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La potenza dell’unificazione: una filosofia per l’Europa

Diario europeo, n. 27

“Se è vero, come ha scritto Georg Wilhelm Friedrich Hegel , che il bisogno di filosofia nasce ‘Quando la potenza dell’unificazione scompare dalla vita degli uomini e le opposizioni hanno perduto il loro rapporto vivente e la loro azione reciproca’, nulla è più attuale di una filosofia per L’Europa”.
Così inizia la sua indagine Roberto Esposito, docente di filosofia teoretica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa.
(La tesi)
Una intensa e appassionata ricostruzione delle radici del pensiero di e su Europa, perché “può accadere che, quando non è più sufficiente pensare l’Europa in termini economici e appare velleitario ipotizzarne un assetto politico, l’unico varco aperto resti quello scavato dal pensiero”(p. 4). E non si tratta di una fredda speculazione, ma di un confronto diretto con la vita e il sangue delle persone. La vita biologica di milioni di esseri umani in fuga dai propri territori devastati dalla guerra e dalla fame; e le esplosioni che hanno insanguinato le strade d’Europa con la morte che erompe senza più mediazioni al centro della scena politica, scrive Esposito; ed aggiunge: “Il destino del nostro continente, non diversamente da quello del resto del mondo, si gioca sul margine incerto che, nella implicazione diretta tra politica e vita biologica, separa una biopolitica affermativa da una crisi tanatopolitica di dimensione ignote” (p. 5).
“Da fuori”, è il titolo (sottotitolo, “una filosofia per l’Europa”, Einaudi, Torino, marzo 2016.
“Da fuori” è anche la chiave interpretativa dell’intero saggio.
Sia nel senso che: “filosofia e crisi si illuminano a vicenda in una stretta che fa dell’una il filtro di riconoscimento dell’altra”; laddove per “crisi” si deve intendere la questione economica e ancora di più “l’entità del flusso migratorio che ha investito l’Europa da un lato e la guerra scatenata nelle sue strade dall’altro” (p.5).
Sia in un senso più profondo di un “libro che fin dal titolo rompe con un atteggiamento introflesso, riportando la filosofia dell’Europa al suo ‘fuori’; la relazione del pensiero con l’esterno non è solo l’oggetto di questa ricerca, ma anche la cornice teoretica in cui essa si iscrive” (p.6).
Il saggio, perciò, ha una grande pregnanza politica, perché pur impostando la sua ricerca nel quadro di lunga ricostruzione della ‘filosofia della crisi europea’, afferma senza mezzi termini la necessità di una “netta discontinuità” che deve distanziare il pensiero europeo attuale, dal passato; per aprire “una nuova stagione di riflessione in grado di incrociare le questioni poste all’Europa dal mondo globalizzato” (p.6).
(Filosofia della crisi)
Diario europeo deve scusarsi con i lettori e le lettrici per la fatica alla quale li sta chiamando, in una immersione nel pensiero filosofico europeo di oltre un secolo.
“Alla fine della prima guerra mondiale la percezione di una crisi profondissima percorre ed unifica l’intero scenario della filosofia” (p.19). ‘Percorre ed unifica’. Si tratta da una parte di una discontinuità profonda; una sorta di abbandono di un porto tranquillo: “per Hegel la filosofia europea si compie (Vollendung) divenendo storia”. E si compie in Germania. Tutti i nuovi protagonisti, dopo di lui, hanno alle spalle questo ‘pensiero’, forte e rassicurante. “Bastano pochi decenni perché questa prospettiva si oscuri”. E da “compimento” si passa ad “esaurimento”.
“La mediazione tra spirito e potenza, che nella filosofia di Hegel aveva prodotto l’egemonia europea, non riesce più ad arginare le forze distruttive che investono l’Europa dal suo interno, travolgendone i confini simbolici e materiali” (p.21). La ‘macchina metafisica’ si inceppa. Le due grandi guerre si incaricano di certificare questo dato!
Ma procediamo con ordine. All’inizio la frattura avvenne all’interno, tra una sinistra e una destra hegeliana: Marx da una parte, Kierkegard dall’altra. Entrambi pensano che si è di fronte ad una “fine”, ad un “esaurimento” e non più ad un “compimento”. Una sorta di ‘si salvi chi può- un rompete le righe’: l’urgenza di “fuoriuscire” dalla filosofia. Per farsi “prassi politica” (Karl Marx); “agire etico” (Soren Kierkegaard ); “energia vitale” (Friedrich W. Nietzsche).
