1

A Corviale con l’Albergo delle Piante

Un intervento artistico nato dal basso per mettere in moto “relazioni non previste”.
Nella Cavea di Corviale, in via Mazzacurati, a novembre ha preso il via quello che per i due ideatori, Mimmo Rubino e Angelo Sabatiello, è prima di tutto un progetto artistico: l’Albergo delle Piante. Complice lo stato di abbandono dell’area, rimasta inutilizzata dopo la chiusura del mercato coperto, i due artisti hanno quindi pensato di “ripopolarne i gradoni” con delle piante. In circa sei mesi le scalinate si sono riempite di vasi e piante delle dimensioni più disparate.

“Vengo dalla Street Art ma assieme ad Angelo avevamo la volontà di fare un intervento che fosse partecipato – ci spiega Mimmo Rubino – Non siamo partiti con un atteggiamento moralista o con intenti sociali, ma come puro intervento artistico, non avevamo volontà di riqualificazione”. La conversazione con Mimmo spazia, e arriviamo a parlare della differenza tra questo intervento e la Street Art: “Spesso si arriva nei luoghi, si impone un progetto e non sempre si lascia qualcosa. Noi volevamo fare un intervento più sobrio, che mettesse in moto delle relazioni non previste. Ora ne gestiamo la comunicazione, ma il sogno è che diventi autonomo e che in un paio di primavere si riesca a lasciarlo crescere da solo”.

La sensazione, quando si entra nella Cavea per partecipare ad uno degli appuntamenti del mercoledì pomeriggio (puntuali perché alle 17 si serve il tè), è quella di trovarsi al centro di un palco, con tanti spettatori, le piante, che aspettano un gesto. “Il sogno è quello di arrivare a 300 alberelli in buona salute. Non vogliamo riempire completamente questo spazio ma mantenere il gusto da cortile – seguita Mimmo – I gradoni non erano riempiti e le piante, in qualche modo, fungono da segnaposto per le persone. Ci piacerebbe che qualcuno organizzasse eventi, magari musicali. Questo deve essere un cavallo di Troia per fare altro”.

Pur rimanendo un intervento artistico, è innegabile che questo progetto una funzione sociale la stia svolgendo. Fin da subito infatti è partita una collaborazione con la vicina Comunità di Convivenza, che fa capo alla ASL e al vicino Centro diurno di salute mentale. Gli ospiti della Comunità ogni mercoledì si intrattengono con i visitatori (che mai devono dimenticare di trovarsi in casa d’altri) mentre annaffiano e curano le piante. “L’intento – ci racconta la Psicologa Sara Paci – è quello di parlare e collaborare. Il mercoledì è diventato un momento di incontro e integrazione tra i ragazzi della Comunità, i cittadini e le altre realtà del quartiere. Una volta alla settimana parlano con tutte le persone che arrivano davanti alla loro porta, la convivialità è utile a tutti, figuriamoci in questo frangente”. Oltre alla comunità terapeutica, partecipa anche il CAG (Centro di Aggregazione Giovanile) del quartiere, assieme ad alcuni abitanti incuriositi dall’esperimento. “È difficile avere una partecipazione attiva – continua Sara – ma noi pensiamo che stare sul territorio con la nostra presenza continua costruirà sostegno e partecipazione”. Con i ragazzi della Comunità abbiamo parlato a lungo, come con L. che ci ha raccontato quanto sia bello uscire di casa e trovarsi tra queste piante: “Prima questo posto era grigio, adesso è più bello e si può condividerlo con gli altri”.

In media ogni mercoledì una ventina di persone partecipa alla cura delle piante, ma con l’arrivo dell’estate, ci confessa Mimmo, “vorremmo avere qualcuno ogni giorno, perché con il caldo avranno bisogno di maggiore cura”. In questi mesi sono stati rubati vasi, ma poco importa “pensiamo che se le portano via è perché le cureranno meglio di noi – spiega Mimmo – Ci piacerebbe arrivare a un vivaio a pieno regime, magari organizzando delle vendite per raccogliere fondi”.
Prima di andarcene L. non manca di indicarci un angolo della Cavea, lì un alberello è cresciuto facendosi strada attraverso un tombino: “Se cresce vuol dire che sotto c’è acqua – ci spiega – e questo mi dà speranza”.

link all’articolo




La Cavea di Corviale diventa “L’albergo delle piante”

Arrivano 300 alberi per contrastare il degrado e l’abbandono nella piazza del XI municipio.
Più che un giardino nel cemento o un progetto di riqualificazione – termine spesso abusato quando si parla di arte in periferia – più che la retorica del colore contro il grigio, “l’Albergo delle piante” è prima di tutto un luogo di partecipazione nato dove prima c’era il nulla.

