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Creed – Nato per combattere

di Ryan Coogler. Con Michael B. JordanSylvester StalloneTessa ThompsonPhylicia RashadTony Bellew  USA 2015

Los Angeles, Adonis “Donnie” Johnson (Alex Henderson) è un ragazzino difficile: passa dall’orfanotrofio a famiglie affidatarie e al riformatorio, dove viene spesso isolato perché fa a botte con gli altri ragazzi. Lui non lo sa ma è il figlio naturale di Apollo Creed (Carl Weathers) e la sua vedova, Mary Anne (Rashad) decide di adottarlo. Qualche anno dopo Donnie Creed (Jordan) è un brillante manager di una società finanziaria ma, appena può, scappa a Tijuana a cimentarsi in incontri di boxe non ufficiali, vincendone 16 per k.o. e, proprio quando riceve una prestigiosa promozione, si dimette dal lavoro per seguire la sua vocazione al pugilato. Marie Anne tenta di dissuaderlo, minacciando di non vederlo più, ma lui parte per Filadelfia e va al ristorante Adrian’s di Rocky (Stallone), per chiedergli, in nome della vecchia amicizia con il padre, di allenarlo ma l’ex-campione rifiuta: orma è fuori dal mondo del pugilato. Lui comincia così ad allenarsi da solo nella palestra di Mickey – l’ex-allenatore (Burgess Meredith) di Rocky – gestita ora da Pete Sporino (Ritchie Coster), che allena personalmente il figlio Leo “The Lion” (Gabe Rosado), sul quale fonda molte speranze. Adonis va a vivere in un appartamento in cui, al piano di sotto, vive Bianca (Thompson) una cantante affetta da perdita progressiva dell’udito, con la quale di lì a poco si fidanzerà. Alle mille insistenze del ragazzo, Rocky torna alla palestra di Mickey e, dopo aver rifiutato la proposta di Pete di allenare Leo, dice ad Adonis che, se mostrerà il giusto impegno, si occuperà di lui. Rocky, però, sa di non essere più nelle condizioni fisiche per seguire attivamente Donnie negli allenamenti, e così lo porta in un’altra palestra dove avrà un secondo allenatore, Padman (Ricardo McGill) e suo figlio Amir (Malik Bazille) come sparring partner. Dopo poche settimane lui, con il nome Adonis Johnson (non vuole che, a parte Rocky, altri sappiano di chi è figlio) affronta il suo primo incontro e lo sfidante è proprio Leo Sporino. Il padre, poco prima del match, viene a sapere delle sue origini e, per rendere l’incontro più redditizio, propone a Rocky di divulgare la notizia. Balboa però sa che il ragazzo vuole realizzarsi senza sfruttare il nome del padre e gli chiede di non dirlo a nessuno. Adonis vince alla seconda ripresa ma subito si diffonde la notizia che lui è un Creed: Pete ha rivelato il segreto alla stampa. Bianca si offende perché Donnie l’ha tenuta all’oscuro ma lo perdona, spingendolo a continuare a combattere anche in nome del grande padre. A Liverpool, intanto, il campione in carica dei pesi massimi Ricky ‘Pretty’ Conlan (Tony Bellew), che già rischia 7 anni di carcere per detenzione illegale di armi, alla conferenza stampa prima del match con Danny ‘Stuntman’ Wheeler (Andre Ward) lo aggredisce, spaccandogli la mandibola. La sua carriera è ormai compromessa ma il suo manager, Tommy Holiday (Graham McTravish) decide di organizzargli un ultimo incontro di grande spessore mediatico con Adonis Creed. Adonis e Rocky, dopo molte indecisioni (il match è per il titolo è un po’ prematuro nella carriera appena iniziata del ragazzo) accettano. Durante gli allenamenti, Rocky si sente male e all’ospedale, le analisi rivelano che è malato di cancro. Lui, ricordando con dolore l’inutilità della chemioterapia applicata alla moglie Adriana, rifiuta di curarsi. Adonis, da dei depliant che l’ex campione aveva in tasca, scopre tutto e, quando tenta di convincerlo a curarsi, Rocky lo tratta male. Donnie va nel locale dove Bianca partecipa a un importante concerto e, sconvolto dalla recente scenata, viene alle mani con la star della serata, Tony Evers (Wood Harris). Viene fermato per aggressione e, in guardina, lo raggiunge Rocky che si scusa e lo invita a liberarsi del fantasma del padre; lui, lì per lì, lo scaccia ma, il mattino seguente, va da Bianca per scusarsi (lei però gli sbatte la porta in faccia) e poi va da Rocky e gli propone un patto: lui combatterà sul ring per il titolo se l’altro si sottoporrà alle cure.. Rocky accetta e l’allenamento riprende, anche in ospedale. Alla conferenza stampa del match Ricky Conlan insulta Donnie, sostendo che la sua fama è frutto solo del suo cognome. Poco prima del match Adonis riceve un regalo da Mary Anne:un paio di calzoncini a stelle strisce con la scritta, identici a quelli che indossava Apollo e arriva a dargli man forte anche Bianca. L’incontro vede Ricky Conlan in evidente superiorità ma Adonis, a sorpresa, riesce ad arrivare all’ultima ripresa, rifiutando la proposta di Rocky di gettare la spugna. Conlan mette k.o. Adonis ma questi si rialza e, con una raffica di colpi, manda, a sua volta, al tappeto l’avversario che però si rialza e vince il match ai punti. Al momento della proclamazione, però, riconosce pubblicamente che Adonis Creed è il futuro campione e degno erede del padre.

Il settimo Rocky, Stallone (che è anche produttore) lo ha affidato al regista e al protagonista dell’impegnatissimo e premiatissimo Prossima fermata: Fruitvale Station, che racconta le ultime ore di un nero che sarà ucciso da un poliziotto. Coogler non è un regista epico come l’Alvisden del primo film ma sa tenere ferma la macchina, puntandola su efficaci e ben confezionati luoghi comuni del cinema nero: la madre dura ed apprensiva, la ragazza tosta e imbronciata, il pugile simbolo di riscatto per i ghetti periferici (la scena della corsa di allenamento tra due ali di bikers è quasi da antologia), la famiglia che dà la forza di andare avanti. Lui, Sly, si muove in parallelo alla storia con sorniona maestria: gli altri si danno un gran da fare – Jordan ha dovuto anche affrontare i match con di fronte pugili veri (Anthony Bellew, Andrè Ward e Gabe Rosado), con tutte le difficoltà fisiche del caso – ma a lui basta una smorfia appena accennata o una lieve torsione del torace per essere Rocky Balboa e stare al centro dello schermo. Ben meritato il recente Golden Globe: lui forse non è un grande attore ma è una grande icona, una star nella grande, irripetibile tradizione di Hollywood.