Insomma, “il rapporto tra filosofia ed Europa subisce una improvvisa lacerazione, destinata presto a farsi solco profondo”(p.21). La storia preme da ogni parte su e contro Europa: “dai lati opposti del continente la vecchia Russia di Dostoevskij e la nuova America di Tocqueville mettono per la prima volta in discussione la centralità dell’Europa” (p.21).
La categoria del “nichilismo” rende bene la situazione. Era un “pensiero” antico, primo-ottocentesco: ora viene ripreso per certificare una “fine”, quella della perduta centralità storica del continente. Le parole usate sono assolutamente altisonanti: Maria Zumbrano (“La agonia de Europa”, Madrid 1945): l’Europa, “il luogo dove esplode il cuore del mondo”. A dirla con forza molto evocativa è Karl Lowith in “Il nichilismo europeo”: “l’Europa è un mondo che tramonta e nello stesso tempo un mondo a venire, ma tra i due mondi non c’è una transizione continua, ma una decisione carica di destino” (Stoccarda, 1940).
(la ricerca del/nel passato)
IL “dispositivo della crisi” evolve in una ricerca di una origine perduta: “non essendovi, per la filosofia, altro terreno di sviluppo che quello europeo, essa non può che ripercorrerlo all’indietro, alla ricerca di qualcosa che ha lasciato, inattivo, alle sue spalle” (p.23).
Per Paul Valéry (Parigi 1919) la crisi dell’Europa ha un carattere terminale. “Dopo essere stata ‘una macchina per trasformazioni’, ‘fabbrica intellettuale senza paragoni’, essa rischia di ridursi alla piccola appendice a ovest dell’Asia” (p.25).
Per Edmund Husserl (Vienna 1935) la consapevolezza della crisi si traduce in una sorta di utopia-follia di grandezza. “Da un lato l’Europa è interpretata come entità dotata di significato universale in ragione del suo rapporto esclusivo con la filosofia (‘sapere che nasce dalla Grecia’). Dall’altro è intesa come terra di un gruppo umano particolare, superiore a tutti gli altri (….) riproducendo così il potenziale escludente della macchina geo-filosofica hegeliana ” (p.27). Il concetto della “fenomenologia del trascendentale” ne è lo strumento.
Martin Heidegger (Tubinga 1966) conduce questa analisi e la prospettiva alla sua conclusione: la origine della crisi europea, infatti, non starebbe nella deviazione dalla metafisica greca, bensì all’interno della filosofia europea tout court. E la crisi, “per quanto europea e dunque mondiale, (essa) è innanzitutto tedesca”; sia perché la Germania è terra di filosofia, sia perché al centro di quell’Europa oggetto dell’attacco delle due potenze antispirituali: Russia e America. In termini filosofici e della sua “Introduzione alla metafisica”, la missione è la “ricerca dell’Essere” (p.28-29).
Di questa autoriflessione della filosofia europea tutta proiettata, come si può ben vedere, su se stessa, alla ricerca salvifica della propria essenza originaria, c’è contemporaneamente una branca “tragica” (p. 29-30): Johan Christian Friedrich Holderlin che vede precisamente nella relazione tra Grecia ed Europa il luogo della salvezza.
Chi conduce alle sue estreme conseguenze questo percorso del dispositivo della crisi è Friedrich Nietzsche ( 1887). “E’ con lui che viene dichiarata la irrecuperabilità dell’origine in quanto inautentica, costitutivamente (…). E’ qui nasce quel vocabolario della ‘finis Europae’, destinato a prendere il nome di nichilismo, da cui le successive filosofie della crisi attingeranno a piene mani” (p. 33). Ma nello stesso tempo egli traccia una frattura insanabile e definitiva sia con le prospettive ellenocentriche di Hegel, di Husserl e di Heidegger, sia con ogni fenomenologia di interiorizzazione. Afferma categoricamente Nietzsche: “solo fuori di sé i ‘buoni europei’ potranno trovare l’energia per spezzare le catene che li legano a una civiltà esausta” (p. 35).
