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Il Pd riabbraccia Marino ma senza uno straccio d’idea

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Prima giunta Marino

Tra Ignazio Marino e il suo partito si è siglata una tregua giusto per prendere tempo. Ma nulla di più perché un contributo effettivo di idee dalla conferenza programmatica del Pd di Roma non è arrivato. E dunque è mancata una proposta su cui confrontarsi veramente e da cui ripartire, in modo condiviso, nell’attività amministrativa.

Marco Causi ha sicuramente individuato i problemi più scottanti della capitale ma la sua relazione è stata carente sul piano di una visione strategica di medio periodo entro cui collocare il futuro di Roma. Il senatore democratico è stato bravo a glissare brillantemente questa parte colmando il vuoto con la presentazione – convinta e priva di tentennamenti – degli assi portanti dello sforzo che il governo Renzi sta compiendo per far uscire il paese dai marosi della crisi. Ma non ha offerto alcuna base concreta di cose da fare a livello locale. Lo scontro tra una vecchia e cattiva politica e una buona politica è tutta giocata sul piano nazionale e riguarda il nostro rapporto con l’Europa, la capacità di modificare l’asse delle politiche di austerità, richiedendo più Europa senza ripiegare sui nazionalismi da “piccola patria” e portando a compimento quelle riforme che ci permettono di svolgere il nostro ruolo nel rilancio delle istituzioni europee.

C’è sicuramente consapevolezza della causa di fondo del malessere sociale che ultimamente si è manifestato in alcuni quartieri della città con punte virulente di “guerriglia urbana”. Non solo non si è potuto fare a meno di inanellare i dati della crisi a Roma quasi fossero un bollettino di guerra: in sette anni sette punti in meno di valore aggiunto, 30 mila posti di lavoro perduti al di fuori della CIG, 75 mila posti di lavoro perduti transitando attraverso la CIG, tasso di disoccupazione raddoppiato dal 5,8 all’11,3 per cento, tasso di disoccupazione giovanile al livello del 44,9 per cento, superiore alla media italiana del 40 per cento. Ma si sono anche individuate, senza mezzi termini, nei litigi istituzionali, negli eterni conflitti tra regione e comune e tra governo e amministrazione capitolina le ragioni di fondo dell’incapacità di dare risposte concrete al malessere dei cittadini. Non si è potuto tacere quello che tutti vedono. E cioè che gli effetti devastanti della grande depressione su Roma hanno colto impreparata un’intera classe dirigente a tutti i livelli: una classe dirigente litigiosa, inadeguata, irresponsabile e priva di capacità propositiva. Nel rappresentare i rapporti tra Campidoglio e Pisana, Causi utilizza un’espressione che rende plasticamente l’idea della situazione: «continuano a comportarsi da separati in casa».

C’è la denuncia dell’«arretrato di manutenzione urbana» e dei «vistosi segnali di caduta della qualità dei servizi pubblici essenziali» da affrontare attraverso un «piano per le periferie». E tuttavia i disagi manifestati dai cittadini per questa situazione diffusa di degrado, soprattutto nei quartieri periferici, costituiscono solo i sintomi di un malessere che ha cause più profonde da indagare con maggiore compiutezza. I figli e i nipoti degli ex baraccati e degli ex borgatari degli anni cinquanta e sessanta, migrati dalle regioni centro-meridionali del paese, stanno subendo un arretramento dei livelli di benessere fino a rasentare la soglia di povertà. La condizione di profonda incertezza rispetto al futuro fa sì che queste persone sviluppino una tipica avversione verso i deboli: non perché c’è in loro il senso del nemico, ma per paura di cadere nello stesso livello. Allora, attraverso l’aggressione al nero, al nordafricano, al bengalese, si stabilisce  una distanza rispetto al pericolo di una contaminazione da contatto. È la reazione a questo rischio e a quello di cadere al loro stesso livello. È una distorta ricerca di dignità. È qui che fanno leva i movimenti populisti per incanalare la violenza verso gli immigrati e la protesta verso le istituzioni considerate le principali responsabili dell’afflusso di stranieri nei quartieri multietnici della città. Manca ancora una lettura attenta e puntuale di questo fenomeno sociale.

C’è attenzione al tema della sicurezza e del contrasto dell’illegalità e tuttavia appare carente un’analisi aggiornata delle mafie a Roma. Causi evita di pronunciarne il nome e parla genericamente di «pericolose organizzazioni criminali». Ma altra cosa sono i poteri mafiosi che hanno messo le mani sulla città, le inedite commistioni tra mafie e  pezzi della destra estrema e populista, la loro penetrante capacità di organizzare consenso diffuso intorno ai traffici illeciti e al riciclo dei proventi di tali attività, di riempire i vuoti lasciati dalle istituzioni, dalla politica e dalla società civile organizzata, di utilizzare settori collusi e corrotti di pubblica amministrazione e di imprenditoria locale e di soffiare sul fuoco del malessere sociale nei quartieri con una maggiore presenza di immigrati. È pertanto sacrosanta l’indicazione di alzare il livello della risposta repressiva. Ma non se ne esce solo con una più riequilibrata dislocazione territoriale dei presidi fissi delle forze dell’ordine. Ci vuole un’azione capillare di sensibilizzazione, di divulgazione delle caratteristiche del fenomeno, di educazione per stroncare anche una mafiosità latente che ci riguarda un po’ tutti.

C’è sicuramente una puntuale disamina dei problemi da affrontare per conseguire il risanamento finanziario di Regione e Comune come condizione per liberare risorse in direzione degli investimenti. E si avverte senza dubbio il senso d’urgenza nel procedere verso un profondo rinnovamento delle pubbliche amministrazioni centrali e locali e delle aziende pubbliche concessionarie di servizi essenziali per favorire la modernizzazione dei processi la riorganizzazione delle strutture, la qualità dei servizi al cittadino, l’aumento di produttività, la riduzione dei costi.

Ma il Pd romano nella “due giorni” al Teatro Quirino si è limitato ad elencare solo alcuni titoli generici delle cose da fare, rinviando l’approfondimento nei circoli e nelle sedi istituzionali. Sono temi estrapolati dai documenti regionali per la programmazione dei fondi europei 2014-2020: aerospazio, scienza della vita, beni culturali e tecnologie per il patrimonio culturale, industrie digitali, sicurezza, green economy, agrifood. Nulla è stato detto su alcuni nodi cruciali che impediscono la progettazione e la realizzazione di vere politiche di sviluppo nella città per modificare drasticamente la struttura economica e sociale dei territori. Come concentrare e integrare le diverse politiche a livello locale? Con quali strumenti partecipativi? Come costituire dal basso efficaci partenariati pubblico-privati? Come creare lavoro in una logica produttiva stabile mediante processi di autoimprenditorialità economicamente sostenibile e coinvolgendo giovani italiani e stranieri?  Come gestire i beni comuni in una logica di welfare produttivo? Causi ha riproposto con calore la litania del decentramento municipale come se fossimo all’anno zero. È possibile che non si sia accorto che proprio in questi giorni si sta stupidamente perdendo l’occasione dell’istituzione della città metropolitana di Roma capitale per dare finalmente la piena autonomia ai municipi e permettere così di avere un’istituzione di prossimità attrezzata per affrontare i gravi problemi della città? La Legge Delrio – fortemente voluta dal governo Renzi – ha offerto finalmente ai romani tale opportunità ma la vecchia e cattiva politica sta facendo di tutto per aggirarla. E una nuova e buona politica a Roma ancora non si intravede.

 

 

 

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