La Cavea di Corviale, meglio nota come piazza del mercato, anfiteatro quadrangolare che nella visione dell’architetto Mario Fiorentino, artefice nel 1972 del controverso progetto architettonico, doveva essere una sorta di agorà, è una spianata di cemento a ridosso del “Serpentone” circondata da scalinate, fredda d’inverno e torrida d’estate. Fino ai primi mesi del 2015 ha ospitato, nello spazio interno sottostante, il mercato ortofrutticolo, poi chiuso. La piazza su cui si affacciano la comunità residenziale e il centro diurno del Dipartimento di Salute Mentale Roma XI era tornata nel degrado, nell’abbandono e nell’isolamento.

Almeno fino ad ottobre dell’anno scorso, quando Mimmo Rubino e Angelo Sabatiello, artisti dalla diversa formazione ma uniti dal comune desiderio di avviare un progetto creativo, partecipato, inclusivo e aperto, hanno portato il primo vaso nella Cavea e dato vita all'”Albergo delle piante”, un vivaio collettivo in cui tutti sono invitati a portare una pianta e contribuire al suo mantenimento. “L’albergo è un progetto orizzontale, aperto alle influenze e a possibili variazioni e variabili, proprio come una pianta spiega Rubino, street artist “stufo di interventi imposti” e desideroso di confrontarsi per un lungo periodo con un luogo e i suoi abitanti.

Ispirati dal pensiero del filosofo Leibniz, secondo cui viviamo nel migliore dei mondi possibili, l’Albergo è il “migliore dei giardini possibili”. Anzi, con un pizzico d’autoironia Rubino e Sabatiello lo definiscono “il giardino più bello di Roma”. E non sono gli unici a crederlo. Nonostante i mesi invernali, l’assenza di fondi e di permessi, e alcuni avventori che, soprattutto nel primo periodo, facevano sparire le piante (“non usiamo il termine rubare – sottolinea Rubino – speriamo che se le siano portate a casa e le stiano curando meglio di come potremo fare noi”), il vivaio sta generando un piccolo miracolo. Sta riattivando il posto.

Ogni mercoledì, alle 5, gli ospiti della comunità aprono la struttura per un tè. Al momento conviviale, un allegro caos, settimana dopo settimana si aggiunge una nuova presenza. Dai ragazzi del centro di aggregazione giovanile (Cag) “Luogo Comune” dell’Arci di Corviale, a residenti del complesso popolare; ma ci sono anche esterni, incuriositi dal progetto che si avvale di una efficace campagna di comunicazione su Facebook. C’è chi porta una pianta, chi porta qualcosa da mangiare, chi, come Dario Guerrentini “er Poeta de Corviale”, porta una poesia.

“Avevamo provato in passato ad aprire la struttura al pubblico – spiega Alessandra Sabbatini, operatrice della comunità residenziale – ma alle nostre feste non partecipava mai nessuno. E’ bello vedere che oggi i pazienti vengono accettati e non stigmatizzati. E’ la dimostrazione che, insieme, si può fare qualcosa di bello. Fino a poco tempo fa i ragazzi venivano qui solo per tirare pietre contro le finestre, mentre oggi quando s’incontrano si salutano e scherzano insieme”, conclude.

Sono proprio i dieci pazienti ospiti nella struttura i principali soggetti impegnati nella manutenzione del vivaio. “Non è facile, le piante sono tante ed è un grosso lavoro, abbiamo solo un tubo per l’acqua, quindi dobbiamo riempire i secchi e farci il giro di tutta la Cavea”, racconta Enrico, da due anni ospite del centro, che confessa di essere un po’ preoccupato per l’arrivo della calura estiva. Ai ragazzi del centro di aggregazione invece è affidato “l’incubatore”. Nel loro cortile, non distante dalla Cavea, si prendono cura delle piantine prima che siano forti abbastanza da essere portate nella destinazione finale.

