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Alla base delle Social Media Relations stanno sensibilità, curiosità, flessibilità, capacità di interpretare i cambiamenti ancor prima che essi avvengano. I Social Media racchiudono in sé, con tutte le loro sfaccettature, pregi e difetti della società contemporanea. E allora la grande sfida è riuscire a interpretarli, gestirli giocando un ruolo di primo piano (noi, Social Media Manager, aziende, utenti) per essere capaci di sfruttarne le infinite potenzialità senza rimanere incastrati nei tranelli in cui è facile incappare se non se ne conoscono bene i meccanismi.
I Social Media come espressione della Modernità Liquida
Estremizziamo. Se i Social Media rappresentano la “liquidità” della società contemporanea (Cfr. Zygmunt Bahuman), non ci sono più confini spazio-temporali: e allora anche l’attività del Social Media Manager non deve porsi limiti, perennemente sospesa in una tensione innovatrice, dialogante e “esperienziale”.
Eppure esiste un modello che riassume bene le principali azioni e linee guida che ogni azienda, società, organizzazione che si vuole promuovere deve seguire sui Social Media. Michele Rinaldi nel suo “Social Media Relations” parla di “Modello ASP” (Ascoltare, Stimolare, Presidiare), che trovo riassuma perfettamente le linee guida chiave di ogni Social Media Strategy che si rispetti.
1. Ascoltare, prima di parlare
Ci dicevano così i nostri genitori, ricordate? Grande lezione, quella, una specie di mantra che ogni Social Media Specialist è bene tenga in mente ogni volta che si mette al computer, smartphone, tablet. Prima di dire la nostra, dobbiamo sapere cosa gli altri dicono di noi. Qualsiasi attività di social media marketing non può prescindere da una costante attività di ascolto web. Conoscere per governare la Brand reputation, sapere cosa pensano di noi i nostri acquirenti (attuali, ma soprattutto potenziali), i nostri competitors, gli influencer.
Dove ascoltare?
Sui social (da Facebook a Twitter, passando per Pinterest e Instagram, finendo con YouTube: anche le immagini e i video dicono moltissimo di come siamo percepiti), nei Forum e Blog, sulle testate online specializzate.
E poi?
Si creano nuovi spunti di comunicazione
Si modula il piano editoriale anche sulla base di ciò che interessa alla rete
Si decide se rispondere, se “entrare nella mischia” e provare a tirare fuori il meglio dalle occasioni offerte dall’attività di altri profili social.
Guardate per esempio cosa è successo quando l’account Twitter di Citroen Italia ha twittato una grafica che rappresenta “la formula del parcheggio perfetto”. Un’azione social corale, geniale proprio perché spontanea, per la quale si meritano un applauso i team social di Citroen, Smart, Martini, San Carlo e Sanbuca Molinari.
2. Stimolare: lo storytelling, l’esperienza, la condivisione.
Dimenticate il marketing tradizionale. La distinzione tra consumatore e produttore. Nel web 3.0 l’utente diventa un po’ produttore, un po’ consumatore di contenuti. O meglio, è l’una e l’altra cosa contemporaneamente. La sua esperienza del Brand e la narrazione che ne consegue sono il fulcro attorno a cui ruota ogni attività di comunicazione.
Così, oltre a monitorare quanto gli utenti prosumer (producer + consumer) dicono delle aziende, queste ultime devono a loro volta creare nuove occasioni di comunicazione grassroots, dal basso. Per non subire ciò che gli utenti dicono di loro, devono portare il pubblico 3.0 a parlare per loro. A costruire storie insieme: lo storytelling diventa allora il linguaggio che crea esperienza tra Brand e cliente, e condivisione e esperienza diventano le parole chiave.
L’azienda diventata Brand si fa narratrice – insieme al prosumer – di tante storie ed esperienze che vengono condivise sui social media, attraverso una strategia precisa. La comunicazione diventa orizzontale e democratica.
Come applicare lo storytelling?
Ecco alcuni spunti:
Raccontare il prodotto: i suoi protagonisti, la sua storia, il backstage (inteso in senso lato, come tutto ciò che di solito “non si vede” e che costituisce valore aggiunto), i suoi segreti.
Raccontare storie che siano credibili, ingegnose, veloci, di forte impatto, facilmente riconoscibili e memorizzabili. Soprattutto, devono essere in linea con ciò che il nostro target crede, senza dare l’impressione di rivolgersi a tutti indistintamente: chi ci legge o “guarda” deve percepire che, attraverso quel racconto, il Brand sta parlando esclusivamente a lui e alla sua “community”, alle loro passioni, al loro modo di interpretare la quotidianità.
Mettere il prosumer nelle condizioni di raccontare la sua esperienza con il Brand nella quotidianità.
Case history: Nutella con la campagna #noilamattina.
Aiutare, grazie al know how proprio dell’azienda, il prosumer “in difficoltà”.
Case history: Barilla e #SOSPasta (ma attenzione agli #epicfail)
“Ingaggiare” (perdonatemi per l’odiata parola, ma proprio l’italiano e le sue sfumature non riescono a rendere ciò che l’inglese fa egregiamente con “engagement”) l’utente e creare contest social ad hoc in cui il Brand chiede al prosumer di condividere conoscenze, esperienze, passioni.
