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Periferie, immigrazione, emigrazione, innovazione

Di Vico-k78D-U31101790782392swC-656x492@Corriere-Web-SezioniSi parla di nuovo di perdita di posti di lavoro a causa dei robot. È un tema carsico che periodicamente riciccia sui media. Ma il tema vero è facile da identificare. Il sistema più immediato per vedere come sarà il nostro futuro è guardare come sono gli Stati Uniti. Lì il lavoro è in maggior parte nei servizi che si dividono tra quelli ad alto e quelli a basso valore. I primi sono coperti da alta scolarizzazione, i secondi da bassa e in genere da immigrati. La particolarità italiana però è che noi formiamo poca alta scolarizzazione che serve al nostro mercato del lavoro per cui buona parte emigra come ci racconta il risultato dell’indagine raffigurata. Ciò provoca, in particolare, un’impoverimento demografico delle nostre periferie che, invecchiate, temono maggiormente “l’invasione” di migranti giovani che vanno a coprire i servizi a basso valore rifiutati dai nostri giovani scolarizzati. Questo è il cul de sac economico ma anche socio/percettivo in cui siamo rinchiusi. Spendiamo risorse per formare professionalità che non ci servono e che disperdiamo all’estero. Importiamo mano d’opera per lavori di basso valore, manodopera che crea percezione d’insicurezza nelle nostre periferie democraficamente impoverite.

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