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La classe operaia va all’inferno
di Ken Loach. Con Dave Johns, Hayley Squires, Dylan McKiernan, Briana Shann, Kate Runner
Daniel Blake (Johns) è un falegname di Newcastle e, dopo una vita di lavoro, è costretto all’inazione da un infarto. Ha un colloquio con una non meglio identificata “operatrice della sanità” (noi lo sentiamo solo dallo schermo nero) che dovrebbe assicurargli l’assegno d’invalidà ma le domande sono stereotipate e assurde e lui reagisce con malgarbo. Il sussidio, nonostante il parere dei medici, gli viene negato ma, fino a che alla lettera che glielo comunica non si aggiunga anche una telefonata ufficiale, lui non può presentare un ricorso (né può accelerare i tempi chiamando direttamente perché il suo contatto è un call-center). All’Ufficio del Lavoro, l’Assessore (Natalie Ann Jamieson) gli consegna un modulo che dovrà riempire on line per chiedere il sussidio di disoccupazione ma, siccome per ottenerlo dovrà dimostrare di cercare un lavoro (non importa che sia inabile: il respingimento della istanza attesta il contrario), gli impone anche di frequentare un ridicolo corso – gestito da un caricaturale manager (John Summer) – sulla compilazione del curriculum. Nello stesso ufficio aveva incontrato Katie (Squires), una giovane operaia disoccupata che era appena arrivata da Londra con due figli, Dylan (McKiernan) e Daisy (Shann), alla quale era stato negato il colloquio per un lieve ritardo. Lui l’aveva difesa e poi la aveva accompagnata nella sua nuova malandata casa e si era offerto di farle i lavori necessari a renderla vivibile. Dylan e Katie diventano amici e i bambini gli si affezionano. Lui non sa usare il computer ma con l’aiuto del suo giovane vicino di casa China (Kema Sikaszwe) – un ragazzo di colore intraprendente che vende sottocosto scarpe di marca importate dalla Cina – riesce a compilare il modulo richiesto e comincia a girare per le aziende per lasciare il curriculum (salvo dover rifiutare per ragioni di salute quando il lavoro gli viene offerto davvero). L’assessore però gli contesta la pratica perché sprovvista della regolare documentazione e un’impiegata gentile, Ann (Runner), lo aiuta con il computer ma, per questo, viene severamente redarguita. Katie, a sua volta, gira per tutta Newcastle cercando un lavoro di addetta alle pulizie ma non trova niente e, così, lascia ai figli quel poco di cibo che riesce a comprare. Daniel accompagna lei e i bambini ad un Banco Alimentare – associazione benefica che dà cibo a chi ne ha bisogno – e Katie, presa dai morsi della fame, apre un barattolo di pomodori e li mangia avidamente, scoppiando poi in lacrime per la vergogna. Dave vende i mobili della sua casa (li aveva fatti lui per sé e per l’adorata moglie, ora scomparsa per una grave malattia, con grande amore) e le dà un po’ di soldi. Lei va al supermercato ma non resiste alla tentazione di rubare qualcosina (assorbenti, penne per i bambini) e l’addetto alla sorveglianza, Ivan (Micky McGregor) la coglie in fallo e la porta in direzione; lei se la cava con una ramanzina e all’uscita Ivan le dà il proprio biglietto da vista, dicendole che può aiutarla. Una notte Daisy va nel suo letto e le dice che a scuola la prendono in giro perché ha le scarpe rotte; lei allora prende il coraggio e telefona. In un bar lui la presenta a Madam (Julie Nicholson), che la ingaggia nella sua casa d’appuntamenti. Dave intuisce qualcosa, la segue e va da lei, presentandosi alla porta come un cliente; lei lo scaccia e gli dice che non vuole più vederlo. Poco dopo, alle ennesime assurde richieste dell’Assessore, lui rifiuta di proseguire con quella farsa e, con un pennello, scrive la sua storia sul muro del Collocamento. Diffidato, si chiude in casa e rifiuta ogni contatto ma un giorno Daisy, insistendo, si fa aprire e lo porta da Katie. Lei lo aiuta a trovare un avvocato per il ricorso, lo accompagna al colloquio ma, per le troppe emozioni accumulate, il suo cuore non regge.
L’ottantenne Loach aveva dichiarato che Jimmy’s Hall del 2014 sarebbe stato il suo ultimo film ma la storia scritta dal suo sceneggiatore Paul Laverty lo ha convinto a ripensarci. Ed è un bene perché Io, Daniel Blake è un bel film e, giustamente, all’ultimo Festival di Cannes ha avuto il Premio quale Miglior Film. La filmografia di Loach è ricca di opere importanti, tutte, come è noto, improntate ad una grande passione politica (lui ama definirsi trozkysta); il suo cinema è, però, grande perché attraversato spesso da una robusta e delicata, a un tempo, poesia. Le sue cose migliori sono sempre un ritratto dolente e condiviso della classe operaia, senza paura di lasciarsi andare a toni melò, che in questo film sono assai vistosi ma ricchi di pathos. Semmai la sua vena s’inaridisce un po’ quando (come in Terra e libertà, L’altra verità o la parte nicaraguense de La canzone di Carla), facendosi didascalic, fronteggia direttamente la Storia. Io, Daniel Blake è invece dalla parte dei suoi titoli migliori e Daniel se la vede con i meravigliosi proletari perdenti di Piovono pietre, Ladybird,Ladybird, Paul, Mick e gli altri e dello splendido documentario, Spirit of ’45, sulle prime elezioni vinte nel dopoguerra dal partito laburista. Il cast è perfetto e il protagonista è uno stand-up comedian, per la prima volta – efficacissimo – in un ruolo drammatico.