L’obiettivo finale è quello di riempire la piazza di piante. Oggi sono 80, ma il progetto, per definirsi concluso, ne dovrebbe ospitare 300. “Non abbiamo imposto regole, ma ci atteniamo ad un ‘manuale di stile”, spiega Sabatiello, già artefice di altri interventi di arte pubblica “verde”. “Non compriamo piante, devono essere tutte in vaso e non devono superare l’altezza di un uomo, in modo da non interferire con l’architettura del luogo e poter essere spostate facilmente in base alla stagione”.

“Il sogno è che chiunque possa venire qui a coltivare il proprio giardino, magari stimolare anche un po’ di competizione per chi ha la pianta più bella – aggiunge Rubino – e soprattutto che continui a vivere senza la nostra presenza quotidiana. Siamo consapevoli delle alte possibilità di fallimento del progetto, ma non ci importa. La vera opera d’arte è la partecipazione. E se
un giorno qualcuno del posto ci verrà a dire di interrompere il progetto perché la Cavea serve per altri scopi, anche quello sarà un successo. Vorrà dire che avremo creato un luogo di vita in cui il quartiere possa incontrarsi e identificarsi”. Intanto la prima conquista in questo senso è stata raggiunta. Digitando “Albergo delle piante” su Google Maps si viene dirottati proprio alla Cavea di Corviale, tra via Poggio Verde e via Mazzacurati 23.

link all’articolo




Street Art, Arte Pubblica e periferie

Si discuterà di periferie, con un riferimento specifico alla realtà romana e al ruolo dell’arte nei processi di rigenerazione, riqualificazione, valorizzazione dei quartieri.
Secondo appuntamento primaverile per i Martedì critici. Questa volta si parlerà di Street art, Arte Pubblica e periferie, introduce Tiziana D’Acchille, Direttore Accademia di Belle Arti di Roma.

Servizi carenti, marginalità sociale, microcriminalità, disoccupazione, assenza di luoghi dedicati alla cultura, mobilità limitata ed enormi distanze dal centro: le periferie e i quartieri popolari, spesso, sono anche questo. E sono però, in molti casi, contesti di grande vitalità ed energia potenziale, in cui ha senso seminare e immaginare nuovi scenari. Durante l’incontro si proverà a capire come e con quali strumenti intervenire, tra pratiche dal basso, formule indipendenti, progetti strutturati a livello del sistema (con tanto di avallo istituzionale e coordinamenti curatoriali).

Ad introdurre il tema, sarà un video – prodotto da I Martedì Critici – realizzato a novembre 2015 durante il III Festival di Poesia di Strada, tra le vie del Trullo. Subito dopo ci si concentrerà sulla vicina realtà di Corviale, quartiere difficile, noto per il mitico “Serpentone”, struttura abitativa nata con ambizioni sperimentali e presto rivelatasi una trappola, un fallimento architettonico. A Corviale, Mimmo Rubino, aka Rub Kandy, e Angelo Sabatiello hanno avviato un progetto esteticamente, poeticamente e concettualmente incisivo, con una forte vocazione sociale. L’Albergo delle Piante, pensato per la piazza di cemento a gradoni dell’ex Marcato, nasce grazie alla collaborazione del locale CAG – Centro di Aggregazione Giovanile Luogocomune (Arci Solidarietà), del Centro Diurno ASL ROMA – Struttura Residenziale psichiatrica socio-riabilitativa, della Biblioteca Comunale di Corviale e dei cittadini del quartiere.A raccontare di questa esperienza saranno Rubino e Sabatiello, in presenza della Dottoressa Ester Stocco, direttrice del Centro Diurno di Corviale per malati con disturbi psichiatrici.

A questo si aggiungeranno le testimonianze di Lorenzo Canova, critico e storico dell’arte, e di Simone Pallotta, curatore in un’altra periferia romana – quartiere San Basilio – del progetto di Street Art SANBA, in cui si sono incontrati qualità artistica, progettualità, coerenza stilistica e un tentativo di radicamento nel tessuto sociale di riferimento.

