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Professore emerito di management alla Sloan School Of Management del Massachusetts Institute of Technology, Edgar Schein (1928-vivente) ha di fatto inventato il concetto di cultura organizzativa. Scrive Schein:
La cultura è importante perché è un insieme di forze potenti, nascoste e spesso inconsce, che determinano il nostro comportamento individuale e collettivo, i modi della percezione, lo schema del pensiero e i valori. La cultura organizzativa in particolare è importante perché gli elementi culturali determinano strategie, obiettivi e modi di agire. I valori e lo schema di pensiero di leader e dirigenti sono in parte determinati dal loro bagaglio culturale e dalle loro esperienze comuni. Se si vuole rendere una organizzazione più efficiente ed efficace, allora si deve comprendere il ruolo giocato dalla cultura nella vita organizzativa.
Potrebbe sembrare una dimensione da studiosi e poco concreta, ma – osserva Schein – che se una persona passa la maggior parte della sua vita facendo un certo lavoro, in una certa organizzazione, assorbe parecchi temi culturali condivisi dagli altri nell’ambiente di lavoro o nell’organizzazione. Pertanto la chiave per capire se esiste o meno una cultura è cercare la presenza di esperienze comuni e di un comune bagaglio culturale.
Vedremo, di qui a poco, che per Schein la cultura di un’organizzazione è “ciò che ella ha assimilato come unità sociale nel corso della sua storia”, ed egli la definisce composta di artefatti, valori e postulati nascosti. La metafora è quella di un frutto di pesca con gli artefatti come buccia, i valori come polpa, e gli assunti di base come nocciolo.
Il concetto di cultura organizzativa
La tesi fondamentale di Schein (1984; 1986) è che l’analisi di un’organizzazione consiste essenzialmente nello studiare la sua cultura. Questo perché la cultura è l’elemento più importante di un’organizzazione, ciò che consente di spiegarne la struttura, le scelte strategiche, il reclutamento e la condotta dei singoli individui. Inoltre siccome la cultura è in larga parte creata e gestita dai leader dell’organizzazione, cultura e leadership possono essere viste come le due facce della stessa medaglia. È possibile, scrive Schein, che l’unico compito realmente importante dei leader consista nel creare e gestire la cultura d’azienda e che di conseguenza l’unico talento che i leader devono possedere sia quello di saper gestire la cultura (1990).
Dal punto di vista delle definizioni formali del concetto, scrive Edgar Schein che:
la cultura organizzativa è l’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi, e perciò tali da poter essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi.
Trattasi di una definizione complessa, che sintetizza in poche righe il pensiero di Schein. Tre sono gli aspetti principali della definizione.
Il primo sta nel concetto di cultura inteso come un insieme di assunti fondamentali. Con questa espressione Schein intende affermare che la conoscenza di una cultura organizzativa procede attraverso un’analisi che si sviluppa a diversi livelli di profondità. Al livello più superficiale ci sono gli artefatti, ossia i prodotti immediatamente osservabili di una data organizzazione: la sua architettura, l’arredamento, la tecnologia, ma anche il modo di comportarsi dei suoi membri come il gergo, l’abbigliamento, la mimica, i simboli, i rituali.
Per definizione tutti gli artefatti sono visibili, ma non per questo facilmente decifrabili. Al contrario, proprio l’arte di decifrare il senso degli artefatti costituisce il primo banco di prova di una analisi organizzativa.
Così, ad esempio, che scopi si prefigge una determinata architettura? Favorisce la socialità tra i membri o rispecchia la volontà di mantenere delle barriere gerarchiche? L’abbigliamento delle persone segue le loro libere preferenze, oppure con divise e simboli di grado manifesta l’appartenenza ad una organizzazione? Esistono dei rituali e con quali scopi? Esistono gerghi specialistici, più o meno esclusivi e non comprensibili da persone esterne?
Per Schein l’osservazione attenta degli artefatti è il primo passo dell’analisi organizzativa. Si raccolgono le prime impressioni, si formulano le ipotesi di lavoro, si prepara il terreno per passare a un secondo e più approfondito livello di analisi.
Al secondo livello si trovano quelli che Schein definisce i valori espliciti dell’organizzazione. Siamo nella sfera dei discorsi manifesti e accettati che vengono spesso creati e fatti circolare dalla leadership con l’intento di rafforzare il senso di appartenenza e solidarietà, di individuare i pericoli e i nemici esterni, di chiarire e legittimare le scelte dell’organizzazione, di creare consenso tra i membri. Spetta al ricercatore compiere un’attenta ricognizione di quei discorsi, sia scritti che orali (colloqui, interviste), esaminare la loro evoluzione nel tempo e il grado delle loro corrispondenze con gli artefatti.