Carol

di Todd Haynes. Con Cate BlanchettRooney MaraKyle ChandlerJake LacySarah Paulson Gran Bretagna, USA 2015

Natale 1952, Manhattan, Therese Belivet (Mara), giovane commessa del reparto giocattoli dei Magazzini Frankenberg, vende all’elegante Carol Aird (Blanchett) un trenino elettrico, destinato alla figlia Rindy (le gemelle Sadie e Kk Heim). Carol lascia i propri guanti sul bancone, e Therese, premurosamente, glieli spedisce. Lei è fidanzata, con qualche dubbio, con Richard (Lacy), che ha progettato un viaggio – se lei volesse, di nozze – insieme in Europa. Therese ha una gran passione per la fotografia e quando il suo amico Dannie (John Magaro), praticante giornalista al New York Times, le chiede di andare con lui in redazione, proponendole di conoscere un suo amico fotoreporter, lei accetta subito, dopo poco i due si baciano ma lei prova subito dopo un grande imbarazzo. Carol sta affrontando il divorzio dal marito Harge (Chandler), che – ancora innamorato e ingelosito dalla sua relazione con Abby (Paulson) – minaccia di farle togliere la custodia della bambina per indegnità morale e, con la scusa di volersi sdebitare per la restituzione dei guanti, invita Therese a pranzo e, alla fine dell’incontro, le propone di andare da lei per il weekend .Lei accetta ma quando è nella villa, Harge si presenta a casa e, a causa della presenza di Therese, fa una scenata alla moglie e porta via la bambina Carol, sconvolta, accompagna Therese, alla stazione. Il giorno dopo la chiama e va da lei, portandole in regalo una valigetta contenente una costosa macchina fotografica. Poco dopo l’avvocato di Carol le comunica che Harge ha chiesto la piena custodia di Rindy per “cause morali” e lei decide di superare l’angoscia, facendo un viaggio insieme a Therese, con la quale sta nascendo una particolare complicità. Richard, che dalle parole di Therese intuisce cosa sta accadendo, di fronte alla titubanza della ragazza sulla sua proposta di matrimonio, la lascia , dicendole che Carol la farà soffrire. Dopo qualche notte in vari alberghi, a Waterloo Carol e Therese si baciano e, per la prima volta, fanno l’amore. La mattina dopo fanno colazione con un imbranato commesso viaggiatore, Tommy (Corey Michael Smith) ma un telegramma rivela a Carol che il marito ha le prove della loro relazione: Tommy, che era in realtà un investigatore privato, aveva registrato dalla stanza accanto la loro notte di passione. Lei torna immediatamente a New York e chiede ad Abby (loro due sono ora solo buone amiche) di andare a prendere Therese e di riaccompagnarla a casa. A New York Carol accetta di sottoporsi a cure psicologiche per “guarire” dalle proprie inclinazioni e di non vedere più Therese, purchè le consentano di stare con Rindy. Therese, con il cuore spezzato, decide di tentare seriamente la carriera di fotografa e ottenendo un posto di archivista al New York. Carol, intanto, nel decisivo incontro sulle condizioni del divorzio, dichiara, a sorpresa, di accettare che la custodia della bambina vada al marito, a patto di essere libera di vederla: violentare la propria natura sarebbe impossibile e, ne è convinta, nocivo per Rindy. Immediatamente, invita Therese a prendere un thè al Ritz e, confidandole di amarla, le propone di andare a vivere insieme. Therese, ancora sconvolta per il precedente abbandono, rifiuta ma, dopo essere andata ad una festa con alcuni colleghi, dove viene corteggiata dall’intrapendente Genevieve (Carrie Brownstein) raggiunge Carol nel ristorante dove cena con amici.

Todd Haynes nel 2002 aveva diretto il notevole Lontano dal paradiso, più o meno sullo stesso tema: in quel film un marito alto borghese, accetta di sottoporsi a dolorose cure – anche a base di elettroshock – per “guarire” dall’omosessualità. In Carol, tratto da un racconto di Patricia Highsmith, è più centrale la storia d’ amore tra le due protagoniste ma l’epoca e le convenzioni sociali sono le stesse. Lui è stato spesso paragonato al grande maestro di melò Douglas Sirk (Magnifica ossessione, Come le foglie al vento) e, nel caso di Lontano dal paradiso, l’accostamento era azzeccato; stavolta però il risultato è un film di grande mestiere, con recitazione, fotografia (Edward Lachman) ambientazioni, scenografia (Heather Loeffler), acconciature e costumi (Sandy Powell) perfetti ma non molto più di un patinato trovarobato d’eccezione (l’accostamento alle mitiche pubblicità per le casalinghe americane di quegli anni è d’obbligo); niente di grave (anche a Visconti è capitato di essere definito un geniale trovarobe): all’inizio – e alla fine: il racconto è ellittico – del film la giacca a scacchettoni di Rooney Mara (che peraltro ha vinto la Palma d’Oro a Cannes per il ruolo di Therese) racconta il personaggio quasi con altrettanta efficacia   dell’attrice che la indossa.




Quo Vado?

di Gennaro Nunziante. Con Checco ZaloneEleonora GiovanardiSonia BergamascoMaurizio MicheliLudovica Modugno Italia 2016

