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Allegro e malinconico come un vecchio rocker
di Aki Kaurismäki. Con Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Ilkka Koivula, Janne Hyytiäinen, Nuppu Koivu Finlandia 2017
In una nave attraccata ad Helsinki, da un mucchio di carbone affiora Khaled (Haji), un siriano fuggito da Aleppo con la sorella Miriam (Niroz Haji); i due si sono persi di vista in Ungheria e lui, nel cercarla e sfuggire alla polizia si è trovato per caso in quel cargo norvegese. Nel frattempo il rappresentante di camicie Wikstrom (Kuosmanen) se ne va di casa lasciando, senza una parola, le chiavi e l’anello nuziale alla moglie (Kaija Pakarinen) alcolizzata. Khaled si da una ripulita e va alla polizia per chiedere asilo; in attesa di accertamenti viene accolto in un centro di accoglienza, dove conosce l’iracheno Mazdak (Simon Hussein Al-Bazoon), in attesa di un visto da più di un anno. Wikstrom va a giocare a poker in una bisca e vince una bella somma, che il proprietario (Ville Virtanen) gli lascia portar via a patto che non torni più. Decide di vendere tutto il proprio campionario e va da un agente immobiliare (Puntti Valtonen) per comprare un ristorante; questi lo accompagna alla Pinta Dorata, un triste locale il cui proprietario (Taneli Makela) accetta senza discutere la somma offerta da Wikstrom per poi scappare con un taxi; sono mesi che non paga i tre dipendenti: il maitre-tuttofare Calamnius ( Koivula), la cameriera Mirja (Koivu) e il cuoco – non proprio a 4 stelle (il suo piatto del giorno è una scatola di sardine servita con patate bollite) – Nyrhinen (Hyytiainen). Khaled, alla fine di giorni di estenuanti interrogatori, vede, incomprensibilmente, respinta la sua richiesta di essere riconosciuto come rifugiato e, dopo aver raccomandato a Mazdak di cercare notizie su sua sorella, riesce – con l’aiuto di un’inserviente (Kati Outinen) – a fuggire. Vaga per Helsinki, ascolta incantato un vecchio rocker (Antti Virmavirta), sfugge all’aggressione di una fronda di razzisti e finisce alla Pinta Dorata. Qui tutti si danno un gran daffare per far arrivare clienti e Calamnius, pieno di idee e di cugini intraprendenti, suggerisce di trasformare il locale in un ristorante sushi ma le riserve di pesce si riservano insufficienti e Nyhrinen tenta di rimediare mettendo nel riso aringhe salate ricoperte da un mare di piccantissimo wasabi. Mentre la clientela giapponese se ne va nauseata, arriva Khaled, accolto generosamente: Wikstrom lo assume e lo fa dormire nel suo garage, gli altri gli insegnano i rudimenti del lavoro e Calamnius gli fa confezionare da un cugino Hacker (Elias Westerberg) dei documenti falsi. Il ristorante si arricchisce di un’orchestrina e tutti si alternano nel far ballare i clienti (che sembrano gradire la novità) ma Khaled deve corre via: Mazdak ha avuto notizie della sorella: è ancora in Ungheria, è viva e sta bene. Wikstrom chiede ad un camionista (Tommi Korpela) di andarla a prender, lui la nasconde nel suo camion e, al momento del pagamento, rifiuta i soldi: ha già avuto il suo guadagno nel viaggio di andata. Wikstrom, tornado a casa, si imbatte in un chioschetto di bibite: lo ha preso la moglie che si è disintossicata dall’alcool. Lui le offre di tornare insieme e lei,felice, accetta. Khaled porta la sorella a cena e le offre di accompagnarla la mattina dopo all’ufficio immigrazione ma, mentre ritorna al garage, viene accoltellato dal capo dei razzisti (Panu Vauhkonen); si tampona come può la ferita e l’indomani mattina raggiunge Miriam sulla porta dell’ufficio e le dà le istruzioni del caso. Lo rivediamo poco dopo, in riva ad un laghetto, ferito e dolorante ma pieno di speranza per il loro futuro.
Kaurismaki, dopo Miracolo a Le Havre, torna sui temi dell’immigrazione e della solidarietà ma, stavolta, l’ambientazione finlandese gli fa ritrovare appieno il suo personalissimo stile (non che il precedente non fosse personale ma talora sembrava inoltrarsi nell’estraneo Porte delle nebbie di Carné). L’altro volto della speranza è Kaurismaki allo stato puro: drammatico, ironico, politico, cadenzato da tristi e profondi motivi rock e country suonati da vecchi, malandati ed ispirati musicisti. E’ come se la cupezza de La fiammiferaia o di Nuvole in viaggio si incontrasse con l’allegra cialtronaggine dei Leningrad Cowboys; questo rende il verdetto di Berlino – l’assegnazione del Premio alla Miglior Regia, anziché l’Orso d’Oro – che lui ha vistosamente contestato assolutamente – condivisibile: forse non è un film perfetto ma la regia è sublime. Vale di pena di spendere qualche parola sulla versione italiana (pertanto, nei titoli di testa si dichiara il pieno soddisfacimento delle richieste dell’esigentissimo Kaurismaki): abbiamo già avuto modo di apprezzare il lavoro di coordinamento di Marzia Bistolfi – responsabile del doppiaggio della Cinema di Valerio De Paolis – e ora non possiamo che confermare: siamo ai livelli della grande tradizione italiana che si era meritata – unica nazione al mondo – la definizione di “doppiaggio artistico”.