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La rivolta gentile del Trullo, quartiere metroromantico

Non solo degrado, scarabocchi e insulti sui muri, palazzi grigi e strade lerce. Non solo rabbia, conflitto, disfattismo. Una periferia può essere anche altro. Colori, versi, solidarietà, relazioni amicali. È la lezione del Trullo, quartiere difficile di Roma in cui si scrivono storie esemplari. Qui sono nati i Poeti e i Pittori Anonimi, qui si organizzano festival di poesia di strada e street art, qui si insegna il senso del rispetto per i luoghi e le persone. Dove la politica non arriva, i cittadini si organizzano da sé.
QUANDO L’ARTE RISCATTA LA PERIFERIA
Ci sono luoghi che raccontano un’altra verità. Antagonisti per definizione, dove l’essere “contro” diventa l’essere “con”, e le ragioni del conflitto incontrano le modalità del dialogo, un codice condiviso, un ordine alternativo fiorito nel disordine stratificato.
Luoghi che all’emergenza sociale rispondono con l’urgenza della cultura. Intitolati a una realtà ruvida, di aculei, di strappi e di improvviso tepore. È da qui, da questi centri vitalissimi e marginali, che sorge l’idea di quel nuovo “realismo” a volte divenuto una faccenda estetica, filosofica, intellettuale. Ma questo è un passaggio successivo, che attiene giusto alla teoria. Qui, intanto, si registrano i fatti. Cronaca di un quartiere che rinasce, a suon di versi e di immagini sui muri. Fenomenologia di una periferia in transito, fuori dai cliché politico-mediatici.
Il Trullo è un posto così. Roma, municipio XI, una realtà popolare con tutte le asprezze del caso: tra piccola borghesia in lotta contro i colpi della crisi, disoccupazione, criticità sociali, spaccio, emarginazione, solitudini e scarsezza di servizi, il Trullo racconta anche storie di solidarietà, di generosità, di militanza, di genuinità. E soprattutto di coraggio, laddove non si lascia spazio alla resa. E racconta, sorprendentemente, storie di rinascita dal basso, mediate dalla pratica dell’arte. Fra scrittura e pittura.

I POETI DER TRULLO. VERSI FRA LE STRADE DI UN QUARTERE
Nel 2010 nascevano, un po’ per caso e un po’ per urgenza d’espressione, i Poeti der Trullo. Ragazzi del quartiere ma anche di zone limitrofe, come Corviale, trovatisi a condividere l’amore per il verso. Non la droga, non le aggressioni pseudo-ideologiche tra fazioni rosse e nere, non il vuoto quotidiano e la disillusione. La poesia, piuttosto, come provocazione dolce e scommessa affilata.
Loro sono Er Bestia, Er Quercia, Er Pinto, Inumi Laconico, ‘A Gatta Morta, Marta der III lotto, Er Farco. Giovani, ironici, cocciuti sognatori metropolitani. O come amano definirsi: “metroromantici”. Che sono i figli di un romanticismo urbano, senza fronzoli né metriche polverose, senza retoriche, artifizi e stilemi: un modo contemporaneo d’essere ottocenteschi, impastati d’emotività e di inquietudine, di empatie e di minime ispirazioni, d’infinito, d’utopia e di malinconia sottile, scegliendo la strada come spazio d’avventura.

I Poeti der Trullo restano anonimi, scrivono parole sui muri, sfrecciano su Internet e impazzano sui social, raggiungendo oggi quasi 150mila like sulla loro pagina Facebook. Nel 2015 pubblicano un libro, totalmente autoprodotto e andato letteralmente a ruba. Perché i Poeti diventano, prestissimo, un fenomeno mediatico. Aiutati dal gioco della segretezza, insoliti nella loro vocazione lirica, intimamente popolari, seducono, conquistano, spargono mucchietti di parole fra i cieli di una Roma proletaria e i muri sgualciti di un quartiere-nido, giardino, isola, rifugio.
“Il Trullo è un luogo della mente”, scrive Inumi, “e tutta la periferia esistente può essere seme e frutto di poesia. Noi esistiamo per dimostrarlo. Noi esistiamo per sporcare i passanti e i vicini del colore che ci è esploso dentro. Abbiamo deciso di lasciarlo fluire e di non arginarlo”.
Quei versi mezzo romaneschi e mezzo italiani – di un italiano un poco ruvido, screziato d’amarezza e joie de vivre– hanno inseguito l’obiettivo: parlare alla gente, attecchire fra il cemento e la distrazione diffusa, incidere gli interstizi dello spazio pubblico con versi, storie, assalti laterali, pause d’introspezione. Roba che richiede attenzione e che provoca stupore.

