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Appuntamento ore 13 a place de la République. Esco alle 13.45 per prendere la métro 5. Ce la faccio ma alla seconda fermata, il treno si blocca e l’altoparlante annuncia che le métro marcerà doucement, dolcemente, causa grande afflusso alla manifestazione (che si rivelerà poi essere stata la più grande di sempre: almeno due milioni di persone nelle strade e quattro in Francia per manifestare contro il terrorismo islamico che ha ucciso 17 persone nella metropoli transalpina). Per farla breve il “dolcemente” dura oltre un’ora e si scende tutti molto prima, a Gare de l’Est.
Usciti dalla stazione, il grande viale che porta a place de la République è pieno di gente. Cammino per 100 metri, con la strada che si come quei torrenti in piena che hanno funestato l’Italia negli ultimi mesi e d’improvviso mi accorgo che il muro di persone è pressoché impenetrabile.
Immobile mi guardo intorno: giovani, anziani e poi trentenni, quarantenni, cinquantenni, sessantenni, donne. Tante donne e tanti bambini, di ogni età: in carrozzina, a tracolla, sulle spalle, per mano. Famiglie che si passano il testimone tra generazioni.
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L’aria profuma di allegria, di voglia di esserci, di sorrisi, di abbracci, di sguardi e carezze scambiati per affetto, per dirsi che non siamo intimoriti e che non ci chiuderanno nelle nostre case. Intanto i battimani e i cori scandivano il tempo.
Con la sua fisicità, con la sua presenza, con il calore di corpi, la piazza dà il segno ufficiale che, il popolo c’è, esiste, è visibile e cammina a schiena diritta.
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Alcune bandiere, francesi ma anche spagnole, italiane, turche, bengalesi, brasiliane e altre che non conosco. Pochi gli striscioni. Tanti i cartelli. Dominano i volantini e manifesti con «Je suis Charlie». Tanti stampati, molti “fai da te”, in bianco e nero, colorati con pennarelli o con le bombolette, inchiodati e scocciati su legni improvvisati, sui giacconi, cappotti, maglioni, nei cappelli e tra i capelli. E tante matite colorate che legano le trecce, tanti volti disegnati e scritti per dire che ci mettevano la faccia.
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Quello che unisce questo popolo è la parola libertà. E ognuno la sostiene come citoyen, cittadino, perché libertà si coniuga con democrazia, dignità, legalità, regole, stato di diritto, cultura, conoscenza dei temi sociali della nostra Europa.
Una parola conquistata con la rivoluzione che ha ritrovato una giovinezza, ancora una volta sul campo e su Charlie che non ha chinato la testa. Di fronte alle barbarie che la storia ci consegna in questo inverno, la parola libertà che avevamo messo in soffitta dandola ormai per acquisita, nonostante i tanti segnali avuti e gli occhi chiusi dagli egoismi politici ed economici, ha ritrovato il senso pieno con cui ci era stata consegnata.
E quando i tantissimi giovani con la pelle di tanti colori hanno abbracciato fisicamente la statua della Marianne, cantanto ripetutamente la Marsigliese scandendo Charlie con battimani, mi hanno dato, oltre che commozione, la speranza che ci sarà un futuro anche per loro.