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Le regine femministe
di Josie Rourke. Con Saoirse Ronan, Margot Robbie, Jack Lowden, Joe Alwyn, David Tennant Gran Bretagna 2018
1651. La cattolica Maria Stuart (Ronan) torna in Scozia per occupare il trono che le spetta accompagnata dalle sue dame e dall’adorato musico italiano omosessuale David Rizio (Ismael Cruz Cordova) e scortata dal fedele Lord Bothwell (Martin Compston). La accoglie il fratellastro James, Conte di Moray (James McArdle), fino ad allora reggente della corona. I primi atti del suo governo (concedere libertà religiosa ai sudditi) fanno uscire dal Consiglio della Corona John Knox (Tennant) – la potente guida dei protestanti scozzesi, che si impegnerà ad infangarla nelle sue ascoltatissime prediche – e preoccupano il Segretario di Stato Lord Maitland (Ian Hart), sino a quel momento gestore del governo del paese, che comincia a tramare contro la sovrana. Intanto a Londra Elisabetta I (Robbie) teme che Maria, sua consanguinea, possa – in quanto diretta discendere dagli Stuart – spodestarla ma non accetta le sollecitazioni del suo Primo Consigliere William Cecil (Guy Pearce) a sposarsi e a mettere al mondo un erede (Maria appena arrivata al trono le ha subito proposto un’alleanza, chiedendole di garantirle la successione, nel caso lei, Elisabetta, non avesse figli): lei è paga del rapporto con il giovane Robert Dudley (Alwyn), che, per ragioni di rango nobiliare, non ha nessuna possibilità di sposare. Cecil le propone allora di inviare a Maria come ambasciatore il fidato Lord Randolph (Adrian Lester) per proporle un accordo basato sul matrimonio con un Lord inglese di fiducia di Elisabetta. Maria accoglie con gentilezza il messo e sembra disposta ad accettare l’accordo. Cecil allora dichiara il proprio piano: sarà proprio Dudley il marito prescelto (chi più di lui può garantire fedeltà alla sua amata regina?). Elisabetta – provata dal vaiolo che ha contratto – pur disperata, accetta la proposta ma, quando Dudley si presenta alla corte di Scozia, Maria lo respinge, rompendo clamorosamente con Londra. Poco dopo, accetta di sposare Henry Darnley (Lowden), figlio del Conte di Lennox (Brendan Coyle), cattolico inglese con solide ramificazioni nella nobiltà scozzese. Questo ulteriore colpo di testa della sorella, convince James a lasciare la corte e – con l’aiuto di armi inglesi e di Knox – a capitanare una sommossa. Le truppe di Maria, guidate da Bothwell, sconfiggono gli insorti e lei impedisce che il fratellastro sia ucciso. Il matrimonio, invece, si rivela un fallimento: Dudley è un ubriacone ed è diventato l’amante di Rizzo; Maria, in un frettoloso rapporto sessuale, riesce a farsi mettere incinta e a garantire così un erede che possa unificare sotto di sé Inghilterra e Scozia. Maitland, Knox e il padre di Dudley mettono a punto una nuova congiura: far apparire la affettuosa consuetudine di Maria con Rizzo come una storia d’amore e dichiararla indegna del trono; costringono Dudley a firmare il loro patto e, insieme a lui, trucidano Rizzo sotto gli occhi della regina, che subito dopo relegano nelle sue stanze. Dudley, a quel punto, si dà arie da re ma viene, a sua volta, ucciso. Ora il Consiglio impone a Maria di sposare Bothwell e lei – fidando nella sua consolidata fedeltà – accetta ma anche quest’ultimo si era schierato con i congiurati. Disperata, affida a James il figlio appena nato, chiedendogli di reggere per lui il trono e parte sul barcone di un pescatore (John Stahl) per l’Inghilterra. Qui incontra Elisabetta e le chiede aiuto: lei le promette solo di rispettare il suo erede ma la imprigiona per vent’anni, alla fine dei quali, venuta in possesso di documenti che comproverebbero sue manovre per ucciderla, la fa giustiziare. Il figlio di Maria, James I (Andrew Rothney) sarà il primo re di Inghilterra e Scozia.
Il primo film su Maria, The execution of Mary, Queen of Scots, è del 1895; da sempre, infatti, il cinema (e poi la televisione) è stato affascinato dalla storia delle due sorellastre regine e rivali: Katharine Hepburn, Zara Leander, Vanessa Readgreve, Annie Girardot, Joan Sutherland e Samantha Morton sono le più note tra le decine di attrici che hanno interpretato il ruolo della regina cattolica, così come Sarah Bernhardt, Flora Robson (3 volte), Bette Davis, Jean Simmons, Agnes Moorehead, Glenda Jackson, Miranda Richardson, Judy Dench e due volte ciascuna Vanessa Redgrave e Cate Blanchett hanno vestito i panni di Elisabetta I. Questo nuovo film è tratto dal libro di John Guy Queen of Scots – The true life of Mary Stuart ma, soprattutto, è sceneggiato da Beau Willimon, l’autore di House of cards ed ha la sua forza (e il suo limite) nel raccontare la storia come un insieme di intrighi, convinzioni etico-politiche e sentimenti equiparabili ai nostri tempi: le due rivali dichiarano le loro difficoltà a regnare in un mondo di uomini con accenti femministi e Maria si pone nei confronti dell’omosessualità dell’amato musico e della libertà di religione su posizioni e con toni di una liberal di questi tempi. A questi accettabili ma vistosi anacronismi, si aggiungono alcune forzature della regista. Lei ha alle spalle una bella carriera teatrale ma è al suo primo film e non sembra avvedersi che alcune forzature, che il palcoscenico accoglie tranquillamente, sullo schermo appaiono dissonanti: la scelta di far interpretare Lord Randolph – così come altri cortigiani vistosamente multietnici – da un attore di colore è stilisticamente fuorviante (è vero che Branagh aveva fatto qualcosa di simile in Molto rumore per nulla, così come Reynolds in Robin Hood – Principe dei ladri ma il primo film è un giocoso girotondo sulla commedia più allegra di Shakespeare e nel secondo, peraltro opera di pura fantasia, il personaggio di Morgan Freeman è un valoroso ex-nemico di Robin, conosciuto durante le Crociate). E proprio la teatralità è il pregio e il difetto maggiore di Maria Regina di Scozia: splendidi costumi (di Alexandra Byrne), scenografie (James Merifield) adeguatamente cupe, bellissime riprese della aspra natura scozzese (John Mathieson) ed ottimi attori (anche se l’australiana Robbie – altrove bravissima – appare un po’ sfocata) ma più verbosità che colpi di scena; per non parlare nella scena clou – assolutamente inventata dagli autori – dell’incontro tra le due protagoniste, che diventa un quasi affannoso espediente teatrale con quel loro ricercarsi attraverso pesantemente simbolici veli.