Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone
Una Piattaforma al servizio di una comunità interessata a sviluppare uno spazio di discussione virtuale e a divulgare idee e pratiche connesse al tema della RIGENERAZIONE DELLE PERIFERIE E SICUREZZA URBANA
Obiettivo del laboratorio: una riflessione comune che muova dalla pluralità dei contesti sociali e dalle legittime aspirazioni e necessità dell’uomo, coinvolgendo coloro che progettano lo spazio, coloro che lo governano e coloro che lo abitano, anche attraverso forme innovative di condivisione con gli utenti; a pieno diritto la periferia si pone come una delle realtà più complesse e difficili.
Responsabili: Marella Santangelo, Maurizio Geusa
Periferie: Rigenerazione o manutenzione Urbana ?“La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro”Una premessa per comprendere meglioLegge di stabilità 2016[1] ha istituito il “Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia, finalizzato alla realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate attraverso la promozione di progetti di miglioramento della qualità del decoro urbano, di manutenzione, riuso e rifunzionalizzazione delle aree pubbliche e delle strutture edilizie esistenti, rivolti all’accrescimento della sicurezza territoriale e della capacità di resilienza urbana, al potenziamento delle prestazioni urbane anche con riferimento alla mobilità sostenibile, allo sviluppo di pratiche, come quelle del terzo settore e del servizio civile, per l’inclusione sociale e per la realizzazione di nuovi modelli di welfare metropolitano, anche con riferimento all’adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali ed educative promosse da soggetti pubblici e privati.” Per la predisposizione di tale Programma, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha indicato, con apposito bando, le modalità per la trasmissione dei progetti nonché ha precisato con Decreto i criteri per la valutazione dei progetti, tra i quali la tempestiva esecutività degli interventi e la capacità di attivare sinergie tra finanziamenti pubblici e privati.Sempre per l’attuazione di tale Programma, e’ stato istituito un «Fondo per l’attuazione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie», per il quale è stata autorizzata la spesa di 500 milioni di euro per l’anno 2016.
Il caso di Roma Capitale
Nel caso di Roma, l’intera vicenda delle scelte progettuali, per la partecipazione al bando, è stata gestita dai Dipartimenti dell’Urbanistica e delle Periferie con qualche timida richiesta ai Municipi. Ciascuno dei due Dipartimenti ha selezionato tra i progetti disponibili senza esprimere, a nostro avviso, una visione strategica complessiva, senza un coinvolgimento dei Cittadini se non altro del Terzo Settore come per altro indicato nella stessa legge istitutiva del Programma. E’ mancata la valutazione preliminare di quali fossero le aree urbane caratterizzate da situazioni di marginalità economica e sociale, degrado edilizio e carenza di servizi sui quali orientare le proposte progettuali; carenza di visione strategica che si riscontra anche nella mancata utilizzazione della quota del 5% delle risorse dell’investimento per la “predisposizione di piani urbanistici, piani della mobilità e studi di fattibilità o per la costituzione di società pubblico/private e/o interventi di finanza di progetto, investimenti immateriali, marketing territoriale e anche formazione”. A nostro vedere, tali scelte ci appaiono come tampone di basso profilo utilizzato per il completamento di manutenzioni, incurie e in assenza di una visione strategica della città. Queste scelte non sembrano imprimere azioni di rilancio e di promozione delle qualità ambientali, culturali, produttive e sociali presenti nei territori.La lettura della Città rimane periferica e come tali restano le Periferie.Si tratta, quindi, di sviluppare un percorso che traguardi l’obiettivo di una più ampia riflessione. Un percorso che produca modalità e contenuti di un “Piano di azione per le periferie”. Un “Piano di azione” da estendere con le medesime regole all’intera città tenendo conto delle specificità e delle vocazioni rilette attraverso indicatori sociali ed economici, come chiesto per altro dal bando nazionale Un “Piano di azione” da sviluppare attraverso il coinvolgimento più ampio degli stessi residenti entro la primavera del 2017. Consideriamo il “Piano di azione” non tanto un ulteriore sovrastruttura normativa, quanto piuttosto una nuova modalità di azione della pubblica amministrazione che rimette i cittadini attivi al centro delle trasformazioni e individua azioni e progetti .La sintesi che si può trarre, da questo approccio urbanistico-economico, è che non