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IL GRANDE SPRECO DEI FONDI EUROPEI

soldi-150x150In un paese dal disperato bisogno di investimenti e occupazione, 12 miliardi di euro messi a disposizione dall’Unione giacciono inutilizzati e rischiano di andare perduti se non verrranno spesi entro fine 2015. I casi virtuosi non mancano, ma anche i soldi usati sin qui sono serviti spesso a finanziare iniziative discutibili come concerti e concorsi ippici, a costo di severi richiami da parte di Bruxelles. Uno scandalo che ha molti responsabili: politici incompetenti, burocrazia invadente, imprenditori senza idee e senza progetti

I soldi di una Finanziaria lasciati nel cassettodi LUIGI DELL’OLIO
MILANO – I soldi non spesi ammontano a 12 miliardi di euro, ben più della somma necessaria a stabilizzare il bonus da 80 euro. Quelli impiegati spesso si perdono in mille rivoli o finiscono con il finanziare iniziative poco virtuose, come accaduto qualche anno fa a Napoli con 750mila euro del “fondo regionale di sviluppo per la cultura” dirottati sul concerto di Elton John. È il paradosso dei fondi europei, ideati per sostenere la crescita delle aree più deboli dell’Unione, per un valore pari ad un terzo di tutto il bilancio europeo. Finalità perseguita attraverso strumenti diversi come il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), che assorbe circa due-terzi delle risorse, e il Fondo sociale europeo (Fse). Il primo sostiene soprattutto la realizzazione di infrastrutture e investimenti produttivi che generano occupazione, soprattutto nel mondo delle imprese. Il secondo mira a favorire l’inserimento professionale dei disoccupati e delle categorie sociali più deboli, finanziando in particolare azioni di formazione. A questi si affiancano, poi, i cofinanziamenti statali e quelli regionali, dando vita ai Pon (Piani operativi nazionali) e ai Por (Piani operativi regionali).

Fondi Strutturali
Periodo Paese Stanziati Utilizzati Stanziati/utilizzati
2007-2013 Italia 27.952.613.430,00 16.290.125.356,32 58,28%

Il piatto piange. A fine luglio, l’Italia aveva impiegato appena il 58,28% delle risorse messe a disposizione dall’Europa, un dato che ci colloca in coda alla classifica. La situazione non è omogenea a livello territoriale: per quanto riguarda il Fesr, il dato è la media tra il 73% raggiunto nelle regioni del Centro-Nord (che quindi dovrebbero centrare il pieno impiego delle risorse entro la scadenza fissata alla fine del prossimo anno) e il 57% del Mezzogiorno. Campania, Calabria e Sicilia sono le regioni che maggiormente faticano a impiegare le risorse a disposizione, mentre a livello settoriale il ritardo riguarda soprattutto i programmi per la cultura, il turismo e le infrastrutture di trasporto. Ovvero proprio i settori sui quali il Mezzogiorno potrebbe far leva per uscire dalla crisi.

Senza contare la messa in sicurezza dei territori contro il dissesto idrogeologico: a Palazzo Chigi hanno da poco deciso di destinare a questo capitolo 785 milioni non ancora spesi, e altri potrebbero essere dirottati da altri capitoli di spesa. Somme che potrebbero aiutare a evitare disastri come quello appena visto a Genova, e magari anche a risparmiare sul totale della spesa, oggi quasi tutta concentrata nella fase post-disastri naturali.

Sotto tiro le nomine politiche. “La questione dei fondi strutturali europei è lo specchio dei vizi italiani”, commenta l’economista Giulio Sapelli. “In primo luogo pesano le deficienze della tecnocrazia: a Bruxelles spesso inviamo personale scelto non per competenze specifiche, ma per stretta osservanza politica. Il risultato è che, mentre i paesi iberici mettono a punto bandi tagliati sulle esigenze dei singoli paesi, da noi questo non succede”. La carenza di professionalità adeguate pesa anche in patria: “Per accedere ai fondi europei occorrono nelle Regioni professionisti preparati sul fronte del diritto comunitario e poliglotti, mentre spesso queste funzioni vengono affidate a fedelissimi del governante di turno”, aggiunge Sapelli. Anche quando la competenza c’è, non mancano i problemi. Emblematico il caso del generale dei carabinieri, Maurizio Scoppa, chiamato dalla Regione Campania a vigilare sugli oltre 2 miliardi di euro stanziati da Bruxelles, dopo aver risanato l’Asl Napoli 1. Dopo sei mesi l’esperto ha gettato la spugna, lamentando non solo scarsa collaborazione da parte del personale regionale, ma addirittura di non aver ricevuto nemmeno un computer e la cancelleria per operare. Sapelli sottolinea anche un altro aspetto: “Nessun paese ha tante società di consulenza sui fondi europei come l’Italia. Significa che, una volta ottenuto il finanziamento, questo spesso si disperde in mille rivoli, per cui all’obiettivo finale arrivano pochi spiccioli. E spesso con tempi lunghi a causa delle lentezze burocratiche”.

