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Un giustiziere piccolo piccolo
di Eli Roth. Con Bruce Willis, Elisabeth Shue, Vincent D’Onofrio, Dean Norris, Jack Kesy USA 2018
Paul Kersey (Willis) è un chirurgo e quotidianamente ha a che vedere con la violenza delle strade di Chicago, dovendo curare decine di feriti da armi da fuoco. La figlia Jordan (Camilla Morrone) è stata accettata al college a New York e lui e la moglie Lucy (Shue) la accompagnano a giocare a football – durante la partita, Paul dà prova di autocontrollo, non raccogliendo le provocazioni di un padre attaccabrighe (Andreas Aspergis) – e poi, insieme al fratello di lui Frank (D’Onofrio), vanno a festeggiare in un locale. All’uscita Frank, che ha avuto qualche problema con la giustizia ed è senza lavoro, gli chiede un prestito. Il ragazzo dal car-valet, Miguel (Louis Oliva), ha visto il movimento di soldi tra i due e, quando va a prendergli la macchina, ne fotografa dalla segreteria l’indirizzo. Quel giorno è anche il compleanno di Paul e lui, Lucy e Jordan hanno in programma una cena fuori ma l’ospedale lo chiama per un un’urgenza. Madre e figlia, rimaste a casa, decidono di preparargli una torta ma Miguel e altri tre ceffi mascherati fanno irruzione in casa e costringono Lucy ad aprire la cassaforte. Intanto Joe (Ronnie Gene Benvis), il bandito che tiene a bada a Jordan, tenta di violentarla, lei lo ferisce con un paio di forbici, scoprendogli il volto, i banditi perdono la testa e sparano a lei e la madre, uccidendo Lucy e ferendo gravemente Jordan; l’ambulanza le porta all’ospedale dove lavora Paul e, qui, i detective Kevin Raines (Norris) e Leonor Jackson (Kimberly Elise), gli raccontano cosa è successo e cercano di rassicurarlo sulla possibilità di trovare i colpevoli. Paul non riesce più a lavorare, non ce la fa a dormire nel letto matrimoniale e si rifugia in cantina dove guarda la tv, mangia cibi pronti e dorme su un divano; l’unica sua attività è quella di stare ore a parlare con la figlia in coma – sostituito ogni tanto da Frank e dalla migliore amica della ragazza, Sophie (Stephanie Janusaukas) – e di chiedere notizie a Raines. Un giorno va nell’ufficio di questi e vede sulla parete un mare di bigliettini relativi a casi come il suo irrisolti. La sera incontra due teppisti (William Gines e Enrique Guzman) che infastidiscono una ragazza (Naomi Frenette); fa per difenderla ma viene preso a calci e lasciato in strada. Torna a casa e vede in televisione la suadente Bethany (Kirby Bliss Blanton), che reclamizza il proprio negozio di armi; lui ci va e sta per comprare qualcosa (l’acquisto e l’ottenimento del porto d’armi sono facilissimi ed immediati, gli spiega Bethany) ma si ferma quando si accorge di essere ripreso da una telecamera. Rientrato al lavoro, riesce ad impadronirsi della pistola Glock di un ferito e si allena per imparare ad usarla. Una notte, con addosso una felpa con cappuccio, si aggira nei bassifondi e assiste al violento furto d’auto da parte di due malviventi (Mike Chute e Sebastien Peres); lui li uccide ma nella sparatoria, per imperizia, si ferisce la mano con il rinculo dell’arma. Una ragazza, Natasha (Kanientiio Horn) ha ripreso la scena con lo smartphone e, appena lo posta, definendo lo sconosciuto giustiziere Il Seminatore di Morte, il filmato diventa virale. Subito nasce nella città, attraverso tutti i media, un dibattito nel quale una forte maggioranza si dichiara favorevole al Seminatore. Paul – come nota l’analista (Wendy Crewson) che lo ha in cura – sta decisamente meglio. Qualche giorno dopo, curando Tyler (Isaiah Gero-Marsman), un bambino al quale hanno sparato ad una gamba, viene a sapere che il colpevole è uno spacciatore, che si fa chiamare Il Gelataio, che vuole che tutti i bambini del quartiere vendano droga per lui; poco dopo, sempre coperto da un cappuccio, spara allo spacciatore, uccidendolo. Un giorno arriva all’ospedale, morente, Miguel