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Amendola non è Melville ma (almeno) ci prova
di Claudio Amendola. Con Luca Argentero, Claudio Amendola, Giacomo Ferrara, Valentina Bellè, Antonino Iuorio Italia 2017
Luigi (Amendola) è un ex-rapinatore e sta scontando una lunga pena per due omicidi (sono già 18 anni che è in carcere), Donato (Argentero) è stato un campione di incontri clandestini e in prigione è sempre isolato e chiuso, Angelo (Ferrara) è poco più che un ragazzino ed è stato arrestato mentre faceva da autista, per una rapina, a tre suoi amici – Sercio (Andrea Carpenzano), Gomma (Davide Argenti) e Lisca (Stefano Rabatti)- che lui non ha denunciato, Rossana (Bellè) è una ragazza di buona famiglia che è stata fermata, al ritorno di un viaggio in Brasile con la madre Charlotte (Valentina Sperli), con 10 chili di cocaina; tutti e quattro escono da Rebibbia per un permesso di due giorni. Donato, all’uscita, non trova nessuno, mentre sperava che i suoi amici lo venissero a prendere, Valentina è accolta dall’autista Massimo (Massimo Urbani) con la fuoriserie di famiglia, fa salire Angelo che le aveva chiesto un passaggio e, a metà strada, si ferma per comprarsi un gelatone; al ragazzo dà solo l’ombrellino di decorazione e, fatta fermare la macchina, ci fa l’amore ma lui, sorpreso e spiazzato dalla rabbiosa furia di lei, finisce quasi subito. Irritata si fa portare nella villa di famiglia e dice all’autista di accompagnare Angelo. Lui arriva nel quartiere San Lorenzo dove ha una casa lasciatagli dalla nonna e che ora è abitata dai suoi amici che lo festeggiano (non solo andati a prenderlo per fargli una sorpresa). Donato va a cercare la moglie, che aveva affidato al suo ex-manager, il gangster Sasà (Antonino Iuorio), che invece la ha messa in una casa di tolleranza; anche lì però non la trova e va a chiederne conto a Sasà; qui il suo unico amico Gaetano (Massimo De Santis), il bracco destro del malavitoso lo perquisisce e Sasà gli propone uno scambio: gli ridarà la moglie se combatterà quella sera per lui. Donato accetta. Intanto Luigi, dopo aver osservato da lontano il figlio Michele (Simone Liberati) che guida una costosa macchina ed è circondato da bulletti, va alla lavanderia gestita dalla moglie Rita (Alessandra Roca) e torna a casa con lei. A cena, affronta il figlio – in carcere aveva saputo che aveva rubato dei soldi e della coca al suo vecchio compagno di rapine Goran (Ivan Franek), ora divenuto un boss della droga – e capisce che il ragazzo è vissuto nel mito della sua figura e che si è messo nei guai, nella speranza di eguagliarlo. All’alba lo sveglia e lo porta in un tunnel deserto; qui tira fuori due pistole e, schiaffeggiandolo, dice al ragazzo di dimostrare di avere le palle sparandogli, altrimenti gli avrebbe sparato lui. Michele non se la sente e lui, abbracciandolo (è felice che il figlio per sua fortuna, non sia come lui), lo convince a restituire quello che è rimasto di droga e soldi a Goran. Angelo, a cena con gli amici, si vanta di aver fatto l’amore con una ragazza dell’alta società e loro, per sbugiardarlo, lo portano sotto la villa di lei e la chiamano schiamazzando; lei si affaccia e, divertita, non solo conferma il racconto ma esagera parecchio la qualità della prestazione di Angelo. La sera loro gli raccontano di aver organizzato per il giorno dopo una rapina ad un furgone portavalori e che a lui – come ricompensa per non averli denunciati – sarebbe andato tutto il ricavato, con cui avrebbe potuto partire per un paese senza estradizione. Quella stessa sera Donato, fuori allenamento ma spinto dalla rabbia e dall’amore della moglie, affronta con fatica il match e atterra l’avversario ma quando chiede a Sasà di ridargli la moglie, questi l’accoltella e dice a Gaetano di portarlo via e di finirlo. Quest’ultimo lo butta