Pesa la lentezza della burocrazia. Per Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata all’Università di Bari e autore di diversi saggi sul tema, il problema non è tanto nella cattiva programmazione, quanto nella lentezza di attuazione. “Innanzitutto va precisato che è falso che i fondi strutturali vengano tutti sprecati: negli anni vi sono stati tantissimi esempi di iniziative che hanno aiutato i territori”. Fatta questa premessa, resta il nodo delle difficoltà di impiego delle risorse: “Le cause sono diverse: lentezza nelle opere pubbliche, complessità delle norme, mancata disponibilità del cofinanziamento nazionale, pessima congiuntura economica”, sottolinea. “Anche le misure dei ministeri, specie quelle infrastrutturali – aggiunge – sono in forte ritardo. La lentezza delle Regioni (e dei ministeri) nell’emanare i bandi è dovuta in parte alla carenza di competenze, forse anche alla volontà dei politici ad accentrare attività di gestione e attuazione delle misure che andrebbero invece affidate a soggetti specializzati”. La motivazione potrebbe essere soprattutto la voglia di controllare risorse ingenti, che nel migliore dei casi assicurano consenso, nel peggiore aprono le porte a fenomeni di corruzione.

Chi fa da sé non ce la fa. Viesti punta inoltre l’indice sulla mancata collaborazione tra le amministrazioni locali, e sull’assenza di un forte ruolo di stimolo e di coordinamento dal centro: “Se c’è da scrivere una misura di intervento o un bando di gara è molto raro che si utilizzino modelli già sperimentati altrove, facendo tesoro di successi ed insuccessi, ma si ricomincia ogni volta da zero; e spesso si tornano a incontrare gli stessi problemi e le stesse criticità già sperimentate da altri”. Va poi considerato anche un altro aspetto: molte risorse non vengono spese per mancanza di investitori. A Termini Imerese ci sono 750 milioni di euro di risorse pubbliche a disposizione per chi è interessato a rilanciare lo stabilimento Fiat chiuso alla fine del 2011, ma finora nessuno si è fatto avanti. Segno della difficoltà del Paese nell’attrarre risorse, soprattutto sul fronte internazionale.

Gli effetti dei fondi strutturali europei 2007-2013 in Italia
21 mld € Somma impegnata
58.564 Posti di lavoro creati
3.098 kt Risparmio di CO2 immessa nell’atmosfera
1,311 mln I cittadini raggiunti dalla banda larga
5.494 Progetti di ricerca e sviluppo
34.828 Progetti di investimento nelle Pmi
3.112 Start-up avviate
2.390 Progetti di energia rinnovabile
195 kmq Aree riqualificate
670 Progetti di prevenzione dei rischi naturali
4,083 mln Studenti che utilizzano nuove tecnologie nella didattica
500.000 Progetti Fse, che hanno visto la partecipazione di più di 6,6 milioni di persone, di cui oltre 2 milioni di età compresa tra i 15 e i 24 anni e quasi mezzo milione al di sopra dei 55 anni
fonte: Commissione Europea, elaborazione Repubblica.it

Gli scavi archeologici più noti al mondo stanno cadendo a pezzi per incuria e mancata manutenzione, eppure i soldi sul tavolo non mancano. La vicenda di Pompei è emblematica delle difficoltà di impiego dei fondi europei. Tanto che nei mesi scorsi il commissario europeo per le politiche regionali,Johannes Hahn, è intervenuto sulla vicenda ricordando che dei 105 milioni di euro stanziati “solo l’1% è stato utilizzato e un altro 24% è stato destinato a lavori in fase di completamento”. Il restante 75%, ha precisato, “va speso entro la fine del 2015” o andrà perduto. Dunque occorre mettere mano ai progetti di risanamento dell’area, identificare in maniera precisa la destinazione dei fondi e rendicontare con precisione ogni spesa per non perdere i fondi e non disperdere un patrimonio unico al mondo.