Ma c’è una seconda linea di pensiero di questa autoriflessione della filosofia europea, quella che tenta di proiettarsi fuori da un contesto, ormai definitivamente, lacerato e lacerante. Un itinerario speciale è quello del ceco Jan Patocka, dentro un’Europa scossa prima dalla guerra e poi dalla cortina di ferro, nella quale egli vive, iniziando a scrivere nel fatidico 1939. Per lui “ l’Europa è il prodotto sempre mutevole, di una guerra mai conclusa, perciò la definizione della sua essenza non può che cercarsi al fondo dei conflitti di cui essa è figlia” (p. 37). La sua morte, causata dalle violenze di un interrogatorio della polizia di regime, è segno e profezia di una Europa che può nascere solo “fuori di sé”. Egli già nel 1970, senza aver visto il crollo del muro del 1989, parla di un’Europa post europea, che nasce dalla autoconsapevolezza radicale delle sue crisi.
L’altro itinerario di grande rilievo per l’influenza che ha avuto nel pensiero politico di tutta Europa, è quello di Carl Schmitt. “Con la sua conferenza del 1941 su “Terra e mare- una riflessione sulla storia del mondo ” (…) egli imprime una svolta realistica dell’Europa rispetto alle sue derive apocalittiche. Quando scrive che ‘ molti vedono solo un disordine privo di senso laddove in realtà un nuovo senso sta lottando per il suo ordinamento” (p.40). Carl Schmitt condivide con altri la concezione della irriducibilità del conflitto e ad esso annette la categoria e il linguaggio del “politico”. “A prescindere dal tono – volta a volta drammatico o rassegnato, disperato o disilluso – con cui l’autore ripercorre la vicenda, ciò che caratterizza il suo lessico è un realismo ben lontano dallo spiritualismo di Husserl e Heidegger. Per Schmitt il nichilismo, prima che nel pensiero affonda nella carne viva della storia europea (…). Da questo punto di vista, rispetto alla tradizione filosofica, lo spazio prevale nettamente sul tempo, proiettandone le scansioni sulla superficie terrestre, in quella che può essere ben vista come la prima grande analisi, a un tempo filosofica e politica della globalizzazione”(p.41).
E non bisogna dimenticare anche il contesto più generale del pensiero germanico-europeo in cui nuota l’insieme di questa dinamica del pensiero filosofico: il contesto della “teologia politica”, cioè la discussione sulla interpretazione e fondazione della “sovranità”. E Schmitt “pensa in termini apocalittici, ma dall’alto (…) chi pensa dall’alto lotta perché il caos non venga a galla e permanga lo Stato” (in: Jakob Taubes, La teologia politica di san Paolo, Adelphi, 1997, p.234).
Mentre egli riflette sulla storia del mondo e sui poteri che si esercitano tra “terra e mare”, non può non accorgersi che un altro soggetto emerge sullo scenario della lotte per il potere: l’aereo. E in un carteggio con E. Junger , dopo aver evocato i due animali mitici – Leviatano (mostro marino) e Behemot (mostro terrestre)- ne evoca un terzo : il Grifo, grande uccello menzionato nel libro dei Salmi; e scrive:“ è così potente che se in volo lascia cadere un uovo schiaccia mille cedri giganti e fa straripare i fiumi”.
Insomma, con questo fraseggio simbolico e mitologico (ma anche teologico, per la indubbia dipendenza dalle scritture ebraico-cristiane) assistiamo ad una nuova consapevolezza filosofica, dove è la ricerca – anche giuridica e del diritto – della fonte del “Politico” (la Sovranità), la nuova emergenza del pensiero; in parallelo con l’osservazione dello “spostamento del baricentro simbolico dalla terra al mare, e poi da questo all’aria, (che) rappresenta sul piano dei rapporti di forza, la sconfitta delle potenze continentali da parte di quelle atlantiche. La lotta a morte fra i tre mostri dell’escatologia ebraico-cristiana – rappresentativi dei regni dell’acqua, della terra e dell’aria – traduce con l’evidenza visionaria delle immagini un passaggio di egemonia di carattere epocale” (p. 45).
E la campana già suonava per Europa: ormai non più centrale, ma neppure ancora unificata. Anzi molto lontana dall’esserlo!
Negli anni ’40, altri protagonisti del pensiero europeo – tedesco, francese, italiano – emergono ad interpretare la storia che si svolgeva sotto i loro occhi.

(Nel prossimo “Diario”, continueremo questo cammino: dalla Scuola di Francoforte, alla filosofia francese, al Pensiero italiano. E anche – curiosamente – scopriremo che molta parte di questa filosofia per l’Europa abbia trovato il luogo del suo approfondirsi in terra americana. “Da fuori”, come titola Roberto Esposito, il suo mirabile saggio di filosofia teoretica).

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