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Per realizzare i tuoi sogni hai bisogno di giocare in squadra? Adesso puoi!

 Questo articolo parla di nuovi portentosi sistemi per connettere le nostre esistenze e approfittare della rivoluzione della comunicazione. L’aumento della complessità ci induce a collaborare.
E parla anche di come organizzare un gruppo di amici appassionati, formare una macchina sociale e utilizzarla per abbellire il mondo.

Sono molto contento.
Quando 34 anni fa iniziammo a costruire Alcatraz non avevamo in mente solo un posto dove mangiare bene, dormire comodi e stare in mezzo al verde (che non è poco).
E non avevamo solo intenzione di organizzare corsi ed eventi e produrre spettacoli e libri.
Avevamo idee e progetti grandiosi ma ci rendevamo conto che non c’era spazio per il nostro modo di vedere il mondo: tutto era in mano a cricche di affari e potere: la tv, la distribuzione libraria, i teatri.
Per stare in piedi e produrre cultura alternativa non bastavano le idee. Avevamo bisogno di un nostro sistema di autofinanziamento, mettere insieme attività collaterali che portassero i soldi indispensabili per realizzare le idee.
L’attività di ospitalità e corsi di Alcatraz aveva bisogno di pubblicità che otteneva finanziando iniziative culturali. La realizzazione dei libri portava i soldi per mantenere attivo un gruppo di ricerca, scrittura e grafica.
Poi arrivò internet, lo svilupparsi di una grande comunity digitale oltre che fisica ad Alcatraz, Cacao, il quotidiano delle buone notizie, i siti web, un sistema di vendita di libri, le magliette, e servizi per gruppi di acquisto, permettevano l’esistenza di una rete commerciale via web che a sua volta finanziava la comunicazione. A questo sistema si è poi connesso il gruppo di lavoro sulle ecotecnologie, la cooperativa di autocostruzione dell’Ecovillaggio Solare…
Ma fino a un certo punto tutto questo era un sistema che viveva isolato al suo interno. Un piccolissimo gruppo di samurai dell’economia alternativa connesso con una banda di creativi situazionisti agricoli.
Poi negli ultimi mesi, progressivamente, questo gruppo strettamente interconnesso è entrato in uno strano stato di agitazione. Tutta una serie di percorsi personali, molto diversi, hanno trovato improvvisa convergenza, linee che si incrociano, si sovrappongono, corrono parallele.
E ci siamo così accorti che stava scattando un fenomeno sinergico. È un peccato che a scuola non parlino dei fenomeni sinergici. Se le persone fossero a conoscenza di questa possibilità, magari vivrebbero un’altra vita.

