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Periferie del terrore

La recente cronaca politica internazionale è stata ampiamente contrassegnata da tragici eventi strettamente collegati a due concetti fondamentali, affinché la pacifica convivenza nelle e fra le comunità politiche sia data per possibile.
La strage di Nizza da una parte e il presunto tentavo di golpe militare nella Turchia di Erdogan dall’altra, consentono, infatti, di riportare alla mente dei più attenti i grandi interrogativi e problemi circa i concetti di sicurezza e di effettivo controllo da parte dello Stato nei confronti del proprio territorio.
Le analisi di numerosi giornalisti, professori ed intellettuali, apparse sui più noti mezzi di informazioni in questi giorni, hanno tentato di spiegare più nel dettaglio le varie dinamiche sottostanti a tali eventi drammatici. Approfondimenti e spiegazioni di per sé già esaustivi, a cui non occorre replicare o aggiungere altro.

Piuttosto, vale la pena trattare nuovamente il tema (tanto dimenticato) dello status in cui versano, sempre più spesso, le grandi periferie cittadine. Ancora una volta, queste non esitano a mostrarsi al mondo come veri e propri casi esemplari di luoghi dimenticati dal potere definito legittimo, quindi date bellamente in pasto a forme di barbarie ed inciviltà assolute e spaventose. Sporche, vuote, esteticamente orribili. Sono il ritratto di una realtà degradante, la quale non sarà forse causa immediata, ma certamente fattore complice nella nascita e nel consolidamento costante di gruppi terroristici capaci di insanguinare mezza Europa.

Nelle periferie manca lo Stato. È spesso volatile, incostante e frammentato l’esercizio di quella che più propriamente viene definita come la “sovranità” statuale. Dominano, insomma, il caos e l’indifferenza totale nei confronti di atteggiamenti favorevoli ad un degno senso di legalità e di pacifica, ma soprattutto reciproca, integrazione. Una condizione deprimente che innesca un grande circolo vizioso e pericoloso, fatto di criminalità e terrorismo. Il rischio (in parte ampiamente già realizzatosi nella città di Bruxelles, come si è appurato durante i giorni di cattura di Salah Abdeslam in marzo) è, insomma, il prevalere d’una anarchia totale, congiunta alla ghettizzazione degli spazi che diventano invalicabili a qualsiasi forma di un “sentire comune” che unisce popolo e popoli.

Appare assurdo e vergognoso che, anche in Italia, le stesse forze dell’ordine non possano entrare in certi quartieri perché temono insubordinazioni eccessive nei loro confronti da parte dei residenti. Appare altrettanto assurdo e vergognoso che questi stessi quartieri siano dimenticate dalla politica e da chi ha il compito primario di garantire la sicurezza e il benessere della propria città. Non sono forse le periferie parte dello stesso centro che si è chiamati ad amministrare? Non sono forse le periferie zone in cui, comunque, vivono persone con gli stessi diritti e doveri civili, politici e morali che tutti, indipendentemente da dove abbiano casa, possiedono? Anche qui, lo Stato deve essere presente e la politica ha il compito e l’autorevolezza di assicurare questa presenza. Del resto, uno Stato che non è in grado di garantire la sicurezza e il controllo del proprio territorio è decisamente fallimentare, oltre che politicamente inconcepibile.

Occorrerebbe quindi ripristinare un’autorità pubblica legittimata, fortemente capace di sanzionare chi viola le norme socialmente diffuse e, in particolare, fortemente in grado di riaffermare un comune sentire, un senso di appartenenza condiviso in quanto membri di una stessa comunità. È una sfida prima di tutto culturale e di civiltà, oltre che prettamente politica e giuridica. Il cui positivo esito sarebbe certamente un presupposto essenziale per eliminare eventuali nuclei terroristici o potenziali cospiratori.

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