Vademecum

Martedì 12 aprile ore 17.30
Accademia di Belle Arti di Roma, Aula Magna Via Di Ripetta 222
INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI
Curatori: Alberto Dambruoso, Helga Marsala
Info: +39 339 7535051
info@imartedicritici.it

link all’articolo




L’Albergo delle Piante a Corviale

Artisti, giardinieri e visionar.
C’è un posto, a Roma, che sta cambiando pelle. Un’immensa piazza a gradoni, tutta vuota e di cemento, in cui sta sbocciando un giardino. A prendersene cura sono i ragazzini del quartiere e i pazienti di un centro psichiatrico. Quando l’arte pubblica funziona: un nuovo esperimento a Corviale.
L’UTOPIA INFRANTA DI CORVIALE
L’Albergo delle Piante è un posto che non c’era. E che forse non ci sarà mai davvero: non in un senso convenzionale. Un’utopia discreta, sbocciata là dove un’impalcatura utopica, quarant’anni fa, aveva trovato il suo fallimento.
Siamo a Roma, lungo le linee oblique di una delle tante periferie urbane. Corviale, isola di disagio e cemento, è un luogo in cui la solitudine è diventata ghetto, e in cui il brutto, il disarmonico e il marginale sono ormai orizzonte estetico. Un codice, uno stile, un modello al contrario.
Qui il sogno di Le Corbusier si è dissolto. Le sue “unità d’abitazione”, moduli abitativi perfetti e conclusi, si sono incarnati – per mano dell’architetto Mario Fiorentino e del suo team – nel monolitico “Serpentone”, un gigantesco manufatto edile che ricorda per certi versi una prigione. Un chilometro di lunghezza, 9 piani di altezza, più garage e seminterrato, per 1.200 appartamenti e circa 5.000 inquilini. Un mostro metropolitano.
L’Albergo delle Piante nasce qui, in quella che chiamano Cavea, o piazza dell’ex Mercato. Nelle intenzioni del progettista lo spazio della socialità e dell’incontro – quando il popolo dei residenti si fa comunità – avrebbe dovuto compiersi in forma d’agorà: una grande piazza grigia in calcestruzzo, pensata come un anfiteatro irregolare. Ma nell’incastro possente dei gradoni, nella vasta arena centrale, la sfida non si è mai compiuta. La piazza di Corviale è rimasta metafora di quel fallimento sociologico e architettonico: un vascello fantasma, un tempio inutile, una piattaforma disabitata, senza funzione né storia, senza logica né futuro. Un teatro privo di spettatori.

RIPOPOLANDO UNA PIAZZA. TRA PIANTE E PERSONE
È qui che Mimmo Rubino (meglio noto come Rub Kandy) e Angelo Sabatiello hanno deciso di intervenire. Inventando un giardino: indipendente, autogestito, partecipato e progressivo. Così, nell’estate del 2015, insieme agli ospiti della locale Struttura Residenziale psichiatrica socio-riabilitativa, diretta da Ester Stocco, e ai ragazzi del Centro di Aggregazione Giovanile “Luogo Comune”, hanno iniziato a costruire la loro utopia botanica.
Come? Piazzando su quelle gradinate delle piante a vaso, donate dai residenti. Lentamente, vaso dopo vaso, sfidando intemperie, diffidenza, furti, assenza di fondi. “Per noi forse non è altro che la riproposizione del ‘Or tutto intorno una ruina involve’, dove candidamente ciascuno può coltivare il proprio giardino”, ci ha spiegato Angelo. “Il decumano con le due gradinate è un contenitore ideale, soprattutto per il suo orientamento nello spazio; e, last but not least, le finestre dei ragazzi del Centro di Salute Mentale si affacciano proprio su questo spazio”.

