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Diabolik
dei Manetti bros. Con Luca Marinelli, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Claudia Gerini, Vanessa Scalera
Nella città immaginaria di Clerville Diabolik (Marinelli) riesce a sfuggire all’ennesimo inseguimento della polizia guidata dall’ispettore Ginko (Mastandrea) con a fianco il fidato Palmer (Piergiorgio Bellocchio). Poco dopo Ginko (ma è Diabolik travestito) avvicina l’ereditiera sudafricana Lady Eva Kant (Leone), per avvertirla che Diabolik vorrà rubare il preziosissimo diamante rosa che lei ha portato con se; lei gli confida che il gioiello sarà nella cassaforte della sua stanza dell’hotel Excelsior. Il direttore dell’albergo (Roberto Citran) ha affidato a Roberto (Luca Di Giovanni) l’incarico di cameriere personale di Lady Kant. Diabolik, saputolo, lo uccide e – grazie ad una delle sue tante perfette maschere e all’abilità di imitare le voci – si sostituisce a lui. Intanto Elisabeth Gray (Serena Rossi) confida all’amica Nadia (Francesca Nerozzi) le sue angosce: il suo fidanzato Walter Dorian (che lei non sa essere un’identità di copertura di Diabolik) la lascia spesso, anche di notte, sola nella loro grande villa per imprecisati affari. Eva va a cena da Giorgio Caron (Alessandro Roja) che le fa pesanti avances; lei se ne va indignata e torna in tempo per cogliere Diablik mentre apre la cassaforte; lui la minaccia con un coltello ma lei lo informa che il diamante è falso: l’originale lo aveva venduto in Sudafrica per pagare dei ricattatori. Tornato nel suo covo Diabolik ha la conferma, esaminandolo, che il gioiello è falso; rientra nella sua villa per un passaggio segreto nel giardino ma Elisabeth, sia pur confusamente, vede la scena. Lui riesce, lì per lì, a rassicurarla ma l’indomani lei scende in giardino e riesce a penetrare nel laboratorio sotterraneo. Terrorizzata chiama la polizia e Ginko predispone un agguato per quando tornerà. Diabolik. Il falso Roberto è nella suite della Lady e tra le stoviglie della colazione nasconde la pietra. Eva ha capito la vera identità del cameriere e lui – per la prima volta nella sua carriera di malvivente – si toglie la maschera e i due fanno l’amore. L’ispettore Ginko, quando torna alla villa lo arresta. Al processo è presente in aula anche Eva e Diabolik riesce a comunicare con lei tramite il codice Morse e le dà le istruzioni per organizzare una fuga. Eva esegue il piano del criminale: usa il suo ascendente sul viceministro che, ricattandola (ha le prove del suo coinvolgimento nella morte dell’anziano e ricchissimo marito), le impone di fidanzarsi ufficialmente con lui; lei accetta purché lui le faccia ottenere un colloquio con Diabolik. Caron fa pressione sul direttore (Antonino Iuorio) del carcere e ottiene il permesso. Durante il colloquio Caron viene drogato e sostituito da Diabolik che così riesce ad evadere. Per prima cosa, sempre nelle vesti di Caron, va nel suo ufficio e – dopo avere detto alla segretaria (Scalera) di non far entrare nessuno – trafuga il dossier su Eva e acquisisce gli estremi della cassetta di sicurezza della banca di Ghenf, contenente i ricchi frutti dei ricatti del vice-ministro. Di lì a poco, la direttrice (Daniela Piperno) della banca riceve con tutti gli onori una famosa collezionista d’arte (Gerini), che in realtà è Eva con una maschera, che si fa aprire una cassetta di sicurezza per depositarvi due casse contenenti – così dice – due preziosi dipinti. La direttrice le rivela i segreti del sistema di sicurezza e Diabolik potrà penetrare nel caveau ma…
Non è la prima volta che il cinema incontra Diabolik: nel 1968 Mario Bava aveva diretto John Philip Law, Marisa Mell e Michel Piccoli nei ruoli di Diabolik, Eva e Ginko con esiti non esaltanti. Erano d’altronde quelli gli anni della diffusione un Italia di fumetti per adulti e altri di quei titoli arrivarono sul grande schermo: Kriminal (1966) di Umberto Lenzi con Glenn Saxon, Satanik (1968) di Pietro Vivarelli con Magda Konopka e (anche se di genere diverso) Isabella, duchessa dei diavoli di Bruno Corbucci con Brigitte Skay. Non era peraltro un fenomeno solo italiano; basti pensare all’ultra-pop Batman (1966) di Leslie H. Martinson con Adam West, all’action-snob Modesty Blaise–La bellissima che uccide (1966) di Joseph Losey con Monica Vitti (commistione tra 007 e il free cinema inglese) o alle realizzazioni sul modello Cahiers du Cinema di Chabrol: La tigre ama la carne fresca (1964), La tigre profumata alla dinamite (1965) – entrambi con Roger Hanin – e Marie Chantal contro il dottor Kha (1965) con Marie Laforet (i film di Chabrol non nascono da fumetti ma ne ripropongono gli stilemi). I Manetti conoscono alla perfezione il cinema e certamente hanno visto questi film – e loro stessi hanno fatto una sorta di operazione di colto recupero nel 2000 con Zora la vampira con Michela Ramazzotti e Carlo Verdone – ma il loro Diabolik è ben più solido e coinvolgente. Il target generazionale del fumetto delle sorelle Giussani non è amplissimo ma il film è una perfetta macchina di cinema: i riferimenti alla storia disegnata sono precisi (vedi la macchina da presa che segue il pugnale fino al suo mortale bersaglio) ma in Diabolik c’è Hitchcock, c’è Za’ la mort di Ghione, c’è tutto il cinema gotico, c’è il melò e la grande lirica. C’è, insomma, una capacità di fare cinema di genere e di metagenere – ma anche fortemente autoriale – che da noi sembrava dimenticata. Una storia semplice, con dialoghi talora volutamente da fotoromanzo, riesce a coinvolgere lo spettatore a più livelli: dall’immediato piacere per un feuilleton post-moderno, al raffinato gusto di una solida cinefilia, fino al rapimento per immagini di grande efficacia. E’ per questo che – parafrasando il laico Benedetto Croce di Perché non possiamo non dirci “cristiani”– credo che chiunque ami il cinema non possa non dirsi “manettiano”.
Antonio Ferraro