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Scusate l’interruzione

Diario Europeo n. 34

Ci eravamo salutati con questo augurio: “Diario europeo” tornerà in ‘edicola’ agli inizi di Settembre. Augura ai lettori e alle lettrici un buon riposo e buone letture. La velocità degli accadimenti, la loro crudezza mi spingono a interrompere il “riposo” dei lettori e delle lettrici. Lo farò, scusandomi della interruzione solo parziale. Non interromperò, infatti, le loro “buone letture”, proponendovene una coerente con il tempo della prova che stiamo vivendo. E ricorrendo ad un nostro comune amico e maestro: il filosofo Roberto Esposito, che i lettori e le lettrici conoscono attraverso le tre puntate di ‘Diario’ su: “Una filosofia per l’Europa”.

Il 20 luglio, dunque, Roberto Esposito – docente di filosofia teoretica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa – ha scritto un articolo dal titolo: “Brexit, Nizza ed Ankara: la fatica di capire”, che ‘Diario europeo’ desidera aggiungere alle vostre buone letture estive.

Perché facciamo tanta fatica a capire quel che sta accadendo? Forse perché i fatti di queste settimane, dalla Brexit, alla Turchia fino al terrore di Nizza e a quello del treno in Germania, così diversi tra loro, nella portata, negli effetti e nelle cause, hanno un punto in comune: “i fatti” di queste settimane non sono più quelli di una volta. L’idea stessa di “fatto” o di avvenimento è tale (diventa tale) perché riusciamo ad inserirla in una cornice di pensiero più o meno consolidata.

Ora quella cornice che ha retto la seconda parte del Novecento non c’è più. L’Inghilterra che ha salvato l’Europa decide di lasciarla, possiamo assistere in Turchia a quello che è stato un golpe democratico contro una democrazia autoritaria, possiamo vedere dei terroristi che non hanno più un rapporto forte con un’ideologia, folle e totalitaria, ma la prendono a prestito, in leasing, per poche settimane, mettendo in gioco il loro corpo, la loro vita.

Ad essere più sotto attacco è quello che abbiamo chiamato a lungo “vecchio mondo” – Europa e Medio Oriente, da Lisbona ad Ankara, passando per Parigi e per Londra. Certo, in America il nuovo potrebbe presto annunciarsi con il profilo, non proprio rassicurante di Trump. Ma finora i sussulti che la scuotano sembrano venire da lontano, dalle viscere del secolo scorso. Dall’Alabama a Dallas, in una storia che ha visto alternarsi Ku-Klux-Klan e Black Panthers, segregazione razziale e Martin Luther King. Sono fantasmi di ritorno di un antico conflitto, apparentemente sopito, ma in realtà sempre strisciante sotto le ceneri dell’integrazione.

In Europa, invece, con la sua propaggine anatolica, il mutamento ha le sembianze di un vero cataclisma. A collassare, prima dei confini geopolitici, sono le categorie che hanno segnato in profondo l’intero orizzonte della modernità fino a ieri. Proviamo a mettere in fila gli eventi: Brexit, Nizza e Turchia sono tre onde d’urto che, a distanza di qualche giorno, vanno sconquassando il paesaggio storico e mentale che abbiamo a lungo percepito come nostro.

Brexit. E’ vero che il Regno Unito non è mai stato il Paese più europeista. E’ vero che la sua opzione atlantica è antica quanto l’opposizione simbolica tra terra e mare. E’ vero insomma che la Gran Bretagna non ha mai smesso di sentirsi Isola – fieramente autonoma dal Continente. Ma è anche vero che il vascello che negli anni Quaranta del secolo scorso ha salvato l’Europa dai suoi demoni interni rompe gli ormeggi, salpando verso destinazione ignota. Ignota per l’Europa, che perde un suo pezzo per molti versi insostituibile, insieme alla sua maggiore potenza militare. E ignota anche al suo equipaggio, che ancora guarda, smarrito, la terra da cui si stacca senza sapere a quale porto approdare.