Un tentativo di rigenerazione urbana, rispettoso del contesto ma intenzionato a rimetterlo in discussione. Dal basso, senza fretta, quasi costruendo le premesse per un incantesimo corale. Nessun intervento che stravolga, nessuna invasione o decorazione: si tratta solo di mettere in piedi un giardino-vivaio, lì dove avrebbero dovuto sostare ragazzi e anziani, casalinghe e lavoratori; lì dove una strana energia potenziale continua a muovere l’immaginazione.
Al centro ci sono la natura, l’idea di comunità, la bellezza inattuale del dono, il concetto di responsabilità sociale, la volontà di riscattarsi e di riscattare. Piante, luoghi, persone, architetture, e poi i pazienti reinventatisi custodi e giardinieri: il sentimento del possibile diventa tensione visionaria, contagiosa. Tra realismo e desiderio.
Spiega Mimmo: “L’intervento prevede di collocare delle piante a vaso sugli spalti, disposte come persone. Tutte le piante devono poter vedere il centro della cavea, viceversa dal centro della cavea si devono vedere tutte le piante. La densità delle piante non deve essere così alta da impedire l’utilizzo degli spalti da parte delle persone. Le piante non devono diventare così grandi e pesanti da non essere più liberamente spostate, la loro collocazione non deve dunque diventare permanente e monumentale, ma sempre rapportata alla dimensione umana”. Il tutto nel massimo rispetto della tanto vituperata architettura del luogo: “Piante troppo grandi o strutture permanenti potrebbero interagire in maniera negativa col progetto architettonico della piazza, che si intende valorizzare, non cancellare o snaturare”.

IL GIARDINO PIÙ BELLO DI ROMA. ARTE PUBBLICA CHE FUNZIONA
A loro piace chiamarlo, un po’ per gioco, un po’ per passione o per provocazione, “il più bel giardino di Roma”. Fatto con niente, fatto insieme alla gente. E concepito in termini di opera d’arte. Perché se la vocazione sociale emerge con evidenza, altrettanto forte è la connotazione estetica, formale. Una grande scultura a cielo aperto, un’installazione mai chiusa, un oggetto e insieme un processo. Ma soprattutto una maniera per dimostrare come si dà corpo a un sogno, come all’improvviso balena un’altra luce, come si disegnano vie di fuga dentro una prigione-quartiere. In altri termini, arte pubblica che funziona.
“Il progetto è sperimentale”, aggiunge Mimmo, “nel senso che è aperto, non scritto, esposto al sole, all’aria di mare e alle intemperie, e crescerà solo se il terreno è buono. In questo senso è ad alto rischio fallimento e lo abbiamo messo in conto, cercando di farne un vanto metodologico”. Progettare l’utopia, con tutto il suo portato d’incertezza e di bellezza: una sana contraddizione.
“Non abbiamo vinto bandi, non abbiamo committenti, non abbiamo doveri di consegna, non abbiamo previsto finanziamenti. Si tratta di una visione, con uno slogan tipo IKEA che dice ‘Qui sorgerà il più bel giardino di Roma’: assurdo e possibile. È un lavoro di comunicazione, in cui facciamo leva sull’identità, fomentiamo il senso di appartenenza, attacchiamo porta a porta e chiamiamo a raccolta tutti i giardinieri visionari…”.

Ogni mercoledì Mimmo e Angelo organizzano dei rendez-vous presso il Centro Socio-riabilitativo. Due chiacchiere, una tazza di tè, un po’ di tempo da spendere insieme, le piante da pulire, annaffiare, controllare. Così si procede, tessendo relazioni. “Stiamo cercando di coinvolgere più cittadini possibile”, spiega Angelo. “Per questo metteremo a punto una serie di azioni da svolgere con tutti coloro che sono coinvolti, inclusi gli anziani del quartiere e i bambini delle scuole primarie. La biblioteca di Roma Renato Nicolini ha già collaborato con un annuncio, ‘Terre dal mondo a Corviale’, rivolto a tutti i suoi tesserati, invitati a raccogliere durante i loro viaggi un pugno di terra dei luoghi visitati: tutta la terra è stata messe in un grande vaso, poi donato all’Albergo”.

GENERARE O RIQUALIFICARE?
“Gli amici ci prendono in giro, dicono che siamo diventati freakettoni, ma effettivamente le piante hanno una loro energia”, commenta Mimmo. Un’energia così speciale da invertire l’ordine costituito, da spezzare la routine dell’abbandono e dell’abuso. “L’altro giorno”, aggiunge, “ho riso di gusto quando un ragazzino del quartiere, commentando il furto di alcune piante, mi ha detto: ‘Certo che a ruba’ ‘na piantina so’ boni tutti, annasse a fa ‘e rapine’”. Ironia e arguzia, cambiando prospettiva. E certo le hanno rubate le prime piante, com’era prevedibile. Ma il quartiere, piano piano, ha scelto da che parte stare.
È allora in questo senso – tutto sociale e culturale – che è possibile parlare di riqualificazione? Forse sì, forse è l’unico senso possibile, al di là delle varie retoriche sul degrado, sui servizi che mancano, sul cemento che inghiotte. E su tutte quelle cose che l’arte non può cambiare. Riqualificare: magari è solo un termine di tendenza, dietro cui si nascondono trappole, scorciatoie, mode curatoriali, furberie amministrative. Perché si riqualifica innanzitutto con la politica (quella seria), con gli investimenti, con le strategie culturali. Di certo non con l’arte che semplicemente decora. E si riqualifica – per davvero – partendo dall’identità dei territori.