giù, semimorto, dalla macchina e, dopo aver sparato un colpo in terra, lo fa rotolare per un dirupo. Luigi va da Goran e, in nome della vecchia amicizia, gli chiede di risparmiare il figlio ma l’altro non accetta: non può tollerare che nel giro si sappia che lui ha subito uno sfregio senza vendicarsi. Non rimane a Luigi che spedire lontano Rita e Michele ed aspettare gli eventi. Rossana ha una violenta lite con la madre, che sta cercando di farle ottenere i domiciliari mentre lei le chiede 200.000 euro per scappare all’estero (non vuole più tornare in carcere, dove è costretta a fare favori sessuali alle altre detenute), alla fine della quale Charlotte le dà i gioielli di gran valore che ha indosso e la caccia di casa. Lei va da un Compro Oro ma il titolare (Renato Imbronise) le offre solo 15.000 euro. Lei lì per lì accetta ma, dopo un po’, torna a casa e ridà i gioielli alla madre abbracciandola. Donato, pesto e gravemente ferito, arriva a fatica in un cantiere abbandonato e, dopo essersi tamponato la ferita con del nastro adesivo ed aver riposato un po’ prende un piccone che trova nella baracca, va da Sasà – che si stava facendo fare un pompino dalla giovanissima Ludmilla (Alice Pagani) che lui tratta come una schiava – e lo uccide a picconate e a pugni; dopo di che fa fuggire la ragazzina e va a morire in riva al mare. A casa di Luigi, quella sera arrivano armati di mitra i killer che aspettava, lui li uccide ma Goran lo fredda con un colpo di pistola. Angelo non riesce a dormire pensando al colpo del giorno dopo e va da Valentina; la ringrazia per avergli tenuto il gioco con gli amici e, dopo averle offerto un panino in un baracchino, la porta a vedere un giardino medievale: lui in carcere si è laureato in Verde Ornamentale e fa sfoggio con entusiasmo del suo sapere, lei lo bacia e passano la notte insieme; sempre insieme, l’indomani mattina, tornano in carcere.
Amendola è alla sua seconda regia, dopo il riuscito La mossa del pinguino, e si affida al soggetto del giudice-scrittore Giancarlo De Cataldo che gli era stato proposto dal suo amico produttore Claudio Bonivento. La scelta registica è quella di mettersi semplicemente al servizio di storie di ordinaria malavita, senza le magniloquenti digressioni socio-politiche dei romanzi più noti di De Cataldo (Romanzo criminale e Suburra) e delle loro successive trasposizioni, in uno stile asciutto e nostalgico che richiama i grandi noir francesi (Il bandito della casbah, Grisbì, Rififì, fino al mai troppo citato Tutte le ore feriscono…l’ultima uccide).Certo Amandola non è Dassin o Melville – e ne è consapevole – ma gli va riconosciuto il coraggio di mettere mano ad un soggetto di genere diverso dalla affollatissima commedia e di portarlo in fondo con un cast di ottima qualità: dai cattivi, per vocazione, Iuorio e Franek, ai ragazzi, a partire dalla quasi esordiente Bellè e lo Spadino di Suburra, Ferrara, fino alle varie caratterizzazioni tutti credibili e ben in parte. Merita anche di essere citato il produttore: Bonivento ha avuto alti e bassi (come quasi tutti in questo mestiere) ma, isolato e coraggioso, ha fatto nascere film molto importanti, quali La scorta, Mery per sempre, 20 sigarette, spesso contro tutto e tutti. Tra i meriti del film, la bella fotografia di Maurizio Calvesi e le scenografie e le scelte di location di Paki Meduri; la sceneggiatura è corretta, con qualche scivolata melò (il pistolotto sui giardini di Angelo con poesia finale di Rossana è un po’ duro da reggere) ma sono dettagli. Il titolo richiama 48 ore di Walter Hill; anche lì c’è un detenuto in permesso ma la storia era, anche se non ufficialmente, ispirata a Il trucido e lo sbirro di Umberto Lenzi, il film da cui è nato il personaggio di Monnezza; mi piace pensare che Il permesso sia un inconscio e (purtroppo!) puntuale omaggio a Tomas Milian.