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Il pachino del terzo piano

orti

Altro che “chilometri zero”. Potremmo mangiare broccoletti che vengono dal piano di sopra. O dall’altra parte della strada. O da dietro l’angolo. Non grazie a un improbabile orto urbano, sopravvissuto al cemento. Ma comprandoli in un normale supermercato, capace di riempire la borsa della spesa di migliaia di persone con prodotti cresciuti sopra le nostre teste, nei piani superiori del grattacielo che, a pianoterra, ospita lo stesso supermercato. Per i lettori di fantascienza, che da decenni hanno fatto la bocca al cibo cresciuto nelle stive delle astronavi o in cavernosi laboratori anti-bomba, è pura routine. Per i sette miliardi di esseri umani che vivranno nelle megalopoli del 2050, potrebbe diventarlo. In un mondo desertificato dal riscaldamento globale, dove l’acqua è troppo preziosa per essere sparsa a irrigare le campagne, potrebbe essere, semplicemente, l’unica strada.

 

Difficile che i pachino cresciuti all’ultimo piano di un grattacielo della Bovisa abbiano lo stesso sapore dei pomodori originali. Quelli veri, d’altra parte, è difficile trovarli anche oggi, da un normale fruttivendolo. E il sapore, in agricoltura, conta solo insieme all’abbondanza. Nell’agricoltura verticale di domani, mancheranno anche molte altre cose: il sole, la pioggia, il vento, la neve, i colori, i paesaggi. Ma i broccoletti del 2050 potranno cavarsela con solo poche gocce d’acqua, zero pesticidi, niente trasporto. Il conto dei vantaggi e degli svantaggi è più complesso e meno scontato di quanto potrebbe sembrare a prima vista.

 

Tecnicamente, l’agricoltura verticale è già una realtà. A marzo, verrà inaugurata a Scranton, in Pennsylvania, la più grande fattoria verticale del mondo. Produrrà lattuga, spinaci, pomodori, peperoni, basilico e fragole. La superficie è di poco più di tre ettari ma, siccome le piante saranno sistemate su sei strati sovrapposti, i tre ettari dell’agricoltura verticale si moltiplicano: Green Spirit Farms, la società proprietaria, calcola che si troverà a gestire 17 milioni di piante. Avere un’idea del numero è importante, perché, nella fattoria verticale, ogni pianta, in qualche modo, ha un trattamento individuale. Pomodori o peperoni, a Scranton, saranno collocati in contenitori in cui non c’è terra, ma acqua, potenziata con sostanze nutritive. Lampa- dine Led faranno le veci del sole. Un software si preoccuperà di far ruotare le piante in modo che ricevano tutte la stessa esposizione alla luce solare, più di quanto, probabilmente, avrebbero all’aperto, in Pennsylvania.

 

A Singapore, di sole ce n’è fin troppo. Quel che manca è lo spazio. La fattoria verticale costruita da Sky-Greens contiene la risposta già nel nome della società. I quattro piani della fattoria sono tutto vetro ma, soprattutto, cavoli cinesi e lattuga si muovono anch’essi in verticale: un ascensore muove lentamente ogni fila di contenitori, facendoli salire a turno fino al tetto. C’è, peraltro, chi la pensa esattamente all’opposto. A Kyoto, in Giappone, Nuvege produce le sue lattughe in una sorta di enorme hangar privo di finestre. Le piante sono illuminate solo da lampadine Led, tarate, però, sul rosso, oppure sul blu, per favorire due diversi tipi di clorofilla.

 

Ma se, tecnicamente, l’agricoltura verticale è possibile, economicamente, poi, funziona? Forse in Svezia un mango costa meno così, che importato con l’aereo, ma altrimenti? La prova l’avremo nei prossimi anni, anche grazie ai progressi della tecnologia. Uno dei costi maggiori dell’agricoltura verticale è l’elettricità per le lampadine che replicano il sole. Un Led, oggi, ha un’efficienza del 28 per cento, cioè produce energia luminosa solo per poco più di un quarto dell’energia che consuma. Sul mercato, però, stanno per arrivare Led con efficienza al 68 per cento, con un drammatico salto di qualità. Tuttavia, la luce non è tutto. Anzi, può essere troppa. Le fattorie verticali stanno scoprendo che le piante reagiscono meglio a una luce che varia dall’alba al crepuscolo. Un finto tramonto di cinque minuti favorisce la fioritura.

 

Per i profeti dell’agricoltura verticale questa, comunque, è una visione miope. L’energia è un problema e un costo che possono essere facilmente superati autoproducendo indipendentemente l’elettricità con pannelli fotovoltaici o riciclando gli scarti vegetali come biocombustibile. E, contemporaneamente, un altro costo può essere abbattuto: l’acqua. Oggi, il 70 per cento dell’acqua dolce, nel mondo, viene usato per irrigare i campi. Uno dei motivi per cui l’agricoltura verticale, domani, potrebbe affiancare efficacemente l’agricoltura tradizionale è che, per crescere la stessa pianta, la fattoria verticale ha bisogno del 2-5 per cento dell’acqua che occorre all’aperto, in larga misura grazie al riutilizzo dell’umidità creata nell’ambiente dalle stesse piante.

 

Anche considerando gli altri risparmi ottenibili, tagliando il trasporto e facendo assegnamento, almeno in teoria, sul fatto che non occorrono pesticidi, comunque tutto questo non basterebbe a fare dell’agricoltura verticale un’impresa economicamente sostenibile. Ma la fattoria in un grattacielo può essere tremendamente efficiente. Per dimo-strarlo, il guru dell’agricoltura verticale, Dickson Despommier, si lancia in una simulazione estrema. Prendete un caseggiato su più piani, grande quanto un isolato urbano (due ettari) e piantatevi il frumento nano, studiato dalla Nasa. Con raccolti tutto l’anno, quei due ettari di città possono produrre, dice Despommier, tanto frumento quanto quasi mille ettari di campagna.

 

Forse non occorre arrivare al frumento nano. La forza — e lo spazio economico futuro — dell’agricoltura verticale è nella capacità di produrre più raccolti l’anno, anche in climi in cui, diversamente dalle regioni più calde, questo non è possibile all’aperto. In una fattoria verticale sono possibili 30 raccolti l’anno di fragole, 14 di lattuga. In generale, considerando la maggior parte delle colture sperimentate, si arriva a raccolti annui 4-6 volte più frequenti dell’agricoltura tradizionale.

 

E il contadino verticale? Niente lunghe giornate sotto il solleone o la pioggia. Lo troverete al bar, a tenere sotto controllo piante, luci, software e ascensori con lo smartphone. Tranne, naturalmente, quando deve riparare rubinetti o cacciare topi.

Maurizio Ricci

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