Ma la ricerca non finisce qui. Bisogna scendere a un terzo livello ancora più profondo, quello che Schein chiama degli assunti di base. Sono queste le convinzioni profonde e inespresse, date talmente per scontate da non attrarre l’attenzione e di cui spesso i membri non sono nemmeno del tutto consapevoli. Ma è proprio questo il livello più importante per capire l’anima dell’organizzazione, le motivazioni profonde delle azioni dei suoi membri e il modo in cui questi sono stati selezionati e plasmati. Fare emergere gli assunti fondamentali di un’organizzazione è il compito più difficile, ma è qui che si gioca il valore della ricerca, la sua possibilità di andare oltre la banale descrizione di cose che già si sanno.
Schein dà alcune indicazioni su come scoprire questi assunti. Essi riguardano i campi universali dell’esperienza umana, come il rapporto con la natura, la percezione del tempo, la natura dell’uomo, le attività umane e le relazioni tra le persone.
Il rapporto con la natura può essere di dominanza e di sfruttamento, oppure di rispetto e di armonia. Dello scorrere del tempo si può avere una concezione ciclica, di continui ritorni su se stesso (concezione tipica dei mondi rurali e arcaici) oppure si può avere una concezione lineare, di un tempo che non torma indietro. La concezione del tempo può a sua volta essere connessa all’idea di progresso. Quanto alla natura dell’uomo, esistono concezioni pessimiste della natura umana in quanto marchiata dal peccato originale, ed esistono concezioni ottimiste che vedono l’uomo come un essere capace di perfezionarsi indefinitamente. Vi sono infine concezioni democratiche oppure autoritarie dei rapporti umani, di gruppo o individualiste, competitive o solidariste, maschiliste o paritarie tra i sessi. Dall’insieme di questi assunti discende la risposta a domande importanti come: qual è il modo di impostare i rapporti tra essere umani, di distribuire potere e amore? La vita è cooperativa o competitiva? Che cosa è il lavoro e che cosa è il gioco? L’ordine sociale va mantenuto ricorrendo alla gerarchia e al controllo oppure costruendo rapporti basati sulla fiducia, sulla delega di responsabilità e sull’eguaglianza?
Gli assunti di base si possono variamente combinare tra di loro dando luogo a sistemi di convinzioni articolati e complessi. A seconda di tali combinazioni cambia profondamente il modo di lavorare, di comunicare, di valutare il proprio operato e quello degli altri. I sistemi di convinzioni devono però sempre soddisfare il requisito fondamentale della coerenza interna, e questa riguarda tanto la combinazione degli assunti tra di loro quanto il rapporto tra questi ultimi e i livelli dei valori espliciti e degli artefatti. Tale coerenza è importante in quanto contribuisce ad assicurare il coordinamento tra i diversi membri e le diverse unità organizzative.
La formazione di una cultura organizzativa
Ma come si formano gli assunti fondamentali di un’organizzazione? Per Schein la cultura si forma sempre in un gruppo e arriviamo così al secondo punto della definizione che egli dà di cultura. Il gruppo è formato da persone che sono state insieme il tempo sufficiente per avere condiviso problemi significativi, averli affrontati, avere osservato gli effetti delle soluzioni tentate e avere trasmesso quelle soluzioni ai nuovi arrivati. Quanto più il gruppo è omogeneo e stabile con esperienze lunghe e intense, tanto più forte e articolata è la sua cultura. Viceversa, se il gruppo è composto da persone con scarse esperienze comuni e che non hanno mai affrontato insieme problemi difficili, la sua cultura è debole, precaria e poco differenziata. In sintesi, per sviluppare una cultura comune il gruppo deve avere una storia comune.
Tutto ciò equivale a dire che una cultura non è fatta di idee astratte ma di risposte a problemi concreti che occorreva risolvere, inventando o scoprendo soluzioni che poi diventano oggetto di apprendimento da parte dei nuovi membri del gruppo. La validità delle risposte non è data soltanto dalla loro efficacia nel risolvere i problemi pratici, ma anche dal grado in cui riducono l’ansia dei membri. L’ansia nasce in ambienti sconosciuti o ostili, quando non si riesce a percepire un ordine o una coerenza interna. Si spiegano così gli aspetti ritualistici e simbolici sempre presenti in una cultura organizzativa: le danze propiziatorie prima della battuta di caccia in una tribù primitiva, ma anche le ricorrenti cerimonie rituali in una grande impresa moderna tuffata nel vortice della concorrenza.
Schein distingue poi due grandi categorie di problemi: quelli riguardanti l’adattamento del gruppo all’ambiente esterno e quelli riguardanti l’integrazione interna. I problemi del primo tipo riguardano gli obiettivi, le strategie e i mezzi per realizzare gli obiettivi e la valutazione delle prestazioni. Su questi problemi occorre un consenso minimo pena la dissoluzione del gruppo. Ma i problemi possono cambiare man mano che l’organizzazione li affronta e passa a un’altra fase della vita. Schein fa l’esempio di un’azienda che appena fondata si pone il compito di vincere sul mercato tutti gli altri concorrenti, ma in una fase successiva trova conveniente sviluppare una propria nicchia di mercato o addirittura si adatta a diventare un partner senza pretese in un settore oligopolistico pur di sopravvivere.