Nizza. Certo, si è trattato dell’ultimo colpo di una deriva terroristica in atto da almeno quindici anni. Ma anche di un salto di qualità di una furia distruttiva che lascia senza parole. Non solo per la ferocia ottusa del terrorista, ma anche per la anomalia delle sua figura. Inassimilabile sia a quella, ormai scomparsa, del partigiano, sia a quella del soldato della fede. Diversa dall’una e dall’altra, la sua sagoma si perde nell’insensatezza assoluta della morte per la morte. Se si pensa che l’attentatore ha fatto un numero di vittime pari a quelle prodotte dal gruppo di fuoco organizzato al Bataclan con un camion noleggiato per poche centinaia di euro, lo scarto appare netto. L’escalation nichilista senza paragoni. Tale da rendere ancora più spettrale il panorama che abbiamo di fronte e più indistinto il nemico da combattere.

Infine la Turchia. Nel golpe dell’altra notte – vero o falso che sia: le due cose nella società dei nuovi media si accostano sempre di più – va in frantumi una categoria alla quale, almeno in Occidente, eravamo particolarmente affezionati –quella di democrazia liberale. Dobbiamo abituarci a pensare che questi due termini non vanno necessariamente insieme. Che può esistere, a est del Bosforo, una democrazia illiberale e anzi decisamente autoritaria. Non troppo diversa, del resto da quella russa con cui da tempo è in concorrenza nella stessa area. Dobbiamo constatare che una tale democrazia può inglobare, funzionalizzandolo al potere del suo capo, perfino un putsch militare. Il quale anche, del resto, si è richiamato alla democrazia. Come democratici sono presentati dai seguaci di Erdogan i mezzi repressivi impiegati in queste ore alla luce del sole e nel buio dei sotterranei.

Ce n’è abbastanza per dire che un intero universo concettuale sta andando in pezzi. Nessuno dei parametri validi fino al secondo Novecento funziona più nella globalizzazione e nella politica della vita e della morte. Dove i corpi umani sono usati come bombe esplosive e il web appare l’unico spazio praticabile del confronto pubblico. Tutto ciò non può non allarmare. Ma, se vogliamo rispondere efficacemente alla sfida in atto, dobbiamo attrezzarci a modificare rapidamente il modo di rapportarci al nostro tempo – di affrontare le sue minacce e di adoperare le sue risorse.

Mentre scrivo, riportando fedelmente l’analisi e lo sforzo intellettivo del filosofo, impegnato a dare un senso a questo nostro tempo, “Diario europeo” apprende ancora l’ultima ma non ultima notizia di attacco terrorista (?), questa volta, nel cuore della Germania. Monaco di Baviera, attacco in un Centro commerciale; dieci morti e feriti gravi, l’attentatore (?) – un diciottenne tedesco di origine iraniana -si suicida.

L’epidemia da “ansia globale” continua. Mi sovviene la confessione di qualche giorno fa di Beppe Severgnini: “Certi dibattiti televisivi sembrano una riunione di naufraghi sulla spiaggia dopo la tempesta: solo il trauma subìto giustifica la pochezza della discussione. Noi giornalisti sapremo trovare un ruolo?” Potrà apparire una banalità, ma dal quadro emerge, con una forza e una evidenza mai così limpide, la necessità dell’Europa, coesa, unita, attrezzata, forte, affidabile, rassicurante, reattiva. Il ripiegamento su se stessi degli Stati nazionali è la nota, ben nota e sperimentata, cecità dei sonnambuli.

  • L’articolo di Roberto Esposito è stato pubblicato in “la Repubblica del 20 luglio 2016
  • La citazione di Beppe Severgnini è tratta da: “Il torrente dei fatti in diretta mondiale ci prende e trascina tutti. Dove porta?” (in ‘Corriere della sera’ del 17 luglio 2016).
  • L’evocazione dell’epidemia da “ansia globale” è tratta da: “L’avvento dell’ansia globale” di Ugo Tramballi, in ‘ Il sole 24 ore’ del 17 luglio 2016.

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