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Quando verrà
Nonostante i ritardi nel lancio e le perplessità, gli smartglass di Big G potrebbero cambiare molte attività dell’uomo. Robert Hernandez, giornalista pioniere del web e professore associato all’università della California del sud ha lanciato dei corsi per studiare nuovi linguaggi di comunicazione con gli occhiali intelligenti. Lo abbiamo intervistato
IL 2014 non è stato l’anno dei Google Glass. Probabilmente non lo sarà nemmeno il 2015. Gli occhiali “intelligenti” prodotti da Google ritardano l’arrivo commerciale sul mercato. Analisti e appassionati s’interrogano sul futuro di uno dei gadget che negli ultimi tempi ha attirato di più l’attenzione sulle tecnologie indossabili, ben prima che Apple svelasse il suo Apple Watch. Eric Schmidt, presidente del consiglio di amministrazione di Google, in un intervento alla conferenza FT Innovate a New York, ha confermato che i Glass saranno commercializzati “quando pronti”. Resta quindi disponibile la versione Explorer (per sviluppatori), che è attualmente proposta in USA e Gran Bretagna a 1500 dollari.
Anche se l’impressione è che Google non voglia abbandonarli, le incognite relative ad alcuni aspetti legali e sociali stanno forse contribuendo in maniera decisiva a rallentare l’approdo dei Google Glass sul mercato. Negli USA si sono registrati diversi episodi di insofferenza verso chi indossava gli occhiali. Alcune attività commerciali (tra cui diverse catene cinematografiche) ne hanno già vietato l’utilizzo. Anche nei ristoranti l’accoglienza non è stata delle migliori. A Seattle un ingegnere informatico è stato messo alla porta in un pub mentre fotografava i piatti con gli occhiali, per ragioni di privacy. Non va meglio a chi ha provato a utilizzarli alla guida: multe e proposte di legge per vietarli sono arrivate in California e Illinois.
La natura stessa dei Google Glass, che di fatto sono il primo esperimento di “wearable device”, lascia quindi aperti parecchi interrogativi sul futuro di questo dispositivo, con una regolamentazione ancora tutta da immaginare. I punti a favore, però, non mancano. Le possibilità offerte dagli occhiali di Google in diversi settori li rendono uno strumento che, seppur acerbo nella versione attuale, può risultare utile e innovativo in diversi campi: dalla medicina all’industria, dalla comunicazione al giornalismo. Proprio nel giornalismo la sperimentazione ha portato negli Stati Uniti alla nascita di un corso di Glass Journalism. A idearlo è stato Robert Hernandez, giornalista pioniere del web, professore associato alla USC Annenberg School for Communication and Journalism, l’università della California del sud. Hernandez è stato direttore dello sviluppo del Seattle Times, dove si è occupato anche della creazione di strumenti e applicazioni per la fruizione del giornalismo da parte dei lettori. Con la sua classe, in pratica, sta studiando nuovi linguaggi di comunicazione giornalistica attraverso quegli strumenti tecnologici indossabili.
Ma i ragazzi del corso (oltre ai giornalisti ci sono anche sviluppatori, designer, hacker e giovani imprenditori) fanno anche altro. Studiano, in una sorta di brain storming permanente, nuovi modelli di business per chi produce informazione. I primi risultati hanno portato al rilascio di una glassware (così si chiamano le app per i Google Glass) che include un feed di notizie dei principali quotidiani americani ottimizzato per lo schermo dei Google Glass. C’è anche un motore di ricerca audio, che intercetta le parole dette in una conversazione e restituisce informazioni di attualità sull’argomento.
Gli smartwatch e gli smartglasses, con l’avvento di giganti come Google e Apple, saranno gli smartphone di domani. E chi oggi fabbrica notizie sta già pensando a come costruirle con nuovi linguaggi e veicolarle attraverso queste piattaforme. Il corso di Hernandez cerca di immaginare l’idea che fra tre o cinque anni giornalisti, editori e lettori avranno dell’informazione. Lo abbiamo intervistato per capire se la “wearable technology” cambierà il modo di produrre le notizie e quello degli utenti di riceverle.
Come sta andando il corso e come è nata quest’idea di portare i Google Glass in un’aula universitaria?
“Procede bene. La cosa che mi piace è che è una classe eterogenea, non ci sono soltanto giornalisti. Questo complica un po’ le cose nell’organizzazione, ma è anche molto stimolante. Le nostre diversità si fondono e diventano la forza del gruppo. L’idea mi è venuta dopo aver partecipato a un contest e aver vinto un paio di Google Glass. Ho cominciato a parlare con altre persone, sviluppatori e giornalisti, e ho capito che approfondire sarebbe stato utile. Non c’è un programma specifico, ci sono linee guida da seguire, ma i ragazzi sono collaborativi e lavoriamo bene insieme”.
Che cosa fate nello specifico?
“I ragazzi sono tutti intorno a un tavolo. Procediamo come in un team. Nessuno dice all’altro quello che deve fare. Cerchiamo di pensare insieme quello che il giornalismo potrà essere fra qualche tempo grazie allo sviluppo delle tecnologie indossabili”.
A che tipo di progetti lavorate?
“Ne stiamo seguendo due. Ci concentriamo sulla creazione di contenuti con i Google Glass, ma anche sulla fruizione di questi contenuti attraverso gli occhiali. Pensiamo al giornalista, ma anche all’utente che s’informa”.
Che tipo di contenuti giornalistici si possono immaginare sul piccolo schermo dei Google Glass?
“Ci è sembrato subito chiaro che non si potranno portare i titoli delle news o i video del New York Times o del Guardian su quel piccolo schermo. Va ripensato il linguaggio e la fruizione della notizia. I Google Glass sono adatti a visualizzare delle micro storie, magari costruite con un linguaggio specifico. Possono essere uno strumento utile anche per le breaking news, a patto che i giornalisti pensino, in fase di realizzazione della notizia, al supporto con il quale l’utente le riceverà”.
Possono essere immaginati come uno strumento di passaggio tra la ricezione dell’informazione e il suo approfondimento?
“Credo proprio di sì. Insomma ricevere una notizia sullo schermo dei propri occhiali è la cosa più immediata che ci sia. Poi ognuno di noi potrà decidere se approfondire ciò che ha letto o ascoltato. Magari tirando fuori dalla tasca il proprio smartphone. Sarà compito di chi produce informazioni rendere interessanti quelle poche righe per portare chi riceve la notizia fino al suo approfondimento”.
Attualmente è più difficile realizzare applicazioni per produrre giornalismo con i Glass o per ricevere notizie?
“Noi pensiamo a sviluppare entrambe. Certo, in questo momento la seconda categoria ha un pubblico più ampio. Ci sono pochi giornalisti che utilizzano i Google Glass per il proprio lavoro. In generale il successo di questa piattaforma, per ora, è relegata ad un 10% di chi utilizza gli occhiali. Gli altri sono giornalisti, geek, appassionati e non ti danno una reale sensazione di come strumenti come i Google Glass vengono percepiti dalla gente comune”.
Qual è la qualità più importante degli smartglasses attuali come supporto per chi fa giornalismo?
“Attualmente i vantaggi sono relativi alla narrazione di un fatto e al linguaggio. Nessuno strumento ti consente un punto di vista così personale come una telecamera e un microfono su un paio di occhiali. Anche nell’utilizzo la possibilità di scattare foto e registrare video senza utilizzare le mani è utile per chi produce contenuti giornalistici. Ci si concentra sul momento da cogliere, sulla storia da raccontare. Questo in certe situazioni è un privilegio”.
In Italia il direttore della Stampa, Mario Calabresi, ha intervistato il primo ministro Renzi con i Google Glass. Come valuta strumenti simili nella realizzazione di interviste?
“Credo siano un buon supporto per le interviste. La possibilità di ricevere in diretta domande da porre all’intervistato o il mostrare ciò che osserva mentre risponde sono elementi che innovano il modo di realizzare un’intervista. L’evoluzione di questi occhiali smart con telecamere migliori e microfoni sempre più precisi apriranno tantissime nuove possibilità per i giornalisti”.
Quando sentiremo parlare di “Glass Journalism” con più frequenza?
“E’ difficile da dire. Io stesso pensavo che i Google Glass potessero arrivare sul volto di molti americani già in questi mesi. Ma le esigenze del mercato e qualche ritardo da parte di Google hanno cambiato le cose. Oggi negli Stati Uniti non tutti hanno una visione positiva di questi strumenti. Molti li considerano gadgets per ricchi o peggio occhiali per spiare le persone. Invertire questo trend non sarà facile. Gli smartglasses sono una categoria di prodotto del tutto nuova. Questo è un elemento che chiaramente ne penalizza la diffusione. Però l’accordo di Google con Luxottica per la produzione di modelli più commerciali è una giusta intuizione. Ci vorrà del tempo, credo tra i tre e i cinque anni. Se diventeranno uno strumento diffuso come i telefoni o i tablet, sono pronto a scommettere che saranno fondamentali anche per il futuro del giornalismo”.