I problemi di integrazione riguardano invece la capacità del gruppo interno all’organizzazione di funzionare come gruppo. Anche qui c’è un’esigenza di consenso, che riguarda i criteri per includere ed escludere i membri, per distribuire il potere, per sviluppare amicizia, confidenza e affetto, per stabilire premi e punizioni. Soprattutto occorre il consenso sull’ideologia, ovvero sul sistema dei discorsi con cui attribuire significato e ridurre l’ansia dei membri di fronte a eventi inspiegabili o traumatici.
Tutti questi problemi hanno delle specificità che riflettono la storia dell’organizzazione e l’ambiente in cui si opera. Per affrontarli, l’organizzazione sviluppa degli assunti che secondo la definizione data da Schein devono funzionare abbastanza bene da poter essere considerati validi. Quegli assunti formano la cultura dell’organizzazione. È una cultura in formazione perenne, perché è sempre in atto qualche tipo di apprendimento circa il modo di porsi in rapporto con l’ambiente e di gestire gli affari interni. Si crea così una tensione tra l’esigenza di conservare il patrimonio degli assunti formatisi con l’esperienza precedente e l’esigenza di verificarli e adattarli alle nuove esigenze che li sfidano. La tensione tra conservazione e innovazione è presente in ogni cultura organizzativa. Spetta alla leadership gestire quella tensione in modo lungimirante e accorto. Un buon leader sa che la cultura organizzativa non può essere pietrificata in qualcosa di immutabile, né trasformata in modo troppo rapido e disinvolto.
Infine la cultura (ed è questo il terzo aspetto della definizione) non è solo un patrimonio condiviso dai membri già presenti nell’organizzazione, essa richiede di essere trasmessa ai nuovi membri in modo da garantire la sopravvivenza del gruppo. L’operazione è semplice se fatta a persone giovani, non ancora formate. Ma è complicata quando i nuovi membri, soprattutto se introdotti ai livelli alti dell’organizzazione, portano con sé il contributo di idee e valori già acquisiti in altre esperienze. In questi casi è possibile che l’ingresso dei nuovi membri provochi dei cambiamenti nella cultura dell’organizzazione. Si pone allora il problema di studiare i processi di adattamento reciproco tra la cultura preesistente dell’organizzazione e i cambiamenti apportati dai nuovi membri. Schein non dà una risposta preventiva al problema, perché si tratta di dinamiche da studiare empiricamente caso per caso.
Schein ammonisce che non è facile studiare la cultura, data la sua natura pervasiva che permea ogni aspetto dei rapporti umani. Non basta intervistare i fondatori o i leader sui valori e sugli obiettivi dell’organizzazione, perché in questo caso si rimarrebbe solo al livello manifesto. L’analisi deve estendersi:
ai processi di socializzazione dei nuovi membri, ossia a come la cultura organizzativa viene trasmessa, recepita e adattata;
alle risposte date ad eventi critici nella storia delle organizzazioni, e questo perché quelle risposte costituiscono un patrimonio di ricordi che concorrono a formare l’identità collettiva dell’organizzazione;
alle anomalie o ai tratti osservati man mano che la ricerca procede. Una cultura organizzativa può essere meglio messa a fuoco se si esaminano le irregolarità, le devianze e le tensioni latenti che in essa si producono.
Va, infine, tenuto presente che tutti questi elementi vanno ricondotti al modo in cui viene esercitata la leadership: leadership e cultura, ripete Schein, non sono che due aspetti di una stessa realtà, studiando la leadership di un’organizzazione si studia la sua cultura e viceversa.
Conclusioni
Quando all’inizio degli anni ottanta del secolo scorso prese corpo la proposta di Edgar Schein di dedicare attenzione al tema della cultura organizzativa, nessuno avrebbe mai pensato alla sua rapida diffusione e al fatto che sarebbe stata poi condivisa in tutta la letteratura successiva, tanto da potersi ritenere ormai assodato il fatto che proprio questa cultura rappresenta una variabile strategica di tutte le organizzazioni.
Quale lezione trarre, allora, dal pensiero di Schein? La prima, e più importante, è che un leader che voglia portare al successo un’organizzazione deve necessariamente sviluppare una visione duale: attento alle azioni e decisioni che portano al miglioramento delle performance aziendali e, nello stesso tempo, attento alle implicazioni che tali azioni e decisioni avranno sulla cultura aziendale. Ma di questi due aspetti, forse, l’area su cui i leader attuali dovranno maggiormente concentrare i propri sforzi è il secondo: saper governare il mondo del simbolico per creare consapevolmente una cultura orientata al successo.
Riferimenti bibliografici
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Giuseppe Pompella