Case history: #KLMIOCERO
3. Presidiare: una strategia social a tutto tondo
Abbiamo parlato di ascolto web e storytelling. Ma nessuna di queste due attività avrebbe senso senza che il brand abbia prima costruito una strategia social a tutto tondo, che comprende il target di riferimento, un piano editoriale diversificato e redatto secondo scadenze temporali predefinite, il tone of voice e il piano di crisis management.
I Social Network, in una parola, vanno costantemente presidiati. Parliamo a un pubblico definito secondo le strategie di marketing e comunicazione dell’azienda, applichiamo la tecnica dello storytelling postando contenuti che mettano al centro l’utente e la sua esperienza con il Brand, ci inseriamo in Community già consolidate (forum, blog, newsgroup, gruppi sui social network, etc) e ne creiamo una nostra.
Dunque?
La nostra Community ora dobbiamo mantenerla, nutrirla, allargarla. E con essa la nostra online reputation.
Due azioni meritano di essere approfondite in tal senso: la risposta ai commenti (negativi) e il coinvolgimento degli influencer.
Social Media Epic Fails: come evitarli?
Se non seguite già questa pagina Facebook, fatelo. Vengono postati ogni giorno i cosiddetti “social media epic fails”, anche conosciuti come “il più grande incubo dei Social Media Manager”. A volte basta pochissimo, una disattenzione di troppo, poca sensibilità sull’argomento, per finire tra i “fallimenti” addirittura “epici” sui social media.
Come evitarli?
Rispondendo ai commenti con sensibilità e intelligenza. Famoso è il caso di Patrizia Pepe, brand di abbigliamento italiano, che ha suscitato 950 commenti negativi in 7 giorni.
Senza mai cancellare i commenti negativi, saranno gli altri utenti a difendere il brand (se il brand è stato capace di costruire dei fan reali)
Evitando di rispondere con i metodi della comunicazione tradizionale, rimandando a uffici informazioni, numeri verdi, siti internet: se siamo stati raggiunti attraverso un tweet, un commento Facebook, i nostri interlocutori si aspettano una risposta diversa, immediata, smart: social.
Tenendo sempre bene in mente che contenuto, strategia, trasparenza, dialogo sono le armi vincenti.
Coinvolgere gli influencer
Mantenere viva la vostra community e tenere alta la brand reputation può essere più facile con l’aiuto, che ci saremo guadagnati con azioni mirate, dei cosiddetti influencer e opinion leader (sì, il mondo delle Social Media Relations è pieno zeppo di neologismi e anglicismi che farebbero rabbrividire qualsiasi purista della lingua italiana. Forse dovremmo un po’ tutti “sciacquare i panni in Arno, ma questo è un altro discorso).
Sono persone (ebbene sì!) che, il più delle volte aprendo un blog (o un canale Youtube, o un account su Instagram) si sono costruite credibilità e influenza riguardo al tema specifico di cui scrivono, commentano, fotografano, recensiscono. “Là fuori” (o dovremmo dire “là dentro?”) è pieno di food blogger, fashion blogger, wine blogger, travel blogger, solo per citare alcune delle aree più popolate in tal senso.
E a noi, azienda che si è fatta Brand, e social, non rimane che coinvolgerli. La loro Community, infatti, è spesso molto ampia, assidua divoratrice di contenuti e instancabilmente alla ricerca dei prodotti-che-poi-sono-esperienze di cui parlano i loro blogger di riferimento.
Il nostro obiettivo diventa coinvolgerli e, ça va sans dire, fare in modo che parlino (bene) del nostro Brand.
Come?
Pur senza voler troppo generalizzare, ricordiamoci che il blogger è persona credibile (specialmente agli occhi della sua Community), egocentrico, appassionato e curioso di conoscere tutte le novità riguardanti il suo ambito d’azione. Ancora meglio se in anteprima.
Una buona azione di digital PR non può prescindere da tre elementi chiave:
I blogger non sono giornalisti: per raggiungerli non vanno adottati metodi di tipo tradizionale. Mai inviare comunicati stampa in maniera indiscriminata. Molto meglio contattarli uno per uno, farli sentire importanti, coltivare la loro passione in relazione al nostro prodotto.
Come i nostri fan, anche per i blogger è importante vivere il Brand come esperienza. Chiediamoci, prima ancora di capire cosa possono fare loro per la nostra campagna, che tipo di esperienza possiamo offrire affinché poi ne possano parlare (bene) sui suoi canali social e sul suo blog.
Anche per i blogger, Content is the king: forniamo loro contenuti interessanti, e facciamolo in anteprima.
Benché agiscano prevalentemente online, i blogger sono persone, non dimentichiamolo. Invitiamoli a eventi dal vivo, conosciamoli, interagiamo con loro anche nella vita offline.
Così abbiamo creato le basi per una strategia social. Ora, però, sarà fondamentale che i vostri contenuti siano visibili e che raggiungano il vostro target: entriamo nel campo del Social Media Marketing.