Checco (Zalone) è in Africa e viene catturato da un ferocissima tribù, che è pronta a gettarlo nel fuoco, a meno che la storia della sua vita non li convinca. Lui comincia raccontare: è cresciuto con il mito del posto fisso e da grande, grazie al senatore Binetto (Lino Banfi) si è sistemato nell’Ufficio Caccia e Pesca della Provincia della sua città pugliese: stipendio sicuro, pochissimo lavoro e tanti regali in natura dagli utenti ai quali rinnova la licenza. Questa sua situazione di privilegio gli assicura anche l’amore e l’incondizionata devozione dell’eterna fidanzata (Azzurra Martina) ma un brutto giorno le provincie vengono abolite e lui, unico dipendente sano e senza carichi famigliari deve andare al Ministero a Roma per essere ricollocato (questa nuova situazione d’ incertezza ha già convinto la fidanzata a lasciarlo immediatamente). Qui incontra la perfida dottoressa Sironi (Bergamasco), che, su mandato del Ministro Magno (Ninni Bruschette), convince tutti i malcapitati che si rivolgono a lei ad accettare una piccola somma ed a dimettersi. Checco però, indottrinato dal Senatore, rifiuta ogni cifra e viene sballottato nei posti più sperduti del Paese, sino a che la Sironi – alla quale il ministro fa un duro pressing – lo spedisce al Polo Nord, al servizio di un team di ricercatori, il cui capo (Paolo Pierobon) gli dice che il suo lavoro è quello di difendere la ricercatrice animalista Valeria (Giovanardi) dagli orsi bianchi; lui sta per cedere ma quando vede Valeria se ne innamora all’istante e la segue tra le nevi perenni con entusiasmo. Il suo caso diventa uno scoop da prima pagina: l’impiegato in esubero che, per effetto dei bonus per la scomodissima destinazione, guadagna quanto un dirigente. La Sironi arriva al Polo ma lui, piuttosto che dimettersi o tornare in Italia e lasciare Valeria, si mette in aspettativa. Va così a vivere con lei in Norvegia e scopre che ha tre figli da tre compagni diversi ma, dopo qualche resistenza iniziale, Checco si adatta perfettamente alla nuova situazione: fa i lavori casalinghi, non suona il clacson quando guida e si è fatto crescere un biondissimo pizzetto, sconvolgendo i genitori (Micheli e Modugno) che sono andati a trovarlo. Una sera però vede in televisione Al Bano e Romina che cantano di nuovo insieme e viene assalito da una violenta nostalgia. Torna in Italia e la Sironi lo spedisce in Sicilia a sequestrare gli animali selvatici dei mafiosi. Lui non si dà per vinto e, con Valeria che lo ha raggiunto, mette su uno zoo antimafia. I fondi, però, non arrivano e lei, stanca di vederlo acquiescente all’andazzo italiano, se ne va. Ora lei è in Africa ed aspetta un figlio da lui, che, convinta la tribù, la raggiunge in tempo per veder nascere la sua bambina. Arriva anche la Sironi ma, stavolta, lui accetta l’assegno e con quello compra le medicine per l’ospedale di volontari dove la moglie ha partorito. Il suo caso ridiventa uno scoop e lui può tornare al vecchio lavoro, non più provinciale ma di Area Metropolitana, la sostanza peraltro è identica: poco lavoro, stipendio sicuro e tanti piccoli benefit.

Per una volta permettetemi un piccolo vanto, quello di aver capito Zalone prima dei tanti che oggi, alla luce dei ripetuti record storici di incassi, lo esaltano dopo averlo trattato con sufficienza o peggio – d’altronde era successo anche con Totò: la critica di sinistra dopo aver definito con disprezzo i suoi capolavori delle “totoate”, all’annuncio che sarebbe stato protagonista di Uccellacci e uccellini di Pasolini (e sia chiaro, con tutta la stima per P.P.P., che era lui, con il suo genio, ad onorare il regista–poeta e non viceversa) si precipitò a tessere gli elogi al suo film in uscita in quei giorni; peccato che si trattasse di Che fine ha fatto Totò baby?, uno dei suoi meno riusciti!. Anche Quo vado? sta dando segnali di incassi mirabolanti e meritatissimi, lui si conferma la maschera più completa del panorama italiano: un meraviglioso campione del nostro “familismo amorale”, come lo furono ai tempi Totò e Sordi. Non ci risparmia, grazie a Dio, nessun luogo comune :i pubblici impiegati fannulloni e scorretti, i neri africani quasi cannibali e i norvegesi dediti al suicidio ma – anche se sappiamo che nelle sue creazioni c’è sempre una doppia lettura; l’adesione al personaggio è sempre accompagnata da una matura consapevolezza- stavolta appaiono pericolosi segnali di politically correct: la canzoncina, sulla falsariga de L’albero di trenta piani di Celentano, sulla Prima Repubblica, il sottofinale che vira sul buonismo terzomondista. Niente di che ma è un attimo che si diventa, Dio non voglia, Pif o Celestini!




Irrational Man

di Woody Allen. Con Jamie BlackleyJoaquin PhoenixParker PoseyEmma StoneMeredith Hagner USA 2015

Abe Lucas (Phoenix) è un brillante professore di filosofia ma attraversa un periodo di crisi e si è trasferito in una università di provincia. La sua storia di ex-contestatore anarchico, la sua aurea di maudit dedito ad alcool e droghe e le voci di una sua intensa carriera di libertino gli attirano l’interesse della docente di chimica Rita Richards (Posey) in piena crisi matrimoniale e di Jill Pollard (Stone), la migliore allieva del suo corso. Con quest’ultima comincia una frequentazione costante, nella quale lui respinge le sue continue, esplicite avances, mentre Rita si presenta a casa sua con una bottiglia di whisky e se lo porta a letto ma la depressione da più di un anno lo ha anche reso impotente. Il fidanzato di Jill, Roy (Blackley), è ingelosito dal suo interesse per il professore e si irrita particolarmente quando lei lo invita ad andare con loro al party della loro amica April (Sophie Von Haselberg); qui Abe, discretamente ubriaco, prende la pistola del padre di April e si esibisce in una roulette russa spaventando tutti. La mattina dopo, Jill va con lui a far colazione e mentre parlano dell’accaduto, sentono casualmente dal tavolo vicino, un donna – Carol (Susan Pourfar)- confidare in lacrime ad alcuni amici la propria disperazione perché il corrotto giudice Spangler (Tom Kemp),cui è affidata la sua causa di divorzio, si appresta ad affidare a figli all’anaffettivo ex-marito. Jill ed Abe commentano indignati l’accaduto e si dicono che sarebbe bello se il giudice scomparisse prima della sentenza. Chiacchere da bar ma lui, sulla falsariga di Delitto e castigo, decide di agire e il progetto ha su di lui una presa prodigiosa: smette di bere, mangia con appetito e riesce a far l’amore con Rita. Eccolo seguire il giudice, studiarne le abitudini e, dopo aver sottratto le chiavi del laboratorio a Rita, procurarsi una dose letale di veleno (ad April che lo sorprende lì dice di stare facendo ricerche per un libro) e versarlo nell’aranciata che ogni sabato il giudice beve dopo lo jogging. La sera dopo invita Jill a cena e, stavolta, dopo una breve resistenza ci va a letto. Roy la lascia e Rita, che sta per abbqandonaree il marito e vorrebbe portare Abe con lei in Spagna, ne è gelosa. Un giorno un’amica di Jill, Ellie (Kate McGonigle), le rivela casualmente che Rita pensa che sia stato lui ad uccidere il giudice e la stessa Rita – che si è insospettita delle perdita delle chiavi del laboratorio – le conferma la propria ipotesi, anche se lei è la prima a non darvi gran peso. Quando lei ne parla ad Abe, lui sembra divertito e le fornisce un alibi per la mattina dell’omicidio ma poco dopo April le dice di averlo visto in laboratorio e lei lo affronta di nuovo, costringendolo a confessare. Lui la butta in filosofia ma lei è travolta dall’indignazione e, pur decidendo di non denunciarlo, tronca immediatamente con lui e torna dal comprensivo Roy. Abe dice a Rita di essere pronto a partire con lei e lei lascia il marito. Di lì a poco, le indagini hanno una svolta e viene arrestato un sospettato; Jill dà ad Abe un ultimatum: se non si costituirà entro il lunedì successivo, scagionando un innocente, sarà lei a rivelare il suo delitto alla polizia. Abe accetta ma il lunedì, giorno della lezione di piano di Jill, la raggiunge e, dopo aver manomesso l’ascensore, tenta di buttarla nel vuoto ma…

