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“Scuole abbandonate che diventano centri ricreativi, spazi verdi che tornano al loro splendore, strade secondarie e di montagna che tornano percorribili e funzionali: questo sarebbe stato il regalo che avremmo voluto trovare sotto l’albero, poiché una città è tale se è unita dal cuore alle sue propaggini”. Così a pochi giorni dal natale i ragazzi di Labor Giovani su quella che è la realtà della città di Lamezia Terme. “Abbiamo focalizzato la nostra attenzione – prosegue la nota – su questo argomento sviluppando un reportage che riguarda le zone più degradate di Lamezia Terme. Vorremmo viverla e raccontarla nella sua omogeneità ma non possiamo far altro, invece, che guardare nostro malgrado la sua geografica discriminazione. La nostra è una città splendida ma estremamente fragile, sotto molti punti di vista : sociale, economico, culturale, colpita a morte negli ultimi anni nel suo apparato produttivo e occupazionale, delicata inoltre e sopratutto anche dal punto di vista ambientale, geologico e urbanistico. Probabilmente troppo disordinata, quasi ‘anarchica’ in alcuni punti della città. Alcune sue zone manifestano ormai da tempo immemorabile profonde difficoltà dovute a evidenti falle nella manutenzione e nel recupero delle stesse da parte degli organi competenti. Far rinascere le periferie significa integrarle e fonderle con le attività, le idee e le strutture pubbliche centrali, con i bisogni dell’intera comunità al fine di non inquadrarle unicamente come un riflesso sfocato del centro cittadino. Un “fare centro dai margini”, riportare occasioni, luoghi, forme di centralità urbana nel tessuto periferico, riconfigurandolo nella sua complessiva dimensione urbana, reinterpretando le periferie come “cluster creativi”: luoghi ibridi, mutevoli e multiformi capaci di essere potenti motori progettuali dell’innovazione sociale ed urbana. La periferia come di un luogo dell’assenza: di storia, di regole, di significato, di qualità, di identità; ma anche come di un luogo della perdita: qui la città perde l’articolazione degli spazi aperti e del suolo, perde lo storico rapporto tra il cittadino e la città stessa. La periferia risulta una “linea d’ombra”, qualcosa che sta aldilà, della ferrovia, del fiume, dell’autostrada; una “soffitta” dove, a partire dallo sviluppo della città moderna, si è depositato in modo confuso ciò che la città ha via via scartato ed espulso; un “magazzino” di progetti e idee che si sono accostate senza mai consolidarsi per divenire pervasive; un “posto di frontiera” tra città e campagna, senza radici ma nemmeno prospettive. Noi vogliamo che si vada oltre questo concetto e che la periferia diventi linfa vitale per la città. Ciò significa anche svolgere e stratificare operazioni diverse e puntuali, come la riformulazione dello spazio urbano, dello spazio fisico che non può prescindere dall’ascolto dello spazio sociale e nemmeno dalla rilettura dello spazio delle idee che vi sono in esso. Descrivere, ascoltare e rileggere aiuta a esplorare la superficie dello spazio periferico e a elaborarne una più profonda conoscenza, necessaria premessa alla sua trasformazione. Esistono situazioni dove alcuni cittadini convivono con impianti idrici a penzoloni tra gli alberi e guardrail, con i cassonetti colmi e maleodoranti sotto casa; zone dove i bambini non possono giocare in quanto non esistono aree a loro adibite. Dobbiamo superare gli ostacoli e le varie forme di degrado. Come quello di sentirsi abbandonato nel profondo, svalutato nella propria quotidianità, lasciato alla mercede di istituzioni indifferenti ai problemi primari tra i quali strade impraticabili a causa di una manutenzione assente e dal pattume che ne ostruisce il passaggio, oppure quando il cittadino è privato della propria dignità, rassegnato all’idea di non essere parte integrante di un disegno comunale che dovrebbe essere, forse utopisticamente per tutti”.