sono sufficienti le sole regole urbanistiche per raggiungere una qualità urbana diffusa e migliorare le condizioni socio economiche degli abitanti. Infatti, se la crescita della città dettata dalle regole urbanistiche sull’uso del suolo ha generato quartieri senza qualità come continuare a pensare che sempre attraverso regole urbanistiche si riesca a produrre qualità?L’esito concreto di questi Programmi complessi e della grande attenzione da parte dell’urbanistica alla periferia mostra oggi il suo limite. Il limite, come detto, è rappresentato proprio da un approccio ancora monodisciplinare. I semplici meccanismi del mercato governato dalle regole urbanistiche sull’uso del suolo non riescono a fornire risposte in termini di miglioramento delle condizioni di vita delle periferie. Un limite che non ha tenuto conto di quanto i fenomeni di marginalità della periferia investono molteplici discipline e secondo molteplici profili andavano affrontati.Da ciò la necessità di un approccio integrato e a carattere interdisciplinare che investa diverse specializzazioni. Dove gli abitanti con i loro bisogni quotidiani sono rimessi al centro dell’interesse chiudendo così la fase della “sedazione” dei conflitti che di volta in volta emergono. Portare dentro all’approccio interdisciplinare il committente-cittadino è fondamentale perché cambia anche la scala economica del progetto. Agire in condivisione, condividere spazi e azioni di trasformazione non sono solo idee ma anche ormai pratiche dell’architettura e dell’urbanistica con riscontri a livello internazionale come ha dimostrato la Biennale Internazionale di Architettura di Venezia ancora in corso.I quartieri realizzati a Roma negli anni settanta come Corviale, Tor Bella Monaca, Laurentino, Vigne Nuove e molti dei Piani di Zona per Edilizia Residenziale Pubblica, rappresentano casi esemplari di impianti urbani modernisti in cui la forma degli spazi pubblici rimane residuale rispetto alla prevalente specializzazione delle singole funzioni. Infatti, le residenze, i servizi, il verde, le strade e i parcheggi si aggregano tra di loro senza realizzare luoghi in cui gli abitanti possano identificarsi e riconoscere come propri. In questo contesto morfologico si aggiunge la concentrazione di rilevanti quote di patrimonio residenziale pubblico destinata a soddisfare la domanda abitativa sociale non tenendo in conto le dinamiche sociali di chi ci andrà a vivere, per altro a causa del basso turn over si registra in questi quartieri una accentuata concentrazione di anziani. In questo modo si genera una separazione per categorie sociali che si estende a caratterizzare l’intero quartiere, fino a generare una classificazione mentale degli abitanti.I primi due casi presi in esame dal coordinamento e da sottoporre ad una discussione pubblica sono quello di Corviale e quello di Tor Bella Monaca da affrontare. In quanto questi sono i due più grandi complessi di edilizia residenziale pubblica a Roma. Si caratterizzano per il rilevante numero di abitanti. Corviale con 6.500 abitanti riverbera i suoi effetti sui 50.000 residenti nel quadrante. Tor Bella Monaca con 24.000 abitanti distribuiti su circa 200 ha. Un numero di abitanti che potrebbe far assumere a questi quartieri la dignità di centri urbani autonomi. In questi contesti la significativa dimensione del patrimonio pubblico, alloggi, aree e attrezzature, presente nei due quartieri diventa il primo elemento di criticità.A questa significativa dimensione del patrimonio pubblico le Amministrazioni pubbliche non sono state in grado di assicurare adeguati standard di gestione, manutenzione e sicurezza. In altre parole si è prodotta una distanza culturale fra la Regione e i centri amministrativi di ATER e di Roma Capitale che ad oggi non colgono le specifiche esigenze e le peculiari potenzialità dei due quartieri. La carenza di manutenzione, il degrado delle parti comuni degli edifici pubblici e il “lasciar fare” delle gestioni sia comunali che regionali rappresentano l’aspetto esteriore di una più seria e grave carenza di fruizione degli spazi urbani. La mancanza di luoghi identitari finisce per connotare l’intero quartiere. Le amministrazioni hanno preferito “non vedere” diventando esse stesse parte del problema.A fronte e per reazione di questa distanza culturale con i centri amministrativi, si è sviluppata una rete di associazioni e presenze attive sul territorio che oggi rappresenta, oltre che una generica risorsa, il primo attore del processo rigenerazione urbana.Dunque, è necessario ripartire dalle esperienze di azione maturate nei territorio e cogliere i caratteri propositivi di una vera e propria vertenza territoriale che si manifesta con