Allen, come è noto, da tempo ha deciso, per ragioni prevalentemente alimentari, di fare un film all’anno e, come è inevitabile, non tutti sono dei capolavori e lui è il primo ad esserne consapevole, tanto che, per compiacere i critici europei che lo amano quasi incondizionatamente, rimedia con citazioni cinefile. Qui si va da Persona di Bergman, a La signora di Shangai di Welles , a L’incidente di Losey fino a Il vedovo di Dino Risi ma soprattutto a Nodo alla gola e Delitto per delitto di Hitchcock ( negli ultimi tempi, vedi Sogni e delitti e Match Point, molto presente nel suo cinema). Un altro elemento che caratterizza alcuni suoi film meno riusciti è una tendenza a infarcirli di citazioni dotte; qui la fa da padrone l’esistenzialismo e via con Sartre, Kierkegaard e Heidegger. Intendiamoci, Allen non è un comico travolto e snaturato dalla paternalistica compiacenza degli intellettuali – come Chaplin con l’intellighenzia di sinistra, Keaton con Beckett, Totò con Pasolini o, in piccola parte, Groucho Marx con Thomas Eliot – spesso essendo loro, i comici, di spessore ben più alto di chi se ne appropriava. Lui è colto ed intellettuale di suo – è una chiave fondamentale del suo successo – solo che talvolta ce lo fa sapere un po’ troppo. Da citare, tra le musiche, The “In” crowd del mitico Ramsey Lewis Trio.




Vacanze ai Caraibi

di Neri Parenti. Con Christian De SicaMassimo GhiniAngela FinocchiaroLuca ArgenteroIlaria Spada Italia 2015

Giorgio Grossi Tubi (De Sica) ha sposato la ricchissima Gianna (Finocchiaro) ma ha perso tutto, è pieno di debiti e non sa come dirlo alla moglie; la sua unica speranza e di vendere la loro splendida villa ai Caraibi, dove vive la loro insopportabile figlia Anna (Maria Luisa De Crescenzo), maniacalmente ittiologa. Qui scoprono che la ragazza si è fidanzata con il maturo Ottavio Vianale (Ghini), anche lui spiantato ma che, indesiderato ospite nella lussuosa villona di un amico, si finge ricchissimo. Gianna chiede al marito di dissuaderlo ma lui, cadendo nell’equivoco, lo incoraggia con entusiasmo. Mentre discutono dei particolari del fastoso matrimonio (ciascuno contando sulle ricchezze dell’altro), due malavitosi che li hanno sentiti li rapiscono e Gianna deve vendere la villa per pagare il riscatt; tutto sembra perduto ma Anna ha venduto il brevetto di una sua invenzione basata sull’energia dei pesci-palla e il matrimonio e un altro rapimento –stavolta finto – salveranno la situazione. A Santo Domingo è diretta anche la nave da crociera nella quale viaggiano l’intellettuale Fausto (Argentero) e la coatta Claudia (Spada) coi rispettivi compagni; i due sono vicini di cabina e, dalla parete, litigano in continuazione ma quando si incontrano in ascensore hanno un violento impulso e fanno lì stesso l’amore. Scappano dai partner e avviano una relazione tutta sesso, pur non sopportandosi a vicenda, sino che lui, esasperato, non si fa dare da una maga vodoo una bambolina che gli inibisca l’eccitazione ma, quando una scimmietta gliela ruba, la foga è tale che finiscono in un dirupo. Un anno dopo sono guariti dalle fratture e, grazie alla psicoanalisi, dalla reciproca dipendenza sessuale ma un incontro casuale… Nella Repubblica Domenicana è arrivato anche l’ipertecnologico Adriano Fiore, che vive solo attraverso smartphone e pc. Conosce, grazie ad un app una ragazza, ci passeggia – conversando però solo via tweet – e la sera la convince a fare sesso virtuale (il solo che entrambi conoscono) ma ha una defaillance perché gli si scarica la batteria. Il giorno successivo, mentre sperimenta una applicazione che fa fare windsurf nautico, finisce su di un isola deserta e, quando con gli ultimi sprazzi del cellulare riesce a contattare una nave, perde la comunicazione per seguire gli aggiornamenti di facebook e linkedin.

La commedia natalizia italiana (varie trame comiche che si intrecciano durante le vacanze natalizie) è cominciata con l’ottimo Vacanze di Natale dei Vanzina del 1983 ma ha dei notevoli precedenti : Vacanze d’inverno di Camillo Mastrocinque del 1959, i filmetti estivi diretti da Marino Girolami (Le tardone, La donna degli altri è sempre più bella) e i film ad episodi – spesso firmati da registi importanti come Risi, Monicelli, Petri, Ferreri – degli anni ’60 (I complessi, I nostri mariti, Vedo nudo) e, non ultime, le commedia scollacciate di Luciano Martino. Come è noto, l’artefice principale del decennale successo del format è Aurelio De Laurentiis, che però, da qualche tempo, ne ha modificato la formula , in parte perché gli incassi non consentivano più gli sfarzi di cast e di location che lo caretterizzavano, in parte per lasciare le redini al figlio Luigi che, con Greg e Lillo diretti dal giovane De Biase, ha operato un ringiovanimento della formula e, infine, perché la passione per la squadra del Napoli, della quale è onnipresente Presidente, lo assorbe quasi completamente. Natale col boss è l’ultimo stadio di questo rinnovamento: il Natale è solo un pallido pretesto e i vari protagonisti sono tutti inseriti in un solo plot; gli stessi precedenti del film vanno cercati altrove: nei film con cantanti che, intrepretando più o meno se stessi, fanno parte del racconto (Little Tony in Un gangster venuto da Brooklyn, Fred Buscaglione in Noi duri, lo stesso Di Capri con Maurizio, Peppino e le indossatrici). Anche il cast di contorno, frutto della “napoletanità” di De Laurentiis, è qui più riflessivo: ai comici di Made in sud, sono sostituti caratteristi di maggior spessore non solo comico (Pennarella, Imparato, Di Leva); unica concessione ai vecchi stilemi il cameo della Clerici, come già in passato Laurenti o Giletti. Parenti, regista della maggior parte dei film natalizi di Aurelio, ha invece fatto il percorso inverso: ha chiamato De Sica e Ghini e, mettendo loro a fianco attori brillanti di tutto rispetto, ha ricostruito i fasti del genere, aiutato anche dall’apporto alla sceneggiatura di Brizzi e Martani (qui anche co-produttori), che prima delle Notti degli esami e dei Maschi conto femmine, si sono fatti le ossa proprio con i film di Natale. Gli incassi li vedono sostanzialmente appaiati (entrambi, peraltro, soffrono la invincibile concorrenza della corazzata Star wars) ma, bando alla altezzosa pruderie dei nostri intellettuali di complemento, andarli a vedere è come mangiare una delle leccornie industriali natalizie: non sono il massimo dell’educazione alimentare ma fanno festa. Peggio per voi se siete vegani e schizzinosi.

