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Per anni abbiamo detto che il PIL non è l’unica unità di misura del benessere.
Ora scopriamo che la società di pubbliche relazioni Portland insieme a Facebook ha compilato un ranking delle nazioni in base al loro soft power ossia l’appeal culturale (una volta si sarebbe detto il trend) che riescono ad avere nel pianeta globalizzato.
Il primo paese è risultato – merito di BBC, Beatles, Oxford, Shakespeare, James Bond, Premier League – la Gran Bretagna e ultimo, incredibile a dirsi, la Cina nonostante la sua enorme potenza economica e politica.
E l’Italia? solo dodicesima nonostante le sue tante bellezze, la cucina, la moda, la Ferrari e così via.
Leggiamo l’analisi di Marino Niola in “La storia non basta se non è social” sulla Repubblica del 22 luglio:
“Per avere soft power bisogna investire in soft culture…la nostra è rimasta sostanzialmente una hard culture, fatta di luoghi fisici e oggetti materiali. E molto meno di relazioni, di innovazioni, di start up, di reti social…la rivoluzione digitale…ha cambiato…le categorie di spazio e di tempo. Oggi per costruire la reputazione di un paese…una buona idea che diventa virale può valere più di una cattedrale…il web…fa schizzare a mille l’immagine di un popolo”
Concludiamo con Habermas: la “percezione definisce la realtà”