I PITTORI ANONIMI DEL TRULLO. TUTTE LE STORIE DIETRO I COLORI
In principio fu il verbo. Il verso poetico come pozione insolita, per curare l’apatia di un quartiere, il suo grigiore. Poi, qualche tempo dopo, seguirono i colori: rulli, pastelli, acrilici, pennelli. I Pittori Anonimi del Trullo sono un’altra germinazione felice di questo tessuto sociale disagiato, solo apparentemente infruttuoso.
Era il 2013 quando Mario D’Amico, un sessantenne dalle lunghe chiome canute e gli occhi infinitamente buoni, decideva di aprire un nuovo capitolo della sua vita un po’ sbilenca, da combattente e solitario freak, ai margini del mondo e nel cuore del quartiere. Così, perseguì il suo credo: agire, invece di voltare lo sguardo; unire, anziché distruggere; seminare, per non soccombere al degrado. Un luogo lo si ama anche e soprattutto prendendosene cura. E insegnando agli altri come si fa.

Mario, nato e vissuto al Trullo, amabile sciamano dalla vita irregolare, insieme a un gruppetto di coetanei prese a dipingere i muri dei palazzi, le panchine, le scale, preoccupandosi prima di pulire, cancellare, sistemare le aiuole. Operazioni di riqualificazione notturna, svelando al risveglio piccoli teatri variopinti. Il Trullo diventava, via via, un altro luogo. Monocromi pastello, intrecci geometrici, rettangoli rosa, azzurri, verdi e gialli, pattern e raggiere: una serie di esperimenti d’astrazione divoravano lo scempio di scritte politiche, ingiurie, scarabocchi, cartacce.
La nuova legge era stabilita, prima tacitamente, poi chiarita a gran voce: niente svastiche, falci e martelli, scritte calcistiche, manifesti. L’armonia del colore sanciva la deposizione delle armi. Basta gang, fazioni, piccoli branchi di pischelli o adulti rabbiosi. Basta alla tirannia del brutto e del volgare.
Mario e i suoi amici, a un certo punto, uscirono alla luce del sole. E iniziarono a discutere coi residenti. Perché la conseguenza migliore di tutto questo non fu la bellezza ritrovata del quartiere, quanto l’energia che ne veniva. Qualcuno, afferrando un pennello, ritrovava la voglia di evadere dal baratro quotidiano; qualcuno iniziava a scambiare opinioni coi vicini sulla scelta di un colore, sulla facciata pulita, sul Trullo che cambiava. E c’era chi offriva un piatto di spaghetti ai pittori in azione, chi si fermava a sbirciare, chi si lasciava contagiare partecipando al gioco. La pittura come attivatore sociale.

C’erano – e ci sono – ragazzini incattiviti, che alle tinte pastello preferiscono lo sfregio e il pugno duro; a questi ragazzi Mario mette i colori tra le mani e prospetta un’alternativa, sul piano della creatività e della partecipazione. Certi si salvano, altri restano attaccati al loro destino di micro criminalità e di vuoto affettivo. Ma la battaglia è in atto: Pittori e Poeti stanno provando a costruire una comunità. E versi e colori non sono che la scorza. Dietro ci sono storie, vicende private, possibili riscatti, distanze e appartenenze.
I Pittori Anonimi del Trullo, oggi, vanno in giro per tutta Roma. Li chiamano le scuole per colorare le pareti insieme ai bambini. E loro vanno, spesso senza nemmeno una copertura spese. Una specie di missione. Là dove lo Stato non c’è, il cittadino – a volte – risponde con l’esempio. Lo scontro politico è già bypassato. Perché mentre la politica muore, fra talk show e manifesti elettorali (abusivi), magari sta già risorgendo in forme autonome e micro comunitarie.