Da consumatore , un po’ compulsivo, di cinema credo di potermi riconoscere in altri consumi: quelli di massa nei periodi festivi. E’ certamente giusto riconoscere e segnalare la qualità e la genuinità di ciò di cui fruiamo ma, se Dio vuole, c’è anche una salutare libertà nel tuffarsi nel panettone industriale ma con tanti canditi, nei tortellini pubblicizzati in televisione che sembrano fatti in casa e nel nocciolato venduto al doppio perché chiamato torrone. Vale anche per le commedie di Natale (non userò mai il termine sgradevolmente snobistico “cinepanettoni”): sono fatte in serie, cialtrone e piene di gag adolescenzialmente scatologiche ma fanno festività come un tempo gli zampognari (anche loro, talvolta, erano dei figuranti con un po’ di orecchio musicale). Non saranno il nutrimento ideale dell’anima ma riempiono la pancia e fanno allegria.




Natale col boss

di Volfango De Biasi. Con Claudio GregoriPasquale PetroloFrancesco MandelliPaolo RuffiniGiulia Bevilacqua Italia 2015

Il chirurgo Alex (Greg Gregori) e l’anestesista Dino (Lillo Petrolo), sono specializzati in chirurgia plastica e vengono reclutati a forza da Fefé (Francesco Di Leva), braccio destro del Boss, il quale, mentre era a colloquio con il corrotto ispettore Zaganetti (Enrico Guarneri), è stato fotografato da due poliziotti pasticcioni ma volenterosi, Leo (Mandelli) e Cosimo(Ruffini). Sotto minaccia di essere sciolti nell’acido, i due medici cambiano la faccia del camorrista ma fraintendono le sue indicazione e, anziché dargli i lineamenti di Leonardi di Caprio, lo rendono uguale a Peppino Di Capri (lui stesso). Riescono a fuggire ma Zaganetti (che avevano visto nella tana dei camorristi) li fa arrestare, mettendo loro in tasca della coca. Leo e Cosimo sono stati a loro volta sospesi dal caso dall’ispettore ma decidono di proseguire lo stesso le indagini e, grazie alla soffiata di un informatore cieco (Gianfelice Imparato), vengono a sapere che il Boss ha cambiato aspetto .La moglie di Cosimo, Sara (Bevilaqua), ex poliziotta che vuole tornare in servizio e, per infiltrarsi nel giro della prostituzione, si esercita ad apparire provocante e Cosimo si convince che sia una vera escort e non sa come dirlo al collega. Proprio grazie ai due poliziotti, che lo hanno scortato a forza ad un concerto di Peppino Di Capri, il Boss si immedesima nella sua nuova identità e passa il tempo a studiare il repertorio del cantante tra la disperazione dei suoi uomini. Alex e Dino stanno per essere uccisi in prigione dal feroce Scassacapa (Antonio Pennarella), che però ingurgita una mistura che, secondo Dino, avrebbe dovuto dare una morte apparente e cade stecchito. In quel mentre arriva Leo e Cosimo che li fanno evadere e li nascondono a casa di Sara ma, saputa dai chirurghi la nuova identità del Boss, vanno proprio da lui – che credono il vero Di Capri – e gli spifferano tutto. Fefè e i suoi li sequestrano – dopo un duro scontro a colpi di falli finti (sono nel kit di travestimento di Sara) con la dura ex-agente – e li portano dal capo dei capi (Giovanni Esposito). Fingendosi mafiosi italo-americani, i due medici riescono a fuggire e, in teatro dove deve esibirsi Peppino di Capri, la vicenda avrà il suo epilogo.

Da consumatore , un po’ compulsivo, di cinema credo di potermi riconoscere in altri consumi: quelli di massa nei periodi festivi. E’ certamente giusto riconoscere e segnalare la qualità e la genuinità di ciò di cui fruiamo ma, se Dio vuole, c’è anche una salutare libertà nel tuffarsi nel panettone industriale ma con tanti canditi, nei tortellini pubblicizzati in televisione che sembrano fatti in casa e nel nocciolato venduto al doppio perché chiamato torrone. Vale anche per le commedie di Natale (non userò mai il termine sgradevolmente snobistico “cinepanettoni”): sono fatte in serie, cialtrone e piene di gag adolescenzialmente scatologiche ma fanno festività come un tempo gli zampognari (anche loro, talvolta, erano dei figuranti con un po’ di orecchio musicale). Non saranno il nutrimento ideale dell’anima ma riempiono la pancia e fanno allegria.