percorsi e azioni definite dalla quale creare una concreta cooperazione per sostenere le spinte innovative dando sponda necessaria ed indispensabile alle sollecitazioni.Gli interventi di rigenerazione urbana richiedono il coordinamento di numerose competenze tecniche, amministrative e di coesione sociale. In primis, il ripristino di sicurezza e di legalità parte dal rispetto delle regole,dove le Istituzioni e la società civile si riappropriano del territorio. Il coordinamento dovrà farsi carico di allineare i diversi soggetti pubblici coinvolti nella gestione del patrimonio, nella gestione dei cantieri, in modo da districare tutti quei passaggi amministrativi che hanno reso, fino ad oggi, faticosa ed inefficace l’azione di recupero per il perseguimento degli obiettivi previsti dalla rigenerazione urbana.Il coordinamento deve accompagnare il riconoscimento delle azioni, la pianificazione e l’attuazione delle attività sociali, culturali, produttive e di recupero ambientale che sono state individuate come fattibili nelle fase di analisi e programmazione approvata con il progetto di partecipazione.Forti di questa esperienza la proposta che si avanza è quella di concentrare in un’unica figura supportata da un coordinamento delle Istituzioni e dei diversi soggetti interessati tutte le competenze attinenti all’area urbana di Corviale e di Tor Bella Monaca tale che siano definite funzioni e ruoli decisionali. Intenzione che era stata esplicitata dalla stessa Regione Lazio nel progetto “Rigenerare Corviale” a cui però non è stato dato seguito. Resta fermo che a queste scelte ratificate deve corrispondere in primo luogo un atto ufficiale assunto nelle sedi istituzionali proprie, programmato e scadenzato fino alla completa realizzazione.Al termine del percorso seminariale intendiamo presentare un atto amministrativo in cui, preso atto delle esperienze maturate, nel constatare quanto l’intreccio delle competenze finisce per paralizzare l’amministrazione, si propone l’individuazione di un soggetto unico per ciascun ambito territoriale con forti poteri di coordinamento e sostitutivi in caso di inerzia.Quindi, è necessaria una modifica del modello organizzativo da ratificare con uno specifico provvedimento deliberativo. Tale provvedimento deliberativo dovrà essere focalizzato sui compiti attribuiti al coordinamento e sul suo ruolo gerarchico nei confronti delle competenze diffuse. Infatti i continui richiami a ruoli e funzioni ricoperti da parte dei soggetti coinvolti e senza comunicazione tra di loro, fanno perdere di vista la possibilità di azione comune verso l’obiettivo della rigenerazione urbana.
Sicurezza urbana: lo spazio della pena e la relazione con la cittàIl riconoscimento del tema dello spazio del carcere, non solo in termini quantitativi, ma ancor più qualitativi, è divenuto centrale; è legittimo affermare che dove non c’è attenzione agli spazi della pena in generale non c’è neppure attenzione alla dignità del detenuto, alla sua rieducazione e al suo reinserimento sociale.Il tema della qualità dell’istituzione detentiva e del percorso di recupero di coloro che lo abitano è strettamente collegato a quello della sicurezza dei cittadini (Horizon 2020), trasformare la pena in un percorso di riabilitazione e reinserimento nella società significa, come dimostrano i dati e le statistiche, maggiore sicurezza e abbassamento della recidiva. Il percorso può avvenire se e solo se è legato alla volontà comune al mondo penale di affrancarsi da quello penitenziario come unica soluzione al concepimento e all’esecuzione della pena; ecco che il sistema dei luoghi in cui ciò avviene è fondante, la modificazione degli spazi, interni ed esterni, e una loro diversa configurazione e concezione rappresentano passaggi assolutamente necessari. In materia di sicurezza la UE punta, nel rispetto della privacy dei cittadini e sostenendo i diritti fondamentali, allo sviluppo di nuove tecnologie per combattere la violenza e per innescare processi alternativi alla detenzione con alti margini di garanzia.Uno dei principali obiettivi è la reinterpretazione progettuale del carcere come attrezzatura centrale della città e della società in relazione alla dimensione dell’abitare, al vivere collettivo e alla costruzione della forma urbana, questo passa per la riscrittura dei criteri centrali su cui basare gli interventi di progetto da realizzare. Ripensare i luoghi urbani del disagio e le attrezzature civili, il carcere, in relazione ai criteri di benessere sociale e ambientale, quegli stessi che animano la programmazione della ricerca europea e che puntano a creare sinergia tra scienza e società, significa ripartire dalle condizioni di vita dei ristretti.