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Questione di Karma

I forzati della commedia

di Edoardo Falcone. Con Fabio De LuigiElio GermanoDaniela VirgilioValentina CenniMassimo De Lorenzo Italia 2017

Giacomo (De Luigi), è un ricco quarantenne che, traumatizzato dall’aver assistito da bambino al suicidio del padre, dedica tutta la sua esistenza a studi esoterici, nella speranza di poter ritrovare il genitore reincarnato. All’azienda di famiglia, un’industria di matite, provvedono Fabrizio (Eros Pagni), il secondo marito di Caterina (Stefania Sandrelli) – la svampita mamma di Giacomo – e la loro figlia di secondo letto Ginevra (Isabella Ragonese). Le ricerche di Giacomo sembrano avere una svolta decisiva quando trova il testo dell’eminente studioso Ludovico Stern (Philippe Leroy) che sostiene di poter individuare le generalità di coloro nei quali i defunti si sono reincarnati; lui, però, ora si è ritirato in un paesino ma l’ostinato Giacomo lo stana e lo costringe a rivelargli il nome della reincarnazione del papà. Stern, che se ne vuole liberare per mangiarsi in santa pace il maiale con patate che la governante gli ha preparato, butta lì una città e un nome: Roma e Mario Pitagora. Giacomo avvia le ricerche e trova il Mario Pitagora (Germano) che vive a Roma. Lo insegue e lui, che vive di espedienti ed è pieno di debiti con persone losche, scappa a gambe levate; quando lo raggiunge e gli rivela il motivo per cui lo cercava, Mario se ne libera credendolo un matto, per finire subito dopo nelle grinfie dell’Antiquario (Corrado Solari), uno strozzino che gli ha prestato parecchi soldi per affari strampalati (tipo una fornitura di giubbotti anti-proiettile per i curdi rimasta in cantina) e ora lo minaccia; Mario promette di trovare entro un mese 120.000 euro e torna a casa. Qui le cose non vanno meglio: viene fermato da Ernesto (De Lorenzo), un portantino vicino di pianerottolo, che gli ha dato mesi prima 3.000 euro da investire e ora li rivuole e, a casa, viene ignorato dai figli e trattato con disprezzo dalla moglie Serena (Virgilio), stanca della sua inconcludenza. Quando rincontra Giacomo e, andando nella sua villa, si accorge di quanto sia ricco ed ingenuo, Mario capisce che la sua vita può avere una svolta. Va così avanti a stoccatine continue di qualche migliaio di euro, con quei soldi restituisce i 3.000 euro al vicino e cerca, invano, di comprarsi la stima della moglie e dei figli con qualche regalino. I due ormai sono inseparabili e Giacomo confida al neo “padre” di essere innamorato di una cameriera, Alessandra (Cenni), che guarda da lontano mentre serve i clienti. La famiglia di Giacomo è preoccupata da quei costanti salassi e decide di chiedergli di rinunciare alle sue quote dell’azienda in cambio di un vitalizio. Mario è riuscito a convincere il timido Giacomo ad andare al ristorante nel quale lavora Alessandra ma, mentre sono al tavolo, arriva la telefonata di Fabrizio che ricorda al figliastro (al quale era totalmente passato di mente) che lo stanno aspettando con il notaio per la cessione. Mentre si precipitano alla riunione Mario convince Giacomo a non cedere nulla, mantenendo l’attuale tenore di vita. Alle proteste dei familiari, lui risponde che dal quel momento intende occuparsi della ditta. Così fa e, via via, lui e Ginevra cominciano a conoscersi (erano sempre vissuti in mondi separati) e a stimarsi (lui vede quanto lei lavori e lei si accorge che lui ha delle doti inaspettate). Mario che aveva rifiutato le profferte dei parenti di Giacomo, viene malmenato dagli scagnozzi dell’Antiquario, che lo minaccia di morte e, messo alle strette, promette di portare 150.000 euro in una settimana. Per metterle insieme dice a Giacomo di avere una malattia mortale e lo porta in ospedale dove Ernesto, fingendosi primario di cardiologia, conferma la diagnosi, aggiungendo che l’unica possibilità di salvezza è un luminare di Cincinnati il cui onorario è di 150.000 euro. Giacomo cede immediatamente le sue quote a Fabrizio per quella somma e si precipita a casa di Mario per consegnarli l’assegno. Qui, intanto, Serena ha trovato la falsa diagnosi e, credendola vera, commossa e pentita cambia registro con il marito; Mario trova così una famiglia felice ed unita ma, di lì a poco, arriva in pigiama e ciabatte Ernesto, che improvvisa una visita urgente. Serena si insospettisce e, appresa la verità, caccia di casa il marito. Per strada Mario rifiuta l’assegno e confessa all’amico di essere un cialtrone senza speranze. Dopo qualche tempo Giacomo, che è rimasto in azienda assunto dalla sorella (che aveva litigato con il padre, accusandolo di essersi ignobilmente approfittato dell’ingenuità del figliastro) e ha sposato Alessandra, incontra Mario e, per riconoscenza gli dà l’assegno che ha sempre portato con se. Mentre lui s’allontana, i killer dell’Antiquario gli sparano e lui cade a terra ma ben presto si rialza: aveva indosso il giubbotto dei curdi.