Le ricette della Signora Toku (An)

di Naomi Kawase. Con Kirin KikiMasatoshi NagaseKyara UchidaMiyoko AsadaEtsuko Ichihara Giappone 2015

Sentaro (Nagase) gestisce di malavoglia un piccolo chiosco dove prepara e serve i dorayaki (due pancake con in mezzo la marmellata an, fatta di fagioli rossi azuki). Una delle sue clienti è la studentessa Wakana (Uchida), che vive in un piccolo appartamento con la madre (Miki Mizuno) anaffettiva e riversa il suo bisogno di amore su di un canarino canterino. Una mattina si presenta da Sentaro la anziana signora Toku (Kiki), che, per un salario modestissimo, gli chiede di poter lavorare con lui, dicendogli che ha assaggiato i suoi dolcetti e ha trovato buono l’impasto ma immangiabile la marmellata, che lei sa fare molto bene. Sentaro rifiuta scortesemente – non si potrebbe permettere comunque di pagarla ed inoltre la donna è molto anziana e con le mani talmente rovinate da una specie di artrosi da non sembrare in grado di lavorare – ma lei gli lascia un contenitore con della confettura e lui, quando la assaggia, la trova buonissima. Comincia così la loro collaborazione e la Toku, dopo essersi indignata nello scoprire che lui usa una an industriale, gli impone di aprire il chiosco alle 5 del mattino perché la corretta preparazione della confettura è lunga e laboriosa (ai tempi di cottura si aggiungono le pause per ascoltare i segnali dei fagioli e per dare agli ingredienti il tempo di conoscersi e di amalgamarsi). I risultati sono immediati e i clienti si affollano entusiasti al chioschetto. Tutto sembra andare per il meglio ma arriva una visita della proprietaria (Asada) del chiosco, che gli intima di liberarsi al più presto della Toku: ha capito dall’indirizzo della donna – un sanatorio – che la malformazione alle mani è causata dalla lebbra e, anche se non è più contagiosa, se lo scoprissero, i clienti scomparirebbero immediatamente. Sentaro è disperato ma non può far nulla: in passato, in seguito ad una rissa che ha avuto gravi conseguenze, è stato in prigione – e la madre ne è morta di dolore – e quando ne è uscito, ha chiesto al marito della donna un grosso prestito, in cambio del quale lavora nel chiosco. Dopo poco si unisce a loro Wakana che è scappata di casa portandosi la gabbia del canarino, di cui la madre, in seguito alle proteste del condominio, voleva liberarsi. Sarà involontariamente la ragazza a dare notizia della reale natura della malattia della Toku e le vendite scendono precipitosamente. Sentaro non ha il coraggio di licenziare la signora ma lei capisce e, un giorno, dopo aver preparato l’ultima marmellata, scompare. Lui e Wakana – lei le porta il canarino che non può più tenere – la vanno a trovare nel sanatorio e lì conoscono la sua amica Yoshiko (Ichihara), anch‘essa malata, con la quale prendono il tè; la Toku racconta la sua storia: è stata ricoverata da quando era adolescente e lì ha conosciuto suo marito, è rimasta incinta ma i medici la hanno fatta abortire e solo dal 1996 – l’anno nel quale il Giappone ha riconosciuto ai malati di lebbra non contagiosi la libertà di andare in pubblico – ha potuto, ormai vedova e sola, uscire dal sanatorio. La padrona comunica a Sentaro che ha deciso di rinnovare l’attività, affidandola ad un suo nipote, lasciando a lui solo un angoletto per i dorayaki. Lui scompare e Wakana lo cerca disperatamente e lo trova, al colmo della depressione, vicino all’ospedale; insieme trovano il coraggio di entrare e Yoshiko comunica loro che la signora è morta e ha lasciato all’uomo che, con il lavoro, le ha dato gli ultimi momenti felici della sua vita i suoi attrezzi per la marmellata di fagioli e una lettera nella quale spiega quanto la solitudine e l’isolamento nei quali era vissuta le avessero consentito di cogliere i segnali delle cose e delle persone e che in lui, Sentaro, avesse sentito la profonda tristezza ma anche la possibilità di ritrovare se stesso.

Questo è l’ottavo film della Kawase ed è il primo che esce in Italia, grazie alla distributrice Cinema di Valerio De Paolis. Quasi tutti i film della regista – compreso questo che apriva la sezione di Un certain regard – sono stati presentati a Cannes (il primo Moe no suzaku ha vinto la Camera d’Oro nel 1997 e nel 2007 il suo Mogari no mori ha avuto il Premio Speciale della Giuria). E’ la prima volta che lei affronta la riduzione di un romanzo – An di Durian Segekawa (che aveva recitato in un suo film nel 2012) – e, rispetto alla sua tradizionale filmografia molto libera e personale, si trova a doversi confrontare con una trama confezionata. Il risultato è splendido: la poetica della natura, che le è così congeniale, fa da contrappunto ad un racconto di profonda commozione e ad una recitazione, in particolare quella dei due protagonisti, di grande efficacia. Non è facile immaginare l’esito al botteghino del film ma chi lo vorrà vedere avrà una gran bella emozione. Da sottolineare, infine, l’ottima qualità dell’edizione italiana gestita da Marzia Bistolfi.




11 donne a Parigi (Sous les jupes des filles)

di Audrey Dana. Con Isabelle AdjaniAlice BelaïdiLaetitia CastaAudrey DanaJulie Ferrier