STREET POETRY E STREET ART. IL FESTIVAL
“Ecco la Street Art, ar popolo appartiene / Potenza nelle vene che spezza le catene / Ner monno che se spegne è foco nella strada / Che ‘n giorno apre l’occhi e se trova tatuata / Non conosce serrature e orari de chiusura / De ‘n museo a cielo aperto indomabile creatura”. Così si chiude una poesia di Er Bestia, che bene racconta il legame resistente del quartiere con l’arte di strada. Amicizie, frequentazioni, passaggi di artisti e progetti comuni. Come nel caso di Solo, street artist con la passione per i fumetti, anche lui figlio del Trullo, nato qui 33 anni fa, cresciuto in mezzo a quei ragazzini che oggi si reinventano Poeti e in mezzo a quei Pittori che un tempo erano gli amici del papà, prima che la vita se lo portasse via, prematuramente. Legami e ancora legami, tra biografie private e intrecci professionali.
Solo, nel 2014, insieme ai Poeti, i Pittori, allo studio Trasformazioni Urbane e al lettering artist Pepsy, ha regalato al suo quartiere la splendida Nina, opera corale e simbolica, divenuta simbolo di questa rigenerazione attiva.

E c’è anche la Street Art al centro della terza edizione del Festival Internazionale di Poesia di Strada, approdato – dopo Milano e Genova – proprio in questo angolo di Roma, fra il 17 e il 19 ottobre scorso. Declinando il tema dei “Viandanti”, street artist e street poet hanno lavorato in coppie, tra muri di palazzi e saracinesche di negozi. Effetto didascalico evitato. Pittura e scrittura si sono tenute insieme a partire da un’urgenza di fondo: leggere l’anima del Trullo e restituirla in una forma creativa. L’alchimia è sgorgata da sé.
Dal ritratto di Mario nei panni di scrivano, magistralmente dipinto da Gomez sul filo di un toccante componimento del Poeta del Nulla – opera dedicata alla potenza dell’ombra come altro da sé, racconto intimo, linguaggio notturno – all’efficace intervento dei milanesi Ivan e Piger: una membrana di calligrammi rossi e azzurri, a ricalcare un frammento architettura, nascondendo parole chiave e versi di resistenza lungo un tappeto di scrittura goticheggiante, preziosamente contemporanea.

E poi Solo – parte attiva dell’organizzazione del Festival – che nella piazza principale ha dipinto un ritratto oversize di Laura, vecchia amica del quartiere, scomparsa di recente; Moby Dick, col suo omaggio allo sguardo magnetico delle donne d’Oriente, creature in fuga, in cammino, in trincea; Diamond, che sulla facciata di una scuola ha tracciato con maestria i profili di un uomo e una donna, agganciati in un romanico stemma d’antan; Mr. Klevra, col suo angelo custode, raffinata apparizione spirituale; Bol23, col suo iconico pappagallo; Marcy, che ha sospeso un funambolo nello spazio, sulle orme di un “coraggio clandestino”; Gio Evan, col suo inno alla gioia per i ragazzi di strada, impreziosito da un dipinto di Jerico… Giunti da tutta Italia i poeti – tra gli altri anche Ste-Marta, Factory Wrting, M.E.P, Mr. Caos, Alfonso Pierro… – per una piccola Woodstock di periferia nutrita di parole, ritmi, haiku. sonetti. Una grande festa creativa, ma soprattutto umana.

I concerti al Cso Il Faro, intanto, hanno supportato l’operazione con gli incassi, grazie alla generosità dei musicisti, privatisi dei cachet. Cantautorato romano, indie, tanto rap e come special guest i Colle der Fomento, sempre travolgenti.
“Ci ancoriamo per navigare altrove” è il verso di Poesie Pop Corn inciso sul muro di Diamond. Forse la sintesi migliore di questo festival e di tutta la mitologia urbana fiorita intorno al Trullo. Essere insieme, per affrontare traversate difficili, per inventare viaggi collettivi, laddove è nella collettività che si definiscono la rotta, le pratiche di navigazione, i codici d’attraversamento, gli orizzonti possibili e le traiettorie giuste. Immaginando d’essere guerrieri di una guerra di quartiere, di una rivolta gentile. Combattuta a colpi di piccole poesie e di visioni monumentali.

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