“Sinceramente la parola riqualificazione”, spiega Rubino, “rispetto alle energie e alle connessioni che per fortuna sono nate, ci sembra quasi dispregiativa. Non ci compete, perché contiene un giudizio rispetto a un posto che invece a noi piace, a prescindere. In ogni caso è una parola che cerchiamo di evitare, perché quaggiù puzza di ‘istituzionale’. Mentre noi più che a quelli del Comune somigliamo all’Armata Brancaleone”. E infine: “Quando Google Maps ha messo la bandierina su l’Albergo delle piante ci siamo emozionati: è bello pensare di dar vita a un luogo che non c’era”. Arte che non riqualifica i luoghi, ma li genera. E siamo già un passo più in là.
Così, mentre la Regione Lazio stanzia 9 milioni e mezzo di euro col bando d’architettura Rigenerare Corviale, due giovani visionari ci provano a modo loro. Senza un soldo, con discrezione. E intanto covano altre sfide – eventi, incontri, concerti – da far fiorire nel nuovo giardino. Con una regola sola: tutto è possibile. Nella luce metafisica di una periferia, lungo una distesa di cemento, l’utopia si compie a partire da un bastimento di piantine: e poi furono le persone – passanti, residenti, vecchi, matti, sognatori, ragazzini – e poi ancora saranno il senso delle cose comuni e la speranza di cambiare i propri destini, i propri luoghi. Ed è già la più struggente delle rivoluzioni.

link all’articolo




A Corviale nasce l’Albergo delle piante

Stare insieme nel segno del verde.
Un giardino condiviso all’interno di una piazza per riappropriarsi di un’area comune dove incontrarsi e stare insieme. E’ l’Albergo delle piante nato a Corviale, il palazzone grigio che si estende per un chilometro nella periferia ovest di Roma, grazie all’iniziativa di Mimmo Rubino e Angelo Sabatiello. (Video – Foto)

“L’obiettivo – spiegano gli artisti volontari – è quello di riempire di piante tutta la scalinata della Piazza del Mercato e rendere lo spazio bello e verde per goderne insieme in momenti di relax”. Un’iniziativa che nasce dal basso, che cerca la collaborazione degli abitanti del posto e di tutti i cittadini che vogliano offrire un contributo, un’opera collettiva che ha l’obbiettivo di ridare vita a un’agorà poco sfruttata in cui il quartiere possa incontrarsi e identificarsi.

Camelie, cactus, alberelli di limone o ortensie. Ogni tipo di pianta donata dai cittadini o portata dagli stessi volontari, è bene accolta. “Anche se a dire il vero – spiega Angelo – l’idea sarebbe quella di fare un piccolo vivaio pubblico di piante officinali perché la zona è bene esposta e si presta”. A prendersene cura, gratuitamente, sono principalmente gli ospiti della Comunità terapeutica Cism Asl Roma D, che si affaccia proprio sulla Cavea. E, due mercoledì al mese, insieme a Mimmo e Angelo offrono tè caldo, dolci e simpatia a chiunque voglia andare a fare due chiacchiere. Ma chiunque abbia il pollice verde o la passione per il giardinaggio è invitato a partecipare.
Portare avanti il progetto in un quartiere come Corviale tuttavia non è sempre semplice. “Fino a un mese fa – dice Mimmo – le piante erano quasi il triplo ma qualcuno, simpaticamente, ha deciso di portarsele a casa. Ma del resto era messo in conto, anche questa è una forma di partecipazione. Comunque contiamo, in primavera, di averne più di prima”. E chiunque volesse dare una mano può cercare su Facebook l’Albergo delle piante, pubblicizzare l’iniziativa, contattare i volontari e offrire il proprio aiuto.

link all’articolo