Francia 2014

Jo (Dana) è a letto con il raffreddore e le mestruazioni ed ha disperato bisogno di sesso. Ysis (Geraldine Nakache), dopo aver accompagnato i quattro figli a scuola, porta di corsa la borsa che il marito (Gouillaume Gouix) ha dimenticato dalla stilista Lili (Adjani), dalla quale lui lavora. Lì ci sono anche Sophie (Audrey Fleurot), una donna sicura di sé ma – scopriremo – con una grande difficoltà a godere e l’occhialuta Ines (Marina Hands), moglie cornutissima – tutti sanno che il marito Jacques (Alex Lutz) ha una relazione con Jo, che è vicina di casa di Sophie, tranne lei – che sta per affrontare un intervento oculistico per correggere la forte miopia. La sorella di Lili, la ginecologa Sam (Sylvie Testud), passa un periodo di forte tensione nervosa, per placarla fa l’amore con robusti giovanotti ma è sempre in allarme; la sorella, a sua volta, teme che lei le dia la pillola alla figlia adolescente (Clara Joly): la figlia che comincia a fare sesso sarebbe per lei un segno del temutissimo arrivo dell’ età matura. Il marito di Ysis ha avuto una piccola storia con Adeline (Belaidi), segretaria-stagista-vittima della manager Rose (Vanessa Paradis), a capo della più importante società francese di sondaggi, la quale durante un intervista-scontro con un funzionario delle assicurazioni (Rodolphe Dana) si accorge di non avere amiche e incarica Adeline di rintracciargliene una. La segretaria, poco dopo, soccorre Fanny (Ferrier) – autista di autobus piena di tic con una piatta routine con il marito (Nicolas Briancon) – che, a seguito di una violenta testata ad un palo, comincia a mostrare segni di un insaziabile appetito sessuale. Ed ecco Agathe (Casta), amica di Jo, brillante avvocatessa ma con problemi con gli uomini, che è andata da un affascinante avvocato (Pascal Elbe) per un consulto – lei difende la madre di Adeline (Yvonne Gradelet) che ha ucciso il marito che per anni ha torturato psicologicamente lei e la figlia – e, innamoratasene all’istante, produce sonori gorgoglii di stomaco ed è costretta a scappare. Ysis e il marito vanno a cena fuori e al ritorno, al posto della solita baby sitter trovano la titolare dell’agenzia, la gay Marie (Alice Taglioni), la quale fa un’osservazione audace su di lei, che, turbata, si precipita in cortile e la bacia. Sam, nel frattempo ha saputo di avere un tumore e, di fronte ad un pericolo reale, trova una inaspettata forza d’animo con la quale affronta la sorella e le dice in faccia che deve farsi una ragione del tempo che passa. Ines, senza più gli occhialoni, scopre la tresca del marito e lo butta fuori casa; lui va a vivere con Jo e i due si esibiscono in mille pesanti smancerie erotiche davanti alla povera Agathe che vorrebbe rispondere alla coorte dell’avvocato ma teme le reazioni del proprio corpo – e infatti poco dopo a cena prima deve precipitarsi in bagno per vomitare e, quando lui la accompagna a casa, scappa sentendo stomaco ed intestini in subbuglio. Ysis inizia una relazione con Marie e lascia il marito (che crede che abbia scoperto la sua scappatella). Lili, disperata, decide di liberarsi di tutti i vecchi modelli della boutique promuovendo una colossale svendita. Fanny incontra per caso il divo James Gordon (Stanley Weber) – che tutti credono gay – e si accoppia con lui dietro un cespuglio dei giardini pubblici; Adeline e Rose, rivelando su whatsapp le proprie solitudini, diventano un po’ amiche; Ines manda i figli a rovinare il menage del marito e Jo e ci riesce benissimo; Ysis scopre che Marie è una seduttrice compulsiva e Agathe – dopo aver vinto brillantemente la causa – trova la forza per andare a letto con suo amato ma, per ansia, prima gli stacca quasi i capezzoli a morsi e quando lui le dice di amarla ha un attacco di meteorismo. Alla fine della svendita, Lilli, Sam, Marie, Fanny, Ines, Sophie, Adeline e Rose fanno festa in boutique e, ubriache, telefonano a Jo riempiendola di insulti e lei finisce in clinica per un attacco di nervi. Il giorno dopo è il compleanno di Ysis e lei teme di aver perso il marito ma riceve da lui un appuntamento a Place Trocadero e qui tutte le ragazze, d’accordo con lui, ballano e cantano per festeggiarla.

Audrey Dana è un attrice ben nota in Francia e, per la sua prima regia, ha messo insieme un bel po’ di star del cinema francese per una commedia allegramente licenziosa tutta al femminile ( un po’ come aveva fatto Dujardin co-dirigendo e producendo Gli infedeli) e il titolo originale – che , tradotto, recita Sotto le gonne delle ragazze – è già un programma. In Francia il film è andato bene, certamente anche per merito del nutritissimo cast, mentre da noi non ha particolare successo; è vero che la commedia non sempre è esportabile (tendenzialmente ciascun popolo ride delle proprie manie dei propri tic) ma questa è anche piuttosto slabbrata, appesantita – anziché aiutata – dalla presenza di tante dive, ciascuna delle quali deve avere, inevitabilmente, i suoi spazi di protagonismo. Nel 2003 Ozon fece un’operazione simile con 8 donne e un mistero ma la sceneggiatura – tratta dalla collaudata pièce di Robert Thomas – era solidissima e il cast (Deneuve, Huppert, Ardant, Darrieux tra le altre) ben più autorevole.




Loro chi?

51431di Francesco MiccichèFabio Bonifacci. Con Marco GialliniEdoardo LeoCatrinel MarlonLisa BorIvano Marescotti Italia 2015

Il cameriere David (Leo) porta il caffe nell’ufficio di un editor (Antonio Catania) e, all’improvviso, gli punta conto una pistola costringendolo ad ascoltare la lettura di un manoscritto autobiografico, dal titolo Loro chi?: qualche tempo prima lui, dopo aver pubblicato a proprie spese un romanzo rimasto invenduto – solo la zia (Patrizia Loreti) ne aveva acquistato una copia – si ritrova responsabile del marketing di una industria di congegni futuribili. Il Presidente (Marescotti) lo sfrutta pagandolo malissimo (1.300 euro) e gli ha promesso uno scatto di carriera ed un aumento a 1.700 euro se il lancio di un rivoluzionario aspiratore – del quale custodisce gelosamente la formula, nel timore che sia rubata dai cinesi – andrà bene. Il giorno prima della conferenza stampa, lui fa una prova generale alla fine della quale il capo lo tratta un po’ male ma viene accostato dal cameriere Marcello (Giallini), balbuziente e timido, che si congratula con lui e gli chiede di andare a bere una birra insieme (si dichiara molto impressionato dalla professionalità di David); alla fine della serata gli chiede di accompagnarlo da due splendide vicine, Ellen (Marlon) e Mitra (Bor), con cui lui non ha il coraggio di attaccare discorso. Le ragazze sono molto accoglienti e la serata promette bene ma al risveglio David si ritrova, solo e derubato di tutto, nella casa vuota. Si precipita alla presentazione ma ha dormito, sotto l’influsso di un potente sonnifero, due giorni, il lancio affidato al suo incapace e lecchino vice Melli (Vincenzo Paci) è stato una catastrofe e il Presidente lo licenzia in tronco; anche la fidanzata Cinzia (Susy Laude), che dalla sua denuncia ha saputo della notte brava, lo butta fuori di casa. Con qualche soldo e la macchina, elargiti dall’amorevole zia, David cerca, armato di martello, il barista causa della sua rovina. Questi sembra non essere mai esistito ma, quasi per caso, David viene a sapere che si esibirà quella sera con il fantomatico gruppo rock Loro. Nel locale tutti hanno la maschera di Marcello e lui sul palco canta accompagnato da Ellen e Mitra. Quando sta per raggiungerlo un gruppo di bikers suoi fan lo blocca ma lui ruba la moto del loro capo (G-Max) e lo raggiunge. Marcello, dopo aver minacciato il suicidio ed averlo minacciato con una pistola di cioccolata, prima si fa accompagnare a rubare una preziosa chitarra (ma è un falso), poi lo porta nella villa in cui vive con le due ragazze e lì gli propone di fare insieme un colpo con il quale lo risarcirà. I due vanno a Trani con una lussuosa macchina rubata e si fanno passare per un richiestissimo regista e produttore di fiction (Marcello) e il suo assistente (David) in cerca di una location per una lunga serie tv. Il sindaco (Uccio De Santis), sperando in un grande ritorno turistico, li ospita lussuosamente e il boss malavitoso locale promette loro dei sodi se faranno lavorare il figlio diplomato al Dams con una tesi su Kurosawa. Dopo un provino alla Bullitt, il colpo riesce ma David – che ha riavuto i suoi soldi – convince Marcello a fare il colpo grosso: rubare il brevetto dell’aspiratore e rivenderlo per 2 milioni ai cinesi. David si presenta, ubriaco e cencioso, al Presidente e gli dice che dietro la sua disavventura c’era un complotto dei cinesi. L’industriale, spaventato, lo riassume e, intanto, Marcello, fingendosi dirigente dei Servizi Segreti, prende il comando delle operazioni di difesa del server che contiene il brevetto, esautorando il capo della locale stazione dei carabinieri, il maresciallo Gallinari (Maurizio Casagrande). Il colpo riesce ma mentre i due compari scappano, due poliziotti sequestrano il server e Marcello (che ha sempre detto di preferire la morte al carcere) si getta da un dirupo. David disperato scappa ma…

