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Accordo tra tribunale, Comune e Dap per accogliere in una casa le carcerate di Rebibbia e i loro figli. Pronte 2 palazzine dell’Eur sottratte alla criminalità organizzata.
“Finalmente parte “Antimafia Capitale”. È felice Francesca Danese, l’assessore minacciata, l’assessore sotto scorta, l’assessore “del mondo di sotto” come lei stessa si definisce. È felice perché “lo avevo promesso quando accettai questo incarico. Avevo giurato che avrei tirato fuori i bambini dal carcere: e ora, grazie a un giudice coraggioso come Guglielmo Muntoni, grazie alla sua determinazione e alla sua forza, ecco che questo sogno diventa realtà”. Manca solo la Delibera di giunta, infatti, perché all’assessore Danese, all’assessore alla Legalità Alfonso Sabella, in collaborazione con il Dap, vengano assegnate due ville di 500 metri quadri l’una, circondate da un giardino, che ospiteranno le donne con bambini oggi detenute insieme ai loro piccoli nel carcere di Rebibbia.
Perché insomma diventi realtà, per la prima volta in Italia, la Legge 62 del 21 aprile 2011 che prevede non possa essere applicata la misura del carcere alle donne che hanno figli di età inferiore ai sei anni. E che gli arresti domiciliari possano essere scontati in una struttura protetta. O in un Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri): e di Icam invece ce ne sono soltanto due, uno a Milano e uno a Venezia. Una legge arrivata dopo lunghe battaglie per accendere l’attenzione sul problema: come fece la giornalista Luisa Betti, qualche anno fa, realizzando un documentario toccante girato proprio nel carcere di Rebibbia, Il carcere sotto i tre anni di vita. “Sono felice perché voglio dare segnali positivi alle organizzazioni e alle associazioni oneste e per bene che lavorano a favore degli ultimi” continua Francesca Danese. “Queste due strutture saranno seguite direttamente dall’amministrazione: non accadrà più quello che si è visto negli ultimi anni. Ci sarà un monitoraggio costante”.
Il giudice Guglielmo Muntoni, a capo della III sezione del Tribunale penale di Roma che si occupa delle misure di prevenzione, non solo ha ideato ma si è anche battuto per firmare un Protocollo d’intesa con Regione, Comune, Abi, Confindustria, Confcommercio, Camera di commercio pur di mettere a frutto i beni mobili e immobili sequestrati e confiscati alla criminalità. La sua sezione (composta di tre giudici) che gestisce beni per oltre un miliardo di euro, 250 aziende e 800 immobili, farebbe qualsiasi cosa pur di metterli a frutto: e forse un po’ meno le maglie burocratiche della troppo spesso borbonica macchina amministrativa comunale, visto che sono settimane che si attende una firma perché la cosa diventi operativa. “Eppure questa giunta, questa amministrazione, il mio assessorato e questo sindaco stanno lavorando per velocizzare il più possibile i percorsi burocratici – amministrativi” spiega l’assessore Danese. “Anche perché io voglio passare subito allo step successivo.
C’è un problema molto serio rispetto alla nuova povertà: sempre più romani perdono il lavoro e poi la casa, perché non riescono a pagare l’affitto o il mutuo. Ci sono lise d’attesa per la casa con famiglie che aspettano anche da anni. Ci sono studenti fuori sede che troppo spesso finiscono con contratti a nero. Ci sono i senza fissa dimora. A questo voglio pensare”. In attesa di firme e timbri, dunque, non si può che gioire per quei piccoli che, se solo si guardano le immagini del documentario di Luisa Betti, fanno stringere il cuore. Un’infanzia dietro le sbarre, bambini costretti ad alzare gli occhi verso il cielo senza mai poter spaziare con lo sguardo.