Al di là della difficoltà di spesa vi è, poi, il capitolo degli sprechi che ha reso i tecnici di Bruxelles particolarmente prudenti nell’approvare i piani italiani. Si è già detto del concerto di Elton John a Napoli, che ha creato grande clamore e costretto la Regione Campania a restituire i fondi europei. Mentre sono passati sotto silenzio i 70mila euro spesi per l’Afrakà rock festival di Afragola (città natale dell’ex governatore Bassolino) e i 500mila per il concorso ippico internazionale di Caserta. Senza dimenticare le decine di sagre finanziate da Nord a Sud, e finite impropriamente nel capitolo delle “iniziative a sostegno della cultura locale”.

In Sicilia (a Casteltermini, Augusta, Noto, San Cataldo e Capo d’Orlando), poi, sono stati impiegati 15 milioni di fondi europei per realizzare impianti di compostaggio presentati come altamente innovativi, ma bloccati per mancanza di personale e danneggiamenti da parte di ignoti (forse mossi da mani interessate a tenere in vita le discariche). L’Italia ha il primato delle frodi comunitarie: la Corte dei conti europea calcola che il nostro Paese ogni anno percepisce illegittimamente 800 milioni.

Va comunque detto che, se gli sprechi fanno più notizia, non mancano tanti esempi di investimenti virtuosi. Sul sito Internet Opencoesione è disponibile una mappa dei progetti finanziati dalle politiche di coesione in Italia. Navigando è possibile essere aggiornati (gli ultimi dati risalgono a fine aprile) sulle risorse assegnate e spese, le localizzazioni, gli ambiti tematici, i soggetti programmatori e attuatori, i tempi di realizzazione e i pagamenti dei singoli progetti. Dal portale emerge che l’opera con i maggiori finanziamenti è “Il completamento della Linea 1 della metropolitana di Napoli”, per la quale sono stati stanziati 1,3 miliardi di fondi pubblici (di cui 430 milioni dall’Ue). I lavori sono iniziati, come previsto, a gennaio del 2000, ma l’obiettivo di completare l’opera entro il 31 marzo scorso è fallito. Il sito non riporta la data di consegna, che altre fonti indicano nel 2018.

Ma vi sono anche opere concluse. E’ il caso di Villa Scheibler, ubicata in un sobborgo piuttosto trascurato di Milano, che è stata restaurata con il sostegno del programma europeo Urban (3,5 milioni a disposizione). Sono state interamente pagate anche le somme (202mila euro, di cui 141mila di competenza Ue) del fondo rotativo a sostegno della ricerca e dell’imprenditorialità nel Mezzogiorno. Mentre sono a un passo dal completamento (95%) gli stanziamenti per potenziare i sistemi di videosorveglianza in Sicilia.

Destinazione dei 32,8 miliardi di euro erogati all’Italia
(compresi interventi co-finanziati e altri europei)
22,3 mld Programmi per lo sviluppo delle regioni meno sviluppate
(Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia)
1,1 mld Programmi per lo sviluppo delle regioni in transizione
(Abruzzo, Molise e Sardegna)
7,7 mld Iniziative per le Regioni più sviluppate
(Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Provincia di Bolzano, Provincia di Trento, Friuli Venezia-Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Lazio)
1,311 mln I cittadini raggiunti dalla banda larga
1,1 mld Cooperazione territoriale europea
567,5 mln Iniziative a favore dell’occupazione giovanile
8,2 mld Somma da destinare alle specifiche sfide che il paese deve affrontare nelle aree interessate dal Fse
fonte: Commissione Europea, elaborazione Repubblica.it

L’esperto controcorrente: “Meglio rinunciare”

MILANO – Roberto Perotti, professore di Economia politica alla Bocconi, ha curato con il collega Filippo Teoldi, uno studio dal titolo emblematico: “Il disastro dei fondi strutturali europei”, scaricabile gratuitamente in rete. Nel report si mettono a confronto i livelli di spesa su questo fronte con i pochi benefici prodotti.
Mentre a livello comunitario si discute del prossimo ciclo di finanziamenti, destinati a mettere in campo oltre 300 miliardi di euro, di cui circa 41 per l’Italia, dalla sua analisi emerge una sostanziale bocciatura dei fondi strutturali. E’ così?
“Esatto. Ci dobbiamo chiedere perché i fondi finora non sono stati spesi a fronte dello scenario economico: evidentemente si tratta di fondi inutili, e spesso addirittura dannosi perché alimentano burocrazia, clientelismo, e a volte finiscono addirittura nelle mani della criminalità”.

Eppure l’Italia ha un disperato bisogno di investimenti per ripartire…
“L’Italia contribuisce al bilancio europeo in misura maggiore rispetto alle risorse che complessivamente riceve. Inoltre va considerato l’aspetto del cofinanziamento, che in teoria risponde a un obiettivo nobile, il coinvolgimento del beneficiario, per assicurarsi che abbia un interesse nel progetto e abbia quindi gli incentivi giusti a portarlo avanti nel modo più efficace possibile. Il problema è che l’applicazione pratica del cofinanziamento è stata tale da negare questo principio”.

Perché?
“E’ sufficiente guardare all’ambito della formazione: chi cofinanzia le iniziative è lo Stato centrale, ma l’attuazione è appannaggio delle regioni. Con queste ultime che hanno dunque pochissimi incentivi ad assicurarsi che questi progetti funzionino effettivamente”.

Cosa propone in alternativa?
“La cosa migliore sarebbe rinunciare ai fondi strutturali o a una buona parte di essi. Risparmieremmo così la nostra quota di finanziamento dei fondi strutturali, e la quota di cofinanziamento, che potremmo utilizzare per ridurre le tasse”.

Senza coraggio e senza progetti

di EUGENIO OCCORSIO

Il mancato utilizzo dei fondi strutturali europei rappresenta l’ennesimo motivo di sconcerto e di imbarazzo per l’Italia. Ma anche uno spunto per porsi una domanda su un problema che passa in buona parte sotto silenzio nel generale j’accuse contro la classe dirigente del nostro Paese, che però viene proclamato sottintendendo che sia solo la categoria dei politici a meritare ogni possibile lapidazione. D’accordo, le burocrazie – in questo caso soprattutto quelle regionali e locali – hanno le loro colpe pesantissime e spesso imperdonabili. D’accordo anche che la burocrazia è diventata un moloch scoraggiante per qualsiasi iniziativa, che la nomenklatura dei ministeri si è creata un potere autonomo in grado di piegare qualsiasi volontà riformistica, così come è scoraggiante la lentezza della giustizia civile o il fatto che le leggi del lavoro sono ingiuste e penalizzanti. Però quando si muovono i più alti lamenti per questi mali italiani, quasi fosse un refrain ormai scontato, si dimentica spesso che c’è un’altra categoria che si distingue per immobilismo e a volte vera e propria incapacità di fare, proprio quella di cui accusano i politici: gli imprenditori.

Certo, i coraggiosi artigiani del nordest hanno fatto il miracolo italiano, e negarlo sarebbe impossibile. I piccoli industriali del centro Italia continuano indomiti a sgobbare come matti pur di non mandare a casa i dipendenti, i creativi nostrani sbaragliano i mercati con le loro trovate, però purtroppo questa maggioranza si sta assottigliando, fino ad esser diventata probabilmente minoranza proprio nel pieno della crisi.

Il caso dei fondi europei è esemplare. Perché vengano utilizzati occorre che l’imprenditore affianchi al contributo che riceve dal fondo (veicolato attraverso la regione) due cose: un progetto adeguato con un business plan convincente e soprattutto aderente agli standard dell’Europa (che ha diritto di pretenderne l’osservanza essendo lei che ci mette i soldi) e inoltre una partecipazione di capitale proprio che sia esattamente nella stessa misura del fondo utilizzato. Su tutti e due i fronti la classe imprenditoriale italiana naufraga miseramente. Trovare un progetto efficace, con un imprenditore motivato e consapevole della necessità di iniettarvi una buona dose dei suoi risparmi come capitale di rischio, è cronicamente difficile. Altrimenti non si spiegherebbe il perché di tutti quei fondi inutilizzati.

Ecco così che diventano plausibili alcune proposte, come ad esempio quella lanciata dall’università online Pegaso pochi giorni fa in occasione di un convegno sulla valorizzazione del Mezzogiorno organizzato dall’Aprom, un think-tank giuridico-economico. La proposta, ha chiarito il presidente della Pegaso Danilo Iervolino, è semplice: “Come università potremmo porci al centro, in determinati casi, della progettualità che interessa i fondi europei. Non ne chiediamo una parte, intendiamoci, solo offriamo know-how ed esperienza per affiancare gli imprenditori e redigere programmi aderenti ai criteri europei che convincano l’interlocutore della bontà dell’iniziativa proposta. Come noi potrebbero aderire al programma altri atenei portando quel contributo di conoscenza e di informazioni che è fondamentale per qualsiasi programmazione industriale”.

Chissà, forse potrebbe essere una soluzione (un esperimento del genere è stato tentato con discreto successo in Olanda) almeno a una delle due parti del problema, quella della progettualità. Un’iniziativa del genere l’ha lanciata anche la Regione Lazio, che sotto la presidenza di Nicola Zingaretti ha deciso di non essere più solo un ente “erogatore” di fondi ma di affiancare l’imprenditore nella fase progettuale. Anzi, faremo di più, è l’idea di Zingaretti che sta proprio ora passando alla fase operativa: se l’Europa mette 50, l’imprenditore anziché i 50 che gli verrebbero richiesti, mette 40. I rimanenti 10 li mette la regione, ovviamente se il progetto è valido. Non è solo questione di business plan redatti in modo stringente ed efficace: rimane aperta la seconda questione, altrettanto spinosa. Qualunque opinione si abbia sulla reale efficacia dei fondi europei, nessuno dubita che gli imprenditori debbano mettere sul tappeto dei soldi “veri” per i loro progetti.

E qui è peggio che andar di notte. C’è come l’impressione che la classe imprenditoriale si ritenga a volte in diritto di utilizzare i contributi europei quale unico capitale per le iniziative che propongono di attivare, comunque vadano a finire, cioè che si rivelino redditizie o no. Salvo poi lamentarsi quando questi fondi vengono meno. E’ il caso dei coltivatori del tabacco, operanti in quella vasta fascia di nord-est che va dall’Emilia al Triveneto e poi in Toscana e in misura minore in Campania: quando l’Europa ha ritirato i suoi fondi, che erano in questo caso non strutturali ma di programmazione agricola (il che non cambia la sostanza del problema) si sono lamentati della scarsa redditività delle produzioni alternative. Se un ettaro di tabacco rende 1200 euro l’anno, uno di mais ne rende 80. La differenza è macroscopica, è innegabile, però gli imprenditori della terra forse non hanno considerato che presentando progetti adeguati alle rispettive regioni avrebbero probabilmente potuto accedere agli altri fondi, appunto quelli strutturali, per nuove iniziative maggiormente redditizie.

Questo della carenza di capitali è un problema per l’industria italiana di qualsiasi settore che va al di là del problema dei fondi europei. Da tutte le statistiche risulta che nessuna categoria imprenditoriale è così dipendente dal credito bancario come quella italiana. Il che denota una preoccupante carenza di capitali propri. E spiega anche i lamenti fortissimi nei confronti del sistema bancario. Il quale risponde anch’esso in modo simile all’Europa: i fondi ci sarebbero, e tanti, dovete però convincerci della bontà dei progetti. A riprova del fatto che la liquidità è abbondante, i banchieri fanno notare che quando la Banca centrale europea, a metà settembre, ha offerto la prima tranche del cosiddetto “Tltro”, cioè i finanziamenti alle banche a tasso superagevolato a patto che le banche stesse girassero i fondi all’economia reale, la richiesta della banche è stata sorprendentemente bassa, meno della metà del potenziale (80 miliardi sui 168 offerti): segno che non si trovano le iniziative convincenti da finanziare.

E’ un aspetto della situazione che aiuta a spiegare le carenze in tema di fondi strutturali. Sui quali peraltro non c’è unanimità di giudizio. Non tutti gli economisti sono d’accordo sulla reale utilità dei fondi in questione. “Sono sempre stati erogati a pioggia, in modo quasi casuale e sporadico, senza nessuna programmazione alla base né imprenditoriale né statale”, è l’accusa mossa da Guido Tabellini, uno dei più prestigiosi economisti italiani, fino a metà 2012 rettore della Bocconi. “Per questo, tra l’altro, se è vero che il piano da 300 miliardi di investimenti che si appresta a lanciare il nuovo presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker, si basa per la maggior parte ancora una volta sui fondi strutturali, sono sicuro che non servirà a rilanciare l’economia del continente”. Però lo stesso Tabellini non può fare a meno di riconoscere l’utilità, almeno parziale, dei fondi. E anche lui ammette che restituirli al mittente, in un momento in cui l’economia affonda per mancanza di investimenti e di domanda, è davvero una colpa imperdonabile.

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