo di Philippe Vilain (che nel film appare come se stesso) ed ha avuto in Francia, in Belgio ed in Canada svariati premi e nomination, molti dei quali alla bravissima Emile Dequenne (l’indimenticabile Rosetta del film dei Dardenne). Intenso, intelligente – è anche un po’ snob – conferma la rinnovata forza del cinema francese che tra commedie, drammi sentimentali e l’action-polar di Besson ha ritrovato un’autorevolezza innegabile nel panorama europeo – e non solo. E noi? Noi facciamo i documentari di Veltroni!




Mia Madre

 

il ballo

il ballo

A fine film la maggior parte degli spettatori sono rimasti seduti più di quanto non accada normalmente, fermi lì al loro posto, ho pensato che fosse la commozione che suscita il film a creare quella sorte di fermo immagine nella sala, si, commozione, perché il film di Moretti “Mia madre” di questo sentimento ne suscita tanto.

Ci sono almeno due narrazioni in questo film, una intima che riguarda tutti coloro che vivono, seppur da punti di vista diversi, la perdita di Ada e quella dei protagonisti maggiori del film, tra cui l’attore Burry Huggins interpretato splendidamente da John Turturro; l’altra che guarda invece, con un film accanto al film, alla realtà esterna, ed in particolare al lavoro, alla sua mancanza, al conflitto in atto nel mondo del lavoro.

in ospedale

in ospedale

Giovanni e Margherita sono i due figli che seguono l’ultimo percorso della loro cara madre, Ada. Lentamente ma inesorabilmente arriva il momento in cui i due fratelli capiranno che la vita della loro mamma sta giungendo al termine, questa presa di coscienza li riavvicina e nello stesso tempo segna la tragica consapevolezza che la vita ha una fine e che tutto ciò che ha rappresentato quella vita non sappiamo dove andrà. Quel tempo trascorso insieme svanisce quando la persona che lo rappresentava non c’è più, muore. Così un vuoto incolmabile si apre dentro di noi, un vuoto che fa emergere dolore e smarrimento. Ecco, questo sentimento ci viene trasmesso con grande forza dal film di Moretti.
Ma come nella realtà il lutto deve convivere con lo scorrere della vita così il film ci offre oltre alla commozione altri sentimenti e momenti veramente notevoli.
La smemoratezza del protagonista del film che sta girando Margherita, ma anche la sua simpatia e il suo talento che possiamo ammirare in una meravigliosa scena di ballo che rifà il verso a Quentin Tarantino.
L’amore filiale di Margherita e il primo marito che traspare in modo semplice quando i due insegnano alla loro figlia ad andare in motorino.
Ma su tutto aleggia lo smarrimento, il grande dolore della morte, si può e si deve non esserne travolti, ma non si può evitare, così il pianto di Livia quando la nonna muore, la decisione di Giovanni rispetto al suo lavoro per seguire la madre giorno per giorno e l’andare via dal set di Margherita quando viene chiamata perché Ada sta morendo; la stessa Ada che affronta con dignità la fine, ma anche con grande dolore e smarrimento.
Così dopo Habemus Papam, Nanni Moretti torna al biografico e questo tema gli offre la possibilità di farlo con una scrittura universale, con un film che riesce a parlare con grande misurazione di un momento che prima o poi la maggioranza delle persone deve affrontare.

mia madrePoi come sempre Moretti divide anche e alcuni tra gli amici che lo hanno visto non hanno gradito quell’aria che può sembrare o minimalista se vissuta in positivo o ruffiana e distante se vissuta in negativo. Moretti o si ama o non si sopporta, eppure io credo che soprattutto dopo La stanza del figlio e Habemus Papam, la stoffa di grande regista si vede.

Trailer:
https://youtu.be/hGtT3H1rBjI

Così scrive chi non ha invece gradito:
http://www.badtaste.it/2015/04/19/bad-movie-mia-madre-di-nanni-moretti/124147/

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