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Niente baci per Cenerentola
di Rohena Gera. Con Tillotama Shome, Vivek Gomber, Geetanjali Kulkarni, Rahul Vohra, Divya Seth Shah India, Francia 2018
Ratna (Shome) è una giovanissima vedova e, nel piccolo villaggio in cui vive, le si prospetta un’esistenza di stenti e isolamento. Decide di andare in città a fare la cameriera e va così a vivere dal giovane costruttore Ashwin (Gomber), che, a un passo dal matrimonio, ha appena lasciato la fidanzata che lo aveva tradito; la madre (Seth Shah) cerca invano di convincerlo a ripensarci mentre la altezzose sorella Nandita (Dilnaz Irani), convinta che con la servitù ci vogliano modi spicci, dà secche disposizioni a Ratna. Ashwin è stato in America (voleva diventare uno scrittore) e ha assunto molte caratteristiche occidentali: nel lavoro si impone al padre (Vohra), adottando criteri di costruzione più moderni ed ecologici e con Ratna e l’autista Raju (Akash Shina) è gentile ed educato. Ratna lavora sodo e riesce a mandare ogni mese dei soldi al paese perché la sorella Choti (Bhagyashree Pandit) possa studiare e fare una vita diversa dalla sua e ha un sogno: diventare stilista; con il permesso di Ashwin frequenta un corso di cucito e, quando lui le regala una macchina da cucire, per riconoscenza gli confezione una camicia come dono di compleanno. Ratna ha un’amica, Laxmi (Kulkami) anche lei cameriera, che l’accompagna nelle compere e, talora, le confida l’amarezza per come viene trattata dalla famiglia presso cui lavora. Una mattina Ratna, rientrando in casa, vede uscire dalla camera da letto di Ashwin una ragazza (Ahmareen Anjum) in un succinto abito da sera e ci rimane un po’ male. Con il suo Sir il rapporto è rispettoso ma cordiale: talora si confidano i rispettivi sogni e, una volta che lei era andata ad aiutare la sorella di Ashwin che dava un party, lui l’aveva difesa dagli insulti di quest’ultima perché, senza colpa, le aveva versato del vino sul vestito. Choti, a pochi mesi dal diploma, le comunica che lascia gli studi e che sta per sposarsi; lei cerca di dissuaderla ma invano: appena sposati si trasferiranno anche loro a Mumbai e la ragazza non vede l’ora di lasciare il paese. Ratna si impegna a confezionarle l’abito per le nozze ed entra, per prendere ispirazione, nell’elegante boutique della creatrice Sabina (Rashi Mal) che, vedendola povera, la fa scacciare. Ha avuto tempo, comunque, di guardare un abito e di copiarlo per la sorella. Durante la cerimonia lei, come vedova, si deve tenere in disparte e dopo pochissimi giorni torna al lavoro. Un giorno Ashwin che – ricambiato – si è innamorato, la bacia; lei risponde al bacio ma, riavutasi, gli spiega (mentre lui le chiede di non chiamarlo più “Sir” ma con il suo nome) che il loro amore, se dichiarato, li esporrebbe al ludibrio generale e che, per la famiglia di lui, lei sarebbe rimasta la serva da disprezzare Lascia il lavoro e va a viver nella modestissima casa di Choti. Dopo poco le arriva una telefonata di Sabina che, sollecitata da Ashwin, le chiede di vedere l’abito che ha confezionato per le nozze e, apprezzatane la fattura, la assume. Di lì a poco un’altra telefonata…
E’ naturale (e forse un po’ provinciale) di fronte al primo lungometraggio di un’autrice indiana pensare alla prima regista star di quel paese: Mira Nair. Certamente la Nair ha aperto la strada ma i loro percorsi sono diversi: entrambe (inevitabilmente) provenienti da famiglie benestanti, hanno in comune una attenzione all’occidentalizzazione dell’India progredita e uno sguardo attento sugli usi sugli usi del proprio Paese ma, mentre la prima (che ora vive a New York) li racconta con una sorta di ironico distacco, la Gera – che viene da un lavoro di sceneggiatrice di film “bollywoodiani” (Un pizzico d’amore e di magia, Un padre per mio figlio) – nelle sue prime due regie si pone in modo più critico: satireggia i tic delle donne indiane della classe media nel documentario What love got to do with it? e in Sir, sia pur in una cornice di storia d’amore, sottolinea la permanente divisone in caste di un Paese che, sulla carta, la avrebbe abbandonata da decenni. Lei, nelle interviste (in particolare a Cannes dove il film è stato ben accolto nella Semaine de la Critique) dichiara di essersi ispirata in parte al riflessivo Wong Kar Wai (e, in particolare, a In the mood for love) più che alla Nair; aggiunge di aver fortemente contrastato l’ipotesi della produzione di usare un’attrice bollywoodiana nota e ha avuto ragione: la espressiva Tillotama Shome rende tutte le sfaccettature di un personaggio complesso e ce ne fa emotivamente partecipi. Di lei e della regista sentiremo ancora parlare.
(Antonio Ferraro)