Questione di Karma si è trovato, inaspettatamente, al centro di un dibattito sul proliferare nel nostro mercato di commedie di non eccelsa qualità; la tesi, in buona sostanza è che a differenza di quanto predicava Billy Wilder, i nostri autori e i nostri produttori si accontentano di abbozzare una situazione e su quella costruiscono un intero film , sostenuta qualche giorno fa sul Corriere della Sera da Paolo Mereghetti che, tra l’altro, afferma: “Non basta immaginare che per sfuggire a chi li vuole morti i due musicisti testimoni del massacro di San Valentino si travestano e si uniscano a un’orchestra femminile in viaggio per la Florida: dopo quell’idea ce ne vogliono molte altre, tutte capaci di «far suonare le campane» come sosteneva Billy Wilder, per fare una commedia che sia una gioia per gli occhi e per la mente.”. Aggiunge il Mereghetti che, oltre ad essere di scarso valore artistico, queste opere da tempo non raggiungono incassi soddisfacenti. Tutto vero (ovviamente – e non è il caso dell’articolo in questione – purché non ci sia un aprioristico rifiuto della commedia tout court, per ragioni miserevolmente snobistiche) ed è una deriva che da queste righe da tempo osserviamo: il sistema di finanziamento del cinema finisce con il premiare le commedie come unico genere di film spendibile in buona collocazione televisiva e come fruitrici del cosiddetto tax-credit (la detassazione di capitali esterni investiti nel settore): a differenza del cinema d’autore,  una commedia, comunque, qualche incasso e qualche punto di share televisivo lo porta e quindi l’investirvi è assai meno rischioso. Tutto questo avviene in un sistema impazzito che ogni anno produce oltre cento film in un mercato che, in ogni caso, ne regge molti meno e che quindi non può che affollare l’unico genere con qualche speranza di rientro.  Ora non è che il secondo (le opere seconde si sa…!) film di Falcone sia un concentrato di tutti i mali del nostro cinema ma certo ha parecchi errori: non si ride quasi mai, la storia si dipana stancamente con qualche errore sintattico (il maiale con le patate ripetuto in sottofinale deve avere un qualche sviluppo, se no che senso ha?), De Luigi ripete il suo eterno personaggio e Germano (che sembra tornato alle ingenuità recitative degli esordi con i Vanzina) riprende il carattere che aveva interpretato in Suburra. Unici veri pregi il ritrovato Eros Pagni – al quale dobbiamo gli unici sorrisi – e il buon uso di Massimo De Lorenzo, che qui si conferma quale l’ottimo caratterista che sa essere.

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