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“Borgate. Uscita nella calma insolita di periferia” è un grande reportage fotografico di Pasquale Liguori. Sguardi attenti oltre la percezione patinata, retorica o istituzionale di alcune periferie romane. Sguardi sulla città dal basso, la domenica alle prime luci, quando un momento di ristoro collettivo attraversa finalmente una città complessa e ferita come Roma. “Nel momento dello scatto – spiega Pasquale -, antagonismi, conflitti, dolori e razzismi risultano sfocati, persino neutralizzati. Predomina la dignità dei singoli e possibilmente quella collettiva…”
A settembre, si è tenuta in Trastevere, nel cuore di Roma, la mostra “Borgate. Uscita nella calma insolita di periferia”, mio reportage fotografico, corredato di testi, stimolato dall’esigenza di addentrarmi nella periferia romana. Si è trattato di un’indagine senza mediazioni e filtri, orientata alla lettura e alla miglior comprensione dei luoghi.
L’interesse generale suscitato dalla mostra, autoprodotta e dunque di relativa breve durata, mi induce a riproporla prossimamente in città (anche in collaborazione con Comune, chi interessato alla mostra può scrivere a carmosino@comune-info.net). In vista di questa auspicata possibilità, desidero condividere il contesto in cui è maturato il reportage.
Le ragioni del progetto
Vivo da molti anni nella capitale dove sono arrivato per esigenze professionali. Le stesse che a lungo mi hanno distratto dal raggiungimento di un’esperienza civica e urbana più consapevole, confinando la mia percezione di città a una superficie conoscitiva del tutto simile a quella raggiungibile dal volenteroso turista “mordi e fuggi”. Spesso, dunque, una percezione patinata, istituzionale, maestosa. Al più, scippata a titoli di giornale. O assestatasi con il metabolismo di luoghi, monumenti, palazzi e spettacolari contesti nella cifra di recensioni, guide e pacchiani eventi aziendali o di rappresentanza.
Ho sempre amato inoltrarmi nella periferia. A Napoli, dove sono cresciuto, ho imparato ad assorbirne il valore, l’identità e l’insegnamento di vita in situazioni anche estreme.
Ammiro la periferia per la sua capacità di “frontiera”, sviluppo e capacità di adattamento, cambiamento e proposta. La amo quando è capace di prendersi cura di sé. Soprattutto, di fronte all’incuria e al disinteresse generale.
La realtà cittadina aggravata dal malaffare, dal crimine e dalla progressiva crisi amministrativa ha consolidato il diffuso disagio per i gravi scollamenti civili e sociali resi insopportabili dal blob edilizio e urbanistico cui la città è stata evidentemente sottoposta nel corso degli anni.
Soggetto (emozione) e metodo (sentimento)
Dovevo stabilire un punto di partenza per avvicinarmi alle borgate: ho considerato quelle cosiddette “ufficiali”, istituite dal regime fascista. Ho scelto poi un criterio di ripresa in cui si condensassero gli elementi decisivi per la progettualità di indagine: identificare l’impatto dimensionale e strutturale del contesto borgata, registrando nello stesso momento l’umanità cui è sottesa. Per questo, avevo bisogno di un momento, in un giorno specifico, dove la densità umana fosse la più elevata possibile. Con edifici pieni di vite e con piazze e strade praticamente deserte.
Desideravo, inoltre, evitare la trappola della curiosità fine a se stessa, un po’ pettegola e grottesca, che porta dritto a rese retoriche (e fugaci ricordi) della periferia e dei suoi problemi.
La domenica alle prime luci è un momento di ristoro collettivo. Ed è poi il momento di massima presenza abitativa di quasi tutti i domiciliati (anche chi appena rientrato dalla notturna visceralità del sabato). Una fase intermedia tra sonno, recupero almeno parziale da stanchezze e tensioni, risveglio e ferite leccate e, se possibile, la predisposizione più indulgente a riesaminare i luoghi e il contesto in cui si vive. Avendo cura per se stessi, in fin dei conti.
Nel momento dello scatto, antagonismi, conflitti, dolori e razzismi risultano sfocati, persino neutralizzati. Predomina la dignità dei singoli e possibilmente quella collettiva, in un modello abitativo che permane certamente complesso.
Sempre in quel momento, geometrie, spazi della convivenza visibili nella loro essenziale nudità, sembrano chiedere la condivisione della potente carica energetica e affettiva di quei momenti. Per beneficiarne prima che ritorni a dissiparsi al servizio dei mille sfilacciamenti quotidiani, della competizione neoliberista del vivere o sopravvivere.
In definitiva, ho avvertito un’identità ancora salda, confluente in una somma energetica di esperienze da non disperdere, che può proteggere persino dalle tentazioni fagocitarie della gentrification che ha snaturato altre, vicine periferie.
“Borgate. Uscita nella calma insolita di periferia” vuole essere un tributo a chi vive i luoghi ritratti e, al tempo stesso, un invito a non dimenticare e alla proposta. Alla cura e al valore comune.