Miccichè e Bonifaci sono entrambi alla prima regia cinematografica (il primo aveva in realtà già diretto un documentario sul padre, lo storico di cinema Lino) e vengono da storie professionali diverse: Miccichè ha al suo attivo varie fiction e Bonifaci ha scritto sceneggiature per comici importanti (Bisio, Luca e Paolo, Albanese, Siani). Si vede che nel film c’è la mano di due professionisti e tutto è piuttosto gradevole – merito anche del buon lavoro di casting della giovane Azzurra Martino, nipote del grande Luciano – anche se, rispetto alla grande tradizione che dallo Pseudulus di Plauto e l’Arlecchino servitore di due padroni (imperitura metafora dell’Italia politica) arriva al Mattatore e a Tototruffa ’62, manca l’ammiccante, ribalda complicità con un paese più furbo che serio ma genialmente consapevole dei propri limiti. Ce lo siamo meritato Alberto Sordi ma, stupidamente, ce ne siamo vergognati.




Gli ultimi saranno ultimi

di Massimiliano Bruno. Con Paola CortellesiAlessandro GassmannFabrizio BentivoglioStefano FresiIlaria Spada Italia 2015

Luciana (Cortellesi), operaria precaria in un’azienda di parrucche, vive ad Anguillara, vicino Roma, con il marito Stefano (Gassmann), bravo meccanico ma refrattario al lavoro e costantemente alla ricerca dell’affare che lo farà svoltare. In paese arriva il poliziotto veneto Antonio (Bentivoglio), trasferito per punizione perché in una sparatoria non ha reagito prontamente, lasciando morire il suo giovane partner. All’inizio del film vediamo lei, sconvolta e piangente che punta una pistola contro Antonio, raccontandogli la propria vita: qualche tempo prima, con l’aiuto del funzionario Finardi (Diego Ribon), aveva fatto assumere con un contratto di tre mesi la sua giovane amica Matilde (Lara Balbo) ma, quando rimane finalmente incinta – lei e il marito ci provavano da anni – la ragazza fa la spia e il capo del personale Saltutti (Francesco Acquaroli) non le rinnova il contratto. Gli amici – Rossana (Silvia Salvatori), Enzo ( Giorgio Caputo), Nadia (Emanuela Fanelli) e Adriano (Marco Giuliani) – li aiutano come possono: danno loro il corredo dei loro figli per il nascituro e le due donne, che condividono una piccola società di catering, la portano a lavorare con loro. Antonio, intanto, maltrattato da colleghi e superiori – difeso solo dalla sua nuova partner di lavoro Loredana (Maria Di Biase), anche lei triste e sola – si è sistemato in una camera in affitto (dai cui impianti igienici, come in tutto il paese, arrivano da pericolose e cancerogene antenne le trasmissioni di Radio Maria) e lì conosce – e se ne innamora – la parrucchiera Manuela (Irma Carolina Di Monte), che in realtà è un trans e si chiama Manuel ma lui non se ne accorge; sarà la madre (Ariella Reggio), che è venuto trovarlo, a rivelarglielo e lui, disperato per la figuraccia, la tratta malissimo. Le cose per Luciana vanno sempre peggio: Stefano ha perso i loro pochi risparmi in un affare sballato di sedie per un ristorante, il padrone di casa (Duccio Camerini) è comprensivo ma comincia a spazientirsi per la loro morosità, Finardi, che le aveva promesso di farla riassumere è sempre più sfuggente (l’azienda inoltre sta passando un periodo di crisi), quando la pancia è troppo evidente, i clienti la protestano e lei deve lasciare il catering. Una sera, dopo una lite accesa con il marito, lui se ne va e riamane fuori tutta la notte. Il giorno dopo c’è la Festa del paese e, mentre vaga, stanca e disperata alla ricerca di Stefano, Simona (Spada) la “collezionista” di uomini – che lei aveva sempre difeso dalle chiacchere malevole delle altre – la invita a casa sua per una sistemata gratuita ai capelli da parte di Manuela e lì lei trova l’accendino che aveva regalato a Stefano, che ha evidentemente passato lì la notte. Sola e disperata – anche il Professore (Franco Graziosi), vecchio amico del padre morto e suo fraterno confidente sembra avercela con lei – va come un automa alla fabbrica e, ignorando il divieto della guardia giurata Bruno (Fresi) – l’altro vigilante Ruggero (Augusto Fornari) come al solito dorme – gli ruba la pistola e va nella stanza dove Saltutti, l’Amministratore Delegato (Marco Falagusta) e la loro segretaria, signorina Graziosi (Alessandra Costanzo) sono in riunione. Parte un colpo di pistola che non colpisce nessuno ma Antonio che è lì vicino in macchina con Manuela, alla quale vuole riavvicinarsi, fa irruzione e…

Gli ultimi saranno gli ultimi nasce come lavoro teatrale, scritto da Massimiliano Bruno con Paola Cortellesi, Riccardo Milani e Furio Andreotti e la Cortellesi era sola in scena, interpretando tutti i personaggi; Bruno, per la sua quarta regia cinematografica, ha deciso di riadattarla; ovviamente alla protagonista si è aggiunto un ottimo cast e, almeno nella prima parte, ha accentuato i toni di commedia; lui si conferma un buon regista, la Cortellesi è molto brava e Gassmann continua ad essere in un buon momento ma qualcosa nell’operazione non funziona: la grande commedia all’italiana era caratterizzata, come questo, film, da buone regìe, attimi attori e caratteristi e una sottile capacità di far passare tra i sorrisi forti temi di attualità mentre qui la commedia ed il dramma sociale non si amalgamano, con il risultato di un piacevole ma altalenante ibrido narrativo.