 Io ho avuto la fortuna di essere testimone di un fenomeno analogo, tanti anni fa: un gruppo di persone che diventano una squadra nel senso più pieno del termine, un sistema, un meccanismo collettivo, sociale. Fu quando i miei genitori costruirono il primo palcoscenico smontabile, con tanto di piano sopraelevato e torrette per luci e amplificatori, e andarono a recitare fuori dagli spazi istituzionali per raggiungere chi non sarebbe mai entrato in un teatro. Oggi fare uno spettacolo in un palasport è una banalità: telefoni a un service e ti arrivano a montare tutto senza problemi. Ma 45 anni fa non esisteva niente del genere. Così mi trovai tra mio padre, un fabbro e un falegname intorno a un tavolo e vidi crescere il progetto… Io ero un ragazzino ma sentivo di essere testimone di una grande impresa… Quando non andavo a scuola seguivo i miei nei loro debutti. Arrivavamo nei posti più sperduti, in una bocciofila, in una balera, in un fabbrica occupata, con due camion, e aiutati da una ventina di volontari montavamo tutta la scenografia avvitando centinaia di bulloni a farfalla. Poi dopo lo spettacolo si faceva più alla svelta perché restavano ad aiutarci molti spettatori e si faceva il passamano con le centinaia di riquadri, tavole, trasversali e zampe, i costumi, le maschere, i fondali. Mi piaceva molto vedere la file delle persone che si passavano i pezzi; dal palcoscenico ai camion gli oggetti viaggiavano veloci, era lavoro ma era anche una specie di danza.
E c’era la sensazione che quando le persone si mettono assieme per uno scopo comune riescono a ottenere risultati incredibili…
E non si trattava solo di organizzare un balletto passamano.
In pochi mesi si creò dal nulla una rete di gruppi che trovarono gli spazi, fecero la pubblicità, vendettero i biglietti, organizzarono sei mesi di spettacoli per tre compagnie teatrali che giravano contemporaneamente.
Poi arrivò il riflusso e raramente si riuscì a mettere in piedi iniziative così complesse.
Ci riuscimmo ad esempio quando organizzammo la trasmissione di Ubu Bas va alla guerra, spettacolo che cercava di opporsi alla disastrosa invasione dell’Iraq (come volevasi dimostrare). Uno spettacolo che fu trasmesso da 22 televisioni locali, due reti satellitari e Virgilio sul web; grazie all’appoggio di decine di migliaia di abbonati a Cacao e di molte associazioni pacifiste riuscimmo ad arrivare a più di due milioni di spettatori. 150 mila solo sul web (e allora avevano accesso a internet 5 milioni di italiani). Ma queste grandi mobilitazioni politiche, basate sul meraviglioso volontariato hanno un limite, tendono a perdere intensità col tempo.
Per questo abbiamo lavorato per consolidare un sistema basato sulla professionalità e capace di retribuire il lavoro. La domanda è: cosa succede quando si raduna una massa critica di professionisti passionalmente coinvolti in un progetto che è contemporaneamente lavorativo e ideale?
Stiamo iniziando a vederlo ed è un momento eccezionale.
Se hai voglia di sapere cosa sta succedendo trovi su Facebook la cronaca fotografica degli incontri e delle attività.
Negli ultimi due mesi sono passati ad Alcatraz più di 200 tra musicisti, attori, mostri digitali, pittori, scrittori, terapisti ed ecotecnologi.
Sono state incise canzoni, girati videoclip e documentari, realizzati spettacoli e flash mob, applicazioni per smartphone, quadri, mostre e libri.
Onestamente non ci si può credere…
Qual è la chiave di questi avvenimenti?
Dove sta il trucco? Beh, innanzi tutto c’abbiamo lavorato negli ultimi 35 anni… e poi abbiamo scoperto che nessuna delle forme organizzative del lavoro di squadra proposte dal pensiero dominante (autoritario) combacia con il nostro spirito e il nostro modo di lavorare. Le strutture piramidali sono giganteschi sistemi per sprecare energie, se elimini la struttura verticistica moltiplichi per 4 la capacità di azione del gruppo e diminuisci il tasso di errore.
In pratica, stiamo sviluppando una modalità di lavoro che è direttamente figlia del mondo degli attori e dei cantanti.
Gli artisti girovaghi visti da fuori possono sembrare una congrega vanesia ma vige invece una disciplina ferrea. Nessuno può permettersi di non presentarsi in teatro due ore prima dello spettacolo, nessuno può evitare di recitare se è ancora vivo, a prescindere dal tasso di febbre, coliche, o altro. E se il giorno che ti muore tua madre hai uno spettacolo vai e reciti perché il rispetto per il pubblico che è uscito di casa per venirti a vedere sta in cima alla tua scala di valori…
Quando sei davanti al pubblico devi dare il massimo del massimo, se non ci riesci sei fuori dai giochi.
E in teatro ti devi fidare della gente con cui lavori e loro si devono fidare di te, e non parlo in modo teorico e sentimentale: quando una scena prevede che tu ti butti dal trampolino devi essere sicuro che sotto gli altri attori ti prendano. Sennò ti fai molto male.
Infine, ognuno è responsabile del suo pezzo di lavoro, sia un microfono da sistemare che un monologo da reggere. Mai in nessun caso puoi dare la colpa a un altro. Se sei tu il responsabile devi garantire che tutto funzioni a prescindere dalle condizioni atmosferiche, invasioni aliene e simili.

Oggi questo stile di lavoro lo stiamo applicando a un sistema che mette in connessione un ampio ventaglio di professioni.
E non abbiamo semplicemente assommato settori di iniziativa diversi per averne di più.
Quello che ci muove è la necessità di far fronte a un mondo nel quale la comunicazione evolve alla velocità della luce.
Creare una macchina sociale, lavorativa e ideale non è solo idealmente bello è anche l’unica evoluzione capace di permetterci di affrontare la sfida del cambiamento e della complessità. Oggi si comprano pochissimi libri, c’è il digitale, le tv non pagano più quasi niente, a volte devi ringraziare perché ti trasmettono qualche cosa senza farti pagare. Sul web puoi fare 100mila utenti al mese e incassare 200 euro di pubblicità (al mese!)… Non esistono ancora sistemi che ti riconoscano una percentuale sui guadagni che i grandi contenitori percepiscono grazie ai contenuti che tu hai messo in rete. E d’altra parte il mercato digitale è ancora ai primi passi. È difficile trovare ingaggi per gli spettacoli, i teatri sono in crisi…
Una situazione complessa alla quale possiamo adattarci solo mettendo insieme risorse diverse, creando alleanze di nuovo tipo, ad esempio tra chi fa spettacolo e comunicazione e chi ha bisogno di far conoscere tecnologie innovative. Tanto più si riesce a rispondere a bisogni diversi tanto più si allarga la cooperazione, tanto più aumentano le possibilità. Nel suo complesso questo sistema si è assemblato spontaneamente e lo guardo come una creatura che ha preso vita da sé. Nei suoi primi passi sta caratterizzandosi per la capacità di connettere domanda e offerta nei settori più disparati, dalla formazione, ai gruppi d’acquisto di olio, case, auto ed energia elettrica, dagli spettacoli alle consulenze, alle certificazioni… E mi fermo qui perché la lista è troppo lunga.
Ad esempio: come fanno i musicisti adesso che non si vendono quasi più cd e simili? C’è stato un crollo del mercato con percentuali del 90%! Per trovare una soluzione devi collettivizzare il problema, mettere insieme più gruppi per ottenere una forza contrattuale maggiore, e devi mobilitare persone in diversi settori per affrontare il problema in tutti i suoi aspetti.
Puoi associare un disco a un album a fumetti, puoi arrivare ai concerti con un supermercato ambulante, puoi organizzarti tu la ristorazione, puoi diventare veicolo di comunicazione, puoi offrire corsi di musica, crociere concerto, costruire progetti per finanziamenti europei… Ma tutte queste cose ti vengono meglio se crei una rete di relazioni personali di qualità che contempla collaborazione per denaro, per passione e per baratto e che è costituita da esperti nei diversi settori.
Una band di musicisti da sola non ce la può fare…
Ed è difficile che riesca a realizzare grosse produzioni.
Ad esempio, girare con una compagnia di 30 elementi è oggi impensabile così come affrontare produzioni che prevedo decine di migliaia di euro per costumi e scenografie. Il testo di mio padre “Storia di Qu”, con Michele Bottini, regia di Massimo Navone, è andato in scena a Milano grazie all’alleanza tra una serie di scuole di teatro, musica, scenografia, maschere, costumi eccetera… 26 tra attori, acrobati e musicisti in scena e una quarantina di persone dietro le quinte. Quando si sono schierati tutti sul proscenio facevano impressione: un’orda!
Ecco, sono queste le cose che ci stanno succedendo intorno con sempre maggior frequenza e alle quali abbiamo modo di contribuire per quel che possiamo, con grande soddisfazione… (abbiamo scoperto che siamo bravi a creare connessioni, siamo dei valenti sensali…)
E chiarisco, ribadisco, non sto parlando di una qualche forma di organizzazione strutturata. L’aspetto essenziale è che, al di là degli accordi sui singoli lavori da fare assieme, non c’è nessuna forma di connessione strutturata o normata. Non ci sono assemblee, votazioni, maggioranze e centralismo democratico. Abbiamo la stessa forma istituzionale di un gruppo di amici in vacanza. Cioè, nessun vincolo formale. La rete è semplicemente un tessuto di relazioni di conoscenza e amicizia. Se ti telefono e mi dici che viene a giocare la partita alle 5 e poi non vieni ovviamente sei un infame. Ma per il resto la libertà e l’indipendenza sono la regola d’oro dell’amicizia. E così lavoriamo insieme, come una squadra sportiva. E una volta la palla la calcia in rete quello e una volta quell’altro. E tutti siamo ben contenti di fare la comparsa nel video di un altro. E tutti siamo ben contenti se in un’intervista possiamo parlare bene di un amico.
A ben guardare sto dicendo banalità ritrite sull’amicizia e la collaborazione. Ma val la pena di dirle visto che questa normalità per ora la trovi solo qua e là… Piccole isole… E proprio non si capisce perché le persone che la pensano come noi, che hanno scelto un altro stile di vita, che in Italia si stima siano circa cinque milioni, riescano a collaborare così poco insieme: non esiste una borsa del biologico, un sistema di rete tra i siti etici, un sistema di gruppi di acquisto su tutti i prodotti che compriamo, un sistema di fondi di investimento su progetti ecotecnologi e culturali, un’agenzia alternativa che aiuti a presentare domande di finanziamento a enti pubblici e privati, un sistema collettivo di contrattazione con gli spazi culturali, i server, i servizi web, la vendita di pubblicità… E mi fermo qui perché sennò facciamo sera…
Adesso sta sbocciando questa nuova esperienza. Ovviamente abbiamo di fronte rischi e difficoltà, stiamo muovendo i primi passi. E molto dipenderà dal sostegno che riceveremo. Il nostro punto debole è ancora la comunicazione. Una signora che guida il taxi a Milano, una della mia età che non aveva solo i capelli rossi, mi ha detto: dovreste pubblicizzarla Alcatraz, io ho scoperto che esisteva solo sei mesi fa… Dopo trent’anni che ce l’hai messa tutta per far sapere che esiste Alcatraz non lo è venuto a sapere neanche una che potrebbe essere mia sorella, che vede le cose come le vedo io… e ascolta Radio Popolare tutto il giorno…
Questo è lo stato dell’arte… Nelle prossime settimane, se il cielo non ci cade sulla testa, inizieremo a mandarti dei regali, a farti delle proposte compromettenti, a chiederti se vuoi iniziare tu a portare le tue proposte dentro questo circuito.
Potresti iniziare a fare piani d’azione faraonici.
Noi progressisti in Italia siamo cinque milioni. Se ne mettiamo in rete mille e abbassiamo del 2% il tasso di sfiducia filosofico-cosmico, facciamo scintillare la notte (in questo momento 550 siti web hanno aderito allo scambio banner di stradaalternativa.it. Ma è solo l’inizio.)

PS
Questa cosa potremmo chiamarla La Compagnia dei Servizi Globali.
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