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PARROCCHIETTA: DOVE I RAPPORTI SI COLTIVANO CON I CAVOLI

A Roma, grazie al progetto Amarcord, 17 orti urbani producono verdura biologica, ma anche amicizia, cura del territorio e salute.

Quando tutto ebbe inizio, dodici anni fa, l’orto non era neppure tornato di moda. La moglie del presidente degli Stati Uniti, Michelle Obama, non aveva ancora sdoganato la moda di coltivare broccoli e zucchine da sé, possibilmente vicino casa e rigorosamente col metodo dell’agricoltura biologica. Eppure, già a quell’epoca, l’associazione di volontariato Parrocchietta delle Gocce aveva compreso quanto possa essere rivoluzionario piantare un orto su un territorio strappato all’incuria e al degrado. Un’intuizione che questa organizzazione, figlia di un attivo quanto battagliero comitato di quartiere, ha trasformato col tempo in una parte essenziale della sua mission. Tanto che un anno fa, con il progetto Amarcord, ha fatto nascere 17 orti urbani, coltivati da pensionati e persone uscite prematuramente dal mercato del lavoro. Che insieme alle verdure di stagione hanno imparato i semi per una nuova e più fruttuosa vita.

Contro il degrado e contro la crisi
Siamo a Roma, nell’omonimo quartiere Parrocchietta, un pugno di case tra Via del Trullo e Viale Newton, nell’attuale XI Municipio (ex XV). «L’esperienza degli orti è cominciata nel 2003, quando l’associazione era stata fondata da poco, l’orticultura era considerata un’attività estremamente di nicchia e noi eravamo visti come un gruppo di stravaganti – ricorda il presidente Paolo Lugni –. All’epoca andavamo nelle scuole elementari, dove le attività di manutenzione delle strutture erano già allora piuttosto carenti, proponendo di recuperare gli spazi abbandonati per farne degli orti che i ragazzi avrebbero gestito insieme ai nonni». La creazione dell’orto andava, infatti, a coronare quello che era già l’impegno a riqualificare gli spazi lasciati al degrado proprio dell’associazione, che oggi conta una sessantina di volontari attivi a cui si aggiungono altrettanti associati che beneficiano delle varie attività ricreative.

«All’inizio gli orti rappresentavano soprattutto un modo per coltivare i rapporti intergenerazionali – riflette il presidente –. Ma poi con l’arrivo della crisi tutto è cambiato». E gli orti sono diventati meta non solo di anziani in pensione, ma anche di cassaintegrati e di persone uscite dal mercato del lavoro prima del tempo, che nel quartiere non trovavano altra chance se non il gioco delle carte al centro anziani. «I nostri non sono soltanto degli orti urbani dove gli “ortisti” lavorano ciascuno il proprio pezzo di terra – prosegue –. Perché i nostri “ortolani volontari”, oltre a prendersi cura del proprio appezzamento di terreno, si occupano anche della manutenzione degli spazi circostanti, accessibili all’intera popolazione residente. Che qui può seguire corsi di compostaggio, coltivare i fiori che poi verranno piantati nelle aiuole del quartiere o semplicemente partecipare a momenti di convivialità».

I raccolti della solidarietà
Gli orti sorgono su un terreno di pertinenza di un asilo nido, prima lasciato in disuso: circa 1.200 metri quadrati situati nella Valle dei Casali, cui dopo un po’ se ne sono aggiunti altri 800 di proprietà di un privato confinante, che ha concesso l’area in comodato d’uso gratuito all’associazione in cambio della buona manutenzione del terreno. Attualmente gli ortolani volontari sono 15, tra cui due donne, hanno un’età compresa tra i 60 e i 78 anni e nella loro vita lavorativa occupavano la posizione di impiegati, artigiani, operai non qualificati. Ma oltre agli appezzamenti personali, c’è anche un orto affidato a una cooperativa sociale che si occupa di persone con disabilità e un altro coltivato in comune e destinato a chi, nel quartiere, non riesce a sbarcare il lunario.
Le attività che ruotano attorno agli orti creano socialità
«Il “raccolto della solidarietà” viene portato nella sede dell’associazione dove poi viene consegnato alle persone in difficoltà economica – spiega Lugni –. Di solito è il presidente del centro anziani a segnalarle. Noi prepariamo delle buste, che si arricchiscono sempre dei prodotti provenienti dagli orti dei volontari». E si tratta di prodotti non solo a chilometro zero, ma anche rigorosamente biologici che gli “ortolani” hanno imparato a coltivare anche grazie al supporto di tecnici che hanno messo a disposizione le loro competenze. Un lavoro e una cura quotidiana che ha determinato un notevole beneficio personale, in termini di salute fisica e psichica. Con risultati tangibili e sotto gli occhi di tutti: «Abbiamo visto tornare il sorriso sul volto di gente indurita dalla vita – conclude il presidente –. Alcuni sono dimagriti e altri hanno diminuito l’uso dei farmaci, ma soprattutto tutti sono diventati amici e hanno trovato spazi di aggregazione, rompendo l’isolamento in cui si cade con la fine del lavoro».

Coltivando, insieme a patate, broccoli e zucchine, una nuova vita di relazione e di cura del territorio.

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