con al polso uno degli orologi che erano stati rubati a casa sua. Dal telefonino di questi, Paul ricava l’indirizzo del ricettatore Ponytail (Ian Matthews) e vi si reca, fingendo di cercare un regalo per la moglie ma, l’altro, da una targhetta che pende dalla felpa, lo riconosce e chiama un altro dei rapinatori, chiamato The Fish (Kesy); nella sparatoria i due malviventi cadono uccisi ma Paul riporta una brutta ferita alla spalla che, per non destare sospetti, si cura da solo con colla e cucitrice. La polizia trova sul luogo del delitto un anello della moglie di Paul e, dati i suoi precedenti, Raines sospetta che Frank possa essere il Seminatore. Questi va a casa del fratello e, sceso in cantina, capisce tutto. Una telefonata dall’ospedale, interrompe il teso colloquio tra i due: Jordan è uscita dal coma. Paul, che ha avuto da The Fish, in punto di morte, l’indirizzo del garage nel quale lavora Joe, lo raggiunge, lo tortura per sapere il nome del quarto assassino e quando questi glielo rivela – si tratta dell’imprendibile Knox (Beau Knapp) – lo uccide. Poco dopo gli arriva una telefonata di Knox, che gli dà l’appuntamento in un’affollata discoteca. Qui, in uno scontro a fuoco, il bandito viene ferito e riesce a fuggire ma viene ricoverato proprio nell’ospedale di Paul –all’insaputa di questi- e, quando viene dimesso, capita in ascensore proprio con lui che sta riportando a casa la figlia; lo saluta, minacciosamente, con il suo nome e il dottore va da Bethany, comprando – alla luce del sole – un intero arsenale. Qualche sera dopo, Knox con alcuni scagnozzi va a casa sua e lui, dopo aver nascosto Jordan in un ripostiglio, fa fuori tutti. Raines e Jackson, giunti sul luogo del massacro, fanno finta di credere (ma hanno capito tutto) che quella sia l’unica sparatoria nella quale, per legittima difesa, lui sia stato coinvolto. Jordan parte per il college e Paul sembra pacificato ma, incrociando un ladruncolo (Anoulith Sintharaphone), fa con le dita il gesto di sparargli.
L’inglese Michael Winner, nell’immaginario collettivo, è noto soprattutto come il regista del controverso (per sciocchi pregiudizi idelogici) Il giustiziere della notte del 1974, che, certamente, è il suo capolavoro – tanto da riverberare di se titoli precedenti del periodo (Io sono la legge, Chato, Professione assassino, Scorpio, L’assassino di pietra), rivalutati da una critica che non sempre ne aveva compreso la forza autoriale; in realtà – ma pochi lo ricordano – lui (sempre con la sua caratteristica di forte narratore, senza retorica e abbellimenti) era stato un interessante esponente del free-cinema inglese, con film come Chiamate West 11: risponde un assassino, Il complesso del sesso e I ribelli di Carnaby street (orribili titoli che la nostra distribuzione di allora riteneva accattivanti). Questo per sottolineare come fare un remake del Giustiziere è un po’ come rifare Senso di Visconti: si può raccontare l’infelice amore di una nobile italiana per un seduttivo ufficiale austriaco ma non ricreare il pathos viscontiano. Eli Roth è un buon professionista, ha al suo attivo principalmente qualche horror di routine (Cabin Fever, Hostel e Hostel: part II) e porta a casa un prodotto di buona confezione, con vari richiami ai precedenti Giustizieri (nella scena della tortura in garage anche a Un borghese piccolo, piccolo di Monicelli). Il primo ad aver avuto l’idea del remake era stato Stallone, che avrebbe voluto interpretarlo e dirigerlo; certamente anche questa versione non sarebbe stata all’altezza dell’originale ma probabilmente la fissità – suo pregio e difetto – di Sly sarebbe stata più simile alla impenetrabilità della maschera di Bronson, rispetto a Willis che nell’interpretare Paul Keersey (qui dottore, anziché architetto come nel film di Winner e nel romanzo di Wendell Mayes), in alcuni momenti, incongruamente sembra riproporre l’ironia del suo vecchio serial Moonlighting.