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Nelle periferie, come a Kobane, si vince o si perde

Mafia, corruzione, integralismo islamico, razzismo, disoccupazione sono i fronti della guerra che si combatte nelle periferie.
Come ha dichiarato il primo ministro francese la guerra nelle periferie la vinciamo quando lì cesserà l’apartheid.
Come ha capito Renzo Piano è nelle periferie il terreno per vincere la sfida dell’economia.
Quando il comune di Roma ha gestito il 90 % degli appalti a chiamata diretta vuol dire che nelle amministrazioni locali non c’è più legalità.
E se non c’è legalità, attraverso la corruzione, entra mafia.
Se entra la mafia significa che non c’è più democrazia perché i rapporti politici di scambio vengono gestiti non per favorire il rilancio dell’economia ma per spolpare le risorse pubbliche a favore di chi garantisce il mantenimento di un sistema di potere, di fatto, criminale.
E’ questa ormai l’analisi della situazione delle forze sane dei territori.
Ed è chiaro che i prossimi passi saranno fondamentali per gettare le basi per un cambio di paradigma che non può che avvenire ad opera di chi già nei territori concretamente opera per la risoluzione dei problemi e per il rilancio delle prospettive economiche.
In questa partita chi opera su questi fronti non trova nelle istituzioni alleati ma ostacoli, ostracismi, sordità.
Ormai è chiaro che solo con la costruzione di una rete strutturata tra le tante realtà che quotidianamente affrontano le problematiche dei territori si potrà costruire una credibile alternativa al collasso totale di istituzioni marce.
Non c’è più tempo da perdere: occorre costruire la mappa delle buone pratiche per riempire lo spazio della città ormai vuoto di progettualità e di capacità gestionale.

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