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Ricorre oggi il 65° anniversario della strage di Melissa in cui furono recise tre giovani vite: Francesco Nigro, di 29 anni, Giovanni Zito, di 15 anni, e Angelina Mauro, di 23 anni. Altre 15 persone furono ferite.
Nell’ottobre del 1949 i contadini calabresi marciarono sui latifondi per chiedere con forza il rispetto dei provvedimenti emanati nel dopoguerra dal ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo e la concessione di parte delle terre lasciate incolte dalla maggioranza dei proprietari terrieri.
Spettacolari colonne umane lunghe chilometri e chilometri escono dai paesi e sfilano alla volta dei feudi. I contadini vestiti a festa con gli abiti di velluto nero avanzano a dorso d’asino o di mulo, i braccianti a piedi con le zappe e i bidenti, le donne coperte da lunghi scialli neri o fazzoletti rossi coi piccoli in braccio, i barili dell’acqua in testa, le fiasche del vino a tracollo, le canestre piene di cibarie, pane rosso e nero, salsicce, pecorini, noci, uova, castagne secche, fichi infornati, meloni d’inverno; poi le fanfare, le bandiere rosse, gli aratri e in testa i bambini che schiamazzano.
Una ritualità zeppa di significati simbolici, che è il derivato di una cultura arcaica ancora viva.
Irritati per questa ondata di occupazioni alcuni parlamentari calabresi della Democrazia Cristiana chiesero un intervento della polizia al ministro dell’Interno Mario Scelba. I reparti della Celere si recarono quindi in Calabria e uno di loro si stabilì a Melissa (oggi provincia di Crotone) presso la proprietà del possidente del luogo, barone Berlingeri, del quale i contadini avevano occupato il fondo detto Fragalà.
Questo fondo era stato assegnato dalla legislazione napoleonica del 1811 per metà al Comune, ma la famiglia Berlingeri, nel tempo, lo aveva occupato abusivamente per intero. La mattina del 29 ottobre 1949 la polizia entrò nella tenuta e cercò di scacciare i contadini occupanti con la forza. Vista la resistenza dei manifestanti la polizia aprì il fuoco.
L’episodio è ricordato da Lucio Dalla in una strofa del brano Passato, presente, quarta traccia dell’album Il giorno aveva cinque teste, che recita:
Il passato di tanti anni fa
alla fine del quarantanove
è il massacro del feudo Fragala’
sulle terre del Barone Breviglieri.
Tre braccianti stroncati
col fuoco di moschetto
in difesa della proprietà.
Sono fatti di ieri.
Nel dicembre successivo, un analogo episodio accadrà a Montescaglioso, in provincia di Matera. La polizia inviata da Scelba colpirà a morte un altro giovane bracciante, Giuseppe Novello. Sarà Rocco Scotellaro a immortalare il fatto tragico in versi di inconfondibile pathos e bellezza:
Tutte queste foglie ch’erano verdi: si fa sentire il vento delle foglie che si perdono
fondando i solchi a nuovo nella terra macinata.
Ogni solco ha un nome, vi è una foglia perenne
che rimonta sui rami di notte a primavera
a fare il giorno nuovo.
È caduto Novello sulla strada all’alba,
a quel punto si domina la campagna,
a quell’ora si è padroni del tempo che viene,
il mondo è vicino da Chicago a qui
sulla montagna scagliosa che pare una prua,
una vecchia prua emersa
che ha lungamente sfaldato le onde.
Cammina il paese tra le nubi, cammina
Sulla strada dove un uomo si è piantato al timone,
dall’alba quando rimonta sui rami
la foglia perenne in primavera.
Era accaduto più volte nell’Italia liberale che contadini in lotta per poter coltivare un pezzo di terra restassero vittime dell’azione repressiva dello Stato. Ma adesso si registra una novità: è l’intera opinione pubblica a rimanere scossa da tali episodi di gratuita violenza ai danni di una categoria considerata marginale nel contesto sociale.
È per questo motivo che il governo dell’epoca s’affretta a varare, nel corso del 1950, una serie di provvedimenti per attuare la riforma agraria in alcune aree del Paese, dove è maggiormente presente il latifondo.
Quel sangue non è, dunque, versato invano. Se oggi l’agricoltura è quella che è e il tessuto economico e sociale del Paese si è potuto ammodernare lo si deve al sacrificio dei contadini che nell’immediato dopoguerra conquistarono spezzoni di intervento pubblico con cui si poté avviare lo sviluppo del Paese.
5 Responses to L’epopea